Pasqua 2013
Nella Quaresima 2013 il bianco sembra abbia preso il sopravvento sul tradizionale colore viola. Con un’insistenza non sempre genuina giornali, televisione, siti Internet hanno attirato la nostra attenzione prima sulla canizie di Benedetto XVI che, con un gesto clamoroso, ha ritenuto opportuno rinunciare al suo ministero per il bene della Chiesa, poi sulla fumata bianca che è sbucata quasi subito dal comignolo della Cappella Sistina, infine su Papa Francesco che si è presentato al balcone di San Pietro vestito interamente ancora di bianco, segno di quella semplicità ed essenzialità evangeliche care al poverello di Assisi dal quale lo stesso nuovo pontefice ha preso il nome.
Anche le pagine del nostro periodico non potevano fare a meno di sottolineare questi avvenimenti, unendoli però a tutto ciò che viviamo nelle nostre comunità e nelle nostre famiglie. Come ci ricorda la Lumen Gentium la Chiesa non è formata solo da Papa, vescovi e preti, ma da tutti i battezzati che camminano insieme e che, proprio nella vita di ogni giorno, sono chiamati a rendere ragione della loro speranza, a rendere concreta la loro fede.
In tale ferialità non sempre spiccano i colori candidi della purezza e della bontà. Se in alcuni frangenti possiamo intravvedere quei colori della gioia che ormai da venticinque anni danno il nome all’oratorio di Borno, spesso la realtà si tinge di opaco grigiore o, come testimoniano i missionari, dei cupi toni della sofferenza e della violenza verso i più deboli e indifesi. Ma in Gesù Cristo morto e risorto, il rosso-viola del sacrificio si è tramutato nel rosso vivo dell’amore che continua a donare speranza, che continua a dipingere con i colori dell’arcobaleno una nuova ed eterna alleanza.
Buona Pasqua a tutti
La redazione
È risorto. Questo è il grido di gioia di tutta la Chiesa che oggi ringrazia il Padre del cielo, per il dono del suo Figlio Gesù che ci apre alla vita eterna e lo fa nella gioia moltiplicata per aver ricevuto anche il dono di un nuovo Santo Padre che ci aiuterà a rendere più forte ed autentica la nostra testimonianza di fede nel Signore Gesù Salvatore del mondo. Questa era l’attesa di tutta l’umanità che noi celebriamo come promessa realizzata nella S. Pasqua.
Come il sole con il suo apparire illumina e riscalda la terra, così oggi accade per noi che annunciamo Cristo Risorto. Oggi Egli si rivela come il vivente. Oggi Egli viene dalle tenebre a dare luce alla vita, alla gloria, all’amore, al dolore, alla morte stessa. Oggi Egli viene e dona a tutti gli uomini la certezza che la morte è vinta e la vita trionfa. Oggi Egli definitivamente svela il mistero delle nostre origini e del nostro destino.
Perché? Perché la Resurrezione di Gesù è la suprema e definitiva rivelazione di Dio. Il Padre, resuscitando Gesù, lo rivela Signore della vita e dominatore della morte. Tutto ormai è nelle sue mani. Tutto gli appartiene. Per questo in Lui possiamo riporre la nostra fiducia non solo in vita, ma anche in morte.
La Scrittura lo conferma quando in (1° Sam. 2,6) ci dice che il “Signore fa vivere e morire” oppure in (Rm. 4, 17) ci ricorda che “Egli è il Dio che dona la vita ai morti”. Ecco chi è Gesù. Ecco qual è il nostro destino. Gesù è Dio. È Colui la cui potenza comprende vita e morte. È Colui che è il vivente perché non ha ricevuto vita in quanto Egli è la vita ed è lo stesso che ci dona la vita, è il Creatore, è l’Amore, è il fedele alla vita che ha creato. Proprio perché Dio è il “fedele” all’amore e alla vita noi possiamo fidarci di lui persino quando tutte le nostre umane possibilità sprofondano nella morte perché è da lì che Egli ci trae e ci salva. La conferma della potenza di Dio è la Resurrezione di Gesù, centro della nostra fede. Credendo a Gesù Risorto noi crediamo allo stesso Dio che è fonte della vita e dell’amore.
Noi, dunque, crediamo alla Resurrezione perché è la conferma che la Parola di Dio è viva e vera e realizza sempre ciò che dice. Questa Parola che Dio ci ha rivelato è la chiave per comprendere il Messia Risorto, ma anche per giudicare e decidere nella nostra vita. La Parola che annuncia la Resurrezione è dunque un appello forte a noi perché facciamo la nostra scelta: siamo o non siamo per Gesù?
Siamo o non siamo discepoli del Signore? È la stessa domanda che ha posto Papa Francesco ai Cardinali nella sua prima S. Messa nella Cappella Sistina il giorno dopo l’elezione. La nostra risposta sia un chiaro e deciso SI a Lui, un SI aperto al superamento di ciò che a Lui è contrario, al superamento dell’egoismo, del peccato, della chiusura, della tristezza, per camminare verso la vita.
Come vivere dunque la Pasqua del Signore? Viviamo nell’ottimismo perché anche se tante cose non vanno nella giusta direzione Cristo Risorto è comunque il vincitore del male. Portiamo agli altri la gioia perché già per noi è segno di salvezza e lo deve essere anche per ogni uomo che lo voglia accogliere. Giudichiamo il mondo con equilibrio e misericordia anche nei momenti difficili perché il Signore è sempre con noi.
Orientiamo la vita verso il superamento di ciò che è meschino, con la chiarezza e l’irreprensibilità nella propria personale vocazione e nel servizio a cui il Signore ci ha chiamato, che il Papa Francesco ha indicato come stile ai cardinali nella Sistina, a tutti i Pastori della Chiesa e ad ogni uomo e donna di buona volontà, perché è così che il Signore ci vuole elevare con Lui alle altezze dell’amore. E sarà vera festa della gioia, della salvezza, dell’amore che non ha fine. Buona Pasqua.
Don Francesco
Il nuovo Papa è il primo Romano Pontefice che viene dal Continente Americano e precisamente, dall’Argentina, dove è nato. I suoi genitori tuttavia erano ambedue italiani, della provincia di Asti. Viene, quindi – come ha detto lui stesso presentandosi al balcone della Basilica Vaticana – “quasi dalla fine del mondo”, ma le radici sono italiane.
La sua provenienza è espressione dell’universalità della Chiesa, che – come diceva Manzoni – si estende “dall’uno all’altro mar”. Ha scelto un nome che finora nessun Papa aveva portato, un nome simpatico e popolare: Francesco, in memoria di San Francesco d’Assisi. In quel nome vi è un messaggio e un programma.
Papa Bergoglio è figura di spicco per la sua intelligenza, per la sua cultura e per la sua spiritualità. In pari tempo è una persona umile e mite, vicina alla gente. È piuttosto sobrio nel tratto ed ha uno stile di vita ascetico. Ai sacerdoti della sua Arcidiocesi, Buenos Aires, ha sempre raccomandato di avere bontà e grande misericordia con tutti e di tenere le porte aperte a tutti.
Proviene da una famiglia modesta di emigranti italiani ed è molto sensibile ai problemi sociali ed è sempre stato un Pastore attento ai poveri. Molto fedele e fermo nella dottrina, non ha mai ceduto alle sirene della teologia della liberazione, ma è molto rispettoso delle persone.
Nato a Buenos Aires il 17 dicembre 1936, conseguì il diploma di perito tecnico e trovò subito un posto di lavoro, ma a 21 anni decise di consacrarsi al Signore e di farsi sacerdote.
Entrò nel seminario diocesano di Villa Devoto, ma poi chiese di farsi gesuita e passò al noviziato nella Compagnia di Gesù. Dopo avere conseguito la laurea in filosofia e completato gli studi teologici, fu ordinato sacerdote il 13 dicembre 1969. Divenne insegnante di teologia e poi Maestro dei novizi, ed in seguito, Superiore Provinciale dei Gesuiti dell’Argentina.
Nel 1992 il Papa Giovanni Paolo II° lo nominò Vescovo Ausiliare di Buenos Aires e nel 1998 Arcivescovo della medesima Arcidiocesi. Nel 2001, divenne cardinale. Per sei anni è stato anche Presidente della Conferenza Episcopale Argentina. Personalmente ho avuto vari incontri con lui negli anni scorsi. Ho anche lavorato insieme con lui sia nei venti giorni della Conferenza dell’Episcopato Latino-Americano che ebbe luogo ad Aparecida (Brasile) nel 2007, sia negli incontri della Pontificia Commissione per l’America Latina di cui lui era Membro ed io Presidente. La collaborazione con lui era facile, perché è acuto nell’afferrare il nocciolo dei problemi ed è desideroso di fraternamente aiutare.
La sua elezione alla Cattedra di Pietro è stata accolta con gioia nel mondo intero. La Chiesa ha un nuovo grande Papa, che col suo stile francescano porterà non poche novità, e che col suo insegnamento e col suo esempio guiderà le persone sensibili ai valori dello spirito ad incamminarsi sulle vie della fraternità, della solidarietà, dell’impegno per il bene comune e della fiducia.
Il fatto che l’inizio del suo pontificato cada nel cuore dell’Anno della Fede ed a 50 anni dal Concilio Vaticano II è considerato da Papa Francesco come un incoraggiamento a prodigarsi nell’evangelizzazione.
Nel cuore del nuovo Papa c’è infatti una grande passione: quella di evangelizzare questo nostro mondo, nel quale Dio occupa poco posto nei pensieri e nei cuori degli uomini e delle donne di oggi. Ma senza Dio non c’è luce, non c’è gioia, non c’è futuro.
Card Giovanni Battista Re
La decisione di Papa Benedetto XVI di deporre “le somme chiavi,” per ritirarsi e dedicarsi – come Mosè sul monte” – al ministero dell’intercessione presso Dio a favore della Chiesa e dell’umanità, ha suscitato grande sorpresa.
È un gesto di portata storica, che merita apprezzamento per l’alto senso di responsabilità che lo ha ispirato e per l’amore a Cristo e alla Chiesa che sta alla sua origine. Papa Benedetto ha, infatti, compiuto questo passo per amore: per permettere alla Chiesa di avere una nuova guida, più giovane e con più energie, ed essere così in grado di affrontare in modo adeguato le tante sfide a cui la Barca di Pietro deve fare fronte.
Benedetto XVI merita ammirazione per il coraggio e per la serenità manifestati in una scelta così importante, come pure per la sincerità con la quale ha dichiarato al mondo di non possedere più le energie fisiche necessarie per sostenere il peso del servizio petrino, che nel nostro tempo comporta fatiche sempre più grandi ed esige pienezza di forze.
Quello del Papa è un gesto dal quale abbiamo tutti molto da imparare. In un tempo nel quale prevale l’attaccamento alle poltrone e alle posizioni di potere, egli ci ha fatto capire che, quando non si è più in grado di compiere in modo adeguato il proprio servizio, bisogna avere il coraggio di mettersi da parte.
Gli otto anni di pontificato di Benedetto XVI resteranno nella storia per l’alto insegnamento che egli lascia con i suoi Documenti e con i suoi Discorsi. Egli si è rivelato un protagonista sul piano del pensiero e della coscienza, nello sforzo di aiutare tutti a dare spazio alla luce che viene da Dio e che dà senso all’umana esistenza.
Tutto il suo pontificato è stato orientato a ravvivare ed irrobustire nei cristiani la fede in Dio. In pari tempo, egli ha cercato di valorizzare la ragione e di ampliare il suo spazio, nella profonda convinzione che “il mondo della ragione ed il mondo della fede hanno bisogno l’uno dell’altro”. Sono molti i contributi teologici che egli ha offerto per chiarire sempre meglio l’intimo legame tra la ragione e la fede.
Un altro tema particolarmente caro a Papa Benedetto è stato la riaffermazione dei valori morali cristiani e la sua ferma opposizione alla “dittatura del relativismo”. Sulle grandi questioni che agitano il mondo di oggi (il rapporto fra le religioni, i problemi economici, la pace, i valori e le tradizioni della nostra società, ecc…) ha detto cose importanti.
Benedetto XVI è stato, da un lato, un uomo mite e sereno, incline al perdono e dall’altro, come teologo ed intellettuale di grande profondità, ha rivelato una non comune fermezza nel precisare e difendere il ruolo della fede e della Chiesa nel nostro tempo.
Ha cercato inoltre di capire fino in fondo il mondo odierno, nel quale la globalizzazione ha reso gli uomini più vicini, ma non più fratelli e più solidali. Una caratteristica del suo magistero è stata sicuramente il grande impegno per la questione della verità della fede cristiana, nell’attuale situazione storica ed in rapporto alle forme di razionalità oggi prevalenti.
Il suo è stato, inoltre, un pontificato che ha insistentemente sviluppato la dimensione spirituale dell’esistenza, sottolineando come la vera guida della Chiesa siano Cristo e lo Spirito Santo.
Sono certo di rendermi interprete dei bresciani nel dire un grazie cordiale a Papa Benedetto per la visita a Brescia e per la simpatia che sempre ha manifestato per la terra natale di Paolo VI. Soprattutto, con grande intensità di sentimento vorrei esprimergli gratitudine per quanto ha fatto per rafforzare la fede nel mondo e per avere dato voce alla nostra gioia di essere cristiani.
Card. Giovanni Battista Re
Roma, Piazza S. Pietro, 27 Febbraio 2013 Anche io qui. Anche alcuni di noi Bornesi qui, a unirci al saluto corale all’ormai Papa Emerito Benedetto XVI. E, ancora una volta, le sue parole arrivano dritte al cuore di noi che siamo qui per lui, ma anche per noi stessi, perché noi, insieme, siamo la Chiesa.
Ed essere stati lì, a Roma, in questa occasione, ci ha fatto sentire Chiesa viva, davvero, universale e unita, al di là delle differenze etniche e culturali, nell’amore di e per Cristo. Amare significa darsi per gli altri, ma in alcuni casi, significa anche rinunciare a qualcosa per il bene di qualcun altro. Ed è questo il caso delle dimissioni di Benedetto XVI: lui, che ha saputo farsi da parte, lasciare il timone della barca di Pietro perché ha riconosciuto umilmente di non avere più le forze necessarie ad esercitare il ministero petrino.
Questo Papa, spesso criticato e incompreso, ha dato, invece, un’ulteriore prova della sua grande saggezza e umiltà e del suo grande amore per Cristo e per la Chiesa. Di fronte a questo amore non si può rimanere impassibili: arriva dritto al cuore e porta con sé speranza e gratitudine.
La speranza così necessaria per la vita dell’uomo, fedele e non, la virtù teologale forse più importante è l’elemento che ci accompagna per tutta la vita, ed è il dono che abbiamo ricevuto da Joseph Ratzinger anche in questa sua ultima udienza.
È poi la gratitudine l’altro grande dono che abbiamo potuto portare con noi dopo questa mattinata in Piazza S. Pietro. Quanto è difficile saper dire “grazie” a chi si ama e a chi ci ama. Benedetto XVI ha saputo molte volte dire grazie, anche e soprattutto in questa occasione di commiato: “grazie a Dio Padre, grazie alla Madonna, grazie alla Chiesa, grazie ai collaboratori, e grazie a tutti voi” ... a noi!
Grazie a Te, Papa Benedetto! Grazie per l’esempio e la guida che sei stato per noi; grazie per la tua saggezza e la tua sapienza, che spesso, purtroppo, non abbiamo capito; grazie per la speranza che ci hai insegnato a nutrire in Cristo e nella Chiesa; grazie per il tuo amore per il Padre, per la Chiesa, per la tua missione e per noi.
Francesca
È mercoledì delle Ceneri ed ho appena finito di leggere il messaggio per la Quaresima di Papa Benedetto XVI. Sono giorni in cui su giornali, televisioni e siti Internet la clamorosa notizia della rinuncia dello stesso Papa a proseguire il suo servizio come vescovo di Roma e Pastore della Chiesa Cattolica ha oscurato, almeno per qualche ora, la campagna elettorale per le imminenti elezioni politiche.
Riprendendo il punto focale della sua prima enciclica, anche per questa Quaresima nell’anno dedicato alla fede il Papa ha voluto ricordarci ancora una volta che “Dio è amore” e che la fede è veramente tale e rimane viva solamente se suscita e si concretizza nella carità. Credere e amare non possono essere due esperienze in competizione, ma entrambe si alimentano e crescono insieme.
Quante volte, ascoltando l’episodio di Marta e Maria citato nello stesso messaggio quaresimale, abbiamo in fondo fatto il tifo per Marta? I preti molto attivi a livello sociale, i cristiani che si spendono per gli ultimi di solito vengono apprezzati anche da chi si dichiara infastidito dal fumo delle candele e non perde occasione per affermare che Chiesa e preti pensano solo ai soldi e al potere.
Sul versante opposto, invece, troviamo gli spiritualisti, i Mariani (sia come tifosi dell’altra sorella e sia come “adoratori” più che veneratori della Madre di Gesù), quelli che non perdono mai una S. Messa, riempiono le loro giornate con rosari, lodi e vespri e sono sempre alla ricerca di sensazioni mistiche. Per costoro, almeno a parole, i sacerdoti devono essere considerati figure quasi angeliche, il Papa è “il dolce Cristo in terra” e guai a chi si permette anche solo di abbozzare una riflessione critica nei confronti della Chiesa o dei comportamenti di alcuni suoi esponenti.
Fra questi due stereotipi estremizzati si collocano diverse sfumature, vari modi di pensare e vivere il nostro essere cristiani. Nello stesso cammino di fede personale la nostra immagine della Chiesa può oscillare da uno all’altro di questi poli, come con lo scorrere degli anni muta e si spera continui a maturare il nostro modo di vedere e rapportarci con il Signore. Ripensando alla mia esperienza, ad esempio, da giovane inquadravo Gesù come il più grande rivoluzionario pacifico, una sorta di eroica icona dipinta mischiando insieme l’assurdo mito di Che Guevara con i colori certamente più limpidi di Gandhi.
Quando poi si cresce nella preghiera, nell’ascolto e confronto con la Parola di Dio e con ciò che viviamo giorno dopo giorno, ecco che anche il nostro pensare e rapportarci a Dio cammina, cambia, evolve. Gesù non rimane più solo una grande figura del passato da rispolverare in discussioni più o meno vane, ma piano piano diviene in noi una presenza viva che ci aiuta, ci spinge ad andare avanti, che rende più puro e più vero l’amore che doniamo e riceviamo dagli altri, pur non togliendoci la fatica del quotidiano. In modo analogo la Chiesa non è più considerata una realtà molto distante o addirittura estranea al Vangelo, ma diviene l’unico luogo concreto in cui possiamo accoglierlo, viverlo e celebrarlo, nonostante sia stata e probabilmente continuerà ad essere un’istituzione che, pur essendo di origine divina, non può evitare di far emergere conflitti, contraddizioni e aspetti meno nobili dell’animo umano.
Ogni anno la Quaresima ci ricorda che questo cammino, questa continua evoluzione si chiama conversione. “Credi e convertiti al Vangelo” abbiamo sentito anche oggi dai sacerdoti mentre ci imponevano le ceneri sulla testa. Seguendo le indicazioni di quest’ultimo messaggio di Benedetto XVI, convertirsi può significare proprio credere, confidare, gettarci sempre più nelle braccia del Signore, nel suo amore totalmente gratuito, non per vivere una fumosa e irreale spiritualità, bensì una fede che si fa ogni giorno accoglienza, perdono, aiuto reciproco, amicizia sia con chi ci è vicino nel sentire e nell’agire, sia con chi sembra camminare su altre strade.
Il Papa afferma, infatti, che “per una sana vita spirituale è necessario rifuggire sia dal fideismo che dall’attivismo moralista”. Scordandoci dell’invito di non giudicare per non essere giudicati e magari dandoci pure poco da fare per il bene degli altri, a volte noi che ci consideriamo in fondo bravi cristiani, sappiamo solo presentare un’irritante e pettegola facciata moralistica verso chi entra poco in chiesa, assume comportamenti diversi dai nostri od oggettivamente commette degli sbagli.
In questi anni abbiamo dovuto accogliere diverse novità e probabilmente andremo sempre più incontro a continui mutamenti, se non nella sostanza, sicuramente nei modi di percepire e vivere la fede nelle nostre comunità. La stessa rinuncia del Papa è certamente un grosso stravolgimento nella prassi secolare della Chiesa, oltre che sottolineare ancora una volta, come hanno evidenziato alcuni mezzi di comunicazioni, la grande libertà interiore, l’umiltà, la fede e la saggezza dello stesso Benedetto XVI.
Non di rado di fronte a molti problemi abbiamo la tentazione di rinchiuderci a riccio, mostrando solo le spine delle nostre convinzioni, delle nostre consuetudini e delle nostre paure. La stessa realtà dell’Unità Pastorale fra Borno, Ossimo e Lozio - che ci può sembrare soltanto confusione e dispendio di energie per i preti che da Ossimo devono venir a Borno per celebrar Messa e viceversa – è una sfida alla nostra idea di parrocchia chiusa e ripiegata su se stessa. Certamente il senso di comunità che hanno saputo trasmetterci alcuni parroci è un dono prezioso che ci servirà anche per il futuro, per sentirci realmente Chiesa insieme a chi ci è più vicino. Tuttavia se è vero, come dice sempre il messaggio per la Quaresima, che “tutta la vita cristiana è un rispondere all’amore di Dio”, questo amore deve farci continuamente aprire verso il prossimo e verso nuovi modi creativi di credere e vivere nella carità.
Anche gli apostoli si erano rinchiusi nelle loro paure, ma la pace e lo spirito del Risorto ha infuso in loro la forza di uscire per annunciare al mondo una grande notizia. “Sto alla porta e busso” ci dice il Signore nell’Apocalisse. Solo mantenendo aperti cuore, mente e disponibilità, solo continuando a dimorare e ad essere in in comunione con Lui possiamo ogni giorno ricevere e donare il suo amore, possiamo in qualche nodo collaborare affinché la porta della fede rimanga davvero sempre aperta, per tutti.
Franco
Nel numero di Natale ho cominciato a presentarvi i documenti principali del Concilio Vaticano II dandovi alcune informazioni sulla “Sacrosanctum Concilium” che tratta la riforma sulla Liturgia. In questo secondo articolo cercherò di trattare in modo sintetico il documento principale, che rappresenta la colonna portante di tutto il Concilio.
La costituzione dogmatica “Lumen Gentium” che in italiano significa “Luce delle genti” o ancora meglio “Lume dei popoli”, è stata emessa il 16 novembre 1964 e promulgata da Papa Paolo VI cinque giorni dopo. Tratta la dottrina della Chiesa: l’autocomprensione che la Chiesa ha di sé stessa, la sua funzione spirituale e la sua organizzazione ed è composta da otto capitoli.
Possiamo riassumere tutto il contenuto con la semplice formula delle quattro note della Chiesa: Unità (a cui è dedicato il capitolo 1), cattolicità (capitolo 2), apostolicità (capitoli 3 e 4) e santità (dal capitolo 4 all’8).
«Cristo Signore è la luce delle genti». Questo dice l’incipit del primo capitolo (intitolato “Il mistero della Chiesa”) che denota chiaramente che la nuova visione della Chiesa è senza dubbio cristocentrica, non solo la Chiesa si riconosce nella Trinità perché è opera del Padre, è annunciata dal Figlio nell’ultima cena e realizzata con il sacrificio della Croce, mentre lo Spirito Santo continua a realizzarla in modi diversi fino alla fine dei tempi. Quindi in altre parole nasce dall’azione combinata delle Tre persone della Trinità. A ragione di questo la Chiesa è definita Corpo Mistico. Donando il suo Spirito Cristo costituisce misticamente come corpo i suoi fratelli. In questo corpo la vita di Cristo si diffonde tramite i sacramenti: il battesimo ci rende conformi a Cristo, nell’eucaristia veniamo uniti a Cristo e fra di noi siamo come un solo corpo.
Perciò ci richiama l’ultima parte del capitolo: La Chiesa visibile (comunità di uomini, organi gerarchici, ecc…) e la comunità spirituale non devono essere considerate come realtà diverse, ma come una sola complessa realtà costituita di un duplice elemento, umano e divino.
Nel secondo capitolo vengono sottolineati tre elementi fondamentali: la dimensione storica, l’uguaglianza fra i credenti e l’universalità. Dio non ha voluto salvare gli uomini individualmente, ma riunirli in un popolo. Scelse quindi il popolo israelita tramite l’alleanza, preparazione e figura della alleanza definitiva in Cristo che diede origine al nuovo popolo di Dio. Il popolo messianico comprende tutti gli uomini, ma per essi è germe di salvezza, speranza e unità, inviato a tutti come strumento della redenzione di tutti. La Salvezza si può raggiungere soltanto con l’aiuto della comunità e mai da soli, tutti i credenti perciò devono mettere a disposizione il propri carismi per fare in modo che prima di tutto ci sia unità dentro la Chiesa, ma poi questa cattolicità (universalità) va estesa a tutti gli uomini, quindi verso l’esterno: prima alle Chiese cristiane, poi verso le altre religioni cercando un dialogo con l’Islam e poi con le Religioni Orientali. Molto importante anche la dimensione missionaria poiché la Chiesa è il Sacramento di Salvezza per tutto il genere umano. A questo proposito vi invito a leggere un altro documento del Concilio: il decreto “Ad gentes” che affronta l’attività missionaria della Chiesa.
I due capitoli successivi trattano la costituzione gerarchica della Chiesa, si riferiscono rispettivamente all’episcopato e ai laici. Esiste un’analogia tra il collegio degli apostoli e quello dei vescovi uniti col romano pontefice: «Come san Pietro e gli altri apostoli costituiscono, per volontà del Signore, un unico collegio apostolico, in pari modo il romano pontefice, successore di Pietro, e i vescovi, successori degli apostoli, sono uniti fra di loro». Perché parlare dei laici avendo già parlato del popolo di Dio? Il Concilio sa che la gerarchia non può assumersi tutta la missione della Chiesa. I pastori devono riconoscere carismi e ministeri dei laici perché tutti cooperino all’unica missione.
I laici sono i fedeli che esercitano in forza del sacerdozio battesimale la missione propria di tutto il popolo di Dio nella Chiesa e nel mondo.
Dal capitolo quinto all’ottavo come accennavo all’inizio si parla di Santità. La Chiesa è santa perché segue Cristo, per cui tutti i battezzati sono chiamati alla santità, non a caso il capitolo cinque ha un titolo che secondo me non lascia dubbi: “L’universale vocazione alla Santità nella Chiesa”. C’è poi un aspetto che ritengo molto importante: dobbiamo santificarci grazie al nostro stato di vita e per mezzo delle tante occasioni, gradevoli o sgradevoli, che esso ci propizia. Vengono poi indicati i mezzi che ci portano alla realizzazione di questa nostra vocazione alla Santità: ascolto della Parola, partecipazione ai Sacramenti, preghiera, servizio, rinnegamento di sé, dono della vita, martirio. Infine ci sono i consigli evangelici, fra tutti la verginità per il Regno (si aggiungono obbedienza e povertà ad imitazione dell’umiltà di Cristo).
Il capitolo sei è dedicato ai religiosi. La vita consacrata è considerata un dono per la Chiesa, dove coloro che vogliono vivere i consigli evangelici ricevono l’aiuto di una forma di vita stabile. Questo stato di vita appartiene alla santità della Chiesa ed è considerata un’unione particolare con Dio (linguaggio che risente dello stato di maggior perfezione, difficilmente conciliabile con il tono del capitolo sui laici e soprattutto con i capitoli 2 e 5), segno per tutti i fedeli della radicalità della vita cristiana e del compimento futuro. Il penultimo capitolo tratta l’indole escatologica della Chiesa che giungerà a compimento solo nella gloria celeste, ma la nuova condizione promessa è già stata anticipata in Cristo. Quindi potremmo definire il nostro stato come Santità in attesa del compimento: già e non ancora.
Continua poi parlando della Comunione dei Santi, che è la comunione e lo scambio di Beni fra la Chiesa terrena e quella celeste. Non si tratta di un tema secondario, dal momento che lo riporta lo stesso Simbolo Apostolico: “l’unione fra vivi e morti non è minimamente spezzata, anzi è consolidata dalla comunicazione di beni spirituali”; in altre parole, i meriti acquistati in terra dai morti grazie alla comunione con Cristo, unico Mediatore, possono rimediare alla nostra debolezza. Stabilito questo principio, si ricorda la prassi ecclesiale sin dagli inizi della Chiesa verso i Santi (Madonna, Angeli, Apostoli, Martiri, Confessori, Vergini) nei tre aspetti di venerazione, invocazione e imitazione. Tale unione fra noi e loro si realizza soprattutto nella Liturgia.
L’ultimo capitolo della Lumen Gentium è in realtà una piccola Costituzione suddivisa in 5 parti, a suggello conclusivo della Costituzione dogmatica sulla Chiesa; concretamente, si propone di riassumere con l’icona della devozione mariana quanto si è affermato nei sette capitoli precedenti sulla sua realtà, spesso con linguaggio difficile e complesso. Vi invito a leggere il capitolo, non avrebbe senso riassumerlo.
A questo proposito ci tengo a ricordare che il senso di questi articoli non è quello di sintetizzare i documenti del Concilio, ma vuole essere il tentativo di dare una traccia per agevolare la lettura e la comprensione.
Per concludere è possibile affermare che la Lumen Gentium presenta la Chiesa non tanto in forma gerarchica (Papa, vescovi, sacerdoti…) quanto come popolo di Dio, dove l’elemento più importante è il Sacramento del Battesimo comun denominatore di tutti i cristiani.
Luca Dalla Palma
Ogni anno, a febbraio, si celebrano due Giornate particolarmente importanti: la prima domenica del mese (quest’anno, il 3 febbraio), la Giornata nazionale per la Vita; l’11 febbraio, la Giornata mondiale del Malato. Due appuntamenti che provvidenzialmente cadono a pochi giorni l’uno dall’altro. Entrambi infatti hanno tra le finalità ideali quella di mettere in risalto la dignità dell’essere umano, della persona, messa in discussione soprattutto nei momenti in cui l’essere umano stesso si trova in una condizione di debolezza.
La Giornata per la vita si celebra in Italia dal 1979. Il Consiglio Episcopale Permanente della CEI predispone per l’occasione un breve messaggio. Quest’anno, prendendo spunto dalla situazione economica e sociale, la Giornata aveva come tema “Generare la vita vince la crisi”, ossia il rapporto, inversamente proporzionale, tra natalità e crisi. Si legge nel messaggio della CEI: “La disponibilità a generare, ancora ben presente nella nostra cultura e nei giovani, è tutt’uno con la possibilità di crescita e di sviluppo (…). Donare e generare la vita significa scegliere la via di un futuro sostenibile per un’Italia che si rinnova” (Consiglio Permanente della Conferenza Episcopale Italiana, Roma, 7 ottobre 2012).
La Giornata dal malato di quest’anno avrà invece come leit motiv la figura evangelica del Buon Samaritano: “Va’ e anche tu fa’ lo stesso” (Lc 10, 37). Leggiamo nel messaggio di Benedetto XVI per la Giornata: “Si tratta (…) di attingere dall’amore infinito di Dio, attraverso un’intensa relazione con Lui nella preghiera, la forza di vivere quotidianamente un’attenzione concreta, come il Buon Samaritano, nei confronti di chi è ferito nel corpo e nello spirito, di chi chiede aiuto, anche se sconosciuto e privo di risorse. Ciò vale non solo per gli operatori pastorali e sanitari, ma per tutti, anche per lo stesso malato, che può vivere la propria condizione in una prospettiva di fede”. Il pontefice evidenzia come l’Anno della Fede possa essere occasione propizia per svolgere nelle varie comunità la “diaconia della carità (…) per essere ciascuno buon samaritano verso l’altro, verso chi ci sta accanto” (Benedetto XVI, Vaticano, 2 gennaio 2013).
Anche la nostra parrocchia ha celebrato le due giornate con entusiasmo. Il Gruppo “Progetto Cicogna” che da qualche anno in collaborazione con il CAV di Pisogne, si interessa nella parrocchia di Borno, ed ora nell’Unità Pastorale dell’Altopiano, di sostegno alla vita, alle mamme in attesa e alla famiglia, ha allestito in chiesa dei bellissimi segni che hanno valorizzato la giornata, allietata dalla presenza dei genitori dei nati nel 2012 con i loro piccoli alla Messa, conclusasi con la benedizione dei bambini ed il tradizionale lancio dei palloncini.
Anche la Giornata del malato, nonostante il tempo inclemente ha visto la presenza numerosa di persone, soprattutto anziane, che nella celebrazione della S. Messa nel ricordo della Madonna di Lourdes hanno ricevuto il Sacramento dell’Unzione dei malati. Pian piano sta entrando nella mente e nel cuore delle persone che questo Sacramento, è il segno dell’amore di Dio verso chi è debole nel corpo e nello spirito e che il Signore è vicino soprattutto nei momenti in cui più grave è il soffrire dell’uomo ed il bisogno di sollievo e consolazione. In entrambe le giornate abbiamo potuto così richiamare, quanto sia importante per noi valorizzare e salvaguardare la dignità della persona, così che anche chi sembra al momento non molto sensibile possa capire che nella difesa e nell’esaltazione del valore della persona umana si manifesta veramente l’amore di Dio e la fraternità tra gli uomini.
Il Gruppo Progetto Cicogna
16 novembre 2012
Ciao, Laura e amici e benefattori. Ho delle belle notizie da dare. La gente della comunità di San Francesco sta lavorando per sistemare meglio la casa della comunità. Per Natale é prevista una festicciola per 150 bambini poveri, e allora bisogna preparare l’ambiente. Anche perché é nata l’idea di organizzare anche in quella comunità la MINESTRA DEI POVERI. Io sto aiutando come posso, ma la gente é molto povera davvero. Ringrazio il Signore che provvede alle necessità dei più poveri. Sto mandando le notizie via internet, il nostro telefono non sta funzionando. É da tempo che é così e io ne sento la mancanza. Un caro saluto e un caldo ringraziamento per la vostra collaborazione.
Padre Defendente
15 febbraio 2013
Carissimi amici del Gruppo Missionario, da Franco ho ricevuto l’invito a scrivere qualche notizia da mettere su CUNTÓMELA di Pasqua. In questi ultimi tempi non ho fatto molte cose speciali. Al tempo di Natale siamo riusciti a creare un ambiente sereno e accogliente per fare la festa di 150 bambini poveri e non è mancata anche una bellissima torta. E alla fine abbiamo sorteggiato una bicicletta. Sto imparando a usare l’internet e così le notizie arrivano subito. Vi mando una foto scattata nel 1970 in Via Gorizia. Vedete Maria Pia, mio fratello Giovanni e la piccola Mariangela. In quel tempo ero giovane, avevo 32 anni e adesso ne ho 75! Altre fotografie sono della Messa dell’Epifania, quando abbiamo fatto la raccolta dei vestiti per i poveri (come da voi il giorno di San Martino!). Un caro saluto a tutti.....BUONA PASQUA!
Padre Defendente
Manila: 20 febbraio 2013
Carissimi Reverendi e Amici tutti di Borno, saluti dalle Filippine! Sono sempre ancora in salute e felice. Ora lo sono ancora di più perché mi trovo a sostituire per tre mesi un parroco saveriano che è in Italia per tre mesi di ben meritate vacanze.
La parrocchia è molto grande ed estesa con circa 70.000 abitanti. Alla domenica ci sono 12 messe tra chiesa centrale e cappelle ed una celebrazione dei battesimi con una media tra i 15 e i 30 battezzandi ogni domenica. La cosa che più colpisce è il numero dei bambini. Li devi schivare dappertutto e sempre, quando guidi la macchina nelle strade affollate dove essi giocano al pallone in mezzo alla strada, quando ti muovi a piedi nei vicoletti tra le baracche, dove ogni piccolo spazio diventa il loro spazio di gioco o il salotto di casa dove si siedono a giocare. Devi star attento quando entri nelle case per essere sicuro di non pestare i piedi di qualche frugoletto che ti si è avvicinato senza che tu te ne accorgessi.
Nel territorio della parrocchia ci sono dieci scuole elementari e medie, con circa 12.000 ragazzi e adolescenti. Il mercoledì delle Ceneri siamo andati in cinque delle scuole e abbiamo imposto le ceneri a circa 7.000 di loro. Uno strano pensiero mi è passato per la testa e mi dicevo: se per caso tutti questi bambini, adolescenti e con in più i giovani delle superiori dovessero per caso venire a messa alla domenica dovremmo avere 30 messe solo per loro, escludendo gli adulti, perché la chiesa parrocchiale può accogliere solo circa 600 persone. Sfortunatamente 12 messe, 6 nella chiesa centrale e 6 nelle cappelle, sono sufficienti. Questo vuol dire che solo una minima percentuale frequenta.
Tanti quindi gli interrogativi che sorgono in testa: cosa succederà a tutta questa gioventù che cresce? Cosa li guiderà nella loro corsa nella vita? Perché oggi tutto si nuove velocemente, di corsa!
Come missionario quindi uno vive in mezzo a tanta vita, a tante gioie, a tanti problemi e a tanti interrogativi. Anche se vecchi ci si sente vivi, ci si sente coinvolti, ci si sente carichi di speranza nonostante tutto.
Fortunatamente poi vediamo crescere nuovi missionari: in teologia abbiamo 15 studenti con altri cinque in arrivo tra due o tre mesi, saranno quindi una ventina. Abbiamo ora anche 7 studenti di filosofia, sei Filippini e un Cinese... anche la Cina comincia ad offrire vocazioni. Tutti questi giovani ci costano molto per i loro studi e la loro vita, ma lo facciamo volentieri perché saranno loro a garantire la missione del futuro. Continuate a ricordarci nella vostra generosità e nella vostra preghiera perché rimaniamo pieni di speranza ed impegnati. Noi, i nostri studenti e la nostra gente vi ricordiamo presso il Signore perché ricambi la vostra generosità con tante grazie e benedizioni.
Con tanto affetto e un forte abbraccio vi auguro una Santa Pasqua!
Vostro P. Giacomo
“Oggi si è adempiuto questo passo della Scrittura che avete udito” ( Lc 4,21): “Evangelizzare a cominciare da Gesù Cristo come Chiesa discepola, missionaria e profetica, alimentati dalla Parola di Dio e dall’Eucaristia, alla luce della evangelica opzione preferenziale per i poveri”. È l’obiettivo dell’azione evangelizzatrice della Chiesa nel Brasile. Vari fatti e celebrazioni contribuiranno affinché tutti i cristiani, riaffermando e confermando la propria adesione a Gesù Cristo come discepoli e testimoni, annuncino il Regno nella sua pienezza.
La rinuncia del Papa ci ha colti improvvisamente e ciò ci fa ricordare, interrogandoci, i 50 anni del Concilio Vaticano II, soffio e luce dello Spirito Santo nella vita della Chiesa. Ho scoperto che veramente qui da noi abbiamo un popolo di cristiani battezzati ma non evangelizzati, e forse per questo il Papa ha proclamato il 2012 Anno della fede, invitandoci a metterci in cammino, impegnandoci ad approfondire la nostra vita nel Vangelo, nella testimonianza e nell’annuncio forte e coraggioso di Gesù. La Santa Quaresima è sempre un invito a rinnovare la nostra vita. E quanto è opportuno perché nella Quaresima la Chiesa, qui in Basile, realizza la Campagna della Fraternità che ha come obbiettivo “Fraternità e Gioventù”, e come slogan: “Signore, eccomi, manda me” (Is 6,8). Così con i giovani cercheremo di percorrere e cercare con loro il cammino del Vangelo e cercheremo con loro il vero orizzonte della nostra vita: Gesù, il Figlio di Dio.
Davanti allo sterminio dei giovani, qui sono circondato di giovani drogati alla periferia della vita sociale e famigliare, in questa Quaresima indicheremo la conversione come processo di integrazione e partecipazione dei giovani alla vita nella Chiesa e alla realtà sociale nella quale vivono. In luglio, con la possibile presenza del Papa, confidiamo nella Giornata mondiale della gioventù, preparata in tutto il Brasile con entusiasmo, con la proposta di rinnovare la vita e la struttura della nostra Chiesa. Quindi sarà un anno di impegno e di sfide che ci stanno davanti...
Qui cercheremo di fare il nostro meglio. “In principio era la conversione...” è la prima parola in assoluto che risuona sulle sue labbra: “Convertitevi perché il Regno dei cieli è vicino!”. “Convertitevi” è la prima parola di Pietro. “Convertitevi e credete al vangelo” è l’imperativo austero e solenne che rimbomba forte come un tuono e risuona chiaro e alto come uno squillo di tromba, è l’invito della Chiesa. Se nel cammino quaresimale non si comincia da qui, non si comincia affatto!
Finalmente ho ottenuto il “titolo” della terra del Ricovero “Lar frei Daniel”, un capitale enorme: un ettaro tutto cintato, un bel bosco di mogano (1200 piante, 400 di frutta), il Ricovero (40x40 mt) con capacità per 50 anziani, una bella piazzetta, arco di accesso e viale fiorito a 60 metri dall’ingresso al Santuario, il bellissimo Santuario con vetrate e pitture artistiche, la mia casettina vero oasi di silenzio e pace. Qui vivo la mia vita di preghiera, meditazione e coltivo il giardino e ancora curo la Comunità con celebrazioni, catechesi e pastorale.
Per tutti, sopratutto l’arciprete con i suoi curati, suore, gruppo missionario e comunità di Borno, un caro saluto dal vostro Missionario.
frei Narciso
Carissimo amico o carissima amica, il Natale 2012 è già passato da molto tempo, ma vorrei raccontarti qualcosa delle nostre giornate al nostro Centro “I Dansè” dove abbiamo vissuto con un Gesù Bambino davvero speciale.
Un Gesù nero dal nome Adama. Lui, il nostro piccolo Adama, ha preso teneramente posto tra le braccia di Maria, sotto l’occhio vigile di Giuseppe, dentro una povera greppia, al calduccio tra il bue e l’asino, sotto una miriade di stelle capitanate dalla stella cometa. Adama, sette mesi in meno di quattro chili.
Pelle e ossa. Occhi enormi spalancati su un mondo ostile per lui. Un mondo che, come a Gesù di Nazareth, non gli ha riservato una buona accoglienza: stenti e fame per lui, come per Gesù a Betlemme. I suoi occhioni neri, tanto vispi e furbi quanto arrendevoli e dolci, sembrano voler mangiare il mondo in un boccone e ci ricordano che la vita è conquista, lotta, strada in salita. Percorso difficile, sentiero irto, parete d’arrampicata. Ostacoli da superare, amarezze da inghiottire, dolori da fronteggiare. Speranze da nutrire, fede a cui aggrapparsi, carità da vivere. Adama è nato i primi giorni di maggio e in settembre il suo papà ha spiccato il grande volo, come si dice dalle nostre parti. È partito per il grande viaggio. Una tosse, una crisi d’asma, una broncopolmonite se lo sono portati via.
La sua mamma è rimasta sola a crescere e sfamare Adama e Batogoma, la sorellina di Adama di appena cinque anni. A far compagnia a tutti loro un grande e indicibile dolore che lei, una mamma giovane e infaticabile, custodiva tra le mani, sentiva pesante nel cuore, girava incredula nella sua testa. Adama si nutriva ad un seno sempre più asciutto, povero, scarno.
Il latte materno non era più sufficiente e la sua mamma non aveva risorse per aggiungere null’altro alla sua dieta. Quello che riusciva a racimolare facendo i lavori più disparati, umili e pesanti, non bastava a nutrire né se stessa né tanto meno la piccola Batogoma.
Un solo pasto al giorno per la piccola Batogoma e per lei, una mamma che allatta, il pasto era spesso a giorni alterni. Nelle orecchie il pianto di Adama per la sua fame e negli occhi lo sguardo supplicante di Batogoma ogni volta che il piatto, boccone dopo boccone, si svuotava ma la sua fame restava piena.
Adama tettava a tutte le ore, notte e giorno, senza mai essere sazio. Un seno martoriato da una dispettosa mastite, l’altro disponibile ma vuoto. Il tunnel della denutrizione alle porte: entrare è facile uscire è terribilmente difficile! La denutrizione rende fragili ed espone a infezioni e malattie. La malaria, nemica di tutti, famelicamente nascosta nei meandri di ogni vita, in agguato e pronta a colpire, della denutrizione fa sempre la sua forza. Una crisi di malaria. Severa. Violenta. Devastante. E Adama si ritrova senza forza. Non ha più voglia di tettare un seno che non dona. Cambia colore. Gli occhi diventano ancora più grandi. Il palmo della mano sempre più bianco.
La vigilia di Natale, Adama, Batogoma e la loro mamma bussano alla porta del nostro Centro. Sei spicchi di cielo in tre visi smagriti. Sei stelle di luce in tre volti oscurati dal dolore. Sei raggi di sole in tre facce deformate dagli stenti. Adama è il più colpito: non ha forza, non si regge in piedi, fa fatica a sorridere.
Gli mettiamo il sondino per la nutrizione enterale. Risponde bene. La crisi di malaria è sempre più violenta e il suo corpicino, non ancora avvezzo alla lotta fisica, è costretto a controbattere vomiti incredibili. Il primo dell’anno è ancora con noi, gli occhi spalancati e sorridenti ma un colorito che ci piace sempre meno. La sua mamma danza con lui in braccio e lui regala sorrisi amorevoli a tutti e per ognuno non fa mancare uno sguardo di tenerezza. Alle 23,15 del primo dell’anno, la sua mamma bussa disperata alla nostra porta: Adama è in preda al vomito. Gli diamo le medicine. Si calma. Riprende a dormire.
Alle 24,15 comincia a piangere, la mamma riconosce il “pianto della morte”. Lo dondola. Lo bacia. Gli canta una dolce nenia. All’una di notte i suoi grandi occhi si chiudono al mondo e si aprono al cielo. Così comincia il nostro 2013… con l’impotenza tra le nostre mani, la mancanza di mezzi, gli aiuto che non bastano mai… Aiutaci a dare cibo e medicine a questi bimbi, a prevenire la loro denutrizione, a sostenere le famiglie povere dei quartieri di Bobo in cui siamo presenti... aiutaci a non affollare il cielo di angioletti!!! Contiamo su di te... Abbiamo bisogno di te... Sii con noi in questa lotta impari... Grazia, insieme a Donata e Patrizia e tutti i bambini e le donne e le famiglie del Centro “I Dansè” di Bobo Dioulasso e del Progetto “Tutto per un Sorriso” di Iaçu vi augurano un 2013 pieno, colmo, stracolmo di solidarietà e condivisione, amore e fraternità...
Grazia Le Mura - Centro “I Dansè” - Bobo Dioulasso - Burkina Faso
Gnogon fe Am be se - Insieme è possibile
Associazione “Tante mani per... uno sviluppo solidale - ONLUS”
Via Grotta dell’Olmo 87-89 – 80014 Giugliano in Campania (Napoli)
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Durante il periodo natalizio si cerca di trovare e organizzare eventi che possano far contenti gli ospiti della R.S.A di Borno e far rivivere la magia del Santo Natale. Anche quest’anno gli appuntamenti sono stati davvero molti.
Uno che ha fatto particolarmente piacere ai nostri ospiti è stato il pomeriggio di sabato 22 dicembre con il gruppo Alpini di Ossimo Inferiore, accompagnati dal loro presidente Pierfranco Zani. Sono persone straordinarie, gioiose, positive, dedite agli altri. Sono persone che non mancano di dare il loro contributo nelle feste e nelle ricorrenze dei nostri paesi, perché amano il proprio luogo d’origine; persone che sentono viva la loro partecipazione alla comunità, affermando l’attaccamento ai veri valori. Per questo hanno pensato bene di farci visita. Alle 14:30 c’è stata la celebrazione della Santa Messa con la presenza, oltre che di numerosi ospiti di Casa Albergo, anche di molti parenti, visitatori, volontari e personale.
La loro importante funzione nobilita la loro “esistenza”. I nostri Alpini hanno pure contattato il coro “Gruppo musicale: CANTIAMO PER VOI”, che con fisarmonica e voci melodiose hanno rallegrato l’ambiente. È un gruppo di circa una decina di persone seguite da Igor Bazzoni. Questi momenti di vita, semplici e genuini, esprimono il gusto della festa, dello stare insieme, con generosità e gratuità.
E’ stato un pomeriggio davvero armonioso; hanno saputo trasmettere tanta allegria. Tra i nostri ospiti c’era chi cantava, chi sorrideva, chi, con un po’ di nostalgia, aveva gli occhi bagnati di lacrime. I nostri nonni spesso manifestano momenti di difficoltà, di sofferenza, di confusione. Molti si chiudono a riccio sperando che il momento peggiore passi; altri si vergognano dei propri problemi pensando di essere gli unici tanto sfortunati e che nessuno li possa capire; il disagio, la sofferenza, il dolore, la sfortuna li fanno immalinconire; ecco che tacitamente chiedono il nostro aiuto, l’aiuto di tutti. Non sono mancati gli scambi di auguri e un ricco rinfresco. In compagnia il tempo è trascorso velocemente. Grazie per questa piacevole giornata, per questa festa di amicizia, simpatia e solidarietà che sono piccoli e grandi gesti di amore.
Ci auguriamo di vederci quanto prima. Un ringraziamento doveroso va, oltre che al presidente del gruppo Alpini, a Francesca Franzoni del gruppo volontarie di Ossimo Inferiore che hanno organizzato questo momento particolare.
Grazie dal personale della R.S.A di Borno, da tutti gli ospiti e dalle volontarie. Aiutare e far sorridere un anziano è imparare a vivere.
Volontarie di Casa Albergo
Noi amiamo le tradizioni e il 13 dicembre è un giorno da non dimenticare, per cui anche quest’anno, come ogni anno, grazie al gruppo CARITAS, ai volontari e al personale della Casa di Riposo, è arrivata la misteriosa Santa Lucia, avvolta in un manto bianco in compagnia di un suo “aiutante”.
E’ bello frugare nei pensieri dei nostri nonni, prima ancora di guardare la meraviglia nei loro occhi illuminati da una luce di gioia nel vederci arrivare annunciate dal campanellino; ci accorgiamo che l’emozione della sorpresa
è veramente grande. Noi volontarie troviamo sempre la risposta che cerchiamo: sorrisi, turbamento, allegria.
Sparisce per un bel momento l’angoscia per i loro malanni, la disperazione per la solitudine, l’ansia di constatare che purtroppo tante delle loro “cose” vanno sempre peggio, la preoccupazione per i loro famigliari spesso lontani. Santa Lucia è stata accolta con grande gioia. Gli occhi degli ospiti erano sgranati per la curiosità di dare un nome al volto velato della Santa: immagini commoventi e indimenticabili. Ha portato loro, su un carretto, bellissime confezioni di acqua di colonia.
Se ripenso all’emozione di quei momenti, allo stupore di vedere il loro sguardo con occhi diversi e pieni di meraviglia, sono sempre più convinta che amare è facile se è sentimento rivolto a favore del bene degli altri e riusciamo a metterci a loro disposizione con costanza. Lamento la non presenza di tanti bambini che avrebbero accresciuto l’entusiasmo affiancando Santa Lucia, strappando qualche sorriso di più.
Alla mia espressione di gratitudine per tutti coloro che hanno contribuito al grande successo di questo pomeriggio, voglio augurarmi che si possano organizzare altri eventi simili per arricchire il cuore dei nostri anziani dimostrando loro quanto li amiamo.
Volontarie di Casa Albergo
“Tu puoi dare la vita” e “la vita continua”. Queste due semplici frasi hanno riportato alla ribalta, nella seconda metà del 2012, un tema assai caro alla nostra associazione: il tema della donazione degli organi. Questo tema ha caratterizzato infatti la campagna promozionale svolta dalla fondazione Pubblicità Progresso attraverso alcuni spot diffusi in televisione e sul web: efficaci immagini apparse sui principali giornali, con Claudia Gerini, Diego Della Valle, Caterina Caselli ed altri noti personaggi dello spettacolo, del giornalismo e dell’impresa in veste di testimonial, ed un sito (www.doniamo.org) per farci domande, ottenere risposte, prendere una decisione sulla donazione degli organi, un grande atto di civiltà, attraverso cui “tu stesso puoi dare la vita”. I frutti di questa campagna promozionale si potranno cogliere nel tempo. Ottimi furono infatti quelli ottenuti negli anni settanta da un’analoga iniziativa dedicata alla donazione del sangue. L’obiettivo però è sempre quello di accrescere la cultura della donazione, per ridurre progressivamente il numero delle persone in attesa di ricevere un organo nuovo per un trapianto.
A metà settembre esse erano in Italia 8.783 secondo il dato reso noto dal Centro Nazionale Trapianti, in occasione dell’approvazione della legge che consente il trapianto parziale di polmone, pancreas ed intestino tra persone viventi. Un provvedimento che – secondo il presidente della Commissione Sanità del Senato, Antonio Tomassini – può salvare molte vite, completando un percorso che ha visto il nostro paese, dal 1999 ad oggi, risalire dagli ultimi posti ai primi in Europa in fatto di trapianti di organo.
Pochi giorni prima, il 6 settembre, alla Mostra del Cinema di Venezia era stato proiettato il film “E la vita continua” prodotto dal Prof. Girolamo Sirchia, già ministro della salute, per conto della Fondazione Trapianti di Milano, ed interpretato da un cast di ottimi attori tra cui Ricky Tognazzi, figlio dell’indimenticabile Ugo e per la regia di Pino Quartullo. Protagonisti del cortometraggio sono un giovane, Lorenzo, ed Emilio un noto attore affetto da una grave patologia epatica. Le loro vite si intersecano tragicamente e meravigliosamente attraverso la donazione del fegato di Lorenzo, deceduto a causa di un incidente stradale. Grazie al suo gesto generoso Emilio, sempre sostenuto dall’affetto della sua famiglia, potrà tornare a vivere e recitare. “E la vita continua”. Ne è ben consapevole l’AIDO, il cui presidente regionale, Cav. Leonida Pozzi, ha apprezzato moltissimo il film di Sirchia giudicandolo “un vero capolavoro” per la sobrietà e la rinuncia all’artificioso, in favore di un racconto reale che entra nel cuore e conquista la mente”. Gli iscritti alla nostra associazione hanno da tempo recepito il messaggio di questo film e della campagna promozionale di “Pubblicità Progresso”. A loro va dunque il nostro grazie sincero, unito ai più fervidi auguri di Buona Pasqua.
Carlo Moretti
Ha occhi celesti, pensosi, limpidi, intelligenti, profondi, sempre aperti al sorriso. È di statura medio-bassa, snella; un volto luminoso dai lineamenti dolci e allo stesso tempo decisi; uno sguardo intensamente espressivo. La sua fronte bassa è incorniciata da capelli grigi tenuti in ordine da un cerchietto. Le sue mani hanno dita sottili e svelte. È una persona molto comunicativa che ama la conversazione e la recita del SANTO ROSARIO. È ospite di CASA ALBERGO.
Si chiama Mea, è nata il 15 settembre 1923, ha quindi 89 anni, ma non li dimostra. Come l’ho vista armeggiare tranquillamente seduta sul terrazzone della Casa di Riposo, attorniata da alcuni ospiti curiosi, mi sono avvicinata pure io per ammirare il capolavoro di un dondolo che stava impagliando. Il mio primo pensiero è stato di intrattenermi con lei e farla raccontare.
La sua narrazione è quasi esclusivamente in dialetto, con espressioni particolarmente efficaci, musicali e spontanee. Io ho tradotto in lingua italiana, ma il dialetto è una testimonianza vivissima della nostra storia e della nostra cultura; andrebbe custodito e protetto perché è la lingua che il popolo usa per esprimere meglio ciò che sente dentro se stesso.
Come hai imparato?
Da giovane, in stalla, da una zia di 78 anni, prima di 12 figli, non sposata. Io sono figlia del dodicesimo. Con me lavoricchiava anche mia sorella. Ho ripreso alla grande e intensificato questa attività dopo 35 anni di lavoro allo stabilimento Olcese di Cogno, iniziato il 7 dicembre 1938 a 15 anni, con una interruzione dal 1942 al 1946, fino al settembre 1978; dovevo arrotondare la pensione un po’ troppo bassa dei primi tempi e ho continuato poi fino al 2007. Ai tempi della zia e subito dopo la guerra, era un lavoro molto apprezzato e ben retribuito. Gli impagliatori di sedie e di ceste di un certo prestigio erano molto richiesti se gli oggetti erano lavorati a regola d’ arte. La zia ha smesso di impagliare quando non ci sono state più richieste; ha lavorato quasi esclusivamente per le famiglie benestanti di Cividate: Tovini, Bertolazzi, Crovato, Malaguzzi....che pagavano molto bene anche se erano esigenti. Io ho sempre continuato a realizzare qualcosa.
Alla sera, oltre a lavorare, come ve la passavate?
Nella stalla, soprattutto nelle lunghe serate invernali passate al calduccio fornito dalle mucche, oltre ad intrecciare sporte e cestini di vari tipi, si ascoltavano le storie vere raccontate da uno zio vedovo senza figli e dalla zia zitella. Erano racconti su fatti, persone e avvenimenti di paese, i più interessanti, dei veri “petèguless”. Erano momenti di vita quotidiana, dove si respirava un’atmosfera familiare. I vecchi rievocavano particolari del loro passato o fatti della loro lontana giovinezza. Era la narrazione di episodi di vita locale per i quali si rideva di gusto. Inoltre si cantava e si pregava. Poi tutte le sere, entravano in stalla i “sèrcòcc” che rimanevano pure a dormire tutta la notte. Io avevo solo 15 anni, era l’anno 1938; ero quindi molto giovane, ma sapevo già realizzare delle piccole sporte che servivano per riporre il pasto che ci si portava dietro allo stabilimento e delle culle per le bambole a forma di cesta.
Quale materiale usavi e dove lo reperivi?
Solamente gli “scarfòi” e degli stampi in legno di diverse misure fabbricati dal falegname. Noi eravamo una grande famiglia di contadini; coltivavamo patate, orzo, frumento, mèlga (mais) tutto a mano. Potevamo vivere abbastanza bene, anche per la buona salute di tutti. La nostra era una famiglia patriarcale. Ci siamo voluti molto bene. Arrivato il momento, nel mese di ottobre, nel campo si staccavano le pannocchie mature e si mettevano nella “benna” del carro. A casa, sempre in stalla, si staccavano le pannocchie da molte foglie (scarfoià); si univano in fasci e si attaccavano in solaio o sulle “baltreschè” in legno (i ballatoi) per esporre al sole i “canù dè mèlga”, con alcuni “scarfòi” (le brattee) rimasti attaccati e far maturare i chicchi. Quando i chicchi erano secchi si sgranavano per poterli macinare al mulino di Cividate, dal “mulinér”, ed ottenere così tanta buona farina per la polenta. I tutoli senza il grano venivano bruciati sul fuoco del caminetto, mentre con gli “scarfòi” si imbottivano i materassi o i pagliericci. Le foglie più belle si mettevano a seccare,poi venivano insaccate e utilizzate, a tempo debito, per impagliare. Gli “scarfòi” devono essere secchi e ben asciutti per evitare, con il tempo, la muffa. Ma al momento dell’uso bisogna inumidire questi cartocci per attorcigliare meglio le strisce che devono essere lunghe, sottili e flessibili. Alle bestie venivano dati i “melgàss” da masticare, non però le foglie delle pannocchie.
Ti piaceva questo “dopolavoro?”
Molto. Da morire. I miei cestini e le mie sporte avevano vari formati, erano veramente graziosi e spesso colorati al naturale con l’impiego di foglie marroni, rosse e verdi. Diversi erano i disegni ottenuti con l’impiego delle strisce colorate, disegni creati dalla mia fantasia con intrecci geometrici di ottimo effetto. Tutto poi veniva venduto. Certo, i cesti erano lavorati con pazienza e amore al calore della stalla dove si respirava una calma serena e piena di bontà. Svariate chiacchierate si intrecciavano al materiale usato con abili mani.
Come ti è venuta l’idea di riprendere un’attività’ che avevi ormai abbandonato?
Qui alla Casa di Riposo mi trovo molto bene, ma mi annoiavo oziando tutto il giorno; sono troppe le ore inattive; mi facevo dei pisolini continui rischiando poi di non dormire la notte; mi sentivo in grado di fare ancora qualcosa. Non si dimentica ciò che si è imparato con passione. Ecco allora l’idea. Ho chiesto e ottenuto il permesso. Che meraviglia! Era possibile un ritorno alle cose belle; mi sentivo di nuovo ispirata ed emozionata. Era diventato da giorni il mio unico e assillante pensiero. Mi sono fatta portare dai miei parenti il materiale: lo stampo e le foglie. Ora lavoricchio, non mi viene sonno. Mi tengo occupata generalmente nel pomeriggio e a volte al mattino dopo le ore 10. Non mi annoio più e molti ospiti mi ammirano come pure i loro familiari e le persone che vengono a tenerci compagnia.
Mi vuoi spiegare come fai?
Non è un lavoro faticoso ma lento, occorre pratica, destrezza e pazienza. Per una sporta piccola come questa necessitano anche due giorni lavorando 6/8 ore al giorno. Si prepara il cordoncino intrecciando le strisce con le foglie inumidite e si ricopre un telaio apposito che è uno stampo rudimentale, semplicissimo, di legno, che a fine lavoro verrà staccato. È importante il movimento delle dita, vedi? Lavoro di mente e di attenzione. Ho la soddisfazione di donare ad amici e conoscenti un oggetto che mi viene riconosciuto più del merito.
MEA È UNA VERA ARTISTA DELLA SPORTA! Sentendola raccontare con tanta umiltà e osservandola da vicino, aumenta in me l’interesse e la curiosità di cose ormai scomparse ai tempi nostri. È bello raccogliere una parte della sua vita passata, ma non dimenticata. I suoi sorrisi e la sua voce chiara esprimono il senso pratico e la saggezza morale, la fantasia creativa, il culto del passato, addirittura l’umorismo.
Tutto questo è un grande patrimonio. È bello penetrare e interpretare i profondi sentimenti e le attitudini che sa esprimere. Merita grande interesse questa attività individuale destinata a scomparire inesorabilmente, se non è già scomparsa, dovuta al continuo evolversi della civiltà meccanizzata e con essa anche quella serenità, quella poesia delle cose nate ingenuamente, di una grande semplicità, ma tanto utile.
Ora tutto è costruito con stampi per produrre di più e più velocemente, ma gli oggetti di oggi non hanno quel senso intimo, umano delle cose nate dalle mani abili come quelle di Mea. Non si percepisce più la semplicità, la tranquillità, gli affetti familiari conquistati attraverso il lavoro, l’onestà, l’amore, la fede, l’armonia. Ho provato emozioni intense e vere ascoltando i racconti dei nostri nonni, ospiti di Casa Albergo. Occorre molta pazienza e passione per riuscire a cogliere i momenti per i quali vale la pena rivivere certi momenti del passato. È bello raccogliere e fissare le passate attività di un tempo che non tornerà più.
Grazie Mea per queste lezioni di vita, per la tua disponibilità ad ascoltare e conversare, per la tua pazienza nel ricordare con tanta precisione e raccontare con passione e con semplicità e umiltà d’animo le tue esperienze.
Volontarie di Casa Albergo
Sono una volontaria di CASA ALBERGO. È bello avere a che fare con gli anziani ed oltre alla soddisfazione di sentirmi utile, sono gratificata dal rapporto umano che riesco ad instaurare con tanti nonni coi quali parlo serenamente e ascolto. Loro cercano la fiducia e si confidano; riescono a raccontare le pene e le gioie giornaliere,le critiche al personale, ai sacerdoti se tengono le prediche troppo lunghe, le lodi, i ringraziamenti e gli apprezzamenti per i pranzi succulenti. Spesso riesco a discutere e ad ammorbidire certi atteggiamenti forse un po’ troppo impulsivi. Ho la fortuna di avere una certa pazienza, per cui con calma ascolto, ribatto, discuto e cerco di dare positivi suggerimenti, poche volte in verità, apprezzati e accettati.
Stare con gli anziani non è dunque un noioso passatempo, ma un arricchimento interiore. Le soddisfazioni compensano le amarezze,se non manca l’ impegno. Alla domanda “ COSA PENSI DELLE VOLONTARIE?”, ecco alcune risposte tradotte dalla forma dialettale, cercando di mantenerne la spontaneità.
M: mi dà fiducia per andare avanti nella mia povera vita,per questo vi sarò sempre grata.
F: alcune di voi sono allegre e sorridenti,per cui la vostra presenza mi mette di buon umore.
F: siete sempre disponibili ad aiutarci nel bisogno, sorridenti e premurose.
G: vi sono riconoscente per la vostra sensibilità.
D: la vostra presenza mi dà un po’ di serenità e di sollievo quando soffro per i miei dolori.
M: un bicchiere d’acqua è il segno della vostra bontà, ci date anche affetto e aiuto negli spostamenti.
D: ci aiutate molto volentieri e sempre con il sorriso. É bello passare del tempo insieme a giocare a carte. Vi sono grato per il tempo che trascorrete con noi.
E: siete gentili e generose,ma vi pagano?
F: siete brave ad aiutarmi. Quando ho urgente necessità mi piace farmi imboccare la merenda. Non dirlo però al personale.
G: voi sì che ci trattate bene, con voi mi sento protetta.
R: ho bisogno di chiacchierare,ma “le pine”devono lavorare e vanno sempre di corsa. Voi avete più tempo e siete più calme.
D: mi fate molta compagnia, mi sento molto bene quando venite; spio sempre l’ascensore. Io ho le mie preferenze, ma non te le dico.
P: siete un po’ la mia famiglia.
E:mi piace chiacchierare con alcune di voi , non con tutte però.
F: siete delle persone speciali,con voi ci troviamo tutti bene perché ci aiutate sempre.
M: vi voglio bene, continuate a venirci a trovare.
L: tu sei un po’ troppo curiosa e impicciona, però mi piaci.
È gratificante sentirci apprezzate. Dobbiamo essere capaci di offrire speranza a chi è smarrito e disorientato con attività e iniziative, perché riescano ad accettare la loro fragilità e sofferenza.
UN SENTITO INVITO: cerchiamo di essere più vicine a loro per ascoltarli, dialogare,valorizzare la loro sensibilità. Tanti di loro mi hanno aiutata a trovare risposte alle mie domande:Cosa faccio qui? Cosa posso fare? Come diamo gratuitamente, riceviamo molto gratuitamente. Ringrazio a nome di tutte le volontarie i nostri cari nonni per averci fatto capire quanto noi siamo importanti per loro, per la gratitudine che sanno esprimerci,per i saluti, le paroline dolci ,il sorriso,che ci fanno veramente bene. Noi siamo fiere di voi, cari nonni!
Volontarie di Casa Albergo