Natale 2015
La parola del PARROCO
I fatti di Francia che hanno segnato indelebilmente questi giorni, saranno difficili da dimenticare ed, ancora di più, segneranno di dubbio e paura anche i giorni del Natale del Signore.
Eppure, nel cuore dell’uomo c’è il desiderio di Dio e, credo che pur tra tante incertezze e timori, ancora andremo a cercarne con fatica i segni, oltre l’irrazionalità e la ferocia degli atti terroristici, oltre la risposta vendicativa e giustizialista di chi, con la stessa violenza, vuole risolvere i problemi della diversità culturale e religiosa. Difficile però sarà trovare una risposta, se noi stessi non andremo prima all’origine del nostro esistere, del nostro cercare Dio e del voler imporre la nostra idea di Dio.
La violenza, anche religiosa, non nasce infatti da Dio, ma dal voler imporre l’idea di Dio che ci siamo fatti. All’inizio non c’è una idea, bensì un fatto. Prima ancora di ciò che abbiamo conosciuto di Dio, c’è Dio stesso, c’è il mistero di Lui Creatore, che ha amato, cercato, parlato, guidato noi uomini in molte maniere e poi si è fatto conoscere al mondo, nella nostra umanità, nella Incarnazione del Figlio. Dio per primo ci è venuto incontro e noi lo abbiamo potuto riconoscere perché egli ci ha trovati.
All’origine di ogni esperienza di fede c’è sempre la Grazia che proviene da Dio e che si espande su ogni uomo. Ed è qui la notizia bella e consolante: Dio viene per tutti, tutti ama e a tutti porta la salvezza. Niente impedisce all’uomo di andare incontro al Signore anzi, di accogliere e riconoscere la venuta del Signore perché Lui è già all’opera tra noi, è già immerso nel cuore della nostra turbolenta storia, nei fatti lieti e drammatici che accadono intorno a noi. Ed anche se sembra non vediamo quasi nulla, quando cadono le barriere e si infrangono gli ostacoli alla fraternità tra gli uomini, allora cominciano a manifestarsi i segni della Grazia divina che era già in azione.
Dopo il Natale celebreremo la festa della Epifania del Signore. Questa festa è per noi il segnale che non bisogna lasciare prevalere il pessimismo di fronte alla distruzione del desiderio di fraternità degli uomini, ma anzi bisogna ravvivare lo slancio verso la comune meta della salvezza che è offerta a tutti da Cristo Signore. Ecco che allora diventa chiaro il compito dei cristiani verso chi non conosce Dio, chi lo ha dimenticato, chi lo cerca con fatica ed anche verso chi lo usa come giustificazione per uccidere: far conoscere il Salvatore, condurre a Lui chi desidera incontrarlo, mostrare la bellezza della fede cristiana, offrire l’amore di cui noi godiamo, perché già siamo stati amati. È il compito missionario che scaturisce dal Natale e dalla festa dell’Epifania, festa delle genti.
L’impegno per l’unità dei cristiani, di cui in gennaio si celebra l’ottavario di preghiera, ci aiuterà ad avere rispetto per tutti coloro che, cristiani, non condividono totalmente con noi la stessa fede, ma anche per tanti altri che professano una religione diversa dalla nostra. Prepariamoci ad accogliere Gesù unico Salvatore del mondo in mezzo a persone che forse, proprio per questa accoglienza, ci disprezzano, ci odiano e possono arrivare ad ucciderci.
In futuro sempre più saremo sotto gli occhi del mondo non cristiano perché andiamo verso una società multirazziale, multietnica, multi religiosa: facciamo dunque in modo che possa esso scorgere in noi la stessa luminosità della stella che guidò i Magi a Betlemme, proprio nella fedeltà alla nostra fede, vissuta con autenticità, con eroicità e forse anche martirio, giorno per giorno. Sarà il modo concreto di prolungare nel tempo la festa del Natale e dell’Epifania, diventando noi stessi manifestazione di Gesù, il Signore, Salvatore del mondo.
Don Francesco
Cüntòmela PER RIFLETTERE
È stato un viaggio che ha avuto vasta eco nello scorso mese di settembre. La stampa internazionale ha trovato molto significativo il fatto che Papa Francesco sia giunto negli Stati Uniti provenendo da Cuba.
I primi tre giorni del viaggio pastorale del Papa infatti sono stati dedicati a Cuba. Si è trattato di una visita pastorale con momenti emozionanti con la popolazione dell’intera isola caraibica, in occasione del centenario della proclamazione della Madonna del Santuario del Cobre a patrona di Cuba.
È stata anche un’opportunità per mettere in risalto l’esempio di riconciliazione che Cuba e gli Stati Uniti stanno dando. Il processo di normalizzazione dei rapporti, intraprese con coraggio fra le due nazioni dopo sessanta anni d’inimicizia e di contrapposizione, è stato additato al mondo dal Papa come un bel segno del prevalere della cultura dell’incontro e del dialogo nella presente atmosfera di “terza guerra mondiale combattuta a pezzi” che, purtroppo, caratterizza il nostro tempo.
La visita pontificia è stata di grande sostegno per i cattolici, che sono stati incoraggiati a una vigorosa ripresa nella fedeltà ai valori e agli ideali cristiani. In particolare il Papa ha lasciato loro in consegna l’impegno a curare e amare la famiglia nella quale si impara la fraternità, la solidarietà, l’accoglienza della vita e il perdono.
I responsabili politici sono stati esortati dal Papa a sviluppare tutte le potenzialità della nazione cubana a servizio della giustizia, della pace, della riconciliazione e del benessere della popolazione.
In seguito negli Stati Uniti, paese che tanto deve al contributo dell’immigrazione, Papa Francesco si è presentato come figlio di immigrati, oltre che come figlio del medesimo continente. La prima tappa è stata Washington dove, nell’incontro alla Casa Bianca, il Papa ha messo al centro del discorso la libertà religiosa, la protezione dell’ambiente e la tutela dei più deboli.
Il giorno dopo per la prima volta nella storia un Papa ha parlato al Congresso Americano. Davanti ai parlamentari, dopo aver accennato che negli ultimi secoli milioni di persone sono giunte in terra americana per rincorrere il proprio sogno di costruire un futuro in libertà, ha invitato l’America a sognare il proprio avvenire; e a tale riguardo ha detto che una società politica ha futuro solo quando si sforza di soddisfare i bisogni comuni, stimolando la crescita di tutti i suoi membri, specialmente quelli in situazioni di maggiore vulnerabilità o rischio e quando sa andare avanti in uno spirito di fraternità e solidarietà, collaborando generosamente per servire e promuovere il bene della persona umana basato sul rispetto della dignità di ciascuno.
Parlando delle grandi sfide da affrontare e superare in questo nostro mondo di ingiustizie, di violenti conflitti, di odi e di brutali atrocità, il Papa ha toccato numerosi temi, dal corretto delle risorse naturali all’appropriata applicazione della tecnologia, allo spirito imprenditoriale, alla custodia del creato; ha auspicato l’abolizione della pena di morte e la fine del commercio delle armi; ha posto l’accento sull’importanza che sia ascoltata la voce della fede, che è una voce di fraternità e di amore, che cerca di far emergere il meglio in ogni persona e in ogni società.
E così ha concluso il suo discorso al Congresso: “Una nazione può essere considerata grande quando difende la libertà come ha fatto Lincoln; quando promuove una cultura che consenta alla gente di sognare pieni diritti per tutti come Martini Luther King ha cercato di fare; quando lotta per la giustizia e la causa degli oppressi, come Dorothy ha fatto col suo instancabile lavoro, frutto di una vita che diventa dialogo e semina pace nello stile contemplativo di Thomas Merton”.
Nella Messa, gremitissima di fedeli, nel Santuario Nazionale dell’Immacolata Concezione il Papa ha canonizzato un grande testimone della “Chiesa in uscita”, il francescano junipero Serra che fu massacrato nell’attuale California.
L’ultimo incontro del Papa a Washington è stato con un gruppo di 200 persone senza tetto, che il Santo Padre ha salutato con affetto, dicendo che niente giustifica la mancanza di una casa.
È quindi partito per New York, dove ha avuto particolare eco la visita all’ONU. Nel suo discorso il Papa ha indicato come priorità la salvaguardia dell’ambiente e la protezione dei deboli e dei poveri. Ha toccato i temi della guerra che è negazione di tutti i diritti, degli armamenti, del narcotraffico; ha reiterato i suoi appelli riguardo alla dolorosa situazione di tutto il Medio Oriente e di alcuni paesi dell’Africa, in cui i cristiani sono perseguitati e soffrono violenze.
Ha poi citato le parole finali del discorso all’ONU di Papa Paolo VI: “Il pericolo non viene né dal progresso né dalla scienza: questi, se ben usati, potranno anzi risolvere molti dei problemi che assillano l’umanità. Il pericolo vero sta nell’uomo, padrone di sempre più potenti strumenti, atti alla rovina e alle più alte conquiste. In una parola, l’edificio della moderna civiltà deve reggersi su principi spirituali, capaci, non solo di sostenerlo, ma altresì di illuminarlo e di animarlo”.
Il vertice del viaggio è stato la città di Philadelphia, dove il Papa, in un’atmosfera di calorosa accoglienza e di straordinario entusiasmo, ha concluso l’ottavo incontro mondiale delle famiglie, ragione principale che aveva motivato questo viaggio.
Nella veglia di preghiera del sabato sera e nella grande messa di domenica 27 settembre, chiusura dell’incontro mondiale delle famiglie, il Papa ha parlato della bellezza e dell’importanza della famiglia, scuola dove si apprende quel patrimonio di valori fondamentali che ognuno si porta sempre con sé nella vita. Tra le frasi incisive del Papa ne cito due: “Difendiamo la famiglia, perché lì si gioca il nostro futuro”. E “Dio conceda a tutti di essere profeti della gioia della famiglia e dell’amore della famiglia”.
Card. Giovanni Battista Re
"Puoi aver difetti, essere ansioso e vivere qualche volta irritato, ma non dimenticate che la tua vita è la più grande azienda al mondo. Solo tu puoi impedirle che vada in declino. In molti ti apprezzano, ti ammirano e ti amano. Mi piacerebbe che ricordassi che essere felice, non è avere un cielo senza tempeste, una strada senza incidenti stradali, lavoro senza fatica, relazioni senza delusioni. Essere felici è trovare forza nel perdono, speranza nelle battaglie, sicurezza sul palcoscenico della paura, amore nei disaccordi. Essere felici non è solo apprezzare il sorriso, ma anche riflettere sulla tristezza. Non è solo celebrare i successi, ma apprendere lezioni dai fallimenti. Non è solo sentirsi allegri con gli applausi, ma essere allegri nell'anonimato. Essere felici è riconoscere che vale la pena vivere la vita, nonostante tutte le sfide, incomprensioni e periodi di crisi. Essere felici non è una fatalità del destino, ma una conquista per coloro che sono in grado viaggiare dentro il proprio essere. Essere felici è smettere di sentirsi vittima dei problemi e diventare attore della propria storia. È attraversare deserti fuori di sé, ma essere in grado di trovare un'oasi nei recessi della nostra anima. È ringraziare Dio ogni mattina per il miracolo della vita. Essere felici non è avere paura dei propri sentimenti. È saper parlare di sé. È aver coraggio per ascoltare un "No". È sentirsi sicuri nel ricevere una critica, anche se ingiusta. È baciare i figli, coccolare i genitori, vivere momenti poetici con gli amici, anche se ci feriscono. Essere felici è lasciar vivere la creatura che vive in ognuno di noi, libera, gioiosa e semplice. È aver la maturità per poter dire: “Mi sono sbagliato”. È avere il coraggio di dire: “Perdonami”. È avere la sensibilità per esprimere: “Ho bisogno di te”. È avere la capacità di dire: “Ti amo”. Che la tua vita diventi un giardino di opportunità per essere felice ... Che nelle tue primavere sii amante della gioia. Che nei tuoi inverni sii amico della saggezza. E che quando sbagli strada, inizi tutto daccapo. Poiché così sarai più appassionato per la vita. E scoprirai che essere felice non è avere una vita perfetta. Ma usare le lacrime per irrigare la tolleranza. Utilizzare le perdite per affinare la pazienza. Utilizzare gli errori per scolpire la serenità. Utilizzare il dolore per lapidare il piacere. Utilizzare gli ostacoli per aprire le finestre dell'intelligenza. Non mollare mai... Non rinunciare mai alle persone che ami. Non rinunciare mai alla felicità, poiché la vita è uno spettacolo incredibile!"
La prima domenica dopo Natale si celebra la festa della Santa Famiglia e la liturgia ci fa subito incontrare con Gesù giovinetto, che con i genitori è in pellegrinaggio a Gerusalemme e con un ruolo che lo coinvolge in prima persona, insieme con Maria e Giuseppe. In questo fatto emerge bene il segno della profonda religiosità della Santa Famiglia, una famiglia reale, umile, ma dignitosa e soprattutto una famiglia consapevole della necessità di affidarsi al Signore, chiedendo col pellegrinaggio della fede la protezione divina.
Gesù stesso in quella occasione sorprende tutti perché mentre gli altri della carovana hanno già preso la via del ritorno egli è rimasto a Gerusalemme, a disputare con i dottori nel tempio. Emerge in quell’episodio la grande sapienza del dodicenne Gesù, ma anche la consapevolezza della missione non comune che gli si prepara davanti. La risposta brusca ai genitori preoccupati fa comprendere da un lato il grande senso di responsabilità di Maria e Giuseppe verso quel figlio, ma dall’altro anche la coscienza che bisogna aprirsi al mistero e dare al figlio la possibilità di rispondere alla chiamata più alta del Padre suo. Il ritorno a Nazaret non dice di un Gesù ribelle ai genitori, ma lo mostra invece capace di ubbidienza, di ascolto e maturazione verso l’età adulta, preparata dall’educazione dei genitori e raggiunta corrispondendo all’azione divina, come vuole il suo crescere “in sapienza, età e grazia”.
Ora alcune considerazioni si possono fare pensando al rapporto tra i genitori di Gesù ed il loro figlio, rapporti che possono certo illuminare l’azione di tanti papà, mamme e figli anche oggi.
Maria e Giuseppe conducono Gesù a Gerusalemme in pellegrinaggio esprimendo concretamente il senso ed il valore della religiosità famigliare. In famiglia infatti si devono trasmettere le verità della fede, si devono insegnare gli atti della fede, si deve poter fare esperienza di affidamento e di risposta al Dio che possiede la nostra vita. Gesù che discute con i dottori al tempio mostra una conoscenza profonda delle verità divine ed una famigliarità tale da permettergli di parlare liberamente con i sapienti del tempio. Quello che egli intesse è una specie di dialogo catechistico, dove ciò che gli è stato insegnato e che ha imparato in famiglia, viene verificato nel dialogo franco ed aperto con chi si presumeva ne sapesse di più.
Dopo il ritrovamento da parte dei genitori del dodicenne Gesù, la sua risposta alla madre lascia intendere che Egli ha una vocazione a cui dare risposta, come ce l’hanno i genitori verso di lui, una vocazione che rimane la stessa per Maria e Giuseppe, ma che cambia nelle forme man mano che Gesù cresce in età, sapienza e grazia.
Cosa ci suggerisce questo quadro famigliare?
Anzitutto la cura integrale dei genitori verso Gesù. Non è cresciuto solo perché hanno nutrito il suo corpo, ma anche perché hanno nutrito la sua mente e la sua anima, trasmettendo i fondamentali valori della vita e della fede. Fa riflettere invece il vuoto presente in tantissime famiglie dove la cura dei figli si esaurisce nel dare loro cibo abbondante, vestiti alla moda, distrazioni sportive senza limiti, oggetti di alta tecnologia compensativi di altre mancanze, pensando che questi figli siano dei come dei contenitori porta giocattoli da riempire, piuttosto che scrigni misteriosi dai quali far emergere le gemme più preziose.
Riguardo alla fede poi, c’è un generale imbarazzo nei genitori, non solo quando tradizionalmente inizia la preparazione catechistica dei nostri ragazzi, ma anche sulla reale importanza da dare alla comunicazione della fede ai figli. In moltissimi genitori sembra evidente la scarsa, se non la assoluta irrilevanza del fatto religioso, per sé stessi e di conseguenza anche per i figli. Ciò che ne viene è la trascuratezza nel trasmettere le fede in famiglia, nell’insegnare la preghiera ai figli, nello spiegare la necessità della partecipazione alla celebrazione dei sacramenti, Eucarestia e Confessione soprattutto, e poi la paura di fronte a domande circa la morte, la vita eterna, il paradiso, l’inferno.
Gesù che discute con i dottori del tempio mostra un dodicenne capace di tenere banco con gli esperti delle Scritture. Certo i nostri ragazzi mai potrebbero competere con Gesù, non tanto perché non sia data loro la possibilità, quanto per l’ignoranza della fede, che invece di sciogliersi pare accumularsi nel corso degli anni del catechismo, sintomo drammatico e preoccupante della scarsa incisività della catechesi che si attua nelle nostre parrocchie. Bisogna prendere coscienza che la fede non si conosce sui libri, ma nell’esperienza viva delle persone che si propongono come guide, siano esse catechisti, sacerdoti, religiosi o laici, genitori e famigliari dei nostri ragazzi compresi.
Il catechismo nella mentalità di troppi si è ridotto a comunicazione di nozioni e molti genitori, che non vogliono sia più di questo, trascurano volutamente la parte liturgico celebrativa della catechesi cioè la Messa e la parte operativa delle scelte di vita concrete, cioè la morale, insegnata ai propri figli con convinzione. Ma se la comunicazione della fede è questo allora tutto crolla appena si spegne il sentimentalismo che accompagna la celebrazione dei sacramenti più importanti.
Non è il sentimento che fa attivo un sacramento, ma la coscienza che in esso agisce la Grazia di Dio che nutre e mantiene in vita la nostra fede. Eppure molti sembrano ciechi o indifferenti a questo, ma la realtà è sotto gli occhi di tutti e a nulla valgono i piagnistei sul fatto che i nostri ragazzi non vengono più a Messa e abbandonano la fede, perché la verità è che la fede non l’hanno mai ricevuta, né nelle nostre famiglie e neppure nelle aule di catechismo delle nostre parrocchie.
E il ritorno a casa dopo il pellegrinaggio a Gerusalemme lascia intravedere in Maria e Giuseppe una sorta di smarrimento interrogativo, quasi che si chiedessero tra loro due “...e adesso cosa facciamo con questo figlio…” una domanda che non so se i genitori delle nostre parrocchie si sono mai posti seriamente con i propri figli. Si sono mai chiesti papà e mamme di fronte a questi ragazzi che crescono e sembrano rivoltarsi davanti ad ogni cosa che sembrava certa, “cosa dobbiamo fare per il bene di questo nostro figlio…”? Quali risposte alle loro provocazioni hanno ricevuto questi figli?
Mi sa che sono poche, perché è sotto gli occhi di tutti che per evitare lo scontro o per l’incapacità a sostenere un dialogo alla pari, su cose veramente serie, tantissimi genitori hanno lasciato le briglie sciolte ed abbandonato a se stessi i figli proprio nel momento in cui loro cercavano un freno alla esuberanza della crescita. Sono caduti così ad uno ad uno tutti i punti fermi che a parole sembravano incrollabili ed il primo a cadere è stato proprio l’impegno riguardo alla fede. Non ho mai visto un genitore che a fronte di tante imposizioni e costrizioni diverse, abbia insistito un po’ più che blandamente sulla fedeltà agli obblighi legati ai sacramenti, chiesti e pretesi per i figli, senza però crederci loro stessi per primi.
È la grande menzogna di tanti adulti che finché hanno avuto i figli piccoli si sono adattati a malincuore, non aspettando altro che gli anni del catechismo finissero, per fare poi quello che gli pareva, finalmente liberi. Così si esprimono tante mamme al bar, mentre aspettano che il figlio esca dalla Messa.
Povera Santa Famiglia, hai avuto la grazia di ricevere in dono Gesù stesso, ma non sei più certamente un modello di riferimento, anzi non seguire il tuo esempio appare un punto a favore dell’essere moderni, un vanto per i genitori di oggi. Nessuno credo voglia il male dei propri figli, ma stante così le cose che “Dio abbia misericordia di noi” per il futuro.
Don Francesco
Cüntòmela PER RIFLETTERE
Dio o niente è il titolo del libro-intervista del cardinale africano Robert Sarah uscito in Italia a settembre, in cui egli risponde alle tante domande del giornalista francese Nicolas Diat sui principali temi della fede cattolica, della crisi che la stessa fede sta attraversando e del suo futuro. Con chiarezza, umiltà e spiritualità il cardinale esprime il nocciolo del suo pensiero, che ciò possa dare fastidio o meno a chi legge. In ogni caso, fa nascere un sacco di domande! Un libro “graffiante, commuovente, tonificante”. Se volete approfondire, vi lascio alla lettura della recensione di Francesco Agnoli, che ho trovato, dopo aver letto il libro, chiara ed illuminante.
Emilia
Robert Sarah è un cardinale africano particolarmente stimato da Benedetto XVI ed anche da papa Francesco, che infatti lo ha nominato prefetto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti il 3 novembre 2014.
Oltre ai temi, il libro incuriosisce anche per lo stile, dove si ha davvero la percezione, come scrive il giornalista francese che lo ha intervistato, Nicolas Diat: «… di trovarsi al cospetto di un uomo di Dio». Non un manifesto di un esponente di spicco fra gli ecclesiastici africani, fautori dell’indissolubilità matrimoniale e avversi al gender, bensì l’aspetto, l’atteggiamento, il parlare, di un uomo libero, che si misura con la verità del Vangelo e del magistero, e non con i calcoli del mondo.
Ciò che dice Sarah, è anzitutto, che la fede non è negoziabile: tutto sta o cade sulla nostra fede in Cristo. “Dio o niente”, può anche essere sviluppato ulteriormente: “Dio, o tutto, o niente. Non si prende a pezzi”. É il principio delle fede in se stessa. O ci fidiamo di Lui, o non ci fidiamo. O crediamo che la sua verità e il suo amore ci salvino, o non ci crediamo. Le vie di mezzo non sono possibili. Non lo sono, almeno, nei momenti decisivi, in quelli delle scelte difficili, importanti.
Un figlio, o lo si ama, o non lo si ama. Se lo sia ama a giorni, se lo si ama quando si comporta in un certo modo, e non in un altro, allora non lo si ama davvero. Così la moglie, gli amici… Così Dio.
L’ottica con cui Sarah argomenta è quella di un cristiano africano. Sarah non appartiene alla vecchia Europa, un tempo cristiana, ed oggi impegnata a smontare, pezzo per pezzo, la sua storia e la sua fede, ponendo qualcosa in soffitta, con cautela e un po’ di finto riguardo, e buttando altro, con rabbia, nell’immondizia. Appartiene ad un Continente che ha cominciato a conoscere il cristianesimo solo poche decine di anni fa, soprattutto grazie ad un santo italiano, Daniele Comboni. Lì la Chiesa assomiglia a quella dei primi secoli: cresce, conquista spazi, mossa dall’entusiasmo dei nuovi adepti. L’africano che si avvicina a Cristo vede in lui, come i pagani romani, un Liberatore, dalla paura dell’astrologia e della magia, dalla paura dei morti che ritornano, dei riti tenebrosi che ancora caratterizzano molta religiosità africana.
Cristo, figlio di Dio, fratello degli uomini, è una rivelazione impetuosa, per chi ha sempre concepito la divinità come una forza capricciosa, minacciosa, incomprensibile, vendicativa. E poi gli africani toccano con mano gli effetti liberanti dell’insegnamento di Cristo: della sua idea di perdono e di fratellanza, in un Continente di lotte tribali e di vendette simili alle antiche faide; della sua idea di famiglia, in un paese in cui la donna è stata spesso trattata, come scriveva Daniele Comboni, come una pecora da comperare o da vendere, e l’uomo ha concepito per millenni la sua mascolinità come licenza e potere, invece che come servizio. Sarah lo fa capire chiaramente: il matrimonio indissolubile è in Africa un grande, irrinunciabile, annuncio, perché propone apertamente l’alleanza tra l’uomo e la donna, valorizzando la donna e responsabilizzando l’uomo; perché dice ad entrambi che sono fatti per l’amore, l’amore vero, l’amore fedele, e che ciò è possibile.
Le società che hanno futuro sono quelle che credono, amano e sperano. Non quelle impegnate a demolire l’idea stessa della possibilità dell’amore, della fedeltà, della costanza. Sono quelle in cui i legami buoni sono riconosciuti come tali, indicati, auspicati, cercati.
Sarah, inoltre, non vuole assolutamente omettere di ricordare tutta intera la grandezza del messaggio evangelico: messaggio di Verità, perché la Verità è la prima Carità; messaggio di Carità, perché la Verità esiste davvero solo nell’Amore, nella delicatezza, nel suo ancoraggio ad un Dio che è insieme, appunto, Logos ed Amore.
Qual è, infatti, la tentazione del cristiano occidentale? Svendere passo passo la fede, i suoi contenuti, di fronte alla corrosione esercitata della cultura dominante. E questa svendita, questo graduale disarmo, questo adeguarsi alla mentalità mondana, è bene presentarlo, a sé, agli altri, con un bel vestito: non come un cedimento, una mancanza di fiducia, ma come un aggiornamento; come fosse dettato non dalla disperazione, dalla sfiducia, ma dalla misericordia, dalla tolleranza, dalla “apertura”.
Misericordia è educare, perdonare, curare, rialzare, con carità ammonire e rimproverare; è sia curare, che prevenire; sia curare, che, poi, rimettere in piedi. Sarah, come in generale gli africani, lo ha chiaro nella testa, perché la società africana lo mostra con evidenza: c’è, in quel grande Continente, un mondo di povertà, di poligamia, di aids, di bambini orfani, di stregoneria, di vendetta… e c’è un mondo di giovani che abbandonano le superstizioni e la poligamia dei padri, che percepiscono l’amore di Cristo, che trattano da mogli le loro donne e che a differenza degli antenati non fanno figli, destinati a rimanere orfani, al di fuori del matrimonio (cioè dell’istituzione che, più di ogni altra, cura ogni giorno gli egoismi dei coniugi e l’istintività dei figli, e curando educa alla generosità e al sacrificio, all’amore e al perdono, alla fiducia e alla pazienza…).
Questi due mondi, entrambi vivi e presenti in Africa, richiamano l’opera che la Chiesa ha svolto per secoli: educazione e cura; predicazione e confessione.
La Chiesa è stata, in Europa, la madre delle scuole e la madre degli ospedali, e ha dato il meglio di sé in quelle grandi figure di santi della carità e di santi dell’educazione, che insegnano proprio a conciliare Verità ed Amore.
Di qui passa la sempre più forte crescita dei cristiani in Africa. Dalla consapevolezza che vi sono nel contempo orfanotrofi da costruire, fallimenti da curare, e nuove generazioni a cui indicare un nuovo modo di vivere, un modo di vivere più felice perché più conforme alla “buona novella”.
E in Europa? Da noi non c’è l’avventura esaltante di una civiltà in costruzione, ma quella deprimente di una civiltà in decomposizione. Per questo sembra a taluni, erroneamente, che sia ormai possibile un solo mondo: quello che ha preso la direzione della religione fai da te, del Gesù Cristo al massimo interessante filosofo, del divorzio breve, del matrimonio gay, e dell’utero in affitto…
Se così è, sostiene qualcuno, la buona novella non è più annunciabile, non è più possibile, non è più credibile… flettiamola, modifichiamola, adattiamola al mondo. Saltiamo sul carro dei vincitori. Ma così, direbbe il cardinal Sarah, nel suo libro tutto da leggere, non solo non si curano i malati; non solo non si educano le nuove generazioni ai grandi ideali del Vangelo, ma si dimentica che il diffondersi della buona novella sta anche nella fede in essa che hanno coloro che ne sono portatori ed interpreti.
In fondo sta tutto qui. Nel credere davvero che la buon novella è vera; nel credere che è per il bene di tutti; nel credere che è possibile, nei limiti della miseria umana, viverla e comunicarla, anche nell’Europa post-cristiana di oggi.
Ai tempi dell’antica Roma l’abbondanza dei divorzi e dei ripudi, il numero altissimo di infanticidi, la decadenza dei costumi… non spinsero gli apostoli ad accomodare il Vangelo, ma a viverlo così intensamente, da cambiare, piano piano, ogni cosa.
F. Agnoli
Cüntòmela PER RIFLETTERE
Come non condividere queste riflessioni di Mario Adinolfi sui fatti di Parigi. Ben lontano dal fomentare avversione e ostilità contro il mondo islamico, Adinolfi pone noi occidentali e in gran parte ex credenti di fronte al problema della inconsistenza della moderna proposta culturale e al problema dello svuotamento dei valori religiosi fondanti la nostra millenaria civiltà, che ha come conseguenza il diventare la nostra Europa terra da conquistare dall’interno con il diritto e da convertire dall’esterno con la violenza all’Islam. Il dato più preoccupante è la lettura “politicamente corretta” che da noi si dà agli eventi. Tutto ciò implica un “non voler pensare” nel senso di non voler riflettere e capire in profondità lo stato delle cose, condannandoci all’inerzia, al chiacchiericcio, o peggio ancora a risposte violente che non sono diverse da quelle degli aggressori. Allora o capiamo o comunque moriamo.
Don Francesco
Sui fatti di Parigi la lettura obbligatoria del politicamente corretto è: con quanto è avvenuto l’Islam non c’entra niente, non bisogna ragionare sul piano religioso, non è una guerra di civiltà, sono solo dei pazzi criminali che operano dentro una guerra di natura ideologica, politica, economica, noi alla fine vinceremo perché siamo il bene che contrasta il male.
Ecco. Tutto questo, tutto quello che vi stanno tentando di inculcare in testa attraverso questa lettura tranquillizzante, è falso. L’Islam c’entra e eccome se c’entra, quelli sono assassini ma non pazzi, uccidono e si fanno uccidere nel nome di un progetto religioso: imporre l’Islam e il Califfato islamico ovunque assoggettando o eliminando gli “infedeli”. Ideologia, politica ed economia sono conseguenze di questa premessa religiosa che individua nei “crociati” i nemici da uccidere e in Roma il prossimo territorio da mettere a ferro e fuoco, per ragioni appunto religiose. Roma sarà colpita come capitale della cristianità (è indicata esplicitamente come obiettivo nella rivendicazione dei fatti francesi) così come Parigi viene colpita in quanto “capitale della perversione” e ancora una volta tutto questo è dentro un impianto di natura religiosa. E questa guerra viene combattuta tutta soprattutto dentro l’Islam per raggiungere un’egemonia che il Califfato vuole conquistare presentando come biglietto da visita la violenza più efferata ed efficace contro i “crociati”, in maniera da sollevare le masse islamiche contro l’Occidente e contro i nemici interni all’Islam stesso, facendo di Al Baghdadi, il capo dell’Isis il punto di riferimento religioso (e di conseguenza anche politico ed economico) di un territorio sconfinato che è l’erigendo Stato Islamico.
Stiamo comprendendo queste dinamiche? Abbiamo il coraggio di fare un’analisi politicamente scorretta della natura stessa della religione islamica? Sappiamo che il Corano come Libro Sacro direttamente dettato da Allah attraverso l’Angelo al Profeta non è interpretabile ma solo applicabile fondandosi sulla lettura letterale e questo dà formidabile forza agli imam che predicano l’odio e la jihad come guerra “santa” contro gli infedeli?
Ovviamente centinaia di milioni di islamici vogliono solo vivere in pace, sono “moderati” come piace dire agli analisti del politicamente corretto. Ma avete sentito voci della predicazione islamica levarsi contro gli attentati di Parigi? Abbiamo sentito un Papa Francesco incredulo, con la voce rotta. Vi ricordate parole analoghe provenienti da qualche imam? Sotto la cenere del mondo islamico cova un sentimento anti-occidentale fortissimo.
I nostri valori non sono i loro valori. Li contestano. Li disprezzano. Alcuni, li odiano. E poi, quali valori? Per che cosa e per chi noi saremmo disposti a morire? Abbiamo preso un crocifisso e l’abbiamo immerso nel piscio e abbiamo detto che è opera d’arte, e tutta la cultura ad applaudire il segno della modernità. Ad una scuola è stato vietato di andare a una mostra sulla “bellezza divina” per non “turbare i non cattolici”.
La nostra libertà, unica trave a cui rimaniamo appesi quando ci chiedono in che valori crediamo, è diventata una sorta di licenza di fare un’idiozia dopo l’altra, non capendo che abbiamo bisogno di un orizzonte di senso, altrimenti il bacio diabolico ci travolgerà davvero. O capiamo o moriamo.
Capire vuol dire spingere l’Islam verso quel territorio di incontro con la ragione che sta caparbiamente rifiutando. Significa ripartire dal contrastatissimo discorso di Papa Benedetto XVI a Ratisbona, che invece era un discorso profetico: l’Islam deve seguire il percorso già compiuto dal cristianesimo, che non ha temuto la sfida della modernità, dell’illuminismo, della ragione.
L’ha raccolta e anche attraverso di essa ha saputo rafforzarsi, rinunciando per sempre a coltivare qualsiasi opzione di natura violenta e diventando punto di riferimento per l’uomo alla ricerca di armonia e pace.
Certo un Occidente totalmente scristianizzato, che perde il rispetto per i propri stessi valori fondanti, che non riesce neanche a determinare i contorni della propria identità è un avversario che sarà travolto dal ferro e dal fuoco di una marea montante di giovani che hanno in odio la nostra opulenza e la nostra mancanza di coraggio.
A Parigi c’è chi risponde suonando Imagine di John Lennon per strada al pianoforte, una canzone che inneggia alla cancellazione delle religioni. Non abbiamo veramente capito. Proprio di religione dovremmo oggi parlare, del rapporto tra io e Dio. Tutto il resto, le nostre chiacchiere, la nostra paccottiglia ideologica fatta di canzonette e falsi miti di progresso, la nostra colossale incapacità di comprendere il sacro e dunque anche di vedere quanto un fenomeno di incredibile crudeltà è intessuto di motivazioni religiose, insomma la nostra ormai consolidata inabilità a analizzare e capire, rischia di condannarci sul serio. Allora o capiamo o moriamo.
Mario Adinolfi - La Croce quotidiano.it
Cüntòmela PER RIFLETTERE
Nel primo articolo intitolato Cristologia mi sono soffermato sul “fascino di Gesù” (vedi Cüntòmela Estate 2015). In questo secondo articoletto di Cristologia, vorrei mettere in risalto un altro aspetto del fascino di Gesù: la sua potenza.
Gesù ha ricevuto ogni potere nei cieli, sulla terra e sotto terra dal Padre, il Dio Onnipotente che “opera tutto ciò che vuole” (Sal.115, 3; Es 46,10). Il Nuovo Testamento narra quel dispiegamento della potenza di Dio in Gesù che opera miracoli che lo accreditano (At,2,22). In effetti, la potenza di Gesù mira alla felicità dell'umanità. Ecco alcuni degli aspetti maggiori della potenza di Gesù.
Le opere della potenza di Gesù si manifestano...
Primo: nell'eliminazione della sofferenza e della malattia attraverso i miracoli e le guarigioni. Attraverso l'azione e la parola di Gesù, il lebbroso viene risanato e purificato (Mt 8,2-3;Mc 1,41), “il flusso di sangue di una donna che soffriva di emorragia da dodici anni, e che nessuno era riuscito a guarire, si fermò” (Lc 8,44).
Secondo: nella dominazione sulle forze demoniache e sulla morte. Con la forza di Gesù il figlio di un centurione romano, Lazzaro, la figlia della donna cananea e la figlia di Jairo resuscitano (Mt 9,18-26; Lc 7,1-10; 15,21-28; Gv 11,17-27; 11, 1-44; Mt 15,21-28).
Terzo: Gesù opera esorcismi. Il Nuovo Testamento descrive episodi dove Gesù detronizza le potenze delle tenebre e caccia via i demoni: “i demoni si sottomettono” a Lui (Col2,15; Mt 12,28); Mc 1,32-34; Lc 4,40-41; Lc 10, 17-18). Satana ha paura di Gesù, come nell'episodio del posseduto e i porci ( Mc 5,1-20; Mt 8,28-34; Lc 8.26-39). Gli evangelisti scrivono che dal corpo di Gesù e dai suo vestiti emana una potenza. A toccarli le persone guariscono (Mt 14, 36; Mc 6,56).
Quarto: Gesù padroneggia le forze della natura. La potenza di Gesù si dispiega inoltre nel suo camminare sulle acque (Mt 14,22-31; Mc 6,48), nel placare la tempesta e i flutti furiosi del lago (Lc 8,24; Mt 8,23.27). Con la potenza della sua parola, il fico viene subito seccato (Mc 11,12-25; Mc 11,20-21.Mt 21,19) e i pani si moltiplicano all'infinito (Mc 8,1-10; Mt 15,32-39).
Quinto: Gesù regna sul cuore e sulla coscienza dell'uomo. La potenza di Gesù si manifesta nel rimettere i peccati per rendere l'uomo giusto e buono (Mt 9,5-7). Gesù santifica e purifica il cuore dell'uomo avvelenato con il male. Il Nuovo Testamento racconta come Gesù abbia cambiato il cuore, la coscienza e tutta l'esistenza di Zaccheo il ladro, di Pietro il traditore, di Saulo il persecutore dei cristiani e del violento soldato romano che era sotto la croce di Gesù.
Questi cinque esempi dimostrano che Gesù è veramente potente. Nessuna potenza resiste a Lui. Quelli che credono in Lui, che si fidano di Lui, sono benedetti; ricevono forza e potenza per affrontare con determinazione ogni momento di oscurità, di imbarazzo, di sconforto. Gesù è all'opera, ieri, oggi e domani. “Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine dei tempi” (Mt. 28,20).
Don Ilario Berri
Cüntòmela PER RIFLETTERE
L'Anno Santo della misericordia è un grandioso dono di Papa Francesco alla Chiesa; un dono che è stato accolto nel mondo con entusiasmo e che è destinato a portare pace, serenità e gioia a tante anime. È una chiamata all'incontro con la misericordia di Dio e, in pari tempo, è invito a lasciare le strade del male per intraprendere le vie della conversione del cuore e dell'impegno per il bene.
Il Giubileo, pertanto, anche se sarà caratterizzato da grandi pellegrinaggi con ampia risonanza, è un fatto soprattutto dell'anima e del cuore di ogni persona: esso mira ad un profondo rinnovamento spirituale, che porterà anche una ripresa di maggior giustizia, solidarietà e reciproco aiuto nella società civile.
Con questa iniziativa Papa Francesco pone al centro dell'attenzione di tutti il volto misericordioso di Dio, che ci ama e che, proprio perché ci vuole bene, è sempre disposto a perdonarci, purché da parte nostra ci sia il pentimento per il male compiuto e la volontà di cambiare. Il Giubileo è, di conseguenza, anche una chiamata a ritornare sulla strada che conduce a Dio, nostro Creatore e nostro Padre, in questo nostro tempo in cui Dio occupa poco posto nei pensieri e nei cuori umani.
L'intenzione di Papa Francesco si collega idealmente alla tanto apprezzata intuizione del Papa San Giovanni XXIII, che nel discorso di apertura del Concilio Vaticano II affermò che la Chiesa preferisce usare “la medicina della misericordia più che le armi della severità”. E si riallaccia anche al Beato Paolo VI che, nell'omelia di chiusura del medesimo Concilio, parlò di una corrente di affetto e di ammirazione riversata dal Concilio sul mondo, al quale aveva rivolto messaggi di fiducia e di speranza, auspicando il rinnovamento della vita cristiana e della società.
Come data di inizio dell'Anno Santo è stata scelta la solennità dell'Immacolata, 8 dicembre 2015, affinché il Giubileo incominci sotto lo sguardo e la protezione della Beata Vergine Maria; ma tale data intende anche fare memoria del 50° anniversario di chiusura del Concilio Vaticano II, connettendo così il Giubileo con il Concilio ed esprimendo un appello ad un rilancio del cammino di evangelizzazione indicato da quell'importante evento ecclesiale.
La misericordia – che, come afferma la Bolla di indizione di questo Anno Santo straordinario, è l'architrave della vita della Chiesa – sarà al centro dell'intero anno e ne dominerà l'orizzonte.
La misericordia divina è il volto che prende l'amore di Dio quando deve misurarsi con la miseria umana, con la sofferenza e col peccato ed è dettata dalla fedeltà di Dio al suo grande amore per l'uomo. Essa esprime “il comportamento di Dio verso il peccatore, offrendogli un'ulteriore possibilità di ravvedersi, convertirsi e credere” (Misericordiae vultus n. 21). E la confessione va vista come un incontro col Padre che perdona.
Dio non abbandona nessuno, ma dà ad ognuno l'opportunità di un nuovo inizio, se è disposto a cambiar vita e a chiedere nella preghiera l'aiuto di Dio. La misericordia di Dio è infinita; è senza confini; cerca tutte le vie per venirci incontro e per salvarci, ma Dio rispetta sempre la libertà umana. Per la natura stessa del rapporto di amore che Dio vuole avere con ogni uomo e ogni donna, la infinita misericordia divina esige la cooperazione della libertà umana. L'amore che perdona si ferma alla porta di ogni cuore umano e attende due atti liberi da parte dell'uomo e della donna: il riconoscimento della propria condizione di miseria morale (è il pentimento) e la volontà di non compiere in futuro ciò che non è giusto (è il proposito).
E così la misericordia, concessa gratuitamente da Dio, esige come risposta un reale cambiamento di rotta e un rinnovamento della propria vita.
La misericordia è una dolcissima verità che sta al centro del Vangelo. È la parola chiave della Sacra Scrittura per indicare l'azione di Dio verso di noi. La misericordia non si oppone alla giustizia e non copre le ingiustizie, ma va oltre la giustizia e la supera: condanna il peccato, ma giustifica il peccatore. Certamente la giustizia è fondamentale ed è un'esigenza particolarmente avvertita dalla sensibilità odierna, tanto attenta ai diritti, ma la giustizia non basta: c'è bisogno anche dell'amore, che si fa misericordia e perdono.
Papa Giovanni XXIII ha scritto nel suo “Giornale dell'anima” che la misericordia “è la più bella proprietà di Dio”, il Quale – come dice un Oremus – manifesta la sua onnipotenza soprattutto perdonando.
Il Giubileo sarà un incoraggiamento e un aiuto per una forte presa di coscienza da parte di tutti del dovere di chiedere perdono a Dio e, insieme, dell'impegno di fare circolare la misericordia nel perdonarci a vicenda. Il perdono che si riceve come dono di Dio impegna a donare il perdono al prossimo, inteso come fratello da amare e verso il quale essere misericordiosi.
Il Giubileo sarà anche un chinarsi della Chiesa sui dolori e sulle miserie del mondo, aprendo il cuore verso quanti vivono nelle varie periferie esistenziali, cariche di sofferenze e, a volte, in condizioni drammatiche. È vivo desiderio del Papa, infatti, che il popolo cristiano, durante l'anno giubilare, riscopra e metta in pratica le opere di misericordia corporali e spirituali.
L'indulgenza giubilare si potrà acquistare non soltanto venendo in pellegrinaggio alle Basiliche maggiori di Roma, ma in ogni diocesi del mondo. Il Papa ha disposto che l'Anno Santo della Misericordia sia celebrato in tutte le Chiese locali, andando in pellegrinaggio sia alla chiesa cattedrale sia a quelle chiese e santuari indicati da ogni Vescovo, nell'ambito della propria giurisdizione, come mete dei pellegrinaggi giubilari.
Nella Diocesi di Brescia la Porta Santa, cioè la porta della Misericordia, sarà quella della cattedrale, ed esattamente quella a sinistra guardando la facciata.
Nel territorio bresciano sono poi state scelte come “chiese giubilari” – cioè preposte alla preghiera personale e comunitaria, con possibilità di confessarsi e ottenere l’indulgenza giubilare – le seguenti chiese: l’Eremo di Bienno (Valcamonica), il santuario della Madonna della Misericordia di Bovegno (Val Trompia), il santuario della Madonna di Valverde di Rezzato, la chiesa di san Bernardino a Salò, la chiesa dell’Abazia di Rodengo Saiano, il santuario della Madonna delle Grazie e la chiesa di san Francesco a Brescia, il duomo di Montichiari e il santuario della Madonna della Stella a Bagnolo.
Per la prima volta nella storia, in ciascuna diocesi vi sarà la porta della misericordia, attraverso la quale sono invitati a passare i pellegrinaggi e le singole persone che desiderano ottenere l'indulgenza giubilare.
Tale porta resterà aperta fino al 20 novembre del 2016, domenica di Cristo Re e conclusione dell'anno liturgico, per dare a tutti i fedeli del mondo la possibilità di vivere il percorso giubilare, fonte di riconciliazione e di pace.
L'augurio è che ogni cristiano possa riscoprire e sperimentare nel suo cuore quale inesauribile sorgente di gioia e di pace sia la tenerezza di Dio. Il sentirsi in pace con Dio e da Lui amati è una forza che aiuta a superare le difficoltà che mai mancano e permette di godere serenamente le gioie della vita.
Card. Giovanni Battista Re
Cüntòmela PER RIFLETTERE
Il Giubileo che prende inizio il prossimo 8 dicembre, solennità dell'Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria, sarà caratterizzato dalla misericordia. Papa Francesco così si esprime nella Bolla d'indizione del Giubileo Misericordiae Vultus (MV): “Abbiamo sempre bisogno di contemplare il mistero della misericordia. È fonte di gioia, di serenità e di pace. È condizione della nostra salvezza”.
Dunque, la misericordia al centro! Ma che cos'è la misericordia? Dobbiamo notare come questa parola sia diventata “di moda”. Non c'è discorso, pronunciato da qualsiasi pulpito o da qualsiasi cattedra, che non contenga la parola misericordia; e sicuramente anche nei nostri colloqui quotidiani non manchiamo di parlarne. La troppa abitudine con la misericordia rischia, però, di far perdere o ridurre il suo vero significato.
L’enciclopedia filosofica così la definisce: “misericordia = virtù consistente in una determinazione specifica dell’amore, comprensiva di un momento passivo (compassione), nel quale la miseria altrui arreca tristezza al cuore, e di un momento attivo (beneficenza), nel quale ci si adopera per ottenere l’eliminazione della miseria compatita”. Questa definizione mette in luce i tre elementi fondamentali della misericordia: il cuore, il movente, l'azione. L’amore è la sorgente, la miseria il movente, l’azione impedisce le derive della verbosità e del sentimentalismo.
Bisogna stare molto attenti a non considerare la misericordia semplicemente come una realtà interiore, limitata alla pietà o alla compassione verso chi si trova in una situazione di difficoltà o di disagio.
La misericordia non è mai una virtù passiva, ma attiva. In questo ragionamento ci viene in aiuto la Sacra Scrittura, per la quale la misericordia la si fa: “Il Signore libera i prigionieri, il Signore ridona la vista ai ciechi, il Signore rialza chi è caduto, il Signore ama i giusti, il Signore protegge i forestieri, egli sostiene l’orfano e la vedova, ma sconvolge le vie dei malvagi” (Ps. 146,7-9); o ancora: “Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nàzaret, il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui” (At 10,38).
E le opere di misericordia (sette corporali e sette spirituali) ci invitano ad andare in questa direzione.
Misericordia è l’altro nome di Dio. Giovanni Paolo II ha scritto tre encicliche per evocare i nomi e i ruoli delle persone della Trinità. Per Dio Padre ha scelto il titolo Dives in misericordia, ricco di misericordia, pronto a perdonare ogni colpa senza limiti di tempo e di misura.
E sempre papa Francesco afferma: “Dio sarà per sempre nella storia dell’umanità come Colui che è presente, vicino, provvidente, santo e misericordioso” (MV, 6).
Nell’insegnamento di Gesù la misericordia non è solo l’attributo divino per eccellenza, ma anche la regola d’oro del discepolo (e quindi, della Chiesa). San Luca trasforma il detto di San Matteo “essere perfetti come il Padre celeste” in “siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso”. “La Chiesa ha la missione di annunciare la misericordia di Dio, cuore pulsante del Vangelo, che per mezzo suo deve raggiungere il cuore e la mente di ogni persona. La Sposa di Cristo fa suo il comportamento del Figlio di Dio che a tutti va incontro senza escludere nessuno” (MV, 12).
don Simone
Cüntòmela PER RIFLETTERE
Signore Gesù Cristo,
tu ci hai insegnato a essere misericordiosi
come il Padre celeste,
e ci hai detto che chi vede te vede Lui.
Mostraci il tuo volto e saremo salvi.
Il tuo sguardo pieno di amore liberò Zaccheo e Matteo dalla schiavitù del denaro;
l'adultera e la Maddalena dal porre la felicità
solo in una creatura;
fece piangere Pietro dopo il tradimento,
e assicurò il Paradiso al ladrone pentito.
Fa' che ognuno di noi ascolti come rivolta a sé la parola che dicesti alla samaritana:
Se tu conoscessi il dono di Dio!
Tu sei il volto visibile del Padre invisibile,
del Dio che manifesta la sua onnipotenza
soprattutto con il perdono e la misericordia:
fa' che la Chiesa sia nel mondo il volto visibile di Te,
suo Signore, risorto e nella gloria.
Hai voluto che i tuoi ministri fossero
anch'essi rivestiti di debolezza
per sentire giusta compassione per quelli
che sono nel l'ignoranza e nell'errore;
fa' che chiunque si accosti a uno di loro
si senta atteso, amato e perdonato da Dio.
Manda il tuo Spirito e consacraci tutti con la sua unzione
perché il Giubileo della Misericordia
sia un anno di grazia del Signore
e la sua Chiesa con rinnovato entusiasmo
possa portare ai poveri il lieto messaggio,
proclamare ai prigionieri e agli oppressi la libertà
e ai ciechi restituire la vista.
Lo chiediamo per intercessione di Maria
Madre della Misericordia
a Te che vivi e regni con il Padre e lo Spirito Santo
per tutti i secoli dei secoli.
Amen
Cüntòmela PER RIFLETTERE
Il nostro vescovo Luciano ci invita a tenere presenti alcuni aspetti fondamentali per vivere al meglio il Giubielo della Misericordia:
- Il pellegrinaggio sia soprattutto un “pellegrinaggio spirituale della misericordia”.
- Il Giubileo sia un’occasione particolare per richiamare e far rivivere le opere di misericordia corporale e spirituale.
- Secondo l’indicazione della Presidenza del “Pontificio Consiglio per la promozione della Nuova Evangelizzazione”, la Porta della misericordia sarà unica anche nella nostra Diocesi e sarà quella della Cattedrale. Essa verrà aperta domenica 13 dicembre 2015 alle ore 18,30 e rimarrà aperta fino alla fine del Giubileo, il 20 novembre 2016.
- In ogni macrozona (cioè, un insieme di più zone pastorali) sono state individuate una o due “chiese giubilari”. Queste non vanno viste come luogo di pellegrinaggio (riservato alla Porta della misericordia in Cattedrale), ma come luoghi di preghiera personale e comunitaria, dove si può ascoltare l’annuncio della misericordia di Dio, farne l’esperienza soprattutto attraverso la celebrazione della Riconciliazione e ottenere l’indulgenza. Per la Valle Camonica: Chiesa dell'Eremo di Bienno.
- È importante che per tutto il tempo del Giubileo, in ogni parrocchia o almeno in ogni Unità Pastorale, ci sia l’indicazione di un tempo e di una chiesa dove potersi incontrare personalmente o in gruppo con il sacerdote, ascoltare l’annuncio della misericordia e potersi accostare alla Riconciliazione.
Ogni sabato la chiesa parrocchiale di Borno rimarrà aperta dalle 20.30 alle 23.00 per alcuni appuntamenti di preghiera e di meditazione personale o comunitaria:
- Primo sabato del mese: MEDITAZIONE PERSONALE
- Secondo sabato del mese: ASCOLTO DELLA BIBBIA
- Terzo sabato del mese: ADOR. EUCARISTICA SILENZIOSA
- Quarto sabato del mese: SANTO ROSARIO O ALTRO ESERCIZIO DI PIETÀ
Quinto sabato del mese: ELEVAZIONE SPIRITUALE
Durante questi appuntamenti sarà sempre disponibile un sacerdote per le confessioni.
Durante tutto l'Anno Giubilare la Messa “delle mamme che pregano per i figli” del giovedì alle ore 9.00 sarà sempre celebrata in chiesa parrocchiale e sarà sempre presente un sacerdote per le Confessioni.
Alcuni Giubilei parrocchiali:
Domenica 31 gennaio: GIUBILEO DELLA VITA
Domenica 14 febbraio:
- GIUBILEO DEI FIDANZATI alla Messa delle 10 a Borno
- GIUBILEO DEI MALATI E DEGLI ANZIANI nel pomeriggio alle ore 16 Santa Messa con l'amministrazione del sacramento dell'Unzione dei Malati e a seguire momento conviviale in oratorio
Domenica 17 aprile: GIUBILEO DELLE FAMIGLIE e DEI RAGAZZI DELL'INIZIAZIONE CRISTIANA
Durante tutto l'Anno Giubilare, presso il fonte battesimale delle nostre chiese parrocchiali sarà possibile vivere un momento di preghiera personale di memoria del proprio Battesimo.
PROGRAMMA:
23 gennaio: Partenza per Roma di buon mattino. Soste lungo il percorso e pranzo libero. Nel pomeriggio arrivo a Roma e visita alle catacombe di San Callisto; in seguito visita alla Patriarcale basilica di san Giovanni in Laterano. Sistemazione in Hotel. Cena e pernottamento.
24 gennaio:
Colazione in Hotel. Visita alla Roma antica: Colosseo, fori imperiali, teatro di Marcello... Pranzo in zona san Pietro. Nel pomeriggio: Porta santa, visita alla basilica, san Messa con il Cardinale Giovanni Battista Re. Cena e pernottamento.
25 gennaio: Colazione in hotel. Visita alla Roma barocca: fontana di Trevi, piazza Navona...Pranzo. Nel pomeriggio trasferimento alla Patriarcale Basilica di san Paolo fuori le mura. Partecipazione alla celebrazione ecumenica con il papa conclusione della settimana di preghiera per l'Unità dei cristiani. Rientro in hotel. Cena e pernottamento.
26 gennaio: Colazione in hotel. Visita alla zona di Trastevere: Santa Maria in Trastevere, isola Tiberina, ghetto ebraico con la Sinagoga. Pranzo a Magliano Sabina. Rientro a Borno in tarda serata.
QUOTA DI PARTECIPAZIONE 450 EURO
La quota comprende: viaggio A/R in pullman GT; trattamento di pensione completa dalla cena del primo giorno al pranzo dell'ultimo; bevande ai pasti; tasse di soggiorno; visite guidate; ingresso alle catacombe.
Iscrizioni presso DON FRANCESCO
entro il 15 DICEMBRE, versando una caparra di 100 EURO
Cüntòmela a BORNO
Mi hanno chiamata a fare la “catechista”. Quale responsabilità…. Preparare i ragazzi a ricevere i Santi Sacramenti è un impegno serio, del quale dovrò rispondere soprattutto al Buon Dio.
Ma riflettendo meglio mi sento “una catechista secondaria” nel senso che i ragazzi li incontro solo per quasi un’ora alla settimana. Ritengo quindi che i veri catechisti siano proprio i genitori che li hanno tutti i giorni. Sono loro, infatti, che con i nonni (figure queste che hanno sempre avuto un ruolo e un posto rilevante nella vita dei ragazzi) e i familiari in genere – aiutati dai sacerdoti, dai catechisti e dalla comunità che li circonda (la Chiesa) – devono svolgere questo compito importante e delicato.
Partendo dalla mia esperienza personale, si nota subito quali sono i ragazzi che hanno alle spalle una famiglia credente e praticante. È triste constatare che più si va avanti e meno sono i ragazzi che vivono la fede cristiana.
Il mio grande desiderio è quello di credere che questi ragazzi che si sono avvicinati ai due Sacramenti della Cresima e della Santa Prima Comunione, non pensino solo ai regali che riceveranno dai familiari ma soprattutto all'esperienza, con emozioni forti, che anche i loro genitori hanno vissuto. Proprio ricordando questo, mi auguro che i genitori aiutino i loro figli a vivere questi momenti di forte e santa atmosfera in cui si “tremava” quando ci si avvicinava all’altare per ricevere il CORPO DI GESÙ.
Lascio ora la parola agli scritti dei ragazzi, con le loro semplici impressioni ed emozioni provate prima e dopo aver ricevuto i Santi Sacramenti. Non ho voluto ritoccare o manomettere niente della loro spontaneità.
Francesca
Manuel Avanzini - Asia Baisini - Immanuel Bertelli - Sara Calzoni - Sara Fedriga - Andrea Franzoni - Sara Genziani - Andrea Gheza - Elisa Ghitti - Marco Isonni - Gaia Marsegaglia - Francesca Miorini - Davide Oliva - Giada Pedersoli - Maria Chiara Recami - Lara Rinetti - Matteo Rivadossi - Cesare Sangalli - Flavia Sanzogni - Daniel Valgolio - Laura Zerla
Provo una forte emozione, come un’ansia ma positiva e non vedo l’ora di ricevere l’Ostia che non vedo come un alimento ma come il Corpo di Cristo, il Salvatore che mi aiuterà sempre e con lo Spirito Santo mi aiuterà a crescere e a cambiare in meglio. O Gesù aiutami nei momenti tristi , discendi su di me come un dono, finalmente dopo questi anni posso confermarmi alla religione cristiana e sentirmi vicina a Te, spero di capire che Tu sei un amico, il più buono, che non mi tradirà mai e che starà con me anche nella vita eterna… per sempre.
Quando ho ricevuto il Corpo di Cristo ho sentito un’emozione grandissima al cuore. Grazie Gesù per avermi fatto passare una splendida giornata con i miei cari e con chi mi vuol bene.
Sto provando molta gioia ma anche molta agitazione, perché non mi sento pronto. Spirito Santo scendi su di me e portami tanta felicità. Gesù aiutami ad amare di più il prossimo e donami la pace.
Il giorno della mia Prima Comunione avevo gioia ed entusiasmo ma poi ero imbarazzato perché alcune frasi della preghiera dopo la Comunione non le ricordavo più.
Sto provando un’emozione talmente forte di gioia e di felicità che non si può immaginare. Gesù fai guarire tutte le persone malate. A me manca moltissimo il mio nonno che sfortunatamente se ne è andato: me lo potresti far ricordare di più? Grazie per queste favolose e meravigliose giornate che sto vivendo. Dammi la forza di combattere il male.
Con la Prima Comunione mi sono sentita come diversa interiormente, anche se all’inizio non mi sentivo pronta.
Gesù, fammi passare bene la Prima Comunione e la Cresima e proteggimi da tutte le cose brutte. Gesù proteggimi da ogni male: è bello crederci.
Sono abbastanza agitato, ma sono anche felice perché diventerò una persona più matura e sono molto felice di accogliere dentro di me il Corpo di Cristo. Gesù, Spirito Santo Vi prego, fate di me una persona matura, gentile che pensa al prossimo e lo aiuta.
Gesù, adesso che ti ho ricevuto aiutami ad andare ogni domenica a messa e ad essere più gentile.
Sto provando ansia, gioia, timore. Ti ringrazio mio Signore per tutto ciò che hai fatto per me, ora non mi sento più sola perché sulla mia strada ci sarai Tu.
Il giorno della Comunione ero ansiosa, spaventata, ma felice. Ti adoro Gesù e Ti ringrazio per tutto quello che hai fatto per me e per la mia famiglia.
Sto provando gioia, armonia e a volte paura. Caro Gesù, aiutami a trovare la strada giusta per pregare, per preparami alla Prima Comunione e a fare sempre la cosa giusta, non solo verso di me, ma anche verso gli altri.
Gesù, aiutami a vivere meglio e ad essere una brava persona e una brava cristiana. Gesù, grazie di questo mondo, grazie perché ho una bella famiglia e tantissimi amici. Gesù grazie che esisti e mi hai fatto vivere. Santo Spirito grazie che mi proteggi e vegli su di me.
Il giorno della Cresima e Prima Comunione ho avuto la consapevolezza di avere finalmente Gesù nel cuore. Grazie Gesù per tutto quello che fai per me, aiutami a vivere una vita felice. Liberami da ogni male e stammi sempre vicino.
Gesù aiutami, Gesù proteggimi, Gesù indicami la strada del bene, così che mi impegni di più ad andare a messa e a credere più in Dio, Padre di tutti noi. Grazie.
Appena ho ricevuto il Corpo di Cristo ho provato purezza. Grazie Gesù per essere entrato dentro di me e grazie per avermi protetta.
Non so come spiegare tutta la voglia di poter ricevere il Corpo di Cristo, non so se piangere o ridere… Gesù, quando riceverò il tuo Corpo Ti vorrei accanto a me e vorrei che per sempre mi aiutassi a vivere in pace e felice di essere una cristiana.
Quando ho preso l’Ostia mi sentivo scoppiare di gioia, ma tanta tanta gioia.
Sto provando una grande felicità, e molto spesso mi faccio delle domande su come cambierà la mia vita dopo il 15 novembre. Gesù, ti chiedo di controllarmi sempre e fare in modo che io non mi separi mai da te.
Gesù, non so come tu abbia avuto la forza e il coraggio di sacrificare la tua vita per noi ed è per questo che sono qui a ringraziarTi. Sai molte volte ripenso a mio nonno e ai momenti belli trascorsi insieme. Quando è morto ero triste, delusa e un po’ arrabbiata, ma poi ho ripensato a Te e sono sicura che non soffre più e adesso veglia su di me e la mia famiglia.
Ora che ho ricevuto la Comunione, Gesù stammi accanto in tutti i momenti speciali.
Sono molto contenta e al tempo stesso agitata. È come ricevere un dono grandissimo, insostituibile. Ho tantissime cose in testa. So che da ora in poi avrò un amico sempre vicino a me. Sono felicissima... Gesù, stammi vicino; man mano che divento grande, è più facile che non ti ascolti, perciò ti chiedo di aiutarmi nelle scelte, di assistermi nelle difficoltà e ricordami che posso sempre contare su di Te. Ora che ti ho ricevuto Gesù, sono una cristiana a tutti gli effetti.
Ero felice quel giorno e avevo voglia di ricevere ancora Gesù, ora so con chi mi potrò sempre confidare.
Cüntòmela a BORNO