Natale 2009
Come in una casa ci sono spazi per il riposo, per preparare i cibi e per mangiarli insieme, per il gioco dei bambini e per il soggiorno dei più grandi; così in un paese, in una comunità ci sono edifici, luoghi, segni pensati per aiutarci a vivere le molteplici esperienze costitutive della comunità stessa.
Tipico spazio di ritrovo e incontro per i cristiani è ovviamente la chiesa parrocchiale, ma attorno ad essa, anche nel nostro paese, fanno corona altri edifici: la canonica, sant'Antonio, l'oratorio, la chiesetta dei disciplini, un po' più distante la casa vecchia delle suore.
Sempre come in una casa gli armadi e i ripostigli non bastano mai (soprattutto in questi anni in cui tendiamo a comprare ed accumulare superfluo su superfluo), anche la bella chiesetta di sant'Antonio in passato è stata a volte usata come deposito di oggetti e suppellettili vari.
Con don Giuseppe avevamo pensato di rimetterla un po' in ordine per renderla luogo accogliente, prolungamento di quell'oratorio che, con le sue tipiche proposte rivolte a ragazzi e giovani, nella sua stessa definizione è un costante invito alla preghiera.
Ecco allora che sant'Antonio vuole ridiventare segno del desiderio di far spazio alla contemplazione, della necessità di individuare anche nelle nostre vite luoghi ed occasioni di silenzio per ascoltare l'essenziale, quella parte che, secondo il Vangelo, non ci verrà mai tolta.
Come lo stesso don Francesco sottolinea, nel primo saluto alla sua nuova comunità, sia lui, sia noi, sia i fratelli di Capodiponte e di Pescarzo quest'anno vivremo tutti un Natale particolare; un Avvento e un Natale che possono essere rappresentati proprio dall'immagine della sede vuota.
Essa ci invita innanzitutto a ringraziare ancora una volta chi l'ha occupata per molti anni, donando entusiasmo, servizio ed amicizia; può esprimere la tensione di un posto in più che ogni comunità, ogni famiglia, ogni persona deve riservare per essere sempre pronta ad accogliere un eventuale ospite; ma, soprattutto, evidenzia la nostra attesa affinché quel posto, quel ruolo venga presto assunto da chi ha accettato di venire tra noi per aiutarci ogni giorno... a non temere, a porre la nostra fiducia, e quindi anche le nostre difficoltà, nelle mani di quel piccolo Bambino che continua a venire in mezzo a noi.
Don Alberto
ripensandoci
La notizia, attesa con ansia quasi spasmodica, è finalmente arrivata: il Vescovo Luciano ha pensato a questa Parrocchia assegnandole il parroco. Si temeva che “Brescia” (così ci si esprime talvolta con riferimento all'autorità centrale) avrebbe potuto affrontare il problema della nomina con burocratica calma che, pur se necessaria nelle decisioni più importanti, sarebbe stata ritenuta fuori luogo se non addirittura scorretta nel nostro caso. Invece il tempo intercorso tra la partenza di don Giuseppe per il nuovo incarico a Darfo e l'annuncio che don Francesco Rezzola è il nuovo parroco, è stato relativamente breve.
Comunicare ai parrocchiani della messaprima a Capo di Ponte che il Parroco era stato destinato ad altra Parrocchia non è stata una esperienza piacevole: chi annunciava dall'ambone la decisione del Vescovo avvertiva palpabili la sorpresa e lo sgomento dei presenti; pur nel clima di fede che avvolge la celebrazione eucaristica, la notizia ha avuto l'effetto di una deflagrazione, esplosa con schegge devastanti per l'animo dei presenti. Non so con quale spirito i fedeli hanno, poi, continuato la partecipazione alla Liturgia: posso solo immaginare un miscuglio di sensazioni ed emozioni, pur nello sforzo di accettazione della Volontà di Dio. Non ho raccolto commenti perché ho lasciato quella chiesa parrocchiale dopo il Vangelo, appena terminato il mio poco simpatico annuncio, per correre a Borno ad annunciare la stessa novità, ovviamente senza trepidazione. In realtà qui ho sperimentato la gioia della bella notizia.
Alla “bella notizia” di Natale “è nato per voi un salvatore...” (Lc 2,11) siamo abituati, ma questa, perché tanto attesa, ha assunto proprio le caratteristiche dell'angelico annuncio ai pastori di Betlemme. Finita l'attesa, i Bornesi hanno tirato un sospiro di sollievo e sono stati invasi da gioiosa sorpresa quando, dopo il nome, è stata comunicata anche l'età: un prete di 51 anni, ben conosciuto da chi frequenta l'Eremo, non camuno ma originario di Trenzano, paese della bassa bresciana, salito otto anni fa a Capo di Ponte e contento di stare in Valle Canonica (la speranza di parrocchiato non si prospetta a breve termine).
Ora cresce l'attesa di incontrare il nuovo Parroco e di conoscerlo, ma sappiamo che non passerà molto tempo. Appena sistemata l'abitazione per alcuni adeguamenti necessari, don Francesco è pronto a salire sull'Altopiano del Sole, desideroso di contribuire a non velare la Luce accesa dall'Incarnazione del Signore e a non frapporsi al caldo che Essa emana; così si è premurato di fare anche per il bene dei parrocchiani capontini e per quelli di Pescarzo sopra Cemmo.
Verrà nel nome del Signore che gli ha comunicato la Sua volontà con la voce dell'autorità ecclesiastica; a questa ha risposto con la disponibilità completa di chi, con l'ordinazione sacerdotale, ha messo la propria persona a servizio della Chiesa bresciana.
Ogni bella notizia è una iniezione di speranza che aiuta a scrutare il futuro con sguardo fiducioso, pur se un po' disturbato da qualche nube minacciosa che si forma per una accelerata evaporazione dell'umore che stilla dalla fede e dal Vangelo.
Anche il mistero del Natale di nostro Signore Gesù Cristo ci riporta in questa prospettiva di luce e di serenità: Dio non è lontano, è entrato nella nostra umanità e lo ha fatto con i connotati di un piccolo che suscita tenerezza. Dio col volto di bambino non spaventa, richiama uno sguardo con sentimenti di bontà e di disponibilità a dargli aiuto se ne ha bisogno. E Dio, grande e potente, è venuto in terra proprio perché ha bisogno di comunicarci la Sua vicinanza e per chiederci collaborazione per realizzare un mondo più buono affinché sia, come ogni persona, “a sua immagine e somiglianza”.
Il Parroco ha essenzialmente questo incarico: con la parola del Signore, con i Sacramenti e con il Magistero della Chiesa deve sollecitare i membri della famiglia parrocchiale a collaborare alla grande impresa iniziata da Dio a Betlemme, impresa nella quale tutti possiamo assaporare un briciolo di vera felicità.
Spero e mi auguro che don Francesco non deluda le attese di Borno, se queste non sono tali da pretendere miracoli; egli non porta con sé nessuna bacchetta magica. Sono certo che in comunione con don Alberto, che ha sapientemente e generosamente guidato la vita comunitaria in questo periodo di vacanza, la coppia sacerdotale si mette a servizio del vero Bene di credenti e non, perché sono già al servizio del Fanciullo che a Betlemme ha portato luce e amore, per Grazia ancora non esauriti.
Con il mio augurio a ciascuno di Buon Natale, che si accompagna al “regalo” avuto dal Vescovo, auspico anche che l'arrivo di don Francesco sia per tutti occasione di guardare al futuro con serenità.
Don Franco Corbelli,
Amministratore parrocchiale
ripensandoci
Cari bornesi,
è la prima volta che entriamo in dialogo, anche se in modo indiretto ed attraverso il bollettino parrocchiale, un mezzo molto importante per comunicare e conoscersi, e sono molto contento di questa opportunità. Dopo che don Alberto mi ha offerto la possibilità di inviarvi un saluto, mentre tornavo a casa dopo il ritiro dei sacerdoti all'Eremo di Bienno, in macchina molti pensieri mi passavano per la testa e fra essi pensavo ai sentimenti che stanno affiorando in questi giorni nei nostri cuori.
È dal 9 di novembre che io so di dover cambiare parrocchia, ma ancora non mi rendo conto chiaramente che questo avverrà tra poche settimane, perché forte è il legame che ho con questa mia prima comunità retta da parroco. È dal 15 novembre che i capontini sanno che il loro parroco li dovrà lasciare e cominciano a prendere coscienza con fatica del distacco che avverrà, ed ancora di più i pescarzesi che avevano visto partire don Paolo un anno fa.
È dalla stessa data che voi bornesi sapete di avere un nuovo parroco, ed immagino che la notizia abbia rallegrato voi e don Alberto che, però, assieme a voi deve faticare ancora un po' da solo in attesa dell'ingresso. Come vedete, sentimenti molto diversi passano veloci nei nostri cuori: lo stupore si alterna al disappunto per i miei parrocchiani; forse la vostra gioia si mescola alla impazienza dell'attesa; in me il desiderio di conoscere il nuovo che mi aspetta è un po' frenato dal pensiero di lasciare persone, attività e sicurezze che in questi anni mi hanno reso amatissima la Valle Camonica.
Però il Signore predispone ogni cosa al meglio per ogni sua creatura ed anche questa attesa che si prolunga è benefica per tutti noi. È un bene per la gente di qui perché, pensando di poter fermare il tempo, dicono: “almeno passeremo ancora un Natale assieme”. È un bene per voi perché quest'anno, proprio nel celebrare la nascita del Signore, vi accorgerete ancora di più che manca qualcosa di famigliare, don Giuseppe, e questo farà riaffiorare i ricordi più belli dei tanti anni trascorsi con lui, motivo per ringraziare Dio della sua grande benevolenza.
È un bene anche per me perché, pensando al Signore che viene tra noi per farsi dono, mi sentirò di verificare se lo sono stato anch'io per la mia parrocchia e se sono disposto ad esserlo ancora di più per voi. È un bene per tutti perché il Natale invita ciascuno a non temere e ad avere fiducia nel metterci nelle mani di quel piccolo bambino: dove arriva Lui, giunge sempre un beneficio anche per noi.
Gesù è il divino che irrompe nell'umano e lo trasforma, la novità che rischiara ogni momento della vita dell'uomo. È Lui che dobbiamo conoscere e riscoprire ogni giorno di più, accogliendo e meditando ciò che la Chiesa, nella sua millenaria tradizione, ci ha trasmesso e che noi, come tesoro prezioso, dobbiamo gelosamente conservare. E credo sia questo ciò che voi ed io desideriamo.
Pensando a Dio che in Gesù è venuto ad abitare in mezzo a noi ed assumendo la nostra umanità ci ha redenti, ciascuno in questi giorni deve sentire la gioia di essere stato visitato dal Salvatore. Questo sia il sentimento che, insieme alla pace, spero trovi posto nei vostri cuori nel Natale così particolare che vivremo quest'anno. E che lo Spirito Santo dia luce e ardore a ciascuno per accogliere pienamente Gesù nostro Signore, così da dare una audace testimonianza del Salvatore nel vero della nostra vita.
Don Francesco
ripensandoci
La sentenza della Corte Europea di Strasburgo contro il crocifisso nelle aule scolastiche ha giustamente suscitato un'ampia e forte reazione in Italia. È stata appresa con dolore e con sorpresa.
Con dolore perché si tratta di un'offesa al simbolo della religione della stragrande maggioranza degli Europei: cattolici, ortodossi, luterani, anglicani, calvinisti... L'originalità del cristianesimo si fonda sul crocifisso. La storia della nostra salvezza ha il suo punto più alto e più significativo nel sacrificio di Cristo sulla croce.
Con sorpresa perché il crocifisso è anche simbolo di valori che stanno alla base dell'identità europea. Il cristianesimo ha unito l'Europa. Questa sentenza è un segno che va in senso contrario, perché non favorisce l'unione ma la disgregazione. Fortunatamente non è una sentenza definitiva né operativa. Sconcerta l'impulso autodistruttivo che ogni tanto fa capolino in Europa, trovando la sua espressione più triste nel desiderio di cancellare dalla nostra memoria i simboli religiosi e, con essi, il lascito morale e culturale del cristianesimo.
Esistono valide ragioni per tenere il crocifisso nelle scuole della nostra nazione. Di quali valori infatti è espressione il segno del Crocifisso?
Il crocifisso è segno di un Dio che ama l'uomo fino a dare la sua vita per lui. È un Dio che ci educa all'amore, all'attenzione per ogni uomo, specialmente per il più debole ed indifeso, e al rispetto verso gli altri, anche verso coloro che appartengono a culture o religioni diverse. Il crocifisso è segno della più alta realizzazione dell'amore oblativo. Di conseguenza è il vertice della stessa civiltà, intesa come l'insieme dei valori che formano il tessuto di una società e che la aprono al rispetto della libertà altrui, all'accoglienza, alla solidarietà verso tutti. Perciò la visione del crocifisso non può offendere nessuno, ma piuttosto deve far riflettere sulla malvagità umana che opprime l'innocente e può insegnare anche a un non cristiano e ad un non credente la giustizia, il perdono e la bontà.
Possono restare sorpresi i non cristiani per la visione del crocifisso?
Mi domando: per chi appartiene ad altre religioni, ma vive in Italia e frequenta le scuole che qui vi sono, è proprio cosi nocivo che veda il simbolo del cristianesimo e conosca qualche cosa della religione che più di tutto ha contribuito a forgiare l'Europa? È proprio inutile che conosca le tradizioni popolari e le tante manifestazioni culturali e artistiche ispirate dal cristianesimo? Il crocifisso è anche simbolo della nostra cultura ed emblema sul quale si fonda la nostra storia, la nostra civiltà e che conserva la sua forza valoriale di impulso alla fraternità umana.
E quanto alla laicità dello stato?
I veri sostenitori della laicità non devono dimenticare che l'autore del primo messaggio di laicità è stato proprio Gesù Cristo quando ha detto: “Dare a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”. Non va poi dimenticato il fatto che la sana laicità include anche il rispetto profondo della coscienza di tutti e di ciascuno, e che il difensore della coscienza umana è stato proprio Cristo, crocifisso e risorto per l'umanità intera. Pertanto, i veri difensori della laicità dovrebbero difendere il crocifisso.
A coloro che non sono cristiani noi esprimiamo il nostro rispetto e, nei limiti del possibile, offriamo anche la nostra accoglienza. E lo facciamo proprio grazie alla fede e all'amore verso il crocifisso. Lasciamo, perciò, stare il crocifisso, simbolo della nostra fede e sintesi della nostra civiltà.
Le feste del Natale, che stiamo celebrando, suggeriscono un ulteriore pensiero: in questi giorni il mondo si riempie di sorrisi e di emozioni davanti alla culla del Bambino di Betlemme. I genitori e i nonni si chinano
con i loro bambini per preparare il presepe o addobbare l'albero, per rendere bella la casa in occasione del Natale. Tutti aspettano con trepidazione il Natale, cioè la nascita di quel Gesù che la sentenza della Corte di Strasburgo, qualche settimana fa, voleva cacciare dalle nostre scuole.
Anche il Natale ci invita ad amare il crocifisso - come ha detto il Papa nell'Angelus della prima domenica di Avvento - ed a riconoscerne il valore religioso, storico e culturale.
Card Giovanni Battista Re
ripensandoci
Dopo il puntuale articolo del Card. Giovanni Battista Re, abbiamo avuto l'occasione di leggere questo tema scolastico sul medesimo argomento. Ci è piaciuto e pensiamo che anche Sua Eminenza possa apprezzare i pensieri della giovane studentessa.
Recentemente si è sentito molto parlare della proposta avanzata dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo di togliere il simbolo del crocifisso dagli edifici pubblici, in segno di rispetto nei confronti delle religioni non cristiane, in un'Europa che vede ormai crescere, giorno dopo giorno, la percentuale di stranieri.
Questo ha suscitato nel nostro Paese motivo di polemiche e discussioni: è giusto vietare il crocifisso nei luoghi pubblici, come ad esempio nelle scuole, nei tribunali o negli ospedali?
Ognuno, chi più e chi meno, ha preso una propria posizione sull'argomento; c'è chi si è detto favorevole, chi contrario o chi si è semplicemente dichiarato neutrale. Ora vorrei aprire una parentesi su quest'ultimo gruppo.
A mio avviso è impossibile che una persona assuma una posizione neutrale, ciò significa semplicemente lasciare le decisioni agli altri ed astenersi, non esporre le proprie idee; non è dunque prendere una posizione. Anche nel momento in cui uno si dichiara indifferente, espone un proprio pensiero, assume dunque una posizione e non è, quindi, neutrale.
Detto questo, per riuscire a ragionare, a riflettere e cercare di rispondere alla domanda se volere o no il crocifisso, è fondamentale chiedersi il ruolo e il significato proprio di questo simbolo. È chiaro che per un cristiano credente esso rappresenta Gesù Cristo, che è morto per noi per aprirci le porte del Paradiso, per salvarci. Esso ci regala un senso di protezione, è il simbolo della misericordia di Dio e rappresenta, dunque, l'aspirazione massima di un cristiano dopo la vita terrena.
Ma come noi tutti sapiamo, l'Italia è un paese di costituzione laica, e dev'essere “equidistante e imparziale rispetto alle diverse confessioni religiose presenti nel nostro paese”, come afferma Emilio Zanetti in un articolo del Brescia Oggi. “La laicità non è assenza di simboli religiosi”, ricorda però Vincenzo Paglia sul Corriere della Sera, “ma capacità di accoglierli e sostenerli”.
Per un qualsiasi non credente italiano (o comunque europeo) il crocifisso non è, o almeno non dovrebbe essere esclusivamente un simbolo religioso a lui estraneo, e la sua presenza negli edifici pubblici non riguarda solo un “tentativo del fascismo di recuperare il consenso della Chiesa o di dare un fondamento spirituale ad un regime totalitario”, come ritiene Piero Ancona in “Terra”. Per l'Italia e per l'Europa è molto di più perché questi Paesi sono nati cristiani.
Il crocifisso ricorda dunque le nostre radici, “fa parte della storia del mondo”, come sostiene Natalia Ginzburg in un articolo dell'Unità, perché noi siamo frutto del nostro passato, il quale ha posto le premesse per il futuro.
Inoltre il cristianesimo è la religione che ha posto le basi per la formazione della coscienza di ognuno di noi; Cristo in croce rappresenta i valori intrinsechi dell'umanità: l'amore incondizionato senza contraccambio, il perdono senza misura e il sacrificio per i nostri simili. Sono su questi principi che si forma la moralità di noi, cittadini europei, sia che siamo cristiani, atei, o di qualsiasi altra confessione religiosa.
Molti, come ha dichiarato don Valentino Vaccaneo sulla Stampa, ritengono che il crocifisso possa diventare un elemento di divisione o di discriminazione contro stranieri o non credenti. Ma non era lo stesso Gesù un uomo molto aperto, che prestava attenzione a tutti, indistintamente, anche alle categorie sociali più emarginate e malviste della Palestina di quei tempi? Egli parlava e incontrava usurai, samaritani, prostitute e donne (la stessa Maria ha avuto un ruolo fondamentale nella vita di Cristo e, per esempio, la Risurrezione venne annunciata innanzitutto da un gruppo di donne).
La presenza di un crocifisso in un tribunale ammette anche che la giustizia, in quanto umana, può sbagliare. Gesù è stato, infatti, condannato a morte da innocente, solo perché i suoi pensieri, la sua parola e la sua predicazione erano scomodi ai più potenti. Questo ci fa, dunque, ricordare anche la libertà di pensiero e di parola che abbiamo conquistato nel corso della storia.
Questa semplice croce, quindi, rappresenta oltre che la fede cristiana, la storia, le radici, il passato e i valori del nostro popolo, e toglierla sarebbe quasi paragonabile a bruciare la bandiera italiana.
Io sono una studentessa e ammetto che se il primo giorno di scuola fossi arrivata e il crocifisso non fosse stato al suo posto, probabilmente non me ne sarei nemmeno accorta. È importante, però, che tutti noi impariamo a conoscere il valore di questo simbolo e a dargli il giusto peso.
Irene Cominini
ripensandoci
Carissimi sposi e famiglie tutte,
anche quest'anno desidero raggiungervi personalmente con un affettuoso augurio natalizio, dicendo così la mia vicinanza alle vostre case e la mia gratitudine a Dio per voi.
Il tempo e le festività natalizie sono un momento propizio per gustare la bellezza del clima familiare e riprendere speranza per i cammini più difficili, dolorosi.
Anch'io, come voi, sono spesso rapito dai ritmi frenetici della quotidianità, fatti di scadenze da rincorrere e problemi da risolvere. Anch'io, come voi, ho bisogno del Natale, per ritornare all'umanità più autentica, quella voluta e amata dal Padre. Prendiamoci un po' di tempo, doniamolo al Signore e impariamo di nuovo l'arte dell'ascolto e della meraviglia, vie sicure per incontrare la semplicità della grotta di Betlemme. Affiniamo l'udito del nostro cuore: potremo ancora una volta sentire il canto beato degli angeli: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama”.
Ora, vengo nelle vostre case e ammiro meravigliato il segno del presepe, sempre uguale eppure in ogni focolare così diverso, fatto a vostra immagine. Ascolto i vostri discorsi e apprendo tanto bene, insieme però a preoccupazioni e fatiche: la stanchezza di relazione, il lavoro, i soldi mai sufficienti, qualche seria malattia di una persona cara, i figli e la loro educazione.
Già, i figli: dono benedetto del Signore e vita vostra, carissimi genitori! Spesso, però, non sono bene accolti, rimangono soli e poveri di valori, di fede. Coraggio, quel Dio che vi ha donato tanta ricchezza non vi abbandona; cercatelo e imparate da Lui, dal suo cuore.
Tra le tante parole che si dicono nella vita, in questo Natale ne voglio ascoltare con voi alcune speciali, di quelle che si pronunciano raramente, ma sono così potenti.
“Vogliamo per nostro figlio il Battesimo, la vita eterna”.
Che bella domanda avete fatto alla Chiesa, cari sposi. Avete chiesto il sempre e il tutto del bene di Dio per le vostre creature. E questa domanda nasce dal vostro amore di coniugi e prosegue quel dono della vita che avete offerto nella generazione, insieme a Dio Creatore. Ora, la Chiesa, comunità dei credenti, è guidata dallo Spirito Santo per ascoltare sapientemente queste domande e per poter garantire risposte vere, efficaci. L'atto di volontà che vi ha spinto a invocare dal Padre queste cose grandi per i vostri figli sia sostenuto da una testimonianza quotidiana d'amore e di fede. Continuate nel solco che avete intrapreso, sarà il modo più sicuro per affidare le persone amate a Dio e a un mondo più bello. È nel matrimonio che dovete cercare la forza e il coraggio di portare avanti fino in fondo la domanda del Battesimo. Siate certi, vivete il sacramento dell'amore, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia…
Vi ricordate quelle domande che il sacerdote, a nome di tutta la Chiesa, vi ha posto il giorno delle nozze? Una di queste diceva così: “Siete disposti ad accogliere i figli che Dio vorrà donarvi e ad educarli secondo la legge di Cristo e della Chiesa?” Con decisione, sincerità e probabilmente con un pizzico di sana incoscienza, voi avete detto sì! Come Maria all'Angelo, come tutte le persone di buona volontà, responsabili e amanti di Dio, del prossimo. E così, nel vostro matrimonio, benedetto e consacrato dal Signore, avete reso una completa disponibilità ad essere fecondi nella vita, nell'amore e nella fede. Il vostro legame si è fatto culla di cura totale dei figli e luogo – metodo di trasmissione di Gesù Cristo. Anche qui, non siete soli, la Chiesa a cui vi siete rivolti, partecipa volentieri della vostra paternità e maternità, delle soddisfazioni e delle fatiche di essere genitori.
Nel giorno del Battesimo i vostri figli hanno iniziato ad essere introdotti nella vita divina, nella famiglia cristiana; e questo, con il vostro cuore, con i vostri passi. Quale dono, quale responsabilità: Dio si è piegato ad abitare nelle vostre creature, briciole amate di umanità, e anche nella vostra casa si è sentito il canto degli Angeli: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli…”.
Insieme a questa legittima gioia, però, non posso distogliere l'ascolto dalle tante domande di chi non ha figli; parole di vita fatte di silenzi e di lacrime, di rincrescimenti e a volte di sensi di colpa. Riconosco il vostro dolore e le fatiche di non trovare facili soluzioni; benedico anche i molti sposi che sanno allargare la loro fecondità nell'ampio mondo dell'affido e dell'adozione. A tutti chiedo di mettersi in paziente ascolto della volontà del Padre, che non lascia mai nessuno senza una strada di generazione nel bene, di fecondità nell'amore. È vero; tutto questo è più faticoso e rischioso, ma frequentemente le mete indicate dal Signore sono più alte dei nostri sogni. Sì, tenete lo sguardo della vostra coppia rivolto a traguardi importanti, sapendo che le occasioni di servizio alla vita sono sempre smisurate.
Natale non è percepito sempre con il tono di festa della speranza di Dio per noi, soprattutto da chi non ha più un buon clima familiare, fatto di unità e di condivisione nell'amore coniugale…
Penso alle famiglie vedove, spesso con figli piccoli orfani di un genitore. L'abbraccio sincero degli amici e dell'intera comunità cristiana sapranno offrire più calore nelle feste natalizie, come nei semplici giorni quotidiani. Bisogna accorgersi di queste voci discrete, avvicinarle e camminare con loro.
Chi poi ha interrotto la propria storia coniugale con separazione o divorzio farà forse fatica ad affrontare con cuore sereno l'avvento dell'Emmanuele, con la gioiosa armonia che questo produce anche nella società. Non raramente si sente dire che proprio questi giorni diventino un vero tormento, perché tempo di rimpianti e di riapertura di ferite dolorose, mai del tutto sanate. Proprio a voi, carissimi fedeli, voglio ricordare che Gesù viene incontro a tutti e non disdegna di nascere anche nei luoghi più bui e freddi dell'esistenza umana.
La sua presenza tra noi, nella grotta di Betlemme, non inizia forse nel segno della solitudine, del rifiuto sociale e della vicinanza dei soli pastori, gente questa di cattiva fama e per questo tenuta a distanza?
Coraggio, la Chiesa rimane sempre la vostra casa, dove ritrovarsi in fraternità e rinnovare la vostra fede.
Il canto degli Angeli possa abitare ancora tra voi e vi faccia pregustare il profumo di paradiso.
A tutte le famiglie dono la mia benedizione e dico: “Accogliete il Signore che viene, egli dona speranza ad ogni persona bisognosa d'amore”.
Il vostro vescovo
+ mons. Luciano Monari
* * *
Leggere quanto scrive un Vescovo è come ritrovarsi in uno dei tanti luoghi che la storia cristiana ha conosciuto, dove i fedeli si mettevano all’ascolto della parola degli apostoli. I Vescovi non hanno la possibilità di parlare direttamente a tutti i loro fedeli. Essi lo possono fare attraverso i sacerdoti prima di tutto e poi con gli scritti. Per natale 2009 il Vescovo Luciano ha scritto agli sposi e alle famiglie una lettera, pubblicata qui sopra.
È molto bella, non ha bisogno di commenti e ognuno si può appuntare quanto gli viene in aiuto o gli sembra più significativo.
Tra i miei appunti ho trovato che:
I creativi della pubblicità commerciale hanno coniato di recente uno slogan che recita: “divertiti, fatti una famiglia!”.
Sembra un paradosso, perché di questi tempi, più che in ogni altro tempo, la famiglia ed i figli sono associati a problemi di tipo economico, personale, sociale, immobiliare, educativo etc.. Però nello slogan c’è la verità perché se associamo la parola divertimento a felicità, la famiglia ed i figli sono anche oggi la fonte ed il luogo di un appagamento vero delle aspirazioni umane.
Come non essere contenti delle birichinate di un bimbo che te ne fa di ogni colore sotto il naso ed al quale non puoi opporre alcuna arma di difesa, se non quella di un sorriso vero e sincero che ti fa felice. O vedere una partita di calcio dei bambini un po’ più grandi che fanno vedere ai genitori i risultati dell’impegno nell’allenamento, giocando la domenica contro i loro coetanei di altri paesi e facendo vedere come si possa essere contenti praticando uno sport di squadra. Oppure partecipare, anche solo con lo sguardo ed il pensiero, alle ansie di quei ragazzi più grandi che affrontano la scuola superiore, l’università e si affacciano al mondo adulto con la voglia di fare tipica ed esclusiva della gioventù.
In questo tempo di Avvento la Parola letta nelle liturgie eucaristiche parla della venuta del Regno, incarnato nel bimbo Gesù. La famiglia è certamente una anticipazione di questo Regno eterno che ogni genitore chiede per i propri figli con il battesimo.
Buon Natale.
Gabriele
ripensandoci
L'adozione riguarda tutti, come sensibilità ed attenzione al problema dell'infanzia in difficoltà e come capacità di accoglienza, sia da parte della famiglia adottiva, sia da parte dell'intera comunità.
L'adozione è aprire nella propria famiglia uno spazio per accogliere un bambino o una bambina, generato da altri, con una sua storia da continuare con nuovi genitori con cui formerà una nuova famiglia.
L'adozione è un istituto giuridico regolato dalla legge n.184/83, parzialmente modificata nel 2001 con la legge 149, e dalla legge 476/98 in materia di adozione internazionale: essa garantisce al bambino il diritto di avere una famiglia e può essere realizzata solo quando non esiste alcuna possibilità che il bambino cresca nel suo nucleo familiare d'origine.
Quando una coppia decide di avvicinarsi all'adozione spesso ha un'idea vaga ed incerta di questa realtà: poter parlare con amici o conoscenti che hanno vissuto la stessa esperienza, o leggere documenti sull'argomento può essere utile per iniziare a raccogliere alcune informazioni, ma non esaustivo per chiarire i dubbi che nascono all'interno della coppia.
Per questo motivo, il Centro Adozioni dell'ASL è a disposizione delle coppie interessate all'adozione, fin dai primi passi di tale scelta, sia per fornire informazioni relative alle procedure previste dalla normativa vigente, sia per aiutare a riflettere e valutare insieme se esistono i presupposti e le condizioni indispensabili per accogliere un bambino. Fin dall'inizio la scelta adottiva contiene al suo interno un ulteriore scelta: accogliere un bambino attraverso l'adozione nazionale e/o internazionale?
L'adozione nazionale è l'adozione di un bambino dichiarato in stato di adottabilità in Italia, mentre l'adozione internazionale è l'accoglienza di un bambino straniero dichiarato adottabile dall'autorità competente nel suo paese d'origine.
TUTTI I PASSI PER DIVENTARE GENITORI
I requisiti fondamentali, stabiliti dalla legge italiana, per adottare uno o più minori, italiani o stranieri, sono i seguenti:
La “strada dell'adozione” inizia con la dichiarazione di disponibilità che la coppia deve presentare al Tribunale per i Minorenni competente per territorio. Il Tribunale, verificata la presenza dei requisiti previsti dalla legge, incarica formalmente il Centro Adozioni dell'ASL di svolgere un'approfondita indagine psico-sociale. Tale percorso ha un duplice finalità:
Il Tribunale per i Minorenni, ricevuta la relazione psico-sociale, convoca la coppia per un colloquio approfondito finalizzato alla decisione in merito all'idoneità all'adozione. A questo punto il percorso si differenzia sulla base della scelta dei coniugi di rivolgersi all'adozione nazionale o internazionale; qualora la scelta si orienti verso l'Adozione Internazionale, la coppia dovrà rivolgersi ad uno degli Enti Autorizzati.
Il Centro Adozioni continua a garantire il suo supporto alla coppia anche nella fase dell'attesa, spesso vissuta come troppo lunga e caratterizzata da incertezze e imprevisti, ma utile momento di maturazione della propria scelta e di costruzione graduale dell'identità di genitori adottivi.
L'incontro tanto desiderato tra la coppia ed il bambino è uno dei momenti più intensi emotivamente e più delicati del percorso adottivo: sogni e pensieri che hanno accompagnato l'attesa iniziano a lasciare il posto alla realtà e alla nascita di una nuova famiglia. Anche in questa fase il Centro Adozioni svolge una funzione di sostegno per favorire una positiva integrazione familiare e sociale.
Inizia così un lungo cammino di conoscenza reciproca, condivisione delle differenze (di origine, somatiche, culturali, etniche) e di costruzione di legami genitoriali e filiali che evolvono per tutta la vita. Riconoscere il valore della storia individuale del figlio e integrare passato e presente rappresentano compiti fondamentali della famiglia adottiva, per la costruzione di un'identità sicura del bambino.
Per l'equipe del Centro Adozioni
Dr.ssa Marta Baisotti
Dr.ssa Chiara Picinelli
CENTRO ADOZIONI - ASL DI VALLECAMONICA-SEBINO
Consultorio Familiare di Breno in via Nissolina,2 - IV piano
Sportello informativo: mercoledì dalle ore 10.00 alle ore 12.00
Tel 0364/329416
ripensandoci
Caro Gesù,
scusa se ti disturbo, so che tu preferisci un altro tipo di comunicazione, quella vissuta nella preghiera, ma oltre a farti gli auguri per il tuo compleanno, desideravo porti alcune questioni che vanno di moda in questi anni.
Cosa pensi degli uomini del 2000 che sembra si stiano allontanando sempre più da Te e dal Tuo e nostro Padre per inseguire gli idoli dei soldi, del potere, del successo, dell'efficientismo, dell'apparenza, del sesso fine a sé stesso e declinato in ogni forma possibile e immaginabile?
In particolare cosa pensi di noi che ci qualifichiamo riferendoci al Tuo nome, ma che molte volte, forse, non ci distinguiamo abbastanza dal “regno di questo mondo” e, magari, tiriamo in ballo i simboli della nostra fede solo quando sentiamo minacciato il nostro quieto vivere o, peggio, per usarli come bandiere e strumenti di politiche che non si conciliano molto con la più alta forma di carità auspicata da Paolo VI?
Segui anche Tu, immagino con un sorriso scaturito dalla tua infinita misericordia per le nostre piccole o grandi miserie, le infinite discussioni su immigrati, vizi e virtù di personaggi più o meno famosi, o su questioni di bioetica dove sembra che l'unica opinione retrograda, oscurantista e incomprensibile sia sempre e solo quella della Chiesa. A quanto pare guerre, fame e problemi dei paesi poveri non interessano molto i nostri mass media.
In questi anni da più parti noi cristiani siamo stati sollecitati a riappropriarci della nostra identità, dei nostri cosiddetti valori, in particolare delle nostre radici e tradizioni per difendere e riaffermare la nostra fede e la nostra civiltà. Ma non eri Tu che dicevi che un albero buono si vede dai frutti, non dalle radici?
Se i frutti sono tutti i problemi che stiamo vivendo ora; se anche nel nostro piccolo paesino di montagna pensiamo spesso e volentieri solo ai soldi, a stare bene, ad avere l'ultimo modello di automobile o di telefonino, a chiudere bene la porta di casa perché... non si sa mai; se, come scriveva spesso don Giuseppe su queste pagine, facciamo sempre più fatica ad andare a Messa la domenica, a raccoglierci in momenti di silenzio e di preghiera per ristorarci dalla frenetica confusione in cui siamo immersi, non può sorgere il dubbio che le nostre radici e le nostre tradizioni forse non erano poi così cristiane?
Sfogliando il libro che parla di Te, di Tuo Padre, e del vostro infinito desiderio di stringere amicizia con noi uomini, mi sembra che le tradizioni non vengano particolarmente apprezzate. L'espressione, sia al singolare che al plurale, nella traduzione italiana della Bibbia appare solamente in 22 versetti, e di questi solo i sei contenuti nei due libri dei Maccabei presentano le tradizioni in modo positivo, collocandole più o meno in linea con una certa visione attuale. Questi due testi, infatti, raccontano la tenace e coraggiosa lotta, condotta fino alla morte dei fratelli Maccabei, per mantenere viva la fede e le tradizioni nel popolo d'Israele che ormai si stava adeguando alle consuetudini elleniche degli invasori stranieri.
Per il resto le tradizioni sono perlopiù considerate fardelli negativi, se intese come valori assoluti. Lo stesso San Paolo, che loda i fratelli di Corinto “perché in ogni cosa vi ricordate di me e conservate le tradizioni così come ve le ho trasmesse”, (1Cor 11,2) ricorda negativamente come lui stesso era accanito nel sostenere le tradizioni dei padri prima della sua conversione (Gal. 1,14), invitandoci a vegliare affinché “nessuno vi inganni con la sua filosofia e con vuoti raggiri ispirati alla tradizione umana, secondo gli elementi del mondo e non secondo Cristo” (Col. 2,8).
Ma sei proprio Tu, Gesù, che nel Vangelo, provocato dagli opinionisti e intellettuali dell'epoca, sempre pronti ad ergersi a paladini e difensori dei valori e delle tradizioni, spiazzi tutti rispondendo con una domanda: “Perché voi trasgredite il comandamento di Dio in nome della vostra tradizione?” (Mt. 15,3)
Sempre nella Bibbia troviamo molte vicende che spingono ad andare oltre le tradizioni: Dio chiama Abramo a lasciare la sua casa, le sue sicurezze per fidarsi della Sua e Tua promessa; per esemplificare cosa significhi “farsi prossimo”, metti a confronto la buona volontà di un samaritano con la falsa scrupolosità di un sacerdote e di un levita i quali, con la scusa delle norme e delle tradizioni da seguire, non soccorrono il fratello bisognoso; dopo la Tua morte e risurrezione, a coloro che pretendevano che anche i pagani, gli stranieri convertiti alla fede, dovevano conformarsi alle tradizioni ebraiche facendosi circoncidere, i tuoi apostoli hanno risposto negativamente, affermando con S. Paolo che “Non è la circoncisione che conta, né la non circoncisione, ma l'essere nuova creatura” (Gal. 6,15)
A questo punto, però, può sorgere un altro dubbio: visto che spesso sono sfruttate per meschini giochi di potere, le tradizioni sono tutte da accantonare? È possibile vivere senza tradizioni?
Secondo il dizionario l'espressione tradizione significa innanzitutto consegnare, trasmettere. Ecco allora che la nostra stessa esistenza può essere considerata una tradizione. Infatti Tu e Tuo Padre ci avete trasmesso la vita, l'amore, la gioia attraverso i genitori e chi abbiamo incontrato sul nostro cammino, e ognuno di noi, a sua volta, è chiamato a riconsegnare ciò che ha ricevuto e vissuto ad altre persone, ad altri amici.
Mi sbaglio o forse è anche questo che Tu intendevi quando ci hai detto di amarci gli uni gli altri come Tu ci hai amato? Forse è proprio questo che la Tua e nostra Chiesa intende per Tradizione, mediante la quale in ogni momento della nostra storia la Tua parola si attualizza, diventa viva, si compie.
Ogni popolo, ogni famiglia, ogni persona ha vissuto e continua a vivere questa Tradizione mediante consuetudini e tradizioni che sono dinamicamente mutate nel corso della storia.
È giusto e importante fare memoria del nostro passato. In momenti di crisi, magari, siamo tentati di guardare con nostalgia le tradizioni, rimpiangendo le consuetudini di una volta. Oso immaginare che anche Tu, Gesù, in quello ore terribili in cui ti hanno appeso ad una croce, il fragore dei chiodi conficcati nel legno, per un frammento di secondo, abbia destato in te il ricordo e il profumo della falegnameria paterna in cui lavoravi, scorgendo nel retrobottega il profilo di Maria che pregava e meditava nel silenzio.
Un oggetto, una fotografia, un gesto, un suono, tutto può risvegliare in noi i ricordi del nostro passato, delle nostre tradizioni. Proprio il Tuo Natale, Gesù, è diventato per noi una delle feste tradizionali più sentite. Aiutaci a viverla con gioia e serenità, a non trasformarla troppo in una fiera commerciale, e soprattutto a non farne occasione per innalzare barriere verso altre persone, altre culture, altre tradizioni.
Tu, infatti, sei venuto per abbattere i muri che ci dividono; sei venuto non per ristabilire le distanze e le tradizioni del passato, ma per fare nuove tutte le cose.
Maranatha, vieni e continua a venire Signore Gesù.
Franco
ripensandoci
Ponendomi questa domanda devo rispondere che valuto positivamente questa esperienza, perché nessuno di noi vi partecipa per insegnare o per imparare. La semplicità delle persone del nostro gruppo, penso esprima la volontà di provare a mettersi alla presenza di Dio, nella ferma convinzione che Lui agisce.
Così noi sperimentiamo la nostra preghiera in una certezza di fede: “Dio è qui e noi siamo qui!”
Non offriamo molte occasioni a Dio per stare con noi e darci ciò che desidera; i centri di ascolto in questo periodo di Avvento ci aiutano proprio a riunirci insieme per a stare con Lui e per allenarci a coltivare l'attesa e l'accoglienza.
Attraverso le letture di alcuni brani della lettera pastorale “Un solo pane, un unico corpo” che il nostro Vescovo ha indirizzato a tutta la diocesi, in queste serate abbiamo compreso che la S. Messa è il momento centrale della vita della Chiesa, perché in essa si rendono presenti gli avvenimenti della salvezza: l'alleanza che ci fa popolo di Dio, il sacrificio a cui partecipiamo, il passaggio dalla schiavitù al regno di Dio, il tutto riassunto nella morte e nella risurrezione di Gesù.
Nella S. Messa, nell'Eucaristia Gesù è presente in senso personale, reale, corporale; proprio per questo essa è “mistero della fede”.
L'esperienza di preghiera che abbiamo accolto è stata collocata nella nostra vita senza problemi. Accettandola le abbiamo anche automaticamente trovato un posto nella quotidianità senza stravolgimenti apparenti. Ma se l'ascolto e la preghiera sono vissuto davvero ogni giorno, essi ci offrono un'importante opportunità: riesaminare le idee e le basi su cui si sviluppa la nostra vita.
Fulvia
Il saluto di don Giuseppe
Sono ormai 19 anni che sono in mezzo a voi. Tutti voi insieme siete stati la mia famiglia. Lasciare una famiglia non è semplice, non è facile. Lascio una famiglia che mi ha voluto un mondo di bene; lascio una famiglia alla quale io ho voluto un mondo di bene; lascio una famiglia per la quale ho cercato di non risparmiarmi. Magari vi ho anche viziati perché ho cercato di dire sempre di si ai vostri desideri di S. Messe, si alle vostre buone iniziative.
Vi ringrazio e ringrazio soprattutto il Signore per il tanto amore ricevuto e per l'amore che sono riuscito a regalarvi. Non sempre ci sono riuscito e di questo chiedo perdono. Grazie anche per le tirate d'orecchi, per aver alzato la voce, per avermi bonariamente tirato qualche frecciatina per il mio carattere un po' burbero...
Tutti voi sapete quello che dovete fare come uomini e anche come cristiani, ma in questo momento mi permettete di dirvi ancora un'ultima volta tre cose:
Se chiedessi ad un nostro bambino qual è il regalo che don Giuseppe desidera più di tutti, mi risponderebbe subito: “Andare a Messa la domenica”. In questi 19 anni è stato un po' un ritornello, un chiodo fisso, un chiodo che qualche volta è entrato, altre volte solo un po', qualche altra volta non è entrato affatto. Carissimi... stiamo vicini al Signore.
Il tempo che regalate ai vostri figli non è tempo perso, ma guadagnato. La vita non è solo costruire, guadagnare soldi; la vita è prima di tutto dono, la vita è tempo per costruire vite nuove, vite vere... per crescere figli nuovi, figli veri.
Non abbandonate a se stessi i vostri anziani. Vi hanno dato tutto nella vita, vi hanno amato tanto, si sono sacrificati, continuano ad amarvi pregando ogni giorno per voi. Non ripagateli con l'indifferenza o l'abbandono.
L'altra domenica l'apostolo Giacomo nell'unica sua lettera ci ha detto che “la fede senza le opere è morta”. Ecco, lo stare vicini al Signore si realizza facendo di tutto per rimanere vicino ai figli e agli anziani. Naturalmente ci sono anche tanti altri modi per vivere bene la propria fede. Ed ora basta con la predica...
Voglio rivolgere a tutti i 2850 circa abitanti di Borno il mio sentito grazie, un grande grazie. Grazie ai sacerdoti concelebranti qui oggi con me. Grazie al nostro Cardinale per la stima e l'affetto che mi ha regalato, per il bene che vuole al suo paese di Borno.
Grazie ai miei 5 curati: don Giovanni, don Marco, don Angelo, don Bruno, don Alberto. Hanno condiviso con me gioie e dolori, fatiche e speranze. Un ricordo nella preghiera per don Bruno che proprio oggi fa il suo ingresso come parroco a Sonico, Rino e Garda.
Don Alberto grazie... Quando ci siamo incontrati la prima volta, ci siamo fatti una promessa: quella di volerci bene. La promessa è stata mantenuta, ed è stata la più bella e la più importante predica che abbiamo fatto alla nostra gente.
Grazie alle nostre sacriste Giacomina e Pierina; sono state degne di servire il Signore nella sua casa. Ho chiesto loro se venivano con me a Darfo; mi hanno risposto con un sorriso, unito a qualche lacrima.
Grazie alle suore; con la loro presenza e il loro servizio sono state vivo segno dell'importanza della preghiera e della consacrazione a Dio.
Grazie a tutti i catechisti dei bambini e degli adulti; compito fondamentale, compito difficile, compito meraviglioso anche se carico di responsabilità.
Grazie al gruppo dei chierichetti vispi, allegri, spensierati e sempre presenti. Continuate a servire all'altare, vicini al Signore. Tante comunità invidiano i chierichetti di Borno.
Grazie al coro parrocchiale, grazie a Damiano (un'istituzione) e a Lorenzo. Hanno dato solennità alle nostre celebrazioni sia con i canti che con il suono dell'organo.
Grazie alle amministrazioni comunali per la collaborazione e l'aiuto dato alle attività parrocchiali, specialmente quelle rivolte ai bambini e ai ragazzi.
Grazie a tutti i volontari... tutti, senza escludere nessuno. Un particolare grazie alle mamme che fanno le pulizie della chiesa e dell'oratorio. Grazie al gruppo giovani e uomini che montano e tolgono la “Machina del Triduo”; questo straordinario gioiello mi mancherà molto, ma mi mancheranno soprattutto le tre serate di preghiera per i vivi e per i morti. Magari farò una capatina di nascosto.
Grazie alle volontarie che danno una mano con la loro presenza agli ospiti di Casa Albergo.
Grazie al gruppo Alpini e al gruppo della Protezione Civile per le tante cose che hanno fatto: ero socio poco operativo, ma molto sostenitore.
Un grazie sentito e cordiale a tutti gli ospiti che fanno le loro vacanze a Borno, grazie per la loro stima e il loro affetto. Grazie a tutti.
Vi chiedo una preghiera... tutta per me. Da parte mia vi assicuro il mio ricordo e la mia preghiera.
Un'ultima cosa: arriverà un nuovo parroco...
Sicuramente anche lui si troverà bene nella grande famiglia di Borno, come mi sono trovato bene io.
A tutti, di nuovo, un grande e sentito grazie!
Don Giuseppe
Durante il breve rinfresco sul sagrato al termine della S. Messa, don Giuseppe ha aggiunto un altro grazie alla Banda e al coro “Amici del Canto” per tutte le funzioni e i momento che hanno animato con le loro note. (n.d.r.)
Il saluto di don Giuseppe