Estate 2015
Cüntòmela PER RIFLETTERE
Il logo e il motto offrono insieme una sintesi felice dell’Anno giubilare. Nel motto Misericordiosi come il Padre (tratto dal Vangelo di Luca, 6,36) si propone di vivere la misericordia sull’esempio del Padre che chiede di non giudicare e di non condannare, ma di perdonare e di donare amore e perdono senza misura (cfr. Lc 6,37-38).
Il logo – opera del gesuita Padre Marko I. Rupnik – si presenta come una piccola summa teologica del tema della misericordia. Mostra, infatti, il Figlio che si carica sulle spalle l’uomo smarrito, recuperando un’immagine molto cara alla Chiesa antica, perché indica l’amore di Cristo che porta a compimento il mistero della sua incarnazione con la redenzione.
Il disegno è realizzato in modo tale da far emergere che il Buon Pastore tocca in profondità la carne dell’uomo, e lo fa con amore tale da cambiargli la vita. Un particolare, inoltre, non può sfuggire: il Buon Pastore con estrema misericordia carica su di sé l’umanità, ma i suoi occhi si confondono con quelli dell’uomo. Cristo vede con l’occhio di Adamo e questi con l’occhio di Cristo.
Ogni uomo scopre così in Cristo, nuovo Adamo, la propria umanità e il futuro che lo attende, contemplando nel Suo sguardo l’amore del Padre.
La scena si colloca all’interno della mandorla, anch’essa figura cara all’iconografia antica e medioevale che richiama la compresenza delle due nature, divina e umana, in Cristo.
I tre ovali concentrici, di colore progressivamente più chiaro verso l’esterno, suggeriscono il movimento di Cristo che porta l’uomo fuori dalla notte del peccato e della morte. D’altra parte, la profondità del colore più scuro suggerisce anche l’imperscrutabilità dell’amore del Padre che tutto perdona.
Da www.im.va
Gesù Cristo è il volto della misericordia del Padre. Il mistero della fede cristiana sembra trovare in questa parola la sua sintesi. Essa è divenuta viva, visibile e ha raggiunto il suo culmine in Gesù di Nazareth. Il Padre, «ricco di misericordia» (Ef 2,4), dopo aver rivelato il suo nome a Mosè come «Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà» (Es 34,6), non ha cessato di far conoscere in vari modi e in tanti momenti della storia la sua natura divina. Nella «pienezza del tempo...» (Gal 4,4), quando tutto era disposto secondo il suo piano di salvezza, Egli mandò suo Figlio nato dalla Vergine Maria per rivelare a noi in modo definitivo il suo amore. Chi vede Lui vede il Padre (cfr Gv 14,9). Gesù di Nazareth con la sua parola, con i suoi gesti e con tutta la sua persona rivela la misericordia di Dio.
Abbiamo sempre bisogno di contemplare il mistero della misericordia. È fonte di gioia, di serenità e di pace. È condizione della nostra salvezza. Misericordia: è la parola che rivela il mistero della SS. Trinità. Misericordia: è l’atto ultimo e supremo con il quale Dio ci viene incontro. Misericordia: è la legge fondamentale che abita nel cuore di ogni persona quando guarda con occhi sinceri il fratello che incontra nel cammino della vita. Misericordia: è la via che unisce Dio e l’uomo, perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre nonostante il limite del nostro peccato.
Ci sono momenti nei quali in modo ancora più forte siamo chiamati a tenere fisso lo sguardo sulla misericordia per diventare noi stessi segno efficace dell’agire del Padre. È per questo che ho indetto un Giubileo Straordinario della Misericordia come tempo favorevole per la Chiesa, perché renda più forte ed efficace la testimonianza dei credenti.
L’Anno Santo si aprirà l’8 dicembre 2015, solennità dell’Immacolata Concezione. [...]
L’Anno giubilare si concluderà nella solennità liturgica di Gesù Cristo Signore dell’universo, il 20 novembre 2016. In quel giorno, chiudendo la Porta Santa avremo anzitutto sentimenti di gratitudine e di ringraziamento verso la SS. Trinità per averci concesso questo tempo straordinario di grazia. [...] Come desidero che gli anni a venire siano intrisi di misericordia per andare incontro ad ogni persona portando la bontà e la tenerezza di Dio! A tutti, credenti e lontani, possa giungere il balsamo della misericordia come segno del Regno di Dio già presente in mezzo a noi... Papa Francesco
Cüntòmela PER RIFLETTERE
Bonifacio III indice il primo Giubileo (frammento affresco di Giotto)
Era il 22 febbraio del 1300, quando il papa Bonifacio VIII pubblicava la Bolla Antiquorum habet fida relatio, con la quale istituiva ufficialmente il primo Giubileo della cristianità. Con la bolla si richiedeva, per poter lucrare l'indulgenza plenaria, l'effettuazione da parte dei romani di 30 visite alle due basiliche di san Pietro e di san Paolo durante l'Anno santo, mentre ai pellegrini che venivano da fuori Roma erano richieste solo 15 visite. Non era imposta alcuna elemosina. Inoltre l'indulgenza plenaria per le pene temporali fu concessa anche ai pellegrini che non avevano potuto finire le visite per cause di forza maggiore, come pure a quelli deceduti lungo il viaggio o prima di terminare le visite. Nella bolla si stabiliva anche che, in futuro, la Chiesa avrebbe dovuto tenere un Giubileo ogni cento anni.
A onor del vero, va detto che il Giubileo non è un’invenzione cristiana. Già nell’ebraismo troviamo questa pratica. La legge di Mosè aveva fissato per il popolo ebraico un anno particolare, al termine di "sette settimane di anni”. Così leggiamo nel libro del Levitico al capitolo 25: “Al decimo giorno del settimo mese, farai squillare la tromba dell'acclamazione; nel giorno dell'espiazione farete squillare la tromba per tutto il paese. Dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclamerete la liberazione nel paese per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giubileo; ognuno di voi tornerà nella sua proprietà e nella sua famiglia. Il cinquantesimo anno sarà per voi un giubileo; non farete né semina, né mietitura di quanto i campi produrranno da sé, né farete la vendemmia delle vigne non potate. Poiché è il giubileo; esso vi sarà sacro; potrete però mangiare il prodotto che daranno i campi. In quest'anno del giubileo, ciascuno tornerà in possesso del suo” (9-13).
Un altro antecedente dell’anno giubilare lo possiamo ritrovare nella Perdonanza, istituita dal papa Celestino V nel 1294. Nella Bolla del Perdono egli stabiliva che recandosi nella chiesa di Santa Maria di Collemaggio nella città dell'Aquila, tra il 28 ed il 29 agosto, venisse concessa l'indulgenza plenaria a tutti i confessati e pentiti. Tale Perdonanza è ancor oggi celebrata.
Riguardo al primo Giubileo, abbiamo un testimone d’eccezione, Dante Alighieri, il quale riferisce nella Divina Commedia che l'afflusso di pellegrini a Roma fu tale che divenne necessario regolamentare il senso di marcia dei pedoni sul ponte di fronte a Castel Sant'Angelo:
«come i Roman
per l'essercito molto,
l'anno del giubileo,
su per lo ponte
hanno a passar la gente
modo colto,
che da l'un lato tutti hanno
la fronte
nverso 'l castello e vanno
a Santo Pietro,
da l'altra sponda vanno
verso 'l monte.»
(Inferno XVIII, 28-33)
Nel 1350 Papa Clemente VI, per parificare l'intervallo a quello del Giubileo ebraico, decise di accorciare la cadenza a 50 anni. In seguito l'intervallo fu abbassato a 33 anni da Urbano VI, periodo inteso come durata della vita terrena di Gesù, e ulteriormente ridotto a 25 anni durante i papati di Niccolò V e di Paolo II.
La parola Giubileo deriva dall'ebraico Yovel, che indica una sorta di tromba (un corno d'ariete) con cui si annunciava questo anno particolare, come si legge nel passo del Levitico.
La durata del Giubileo è di circa un anno e inizia con il rito dell’apertura della Porta Santa delle quattro Basiliche Patriarcali di Roma, san Pietro, san Giovanni in Laterano san Paolo fuori le mura, e santa Maria Maggiore. Tali porte rimangono aperte lungo tutto il tempo del Giubileo e simboleggiano Cristo, la porta attraverso cui è necessario passare per ottenere salvezza, perdono e misericordia.
Si chiama Giubileo ordinario quello celebrato alla scadenza regolare dei venticinque anni (l’ultimo è stato il Grande Giubileo del 2000); mentre si chiama Giubileo straordinario quello indetto in occasione di ricorrenze particolari. Nel 1983 Giovanni Paolo II ha proclamato un Giubileo straordinario per celebrare il 1950° anniversario della Redenzione.
Giubileo straordinario sarà anche quello indetto da papa Francesco a cinquant’anni dalla conclusione del Concilio Ecumenico Vaticano II.
Due sono le caratteristiche di ogni Giubileo (o Anno Santo).
- L’indulgenza: in essa si manifesta la pienezza della misericordia del Padre che viene incontro a tutti con il suo amore. Con l'indulgenza, al peccatore pentito è condonata la pena temporale per i peccati già rimessi quanto alla colpa (con la Confessione). Per ottenere l'indulgenza, è necessario essere in stato di grazia. Poi serve che il fedele abbia la disposizione interiore del completo distacco dal peccato; che si accosti al sacramento della Riconciliazione; che riceva l'Eucaristia; e che preghi secondo le intenzioni del Papa.
- Il pellegrinaggio: un cammino compiuto per devozione verso alcuni luoghi particolarmente significativi: le Basiliche Patriarcali di Roma, per attraversare la Porta Santa; la Terra Santa; Santiago di Compostela o altri santuari particolarmente cari alla devozione popolare.
Don Simone
Cüntòmela PER RIFLETTERE
Nel 1606 il Pio Monte della Misericordia di Napoli commissiona al pittore Michelangelo Merisi, detto Caravaggio, una pala d’altare raffigurante la Madonna della Misericordia, nella quale il pittore raggruppa in un’unica scena le sette opere di misericordia corporali.
L'opera ha una composizione serrata, che concentra in una visione d'insieme diversi personaggi, ma può essere confusa con una semplice scena di genere, tant'è vero che sembra ambientata in un tipico vicolo popolare di Napoli. Sulla parte superiore del dipinto, a supervisionare l'intera scena che si svolge nella parte bassa, vi è la Madonna col Bambino accompagnata da due angeli.
Le sette opere di misericordia sono nella tela del così raffigurate:
"Seppellire i morti": è raffigurato sulla destra con il trasporto di un cadavere di cui si vedono solo i piedi, da parte di un diacono che regge la fiaccola e un portatore.
"Visitare i carcerati" e "Dar da mangiare agli affamati": sono concentrati in un singolo episodio: quello di Cimone (Valerio Massimo, "Factorum et dictorum memorabilium", IX, 4, ext. 1), che condannato a morte per fame in carcere, fu nutrito dal seno della figlia Pero e per questo fu graziato dai magistrati che fecero erigere nello stesso luogo un tempio dedicato alla Dea Pietà. Sullo stesso luogo fu poi edificata la Basilica di San Nicola in Carcere.
"Vestire gli ignudi": appare sulla parte sinistra concentrato in una figura di giovane cavaliere (San Martino di Tours) che fa dono del mantello ad un uomo dalla posa michelangiolesca visto di spalle; allo stesso santo è legata la figura dello storpio in basso nell'angolo più a sinistra: anche questo episodio è un riferimento alla agiografia di Martino, un emblema del "Curare gli infermi".
"Dar da bere agli assetati": è rappresentato da un uomo che beve da una mascella d'asino, Sansone, perché nel deserto bevve l’acqua fatta sgorgare miracolosamente dal Signore.
"Ospitare i pellegrini": è riassunto da due figure: l'uomo in piedi all'estrema sinistra che indica un punto verso l'esterno, ed un altro che per l'attributo della conchiglia sul cappello (segno del pellegrinaggio a Santiago de Compostela) è facilmente identi- ficabile con un pellegrino.
A cura di don Simone
Cüntòmela PER RIFLETTERE
1. Nessun confronto con il Grande Giubileo del 2000. Ogni Anno Santo porta con sé la sua particolarità e ha delle finalità proprie. Papa Francesco ha espressamente chiesto che questo Giubileo non sia vissuto solo a Roma, ma anche in tutte le chiese particolari.
2. La porta della Misericordia. Per la prima volta nella storia del Giubileo viene concessa la possibilità di aprire la Porta Santa - Porta della Misericordia - anche nelle singole diocesi, in particolare nella chiesa cattedrale o in un santuario particolarmente caro alla devozione dei fedeli.
3. Si inizia il giorno dell’Immacolata. Il papa ha fissato l’inizio del Giubileo l’8 dicembre 2015, solennità dell’Immacolata concezione di Maria. Questa è una data significativa, perché l’8 dicembre del 1965 si concludeva solennemente il Concilio Vaticano II indetto da san Giovanni XXIII e portato avanti con sapienza dal beato Paolo VI. La conclusione del Giubileo è fissata per la domenica di Cristo Re, il 20 novembre 2016.
4. Un Giubileo tematico. La storia dei Giubilei si caratterizza per la scadenza dei 50 e dei 25 anni. I due Giubilei straordinari hanno rispettato la scadenza dell’anniversario della redenzione compiuta da Cristo (1933, 1983). Questo è invece un Giubileo tematico. Si fa forte del contenuto centrale della fede e intende richiamare la Chiesa alla sua missione prioritaria di essere segno e testimonianza della misericordia in tutti gli aspetti della sua vita pastorale.
5. Misericordia e Conversione. Il tema della Misericordia con la quale Papa Francesco ha immesso la Chiesa nel cammino giubilare potrà essere un momento di vera grazia per tutti i cristiani e un risveglio per continuare nel percorso di nuova evangelizzazione e conversione pastorale che il Papa ha indicato.
6. Dialogo con altre fedi. In tal senso, è centrale il richiamo fatto da Papa Francesco all’Ebraismo e all’Islam per ritrovare proprio sul tema della Misericordia la via del dialogo e del superamento delle difficoltà che sono di dominio pubblico.
7. I missionari della Misericordia. Un ulteriore tratto di originalità del Giubileo è offerto dai Missionari della Misericordia. Papa Francesco darà loro il mandato il Mercoledì delle Ceneri con la celebrazione in san Pietro. I Missionari dovranno essere sacerdoti pazienti, capaci di comprendere i limiti degli uomini, ma pronti ad esprimere l’afflato del buon Pastore, nella loro predicazione e nella confessione.
8. Il logo del Giubileo. L’immagine, molto cara alla Chiesa antica, che indica l’amore di Cristo che porta a compimento il mistero della sua incarnazione con la redenzione, propone il Figlio che si carica sulle spalle l’uomo smarrito. Il disegno è realizzato in modo tale da far emergere che il Buon Pastore tocca in profondità la carne dell’uomo e lo fa con amore tale da cambiargli la vita.
9. Il motto del Giubileo. Nel motto del logo, tratto da Lc 6,36, "Misericordiosi come il Padre", si propone di vivere la Misericordia sull’esempio del Padre che chiede di non giudicare e di non condannare, ma di perdonare e di donare amore e perdono senza misura (cfr Lc 6,37-38).
10. Portale internet del Giubileo. Il sito internet ufficiale del Giubileo è: www.iubilaeummisericordiae.va. Il sito è disponibile in sette lingue: Italiano, Inglese, Spagnolo, Portoghese, Francese, Tedesco e Polacco. Nel sito si potranno trovare le informazioni ufficiali sul calendario dei principali eventi pubblici, le indicazioni per la partecipazione agli eventi con il Santo Padre e ogni altra comunicazione ufficiale relativa al Giubileo.
Cüntòmela PER RIFLETTERE
È di questi giorni la notizia che negli Stati Uniti la Corte Suprema ha imposto la legislazione dei matrimoni gay in tutti gli stati della confederazione, equiparandoli ad ogni altro matrimonio.
Il termine matrimonio è però diventato ambiguo e fonte di confusione allarmante. Il concetto perenne di matrimonio contempla infatti l’unione stabile e pubblica tra un solo uomo e una sola donna con diritti e doveri dei coniugi tra loro, verso i figli con i quali costituiscono la famiglia e verso la società.
La legislazione di molti paesi vuole invece inglobare diritti individuali di persone che vivono insieme, anche dello stesso sesso, di per se già salvaguardati, dentro una definizione di matrimonio, che tuttavia non corrisponde più al significato originale.
Questo è un grave problema, che diviene ancora più acuto nel confronto con il concetto di matrimonio cristiano cattolico, il quale non si definisce solo come un patto tra due persone, un contratto che impegna i contraenti, ma contempla caratteristiche secolari che sono inconciliabili con le nuove interpretazioni dell’unione coniugale. Unicità, fedeltà, indissolubilità, apertura alla vita, sono caratteristiche del matrimonio cattolico che insieme all’amore dei coniugi hanno formato nei secoli famiglie capaci di plasmare la società e garantire un continuo progresso e benessere per tutti.
Con l’avanzare di interpretazioni moderne del matrimonio la chiesa si trova sollecitata da più parti, ad intra e ad extra, ad aggiornarsi, adeguandosi alla mentalità corrente e a cambiare la sua comprensione dell’istituto del matrimonio.
Alcuni fanno pressione all’interno della Chiesa a partire dalla convinzione che anche Papa Francesco appoggi aperture mai verificatesi finora.
Il papa nella catechesi di mercoledì 6 maggio 2015 ha insistito invece sulla “bellezza del matrimonio cristiano” e la particolare caratteristica della indissolubilità che lo contraddistingua.
Il Santo Padre ribadendo che il matrimonio cristiano è solo tra un uomo e una donna, fondato sulla fedeltà reciproca dei coniugi, la indissolubilità della loro unione, l’apertura alla vita nella accoglienza di ogni figlio, anche l’indesiderato o il malato, dono di Dio e suggello dell’amore egli sposi, ha ricordato che è un sacramento che si celebra nella Chiesa e la costruisce, fondando la famiglia, definita essa stessa piccola chiesa domestica. Contrariamente a quanti molti pensano il matrimonio non riceve dignità dal solo fatto che un uomo ed una donna si amano, ma la riceve prima ancora da Dio che ha inscritto il matrimonio nel suo disegno creatore, facendo degli sposi collaboratori della trasmissione della vita e segno del suo amore eterno.
La forza del matrimonio cristiano per di più è fondata sulla analogia tra la coppia marito-moglie e quella Cristo-Chiesa, così gli sposi si devono amare come Cristo ama la Chiesa, con la stessa intensità, volontà e perseveranza. Un compito davvero grande, che richiede anche coraggio. Il matrimonio infatti è un grande atto di fede e di amore che testimonia il coraggio di credere alla bellezza dell’atto creatore di Dio e di vivere l’amore senza riserve e senza misura, spingendosi sempre oltre la meta raggiunta.
Il matrimonio allora non è semplicemente una cerimonia, un gesto folcloristico, un rito dove contano l’abito, i fiori, le foto. È anzitutto un dono che Dio fa della sua presenza d’amore che si immette nell’amore dei coniugi e lo rafforza. È altresì l’impegno solenne degli sposi a testimoniare l’analogia del rapporto indissolubile tra Cristo e la Chiesa che rende il matrimonio stesso indissolubile e gli sposi corresponsabili nella vita famigliare e nella stessa missione evangelizzatrice della Chiesa.
Come la Chiesa è sostegno al matrimonio nelle prove che incontra, così la stessa Chiesa ha bisogno della coraggiosa testimonianza di fedeltà degli sposi per rendere più stabile e spedito il cammino del popolo di Dio. Sposi e comunità cristiana dunque camminano insieme, seguendo una rotta già segnata, la rotta dell’amore, dove ci si ama come Dio ama, cioè per sempre. Come il rapporto tra Cristo e la Chiesa è per sempre così analogamente è per sempre anche il matrimonio. Questo è un compito che sembra ai più troppo arduo da portare a termine senza delusioni o fallimenti: ma non è questa la cosa più importante. È più commovente agli occhi di Dio vedere che ci sono ancora uomini e donne coraggiosi abbastanza da portare il fragile tesoro del matrimonio cristiano nei vasi di creta della nostra umanità e, nonostante tanti venti contrari, rimanere misteriosamente capaci di essere ancora risorsa essenziale per la Chiesa e per il mondo. - D. F
Cüntòmela PER RIFLETTERE
Avvicinandosi la celebrazione del prossimo Sinodo ordinario sulla famiglia, ritornano le discussioni su un argomento delicato quanto marginale rispetto alle grandi problematiche matrimoniali.
È il tema dell’accesso all’Eucarestia dei divorziati risposati. Per il mal interpretato concetto di misericordia, qualcuno vorrebbe sia accolta la richiesta, soprattutto delle chiese del nord Europa, di ammissione per tutti all’Eucarestia, indipendentemente dalla loro storia matrimoniale. Per fedeltà all’insegnamento di Gesù altri ricordano che Egli stesso ha dato al matrimonio il valore dell’indissolubilità che non ammette divorzio, né nuovo matrimonio. Sarebbe dunque un grave scandalo ammettere all’Eucarestia chi non vi può accedere.
L’espressione “grave scandalo” sembra troppo forte e per alcuni questo argomento di esclusione dall’Eucarestia pare anche ridicolo, dato che oggi si dice che nessuno si scandalizza più di nulla, tanto sono ormai accettati dalla mentalità comune comportamenti e stili di vita stigmatizzati nel passato come immorali e comunque contrari alla fede.
Bisogna però chiarire cosa significa “grave scandalo”. Questa espressione per la Chiesa identifica l’atteggiamento o il comportamento che induce altri a compiere il male. Chi scandalizza qualcun altro si fa tentatore del suo prossimo perché il cattivo esempio di una persona fornisce l’occasione ad altre persone di peccare, indebolendone la volontà e inducendo a pensare che alcune forme di male possano essere tranquillamente accettate anche nella fede.
Il divorzio per esempio, è una realtà che nella Chiesa costituisce “grave scandalo” perché introduce disordine nella famiglia e nella società, genera danno per il coniuge abbandonato e per i figli che subiscono la separazione dei genitori e per l’effetto contagioso che lo rende una vera piaga sociale. Ora risposarsi dopo un divorzio amplifica ulteriormente tale “scandalo”.
Quando una coppia divorzia spesso si dice che “ormai non si poteva tornare indietro” e non c’era in questo atto intenzione di fare del male ad altri. Questo modo di pensare, se immediatamente può sembrare senza conseguenze diffuse, in realtà non tiene conto che il divorzio è pericoloso proprio perché induce altri a pensarlo come la soluzione più facile per tutti i problemi famigliari, accettata ormai ampiamente, tanto da non essere più considerata un male. Si dimentica però che l’accettazione diffusa di un comportamento peccaminoso genera sempre altro male, anzi genera una vera struttura sociale di peccato, un’istituzionalizzazione dello scandalo che corrompe la volontà e la fede di altri credenti, resi più deboli a resistere alla tentazione.
Il Santo Papa Giovanni Paolo II ha indicato proprio nel pericolo del grave scandalo una delle ragioni per cui divorziati risposati non possono ricevere la comunione, perché “se si ammettessero, i fedeli resterebbero indotti in errore e confusione sulla dottrina della Chiesa circa l’indissolubilità del matrimonio”.
Ammettere all’Eucarestia divorziati risposati che si vengono a trovare in condizione pubblica di peccato, condizione nota a tutti, porterebbe altri a concludere che gli insegnamenti della Chiesa su quel determinato peccato (adulterio) non sia più di fondamentale importanza e che quel peccato si può tollerare. E se si può tollerare il peccato riguardo al sacramento del matrimonio perché non tollerare anche gli altri che pure i comandamenti ci ricordano?
Ecco il senso del “grave scandalo” e della responsabilità che ognuno ha verso gli altri per il male che possono generare i nostri comportamenti, tanto mondani quanto ormai poco cristiani.
Don Francesco
Cüntòmela PER RIFLETTERE
Arriva l’estate e l’argomento nella Chiesa non è quello delle vacanze bensì il prossimo Sinodo ordinario sulla famiglia, che i mezzi di comunicazione sociale hanno strabicamente focalizzato sul problema della comunione ai divorziati risposati e sugli omosessuali, trascurando altre tematiche fondamentali riguardo la bellezza della famiglia ed anche i suoi problemi.
In realtà l’obiettivo principale del Sinodo è quello di riaffermare il matrimonio tra un uomo e una donna come fondamento della Chiesa e della società civile, nonché di trovare il modo attuale per rivitalizzare l’annuncio di questa realtà essenziale per la vita di questa nostra umanità e per la nostra fede.
Per raggiungere questo scopo alcuni dicono che la Chiesa si dovrebbe aggiornare e soprattutto dovrebbe lasciar cadere gli impedimenti dottrinali che chiudono l’accesso all’Eucarestia i divorziati risposati.
Pare comunque chiaro che, seppure c’è incondizionata la volontà di venire incontro a coloro che presentano questa istanza, non si può tuttavia buttare a mare la dottrina perenne della Chiesa che si basa sull’insegnamento diretto di Gesù. Accoglienza pastorale e dottrina non possono, dunque, essere separate e men che meno contrapposte fra loro.
Perché emerge questo problema? Perché nasce questo fraintendimento che sembra imporre una scelta tra la misericordia, tanto affermata dal Papa, e la verità rivelata?
Il motivo di fondo è più evidente di quanto noi crediamo e solo un cieco può non vederlo: il problema è la profonda “scristianizzazione degli stessi cristiani” che per una pastorale più aperta ai desideri, affermati come diritti delle persone, chiedono di superare il fondamento della verità che viene da Gesù stesso. Questo vale per il tema dei divorziati risposati, ma tocca anche altri problemi sollevati dal Sinodo straordinario, come quelli per esempio delle coppie conviventi o della pastorale delle persone omosessuali.
In molti paesi soprattutto europei i cristiani sono ormai dei battezzati non credenti e non praticanti, che non accettano più la sostanza del cristianesimo e ciò produce un cambiamento di pensiero e di comportamento. Un segno eloquente è la conversione ad atteggiamenti fortemente egoistici verso il prossimo, la moltiplicazione degli aborti, la galoppante legislazione che in moltissimi paesi legalizza ormai l’eutanasia e il matrimonio gay, la amplissima possibilità e velocità nel divorziare. Questa situazione di “cristianesimo superficiale” svuotato della propria identità, provoca la richiesta di evoluzione della Chiesa verso un adattamento supino al mondo per seguire l’umore dei tempi piuttosto che la fedeltà al suo fondatore: Gesù.
In questa condizione di mentalità e cultura scristianizzata, dove anche la fede per molti cristiani è diventata “fai da te”, cosa fare? Stare nel mondo, senza essere del mondo ci ha insegnato Gesù.
La Chiesa perciò, più che adattarsi al mondo, deve ritrovare il suo spirito profetico. Deve essere aperta alla discussione col mondo, rispettando le opinioni altrui, ma senza farsi supina e muta davanti alle mode del tempo. Non deve diventare consenziente ai compromessi che chiedono di annacquare la verità rivelata, ma far riscoprire, almeno a chi vuole seguire il Signore, la bellezza dell’insegnamento di Gesù, il quale non ci ha mai indicato per la nostra vita mete scadenti e nemmeno ha voluto per i suoi discepoli un cristianesimo superficiale.
Don Francesco
Cüntòmela PER RIFLETTERE
Il tema della famiglia è spesso al centro delle nostre considerazioni più per analizzarne gli aspetti problematici che per coglierne gli aspetti belli e positivi.
Così sul prossimo Sinodo l’attenzione dei media soprattutto si sta concentrando sul problema della comunione ai divorziati risposati, e tralascia invece di mostrare le cose buone e le risposte già in atto per sciogliere i tanti e complessi nodi che pure esistono sul tema della famiglia.
Cosa si potrebbe dire, allora, per orientare lo sguardo in senso più positivo su questa realtà e su ciò che la può aiutare ad essere ricchezza per la Chiesa e risorsa anche per la società?
Anzitutto di fronte ai disordini che si verificano nelle coppie giovani e non sposate, ma anche nell’ambito delle coppie sposate, potrebbe essere di grande beneficio riscoprire la virtù della castità. Lo so che sembra un discorso impossibile da fare, una proposta che non ha attrattiva, perché nella cultura di oggi la castità non è un valore, il corpo è considerato una proprietà, una merce di scambio senza una particolare dignità. La virtù della castità, però, è ancora il modo più semplice per non essere travolti dalle gravi conseguenze derivanti dal considerare il corpo e la sessualità come puro mezzo di piacere.
La virtù della castità nel modo in cui la concepisce la fede, non è tanto la astinenza dai rapporti sessuali, quanto il vivere la purezza dell’amore, anche fisico.
Si può parlare allora anche di castità coniugale, dove i coniugi sono chiamati a vivere in purezza il loro affetto vicendevole. Quando i coniugi si esprimono l’amore vicendevole con gli atti sessuali, senza impedire la possibile generazione della vita, senza imposizioni o negazioni egoistiche di sé all’altra parte, badando alle esigenze di entrambi e non solo alle proprie, usando della genitalità dentro i fini leciti e propri per cui ci è data, si sta vivendo nella virtù della castità e questo vale per tutti ed anche per i coniugi, che rinsaldano così il loro rapporto e riducono i pericoli che mettono in crisi i matrimoni e la famiglia. Una sessualità vissuta in modo umano, senza tabù terrorizzanti, fiduciosamente e correttamente nella coppia è fonte di serenità interiore e pace nella coscienza, situazioni che rendono gli sposi più forti e capaci di affrontare i conflitti quando si verificano.
Le incrinature che feriscono l’anima, tuttavia, si verificano ed allora è necessario un altro passo: riscoprire il grande valore della Misericordia di Dio. La misericordia di Dio ha un potere immensamente trasformante perché nei nostri confronti non si limita a perdonare il peccato passato, ma agisce dal di dentro dei nostri cuori, sbloccando ciò che ci aveva fatto diventare duri, egoisti, incapaci di un amore senza finzioni. La misericordia divina ci giunge attraverso i sacramenti e fra questi soprattutto la Penitenza e l’Eucarestia. Ecco allora che nelle incomprensioni coniugali, nel tradimento della fiducia reciproca, nel fallimento delle relazioni sentimentali, invece di accelerare ciò che ancora di più divide una coppia, è necessario anzitutto attingere alla Grazia che perdona, libera, guarisce le ferite che ci procuriamo. I sacramenti sono la fonte della Grazia e l’attingervi con frequenza, soprattutto al perdono ricevuto, costituisce l’antidoto alle sofferenze inflitte all’amore di coppia da egoismi, indifferenza, incomprensioni e ripicche che nascono piccole e diventano pian piano lesioni irreparabili.
Dalla Grazia, che trasforma le persone dal di dentro, viene trasformato anche l’amore coniugale perché l’amore di Dio agisce anche senza che noi sappiamo dove e come produca frutti. Così anche nei confronti delle situazioni problematiche del matrimonio in crisi, delle coppie divorziate, di coloro che hanno contratto un nuovo matrimonio dopo il divorzio, la Grazia opera, anche oltre il canale dei sacramenti ricevuti.
Ecco allora l’invito, soprattutto a chi non può accedere ai sacramenti, a prestare un ascolto molto attento alla voce del Signore, a frequentare gruppi dove si riflette sulla Parola di Dio, a partecipare alla S. Messa con la comunità parrocchiale, a pregare nella propria casa, con i bambini e i ragazzi, ad educare i figli in senso cristiano, a vivere esperienze forti a livello spirituale e caritativo. Tutto questo è un dovere e una possibilità non solo per ogni cristiano, ma anche per chi si trova a non poter accedere ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucarestia. La Chiesa stessa, la comunità parrocchiale, non deve lasciare sole le coppie in crisi, né le famiglie stabili o quelle che nascono dopo un divorzio. Bisogna stare loro accanto e bisogna che coppie e famiglie si lascino accostare. Così sarà meno difficoltoso far conoscere la verità di queste situazioni con compassione e misericordia, ma anche con franchezza, pazienza e preghiera. E naturalmente il modo migliore perché le coppie e la famiglia crescano salde e forti è che costruiscano il loro futuro sulla roccia, cioè la preparazione previa al matrimonio. Riscoprire il significato del fidanzamento, avviarsi al matrimonio preparandosi per tempo, non lasciarsi illudere dalla convinzione che la convivenza sia il toccasana per evitare problemi gravi di coppia in futuro, lasciarsi aiutare quando emergono già le prime debolezze: questo e altro si può fare per sostenere chi intraprende il cammino impegnativo del matrimonio, non da solo, ma in compagnia di chi ha a cuore e vive la bellezza dell’amore.
Don Francesco
Cüntòmela PER RIFLETTERE
Gesù ha esercitato storicamente un influenza incomparabile per l'ampiezza e la durata. Da duemila anni, Egli è stato ammirato, venerato, adorato, glorificato. Una moltitudine di persone, generazione dopo generazione, si richiama di Lui. Persone che dichiarano di vivere e accettano di morire per Gesù. Come spiegare questo fatto? Come ha potuto Gesù convincere, conquistare i cuori di tante persone: imperatori, imperatrice, potenti, ricchi, poveri, sani, malati, persone semplici, sapienti e studiosi? Perché tante Chiese, devozioni, pensieri sono dedicati a lui? Cosa ha portato Gesù all'umanità? Da dove proviene il suo fascino?
Questo articolo vuole dare una risposta a queste domande. Penso che la risposta ad esse renda più comprensibile il suo messaggio, renda coerente la nostra vita cristiana, renda valido il cristianesimo. In questo primo articoletto metto in risalto una delle molteplici caratteristiche che fanno parte del fascino di Gesù: la sua simpatia e la sua empatia, che riassumo nella parola compassione.
La simpatia (sympátheia in greco) e l'empatia di Gesù sono subito reperibile nei vangeli. Le persone che hanno incontrato Gesù in Palestina 2000 anni fa sono state colpite e da queste due caratteristiche: dalla sua spontaneità ad aprirsi, a fare spazio all'altro, ad accoglierlo, a comprendere l'altro nel suo bisogno, a sentire il grido della miseria delle persone dandone una risposta.
I concetti di simpatia e empatia sono riassunti nel vocabolo compassione, dal latino cum-patire, che significa soffrire con. Gesù soffre con le persone che si rivolgono a lui, Egli condivide la sofferenza altrui, si carica del dolore degli altri. Lo fa gratuitamente e senza voler sapere la provenienza, l'origine, l'identità o lo stato sociale di chi si rivolge a lui. Verso il lebbroso che chiedeva guarigione Gesù ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, guarisci!», E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu sanato (Mc 1,40-42). Gesù ha avuto compassione e guarito i due ciechi di Gerico (Mt 20,29-34). Gesù ha avuto compassione di quella Madre di Naim che piangeva il suo unico figlio che era morto, risuscitandolo (Lc 7, 11-17). Gesù ha avuto compassione del popolo che pativa di fame dandogli il pane in abbondanza (Mc 8,1-10). Gesù accoglie i bambini (Mc 10, 13-16) perché ha compassione di loro.
Insomma il fascino e la fama di Gesù provengono dal fatto che Egli non si stanca mai di ascoltare, di prendersi cura dell'altro, di rispondere al bisognoso. Il verbo ebraico Rachàm “essere preso da tenero affetto” (Es 33,19) traduce bene l'atteggiamento compassionevole di Gesù.
Egli non chiude mai gli occhi o gli orecchi, non fugge, non scappa, non si tira indietro dinanzi alla sofferenza dell'altro. Gesù è colui che stabilisce subito un buon rapporto e un dialogo con l'altro. Gesù è colui che riconosce l'altro come soggetto da rispettare, da amare e da valorizzare. La sua capacità di vivere per darsi all'altro è senza limitazioni, senza calcoli. Egli ha sempre avuto tempo per il prossimo. La sua gratuita disponibilità è incondizionata.
Don Ilario
Cüntòmela PER RIFLETTERE
L'Enciclica “verde” di Papa Francesco
Papa Francesco si sente impegnato ad aiutare gli uomini e le donne del nostro tempo a trovare il giusto atteggiamento nei riguardi della natura e delle risorse del pianeta Terra. In questi anni, infatti, non abbiamo trattato bene la nostra casa comune e i rischi che si profilano all'orizzonte non sono piccoli. Da parte di tutti c'è bisogno di maggior senso di responsabilità. Si tratta di questione ineludibile e drammatica, perché se non si ricorre ai necessari rimedi, ora che si è ancora in tempo, le conseguenze dell'inquinamento e dei cambi climatici saranno catastrofiche.
L'Enciclica non è rivolta soltanto ai cattolici, ma a ogni persona che abita su questa terra, nostra casa comune. L'intendimento del Papa è di coinvolgere l'intera Famiglia umana nella ricerca di uno “sviluppo sostenibile e integrale”, facendo crescere il senso di responsabilità verso l'ambiente, ma anche spronando a cercare nuove vie che permettano all'umanità di collaborare responsabilmente al progetto di armonia iscritto da Dio nella creazione. Al cuore delle parole del Papa c’è una domanda forte: “Quale mondo desideriamo trasmettere a chi verrà dopo di noi?”
Nel cuore delle parole del Papa c'è una domanda forte: “Quale mondo desideriamo trasmettere a chi verrà dopo di noi?”
L'Enciclica prende il nome dalla nota invocazione di San Francesco d'Assisi “Laudato si', mi Signore”, che nel Cantico delle creature ricorda che la terra, oltre che essere la casa di tutti, è anche una sorella con la quale condividiamo l'esistenza, per cui se non ci sarà futuro per la terra, non ci sarà futuro nemmeno per noi, uomini e donne.
Non poche sono le novità nel testo pontificio, molto atteso, che generalmente è stato ben accolto e apprezzato. Il Presidente Sergio Mattarella ha detto che si tratta di un “documento di altissimo valore morale e di straordinario interesse culturale e sociale”. Il Presidente Obama ha salutato con ammirazione l'intervento del Papa, perché ritiene che aiuterà a porre in essere “un'azione globale sui cambiamenti climatici”, cosa oggi molto importante. I giornali e le televisioni hanno dato molto risalto al testo papale. Non sono mancate tuttavia alcune critiche, che erano prevedibili a motivo delle parole dure dell'Enciclica contro i sistemi asserviti agli interessi del potere economico e contro le varie forme di sfrenato consumismo.
Il punto di partenza dell'Enciclica è rappresentato dalla sintesi dei migliori risultati scientifici oggi disponibili in materia ambientale. L'analisi inizia poi con la ferma denuncia dei mali ecologici del pianeta: inquinamento provocato dall'uso dei combustibili fossili, dai rifiuti, ecc…; cambiamenti climatici dovuti in gran parte all'opera umana; esaurimento delle risorse naturali; perdita della biodiversità, ecc.... La conclusione della rassegna degli aspetti problematici è perentoria: è necessario cambiare il modello di sviluppo globale; non bastano soluzioni parziali o temporanee. Il ritmo infatti “di consumo, di spreco e di alterazione dell'ambiente ha superato le possibilità del pianeta, in maniera tale che lo stile di vita attuale, essendo insostenibile, può sfociare solamente in catastrofi”. Da qui l'appello a “cambiare rotta” e ad intraprendere una “coraggiosa rivoluzione culturale” centrata su una politica diversa e su un cambiamento degli stili di vita individuali e comunitari. È possibile - sottolinea il Papa - “un'altra modalità di progresso e di sviluppo”. Uno sviluppo tecnologico ed economico che non lascia un mondo migliore e una qualità di vita superiore non può considerarsi progresso.
Il cuore della proposta dell'Enciclica è l'ecologia integrale come nuovo paradigma di giustizia, un'ecologia che “integri il posto specifico che l'essere umano occupa in questo mondo e le sue relazioni con la realtà che lo circonda” (n.15). Il Papa si muove nella consapevolezza che tutto nel mondo è intimamente connesso e strettamente legato e che la difesa degli ecosistemi va fatta globalmente. Inoltre mette in luce che vi è un legame tra questioni ambientali e questioni sociali e umane che non può essere spezzato. Ogni analisi dei problemi ambientali è inseparabile dall'analisi dei contesti umani, familiari, lavorativi, urbani e della relazione di ciascuna persona con se stessa, con gli altri e con l'ambiente. Di conseguenza è fondamentale cercare soluzioni integrali, che considerino le interazioni dei sistemi naturali tra loro e con i sistemi sociali. Non ci sono due crisi separate, una ambientale ed un'altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale.
L'Enciclica dà spazio all'attività imprenditoriale, che viene qualificata come “nobile vocazione” orientata a migliorare il mondo; una vocazione che rende un grande servizio al bene comune con la creazione di posti di lavoro. È necessario però che il mondo degli affari - dice il Papa - metta il bene comune al primo posto e punti ad uno sviluppo sostenibile. In particolare il Santo Padre ricorda che la protezione dell'ambiente deve costituire parte integrante del processo di sviluppo e che l'uso delle ricchezze della natura deve essere sostenibile. Non manca poi un accenno al ruolo fondamentale svolto dalle piccole imprese per il bene di tutti.
Il Papa non pretende di definire le questioni scientifiche, né di sostituirsi alla politica, ma mette in luce la dimensione etica del problema e mira a fare crescere nel mondo il senso di responsabilità verso l'ambiente, nella prospettiva di promuovere la cultura della cura del creato. L'umanità ha bisogno di cambiare atteggiamento verso l'ambiente e di cambiare anche stili di vita. In molte cose bisogna riorientare la propria rotta, perché si tratta di una grande sfida culturale, spirituale ed educativa. “L'educazione alla responsabilità ambientale può incoraggiare vari comportamenti che hanno un'incidenza diretta e importante nella cura dell'ambiente”.
L'Enciclica offre un elenco di piccoli gesti ordinari che tutti possono compiere come segni di responsabilità ambientale: evitare per quanto possibile, l'uso di materiale plastico o di carta, ridurre il consumo di acqua a quanto realmente utile in modo che anche gli altri ne abbiano a sufficienza, differenziare i rifiuti, cucinare solo quanto ragionevolmente si potrà mangiare, trattare con cura gli altri esseri viventi, utilizzare il trasporto pubblico o condividere un medesimo veicolo con altre persone, piantare alberi, spegnere le luci inutili e così via. Una sana moderazione in molti casi è auspicata. Il Papa vuole farci capire come anche nelle nostre piccole vite possiamo incidere sull'ambiente. Tra l'altro, per esempio, il riutilizzare qualcosa invece di disfarcene rapidamente può essere un atto di amore in cui, in qualche modo, si esprime la nostra dignità.
Non bisogna limitarsi a pensare che tali piccoli sforzi e il nostro educarci ad un nuovo stile di vita non cambieranno il mondo; questo è vero, però tali piccoli gesti quotidiani diffondono un bene nella società, che produce frutti al di là di quanto si possa constatare. Sono questi infatti che provocano in seno alla comunità un bene che tende sempre a diffondersi, a volte invisibilmente.
L'ampio sguardo rivolto da Papa Francesco all'Universo, nel quale ruota la terra che abitiamo, è sostenuto dalla convinzione che la complessità del creato è orientata all'armonia e che la cura della casa comune è compito che coinvolge tutti. L'Enciclica offre interessanti spunti per riflettere e per agire. Il testo è permeato di speranza, perché il Papa ritiene che la rotta sbagliata possa essere invertita e chiede a tutti di fare la propria parte. La soluzione del problema ecologico non è compito solo della politica o degli Stati, ma dipende anche dalle singole persone e dai loro stili di vita. La nostra casa comune sta attraversando una crisi profonda alla quale ogni persona che abita il pianeta può e deve dare il proprio contributo costruttivo.
La voce del Papa si alza con toni vibranti per chiedere l'impegno di tutti. Egli invita ad una “conversione ecologica” che chiama a promuovere una solidarietà e una sostenibilità orientate al bene comune e allo sviluppo autentico dei popoli. Una “conversione ecologica” che riconosca il mondo come “dono ricevuto dall'amore del Padre” e che porti ciascuno a riconoscersi in questo mondo come “inquilino di Dio”. Il mondo è una casa comune, della quale non siamo proprietari, ma custodi anche per quanti verranno dopo di noi.
Card. Giovanni Battista Re
Cüntòmela a BORNO
Quest'anno suor Ida ha compiuto 80 anni e suor Vicenzina ha festeggiato i 60 anni di professione religiosa. Insieme a suor Giusi che celebrava anche lei i 70 anni di professione religiosa, domenica 24 maggio abbiamo fatto festa e ringraziato il Signore per la lunga presenza delle suore Dorotee nella nostra comunità. In seguito abbiamo fatto una chiacchierata con suor Ida.
Allora suor Ida come ci si sente ad aver 80 anni?
Non smetterò mai di lodare il Signore per avermi concesso di vivere ben 38 di questi 80 anni in questo paese bello e davvero benedetto. Oltre all'aria buono ho potuto respirare il profumo della spiritualità della sua gente, alimentata da una fede genuina ed operosa. Un grazie di cuore ai sacerdoti che hanno voluto onorare le nostre tappe di vita con una solenne Eucaristia, seguita da un buon pranzetto. È stata anche una bella occasione per ricordare che, aldilà dei limiti personali di ogni suora, la vita religiosa è un carisma, un segno voluti da Dio come richiamo ai beni eterni. Penso sia anche questo uno dei motivi per i quali il Papa ha voluto dedicare questo anno alla vita consacrata e spero che l'iniziativa porti buoni frutti.
Quando è arrivata a Borno e come è stato il suo primo impatto con la gente?
La prima volta che ho visto Borno è stata nel lontano 1966. Avevo sentito parlar bene del vostro paese, sono arrivata con tanta gioia e mi sono subito sentita a casa per la bella accoglienza ricevuta. Qui eravamo in 5 suore, mentre ad Ossimo Inferiore ce n'erano 3 e 2 a Lozio.
Oltre all'asilo svolgevate altre attività?
In quei primi anni la scuola materna si trovava ancora sotto le scuole elementari e noi abitavamo in quella che ancor oggi è conosciuta da tutti come la Casa delle Suore che era sempre in fermento per le tante attività proposte. La domenica pomeriggio si teneva l'oratorio per tutte le ragazze del paese che venivano divise in tre gruppi: le più grandi si ritrovavano di sopra nella stanza rivestita di legno con la superiora (suor Basilia) che cercava di aiutarle a diventare brave spose e madri; anche le ragazze un po' più giovani avevano un momento di formazione, oltre che altre attività e giochi fino alla sera. Io e un'altra suora di sotto al piano terra badavamo alle bambine più piccole, oltre che a tener sempre d'occhio il portone. L'oratorio era solo per le ragazze ma i maschi cercavano sempre di entrare o anche solo spiare attraverso il portone, oppure a volte, solo per far dispetto, gettavano oltre il muro di cinta pezzi di carta o altri oggetti.
Oltre alla domenica, quasi tutte le sere veniva proposto qualcosa: corso di cucito, cucina, canto ecc. Penso che buona parte delle donne di Borno abbiano ricevuto proprio dalle suore che hanno operato in quella casa una formazione non solo cristiana, ma anche umana e di economia domestica.
Ricorda qualche episodio curioso o divertente di quel primo periodo?
I ricordi sono tanti. Nella bella chiesetta della casa dove c'era l'altare ora collocato nella chiesetta di Sant'Antonio, si organizzavano gruppi di preghiera e una Messa alla settimana a cui tanta gente partecipava volentieri. Un anno in occasione della festa di S. Dorotea io scelsi una ragazza fra le più grandi e la vestii appunto da S. Dorotea, mentre due più piccole le feci accovacciare ai suoi piedi come angioletti. Le poverette dovettero stare lì immobili per tutta la durata della celebrazione. Quando nel rinfresco che seguì, chiesi alla più grande il suo parere sulla festa, lei non si lamentò per la posa a cui l'avevo costretta, ma disse che si era divertita a guardare i dentoni della suora di Lozio: anche se giovane, questa effettivamente aveva due denti molto sporgenti.
Un altro piccolo episodio fu quando Marianì mi disse: “Suor Ida me la cope (la ammazzo)”. Mi rimproverò di aver turbato il riposo di suo marito. Tornato stanco dal lavoro la sera prima andò a letto presto, ma la sua figlia di pochi anni a furia di insistere riuscì a farlo alzare per dire le tre Ave Maria come voleva suor Ida.
Sulla vostra casa chiamata anche “Casa degli Spiriti” ha qualcosa da dirci?
I racconti scritti anche nelle cronache di Madre Scolastica (che ora si trovano nell'archivio di Cemmo) sono tanti. Io ricordo molto bene la mattina in cui una consorella che dormiva nella cameretta dietro l'altare della chiesa, disse di non sentirsi bene e quindi, invece di venire a Messa prima, decise di rimettersi ancora un po' a letto. Al nostro ritornò affermò che all'improvviso avvertì uno schiaffo sulla guancia e per due volte si ritrovò con le coperte in fondo al letto. Anche un'altra suora disse che una notte diverse volte sentì qualcuno che le prendeva e stringeva le dita di un piede.
Anche in quegli anni offrivate qualche servizio in parrocchia?
Le suore animavano la liturgia e tenevano in ordine l'altare maggiore. Con i sacerdoti avevamo e abbiamo sempre avuto un ottimo rapporto di collaborazione. Ad ogni cambio di parroco o di curato il nonno Bafì mi ripeteva sempre in dialetto: “Si ricordi suor Ida che noi di Borno siamo fortunati perché Quello su là ci manda sempre dei preti buoni e santi!”. Posso confermare che l'affermazione si è costantemente rivelata vera.
Certo che in tutti questi anni ne avrà visto di cambiamenti?
Ho vissuto il passaggio dalla “Casa degli spiriti” a quella attuale, dalla vecchia scuola materna sotto le elementari a quella nuova. Un altro episodio divertente fu il periodo in cui noi suore Dorotee di Cemmo modificammo leggermente il velo e pochi altri particolari dell'abito (il cambio da nero a blu è avvenuto in seguito). Una mattina mentre salivamo i gradini per andare a Messa, dopo averci guardato un po' di traverso una nonna ci disse: “Ma reverende suore, come vi siete pettinate stamattina!”. Inoltre mi ricordo bene, quasi quarant'anni dopo, la mattina in cui ero in cucina per la colazione ed entrò una ragazza che aiutava dicendomi: “Sa cosa ho sentito?… Che due sezioni della scuola materna sono diventate statali!”.
Al momento per me è stato un fulmine a ciel sereno. Poi seppi dalla nostra Madre superiora come era andata la vicenda. Finiva un servizio che faceva parte dell'ormai secolare storia delle suore nel vostro paese.
A proposito di storia sa quando sono arrivate le suore a Borno?
Penso verso il 1910. Mi viene sempre da sorridere ricordando l'episodio dell'arrivo delle suore che più volte mi raccontò Adele Mensi. In cinque salirono da Cogno per la via delle viti e giunte in fondo al paese trovarono ad accoglierle preti, autorità e la gente che le aspettava. Arrivò il momento in cui il sindaco, persona non molto istruita, doveva fare il discorso di benvenuto. Il maestro dell'epoca (forse doveva chiamarsi Cesarì) fece del suo meglio per istruire il primo cittadino. Dopo che più volte lo stesso maestro gli diede di gomito per fargli intendere che adesso toccava proprio a lui, questo schiaritosi la voce con un bel colpo di tosse, disse: “Come sindaco di Borno io saluto e do' il ben venuto alle reverende cinciarelle del Signore!”. Sempre Adele precisò di non ricordare bene se il termine fosse stato “cincelle” o “cinciarelle”, comunque le raccontarono che il maestro imprecando “Me la proprio fatta!”, se ne andò sconsolato.
Due volte ha fatto finta di lasciarci. Può ricordare quando e come è andata a finire?
La prima volta fu dal 1972 al 1980 in cui sono stata un po' a Brescia e anche a Roma. Poi le sorprese di Dio sono sempre le più belle e così fui mandata di nuovo a Borno. A proposito di cambiamenti ritrovai un paese quasi triplicato nel numero delle case. Un altra novità che mi colpì furono le acconciature delle donne anche di una certa età: quasi tutte più curate e molte con la permanente invece dei capelli raccolti.
Nel 2004 feci il distacco più doloroso. Quando le superiori iniziano a dirti “Avrei bisogno di te”, è un chiaro segnale d'allarme. In settembre venni mandata a Metaponto in Basilicata. Era vicino al mare con l'aria molto diversa da quella di Borno: caldo umido e venticello. Facevo fatica a muovermi, a dormire e il fisico non ha retto per molto. Ancora una volta la provvidenza, con lo zampino di suor Vincenzina istigata probabilmente anche da don Giuseppe, non mi ha abbandonato e dopo le feste di Natale mi sono ritrovata di nuovo fra voi.
E infatti molti bornesi la considerano ormai una di loro. Ha un ultimo pensiero o augurio da donare ai suoi “concittadini”?
I ricordi e le emozioni sono tanti. Mi sento una di voi. Ho condiviso gioie e sofferenze e so che mi volete bene. Io ricambio ricordandovi ogni giorno al Signore nella preghiera. Solo Lui sa degnamente ricompensare quanto ho ricevuto in stima, affetto, testimonianza. Desidererei che le persone anziane tenessero vivo il ricordo di quanto hanno ricevuto e vissuto, parlandone in famiglia. Anche questa è storia sacra, storia di salvezza che si realizza nelle piccole cose di ogni giorno. Tenete sempre presenti le sante parole che il Papa ha detto a Borno: “Amate la vostra fede…”, nutritela con le belle tradizioni e tanta preghiera in famiglia aggiungo io. Senza la preghiera non c'è futuro. Vi voglio bene.
Cüntòmela a BORNO
Le suore collaboravano alle manifestazioni presso il "Cinema Pineta".
Bambine all'asilo nei primi anni '70
Conservo un bel ricordo delle Suore Dorotee di Cemmo. Quando ero bambino esse erano in Borno un punto di riferimento importante: due o tre si occupavano dell’asilo, almeno una era insegnante nelle scuole elementari e tutte (erano complessivamente 6/7) aiutavano in parrocchia o per il catechismo o per il canto o per piccole iniziative a beneficio della gioventù femminile.
In prima elementare ho avuto come insegnante Madre Scolastica ed in seconda Suor Agnese. Suor Scolastica era anche colei che ogni anno si occupava della preparazione dei bambini e delle bambine della Prima Comunione. Era una religiosa che godeva grande autorevolezza e, in pari tempo, aveva premure materne nei riguardi di noi piccoli. Era un’educatrice di grande spessore. Fu Superiora delle Dorotee a Borno per una ventina d’anni, poi lasciò il nostro paese perché eletta Superiora Generale. Conosceva tutti i bornesi, piccoli e grandi.
Card. Giovanni Battista Re
Delle suore Doretee conservo un ricordo nitido. La festa della mamma con le tarantelle di suor Flora e le canzoni dello Zecchino d’Oro. E il Carnevale? I tre ordini scolastici organizzavano i loro carri e quindi non mancavano quelli dell’asilo: il cesto con le caramelle me lo ricordo come fosse ieri!
Non eravamo capaci di scrivere quando entravamo alle elementari, perché le suore ci insegnavano a giocare a palla bollata, a Madamadoré, a rispettare i ruoli, ad aiutare i più piccoli, ad usare le mani preparando piccoli lavoretti per Natale e Pasqua (chi non se li ricorda le centinaia di forellini fatti con il punteruolo! adesso verrebbe considerata un’arma impropria e come tale, severamente proibita), a recitare brevi poesie e le preghiere.
Ricordo anche uno scappellotto arrivatomi tra capo collo da suor Flora: durante il riposino, che aborrivo, mi aveva assegnato il compito di colorare una rosa, raccomandandosi di stare nei margini e fare i tratti sempre nello stesso verso. Così non fu. Lo scappellotto arrivò e me lo tenni. Ma ricordo anche che un mattino di primavera, eravamo scesi al campo sportivo a giocare e lei mi attirò a sé facendomi affondare la faccia nel suo grembiule azzurro che era fresco e profumava di buono!
Emilia
In tempi in cui non non si sprecava proprio niente, Pierina Bertelli ricorda che un anno le suore avevano acquistato dal suo papà un maialino a poco prezzo. Suor Albertina lo allevò con quel che rimaneva dal pranzo dei bambini dell’asilo (che allora era sotto le scuole elementari). Lo tenevano nel sottoscala della loro casa, quella vecchia, e coltivavano anche l’orto, in quel che oggi è il parco Rizzieri.
Caterina Avanzini afferma di aver imparato a cucire, lavorare a maglia e ricamare proprio dalle suore, di cui ricorda suor Tarcisia. Tornando a casa con la sua prima pezza lavorata a maglia, sua mamma sentenziò che era stata lavorata troppo larga, e quindi gliela fece disfare per poi rifarla cercando di stare più stretta.
Cüntòmela a BORNO
Ci sono diversi modi o condizioni per diventare catechista.
C’è chi lo diventa per seguire un figlio, chi si offre per spirito di servizio, chi - come me - è stato catturata dal curato per assolvere le necessità della parrocchia...
Qualunque sia il modo o la condizione c’è una storia più grande dietro, o meglio, "dentro": è la storia di un "si". É Gesù che chiama!
Inizialmente il timore di non essere adeguata a questo compito era il mio cruccio più grande: mi sentivo disorientata, non sapevo come impostare un percorso che potesse far crescere nei bambini il desiderio e la bellezza di incontrare Gesù. E questo nonostante sapessi di avere un supporto molto forte in Sr. Ida che è veterana nel lavorare con i bambini.
Ma quando le cose sono guidate da Chi è in alto, vanno sempre per il verso giusto!
Dico subito, in tutta sincerità e senza retorica, di aver ricevuto dai ragazzi più di quanto io abbia dato loro. I bambini mi hanno dato una carica eccezionale, dimostrandomi da subito fiducia e simpatia, così lavorare con loro è stato facile e molto piacevole.
Con Sr. Ida, Marina e Emilia abbiamo stimolato i ragazzi leggendo la Parola, cercando di far uscire da ognuno di loro un pensiero, una sensazione, con lo scopo principale di far passare in particolare questo messaggio: Gesù non è un'idea lontana, relegata là in cima all'altare come una cosa appunto irraggiungibile, ma è dentro i fatti di tutti i giorni, in quelli belli e in quelli meno belli, ricordando loro che l'amore gratuito di Gesù per ognuno di noi c'è sempre.
Siamo un team ben affiatato e ognuna di noi ha portato all’interno del gruppo il proprio sapere e i propri carismi. Ci siamo divertiti con la musica e i canti, con i cartelloni e i giochi: una scelta che i bambini hanno molto apprezzato.
Tant'è che la frequenza è stata davvero altissima! Purtroppo lo stesso non si può dire della partecipazione alla Messa, ma qui il tema meriterebbe una riflessione a parte.
Come ogni persona che si mette in gioco, giunti al termine del catechismo, mi sono chiesta cosa sia rimasto nei nostri bambini, se siamo riuscite a mettere il seme dell'amore di Gesù nel loro cuore. Chissà...
La mia speranza, e sono certa di interpretare anche il pensiero delle mie "colleghe", è che abbiano imparato a volersi un po' più bene.
Finisco questi miei pensieri col ringraziare don Simone e Sr. Ida che hanno posto la loro fiducia in me e mi hanno dato la possibilità di vivere questa esperienza che mi ha arricchito.
Grazie anche a Emi e Marina che mi hanno sostenuto e incoraggiato nei momenti di difficoltà, ma principalmente ringrazio nostro Signore Gesù Cristo che non mi ha mai lasciata sola.
Roberta
Cüntòmela a BORNO
Come ogni anno i ragazzi di terza media, accompagnati dalle catechiste e da don Simone, hanno vissuto il pellegrinaggio a Roma in occasione della domenica delle Palme, per partecipare alla Messa celebrata dal papa in Piazza san Pietro.
I giorni 27, 28 e 29 marzo sono stati giorni molto entusiasmanti e ricchi di esperienze: dalla Messa celebrata in san Paolo fuori le mura, alla visita alla città eterna, fino alla Basilica di san Pietro accompagnati da una guida d’eccezione, il nostro cardinale Giovanni Battista Re, sempre molto gentile e disponibile.
A lui abbiamo poi affidato due piccoli pensieri per papa Francesco: il numero pasquale del nostro bollettino parrocchiale “Cüntòmela” e una copia del libretto che illustra la parrocchia di Borno con le sue chiese e i suoi tesori artistici e paesaggistici. Il tutto accompagnato da una lettera nella quale abbiamo invitato papa Francesco a venire a trovarci, magari per respirare un po’ di aria fresca e pulita e per pregare in mezzo a noi e con noi. Chissà!!!
Il papa ha ricevuto questi piccoli doni e tramite la Segreteria di Stato ha ringraziato.
Sono stati tre giorni intensi e anche un po’ faticosi, ma che ci hanno fatto respirare la bellezza della Chiesa universale, rappresentata dalle migliaia di giovani in festa presenti in piazza san Pietro la domenica delle Palme e provenienti da ogni parte del mondo.
I pellegrini
Cüntòmela a BORNO
Malonno 27 giugno-4 luglio