Pasqua 2019
PAROLA DEL PARROCO
Carissimi,
è questo l’annuncio bello e gioioso che risuona in questo tempo, è questo il centro della nostra fede. La Pasqua illumina la nostra vita, dà luce, speranza e significato all’esistenza dell’uomo.
Nella fatica di affrontare la sofferenza e il male – nelle sue diverse declinazioni – che inevitabilmente accompagnano l’esistenza dell’uomo, l’annuncio bello e gioioso della Pasqua ci ricorda che la nostra vita è abitata dalla presenza dell'amore di Dio e che essa è orientata non verso il male, ma verso il bene. Nella gioia della Pasqua troviamo speranza e fiducia, affidiamo le nostre preoccupazioni e fatiche a Dio, rinnoviamo il nostro impegno e l’entusiasmo nell’affrontare le difficoltà.
La liturgia ci ricorda che “centro di tutto l’anno liturgico è il Triduo del Signore crocifisso, sepolto e risorto”. E ancora “in ogni domenica, Pasqua della settimana, la santa Chiesa rende presente questo grande evento nel quale Cristo ha vinto il peccato e la morte”.
Dunque cerchiamo di riscoprire la gioia di incontrare il Signore come “il Vivente” dentro ai sacramenti e nella liturgia, non relegandolo ad un personaggio del passato o a semplice maestro di valori. E questa “riscoperta" esercitiamola ogni domenica e, se ci è possibile, anche più assiduamente, perché Cristo non sia l’abito delle grandi occasioni ma sia l’amico e il Signore della nostra vita.
Ci siamo preparati alla Pasqua con il tempo santo della Quaresima. In esso la chiesa ci ha chiesto di allenare l’anima all’ascolto di Dio e della sua volontà. Un tempo che va dal mercoledì delle ceneri al giovedì santo, un tempo che ci fa percorrere – con un’immagine cara al vescovo Tonino Bello –un cammino “dalla testa ai piedi”: dalla nostra testa ai piedi degli altri, per aprirci al servizio del prossimo, proprio come Gesù ci insegna. Possiamo vivere davvero la Pasqua se apriamo il cuore e la vita agli altri, se la nostra conversione ci fa passare dall’io a Dio. Un Dio che non toglie nulla ma dona tutto: riconoscendo nei volti dei fratelli il Volto di Cristo, il nostro egoismo svanisce per lasciare posto all’autentica carità.
A condurci dentro il tempo quaresimale, è stato il Triduo dei morti, aperto nella parrocchia di Borno dal vescovo e, accompagnate dalle belle riflessioni di don Tino Clementi. Queste funzioni solenni testimoniano una fede secolare ancora viva nelle nostre comunità.
Nelle parrocchie di Ossimo Superiore e Inferiore, sono stati i frati dell’Annunciata a curare le omelie ed è stato bello concludere questa esperienza di fede con la visita al cimitero portando una luce sulle tombe dei nostri cari. Giacché, anche il pensiero ai defunti è pensiero di risurrezione: essi sono già entrati nella luce della Pasqua eterna verso la quale anche noi siamo incamminati.
Non scordiamoci, infine, che sono la gioia della Pasqua e la scoperta che Gesù è davvero risorto ad aprire gli apostoli alla missione, per andare ad annunciare ai fratelli la bellezza dell’amore di Dio per l’umanità. Una missione che riguarda tutti noi!
In questo numero pasquale di Cüntòmela, troverete come sempre il racconto della vita delle nostre comunità.
Ma permettetemi di segnalare un annuncio importante: le Missioni popolari.
Noi sacerdoti, con i consigli pastorali, abbiamo pensato di metterci in cammino verso questo appuntamento, perché la nostra fede trovi sempre più fondamento e entusiasmo nel Vangelo. Celebreremo le missioni il prossimo anno, ma è già tempo di mettersi in cammino con la preghiera perché sia tempo ricca di frutti.
Approfitto di questo spazio per augurare a tutti e a ciascuno una santa Pasqua, come scoperta sempre più viva del Cristo risorto e vivo nella nostra vita.
Vostro don Paolo
PER RIFLETTERE
Le campane di Pasqua, anche quest’anno, annunciano al mondo, a chi ascolta ed a chi non ascolta, la risurrezione di Cristo, nostro Salvatore.
È annuncio di gioia e di speranza, che sta a fondamento della nostra fede; è annuncio del trionfo del bene sul male. Ci dice che Cristo, il quale come uomo fu vittima innocente della malvagità e dell’ingiustizia umana più alta, ha vinto la morte. È risorto, sconvolgendo i piani di coloro che pensavano di averlo messo fuori gioco per sempre. Ed ora vive in eterno.
La risurrezione di Cristo è l’evento più alto e decisivo della nostra fede. È la verità centrale della fede cristiana e la prova che Cristo era veramente Dio, oltre che vero uomo.
La risurrezione di Cristo ci assicura che l’ultima parola non è del male. Guardando al Cristo Risorto, pertanto, non possiamo rassegnarci al male, che dilaga, rendendo triste e bassa la vita. Guardando a Cristo Risorto non dobbiamo impaurirci per la perdita di valori e per l’inquinamento morale che notiamo nella società di oggi.
Cristo ha vinto la morte non soltanto per se stesso, ma anche per noi: con la forza che da Lui ci viene possiamo diventare più onesti e più buoni.
La risurrezione di Cristo ha introdotto nella storia umana una nuova energia che ci garantisce la vittoria definitiva dell’amore sull’odio, del bene sul male, della vita sulla morte. Il male non deve più spaventarci: come cristiani abbiamo la certezza che Dio è così grande e potente, che sa trarre il bene anche dal male.
La risurrezione di Cristo significa anche che la vita umana non finisce con la morte, ma siamo destinati ad un’altra vita; significa anche che la storia non è in mano ai prepotenti e ai mercanti di bugie, ma terminerà col giudizio di Dio. La notizia della risurrezione di Cristo non è una notizia da poco; non è un fatto lontano nel tempo che non ci riguarda: è una realtà che tocca tutti e che invita ad avere il coraggio di “risorgere” cioè di cambiare lo stile di vita, di rinnovare molte cose nel nostro comportamento e nei nostri rapporti. La risurrezione di Cristo immette nella storia la forza di ricominciare e ci fa guardare al futuro con speranza.
Celebrare la Pasqua non significa solo inaugurare un vestito nuovo, lucidare i pavimenti, mangiare il capretto o compiere qualche gesto gentile donando qualche colomba pasquale.
Celebrare la Pasqua significa incontrarsi con Cristo per regolare i conti della propria anima. Un incontro obbligatorio per noi cristiani. Esiste un preciso precetto della Chiesa: confessarsi almeno una volta all’anno e comunicarsi almeno in occasione della Pasqua o del periodo pasquale.
Dobbiamo essere grati alla Chiesa per questo richiamo. Presi come siamo da tanti problemi e da tante preoccupazioni, finiamo per dimenticarci che abbiamo anche un’anima da salvare.
L’attrattiva delle cose terrene, resa più affascinante dal progresso del nostro tempo, si è fatta particolarmente suggestiva e impegna il nostro interesse e la nostra attenzione, rendendo più difficile la pratica della fede e la stima dei valori spirituali. Ma il mondo del progresso e dei beni che riusciamo a produrre per conservarsi umani, hanno bisogno di quella luce e di quella forza che vengono dall’alto.
Il gioioso suono delle campane di Pasqua è richiamo ad avviarsi sul sentiero che porta all’incontro con Cristo Risorto.
La celebrazione della Pasqua sia apportatrice di gioia e di rinnovamento morale e spirituale.
Card. Giovanni Battista Re
PER RIFLETTERE
Secondo la tradizione le campane di tutte le chiese rimangono in silenzio dal giovedì santo, dopo la Messa “nella Cena del Signore”, fino alla domenica di Pasqua, come segno di dolore per il Cristo crocifisso.
Una leggenda francese racconta che le “cloches”(campane), durante questi giorni, si raggruppino e volino a Roma per ricevere la benedizione del Papa. Dopo tornano nelle loro chiese, ma durante il viaggio, lungo il percorso, lasciano cadere nei prati tante uova di cioccolato.
Per questo motivo i bambini francesi la mattina di Pasqua corrono in giardino a cercare le uova disseminate dalle campane in volo. Si apre così una “chasse aux œufs” (caccia alle uova) e i bambini fanno a gara a chi riesce a trovarne di più.
Riccardo e Silvia erano ospiti dalla nonna Maria per le vacanze di Pasqua.
Stavano ascoltando con attenzione la nonna che raccontava loro una storia.
“Tutte le campane del mondo sono andate a Roma a trovare le loro sorelle che sono a San Pietro.”
“Ma sei sicura, nonna?” fece Riccardo dubbioso.
“Chi le ha portate?” s’incuriosì Silvia.
“Sono andate da sole!”.
“Ma non è possibile!” esclamò Riccardo.
“Eppure da ieri non si sono più sentite suonare” disse la nonna. Riccardo l’interruppe:
“Lo so, tacciono perché è morto Gesù, ma quando Gesù risorgerà, suoneranno il Gloria”.
“Verissimo, rispose la nonna, ma si racconta che la notte del venerdì, quando la gente dorme, le campane di tutte le chiese, zitte zitte, volino a trovare le campane di Roma.
La notte del sabato santo ritornano alle loro chiese, volando assieme alle colombe pasquali, e nel loro passaggio depositano uova e dolci per i bambini”.
I due nipotini ascoltavano attenti, ma un po’ increduli.
“Che fanno le colombe?” chiese Silvia.
“Volano col rametto d’ulivo nel becco, in segno di pace”:
“Davvero le campane lasciano uova e dolci per i bambini?” domandò Riccardo, interessato.
“Si, ma soltanto per i bambini che credono a questa storia” concluse nonna Maria. Poco dopo i due fratelli, rimasti soli, si misero a discutere.
“Ma le campane non possono volare, non hanno le ali! E poi, come fanno a portare dolci ai bambini se non hanno le mani? Sicuramente è una favola!” esclamò Riccardo.
“Perché la nonna la racconta come una storia vera?” chiese Silvia.
“Forse lei ci crederà” disse Riccardo.
“Allora aspetterà i dolci dalle campane e ci resterà male non trovandoli…” concluse Silvia.
I bambini pensarono al da farsi, poi ebbero un’idea e per tutto il pomeriggio del sabato furono occupatissimi: Silvia in cucina, con la zia, e Riccardo a gironzolare attorno alla colombaia trascinandosi dietro la scala. La nonna, si accorse di tutto quel traffico, ma fece finta di niente.
La domenica, alla fine del pranzo, arrivò la zia reggendo su un vassoio una grossa campana di pasta frolla, legata con nastrini colorati.
I due bambini si strizzarono l’occhio, aspettando con impazienza il resto della sorpresa.
Quando la campana fu sollevata, uscì una piccola colomba spaurita che lasciò cadere a terra un ramoscello d’ulivo.
Svelto, Riccardo lo raccolse e lo porse alla nonna:
“Tieni, nonna, è per te!”
La nonna sorrise commossa; non poteva parlare perché la voce le tremava un po’.
a cura di don Simone
I CAMPANARI DELLA VALGRIGNA
Lunedì di Pasqua (22 aprile) daranno prova del loro talento suonando le campane per la messa delle 10.00 e proponendo una scampanata dopo la celebrazione.
PER RIFLETTERE
Quando ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola le mie pecore». Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: «Mi vuoi bene?», e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi» (Gv 21,15-19)
“La Pesca Miracolosa”, del pittore fiammingo David Teniers, detto il Giovane, 1650 circa, olio su tela, 76,5×110 cm, Old Masters Gallery, Mosca (Russia).
La terza apparizione di Cristo risorto ha come scenario le sponde del lago di Tiberiade, là dove secondo i sinottici avvenne la chiamata dei primi discepoli, Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni, intenti nel loro mestiere di pescatori (cfr. Lc 5,1-11).
In seguito ai fatti pasquali, i discepoli sono tornati in Galilea, alla loro vita prima dell’incontro straordinario con il Maestro di Nazaret.
Qui Cristo, dopo aver rinnovato il prodigio di una pesca abbondante e aver preparato un pasto per i suoi (anche da risorto Gesù rimane colui che serve!), instaura un dialogo con Pietro, reduce dal triplo rinnegamento nel cortile del Sommo Sacerdote.
È interessante notare il gioco di verbi greci utilizzati. La prima volta Gesù domanda a Pietro: “Mi ami tu?” (agapâs-me). Il verbo utilizzato (agapáo) indica l’amore totalizzante, senza riserve e incondizionato. “Simone, mi ami tu con questo amore?”. Prima dell’esperienza del rinnegamento, l’apostolo avrebbe risposto con sicurezza e un po’ di spavalderia: “Certo, Signore!”. Ma ora che ha fatto l’amara esperienza della propria infedeltà, della paura di fronte a chi gli rendeva conto del suo essere discepolo di Gesù, risponde semplicemente: “Ti voglio bene” (filô-se).
In greco il verbo filéo indica l’amore di amicizia, tenero, bello, ma non totalizzante. Simon Pietro offre a Gesù il suo povero amore umano. E qui l’apostolo dimostra di essere grande perché umile; capisce che non può essere lui il protagonista di questo amore totale e fedele, che discende solo da Dio. Ma Cristo insiste: “Simone di Giovanni, mi ami con l’amore pieno e totale che voglio da te?”. E ancora Pietro offre al risorto il suo semplice amore umano.
Alla terza volta avviene un cambiamento straordinariamente commovente, Gesù si mette a livello di Pietro, domandando semplicemente: “Mi vuoi bene?” (fileîs-me). Qui Pietro capisce che è ancora una roccia fragile e che a Gesù basta l’amore di cui lui in questo momento è capace: “Tu sai tutto, tu sai che ti voglio bene”. E proprio l’adeguarsi di Gesù a Pietro dona speranza al discepolo, che ha rinnegato il Maestro. E da qui nasce la fiducia che lo renderà capace della sequela fino alla fine, fino al dono della vita, quando, ormai vecchio, verrà vestito da altri e condotto verso il martirio, per versare il suo sangue a gloria di Dio.
A conclusione di questo straordinario dialogo, Gesù rinnova il comando, già espresso tempo prima ancora sulle sponde di quel lago: “Seguimi!”.
Ora Pietro può essere per il suo gregge quella guida sicura che non fugge se vede venire il lupo. Ora Pietro è davvero pronto per la sequela totale e fedele del Cristo risorto e a morire per il suo Signore. Sa bene Pietro che questa forza non è frutto del proprio coraggio, come un giorno non furono le sue intuizioni a proclamare Gesù il Cristo di Dio (cfr. Mt 16,17). La sorgente è sempre e solo Cristo risorto, creduto e amato con la nostra debole ma sincera fede. L’esperienza di Pietro mostra anche a noi, discepoli di oggi, la via da seguire. Siamo chiamati ad andare dietro a Cristo Signore con la nostra povera capacità di amare, consapevoli della nostra debolezza e certi che Gesù è buono e ci accetta.
Ci piace Pietro, perché in lui vediamo riflessi i nostri volti, le nostre storie: anche noi spesso entusiasti e spavaldi nel vivere la fede, altre volte impauriti e incoerenti, incapaci di essere fedeli fino in fondo.
Ci piace Pietro, anche perché in lui vediamo la speranza di ricominciare, offrendo al Signore l’amore di cui siamo capaci.
Ci piace Pietro, perché anche noi come lui, se rimaniamo fedeli e con i piedi per terra, possiamo giungere a realizzare in pienezza il comando del risorto che vale per tutti: “Seguimi!”.
Don Simone
PER RIFLETTERE
Ti ricordo la buona notizia che ci è stata donata il mattino della Risurrezione: che in tutte le situazioni buie e dolorose di cui parliamo c’è una via d’uscita...
Non lasciare che ti rubino la speranza e la gioia, che ti narcotizzino per usarti come schiavo dei loro interessi. Osa essere di più, perché il tuo essere è più importante di ogni altra cosa...
Guarda le braccia aperte di Cristo crocifisso, lasciati salvare sempre nuovamente. E quando ti avvicini per confessare i tuoi peccati, credi fermamente nella sua misericordia che ti libera dalla colpa. Contempla il suo sangue versato con tanto affetto e lasciati purificare da esso. Così potrai rinascere sempre di nuovo....
Giovani, non rinunciate al meglio della vostra giovinezza, non osservate la vita dal balcone. Non confondete la felicità con un divano e non passate tutta la vostra vita davanti a uno schermo. Non riducetevi nemmeno al triste spettacolo di un veicolo abbandonato. Non siate auto parcheggiate, lasciate piuttosto sbocciare i sogni e prendete decisioni. Rischiate, anche se sbaglierete...
Correte «attratti da quel Volto tanto amato, che adoriamo nella santa Eucaristia e riconosciamo nella carne del fratello sofferente. Lo Spirito Santo vi spinga in questa corsa in avanti. La Chiesa ha bisogno del vostro slancio, delle vostre intuizioni, della vostra fede. Ne abbiamo bisogno! E quando arriverete dove noi non siamo ancora giunti, abbiate la pazienza di aspettarci»
Nei primi due capitoli dell’Esortazione Papa Francesco ripercorre quello che ci dice la Bibbia sui giovani. Fra tante figure famose dell’Antico Testamento cita anche come “una ragazzina ebrea, che era al servizio del militare straniero Naaman, intervenne con fede per aiutarlo a guarire dalla sua malattia (cfr 2 Re 5,2-6)”.
Passando al Nuovo il Papa menziona il giovane della parabola del Padre Misericordioso e il ricco che, secondo il Vangelo di Marco, dichiara: «Tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza», osservando come anche nella Scrittura i ragazzi e i giovani siano giudicati positivamente.
Lo stesso Gesù, che per i parametri attuali sarebbe considerato un giovane-adulto, appare quasi un cultore della vera giovinezza. “A Gesù”, scrive il Papa, “non piaceva il fatto che gli adulti guardassero con disprezzo i più giovani o li tenessero al loro servizio in modo dispotico”.
“Essere giovani, più che un’età, è uno stato del cuore”. Con questa espressione invita la Chiesa, la pastorale e, più oltre nella lettera, le stesse scuole cattoliche a sapersi rinnovare ogni giorno per evitare di rinchiudersi ed estraniarsi da un mondo non certo ideale (parole nostre) ma nel quale tutti siamo chiamati a vivere ed accompagnare i più giovani, imparando soprattutto ad ascoltarli nei loro pensieri e desideri più profondi.
Il Papa invita ad andar oltre la retorica che “i giovani sono il futuro del mondo”. Ricorda loro: “Voi siete l’adesso di Dio!” (terzo capitolo) e continua affermando che «in realtà, “la gioventù” non esiste, esistono i giovani con le loro vite concrete. Nel mondo di oggi, pieno di progressi, tante di queste vite sono esposte alla sofferenza e alla manipolazione». Segue un elenco di realtà negative per la loro crescita: guerra, droghe, pornografia, certi aspetti perversi di internet, uso sbagliato del grande dono della sessualità, abusi purtroppo anche da parte di sacerdoti e vescovi, ecc.
Nel quarto capitolo Papa Francesco va al cuore della vita e ricorda ad ogni giovane, ma pensiamo anche a tutti noi, che “Dio ti ama” in qualunque situazione ti trovi, “Cristo ti salva” ed è sempre disposto a perdonarti. “Egli vive”, non è solo un grande personaggio del passato ma una presenza costante nella nostra vita mediante lo Spirito Santo. Proprio la sua forza “prepara e apre i cuori perché accolgano questo annuncio, è Lui che mantiene viva questa esperienza di salvezza, è Lui che ti aiuterà a crescere in questa gioia se lo lasci agire”.
I rimanenti capitoli – Percorsi di gioventù, Giovani con radici, La pastorale dei giovani, La vocazione, Il discernimento – forniscono indicazioni e preziosi suggerimenti su come vivere questo amore di Dio e un concreto rapporto d’amicizia con Gesù. Il Papa invita i giovani a diffidare dalle “strategie del falso culto della giovinezza e dell’apparenza, oggi si promuove una spiritualità senza Dio, un’affettività senza comunità e senza impegno verso chi soffre...”. Chiede di aiutare i giovani ad avere una memoria viva del passato perché “Se camminiamo insieme, giovani e anziani, potremo essere ben radicati nel presente e, da questa posizione, frequentare il passato e il futuro: frequentare il passato, per imparare dalla storia e per guarire le ferite che a volte ci condizionano; frequentare il futuro, per alimentare l’entusiasmo, far germogliare i sogni, suscitare profezie, far fiorire le speranze”.
Nei suoi 299 paragrafi si è “lasciato ispirare dalla ricchezza delle riflessioni e dei dialoghi del Sinodo dell’anno scorso”. Di questi i più comunicativi forse sono quelli rivolti agli stessi giovani nello stile diretto di Papa Francesco e dei quali all’inizio abbiamo riportato qualche e speriamo significativo esempio.
a cura della redazione
PER RIFLETTERE
È nel mistero Pasquale della morte e Risurrezione di Cristo che trova senso e significato la nostra morte e trova fondamento e radice il modo di onorare i nostri fratelli defunti. Per questo abbiamo scelto in questo “Cüntòmela” di pubblicare il documento dal titolo “Per risuscitare con Cristo”: promulgato della “congregazione per la dottrina della fede”, da indicazioni semplici e chiare su ciò che la Chiesa dice riguardo alla cremazione e ancora di più riguardo alla sepoltura delle ceneri.
Teniamo presente che si tratta di una “istruzione”: la Chiesa non pronuncia una opinione tra le tante per accendere polemiche o dibattiti, ma vuole istruire i suoi figli riguardo a ciò che attiene alla fede. Il documento, che risale ancora al 2016, è di facile lettura e da motivazioni chiare sul senso e sul significato della bontà o meno di alcuni modi di fare. Il documento infine, è rivolto a tutta la Chiesa, diffusa in tutto il mondo e si rivolge quindi anche a culture e tradizioni diverse dalla nostra.
CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE
Istruzione Ad resurgendum cum Christo
circa la sepoltura dei defunti e la conservazione delle ceneri in caso di cremazione
1. Per risuscitare con Cristo, bisogna morire con Cristo, bisogna «andare in esilio dal corpo e abitare presso il Signore» (2 Cor 5,8). Con l’Istruzione Piam et constantem del 5 luglio 1963, l’allora Sant’Uffizio ha stabilito che «sia fedelmente mantenuta la consuetudine di seppellire i cadaveri dei fedeli», aggiungendo però che la cremazione non è «di per sé contraria alla religione cristiana» e che non siano più negati i sacramenti e le esequie a coloro che abbiano chiesto di farsi cremare, a condizione che tale scelta non sia voluta «come negazione dei dogmi cristiani, o con animo settario, o per odio contro la religione cattolica e la Chiesa». Questo cambiamento della disciplina ecclesiastica è stato poi recepito nel Codice di Diritto Canonico (1983) e nel Codice dei Canoni delle Chiese Orierntali (1990). Nel frattempo la prassi della cremazione si è notevolmente diffusa in non poche Nazioni, ma nel contempo si sono diffuse anche nuove idee in contrasto con la fede della Chiesa. Dopo avere opportunamente sentito la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, il Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi e numerose Conferenze Episcopali e Sinodi dei Vescovi delle Chiese Orientali, la Congregazione per la Dottrina della Fede ha ritenuto opportuno la pubblicazione di una nuova Istruzione, allo scopo di ribadire le ragioni dottrinali e pastorali per la preferenza della sepoltura dei corpi e di emanare norme per quanto riguarda la conservazione delle ceneri nel caso della cremazione.
2. La risurrezione di Gesù è la verità culminante della fede cristiana, predicata come parte essenziale del Mistero pasquale fin dalle origini del cristianesimo: «Vi ho trasmesso quello che anch’io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici» (1 Cor 15,3–5).
Mediante la sua morte e risurrezione, Cristo ci ha liberato dal peccato e ci ha dato accesso a una nuova vita: «Come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova» (Rm 6,4). Inoltre, il Cristo risorto è principio e sorgente della nostra risurrezione futura: «Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti...; e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo» (1 Cor 15,20–22).
Se è vero che Cristo ci risusciterà nell’ultimo giorno, è anche vero che, per un certo aspetto, siamo già risuscitati con Cristo. Con il Battesimo, infatti, siamo immersi nella morte e risurrezione di Cristo e sacramentalmente assimilati a lui: «Con lui infatti siete stati sepolti insieme nel Battesimo, in lui anche siete stati insieme risuscitati per la fede nella potenza di Dio, che lo ha risuscitato dai morti» (Col 2,12). Uniti a Cristo mediante il Battesimo, partecipiamo già realmente alla vita di Cristo risorto (cf. Ef 2,6).
Grazie a Cristo, la morte cristiana ha un significato positivo. La liturgia della Chiesa prega: «Ai tuoi fedeli, Signore, la vita non è tolta, ma trasformata; e mentre si distrugge la dimora di questo esilio terreno, viene preparata un’abitazione eterna nel cielo». Con la morte, l’anima viene separata dal corpo, ma nella risurrezione Dio tornerà a dare la vita incorruttibile al nostro corpo trasformato, riunendolo alla nostra anima. Anche ai nostri giorni la Chiesa è chiamata ad annunciare la fede nella risurrezione: «La risurrezione dei morti è la fede dei cristiani: credendo in essa siamo tali».
3. Seguendo l’antichissima tradizione cristiana, la Chiesa raccomanda insistentemente che i corpi dei defunti vengano seppelliti nel cimitero o in altro luogo sacro.
Nel ricordo della morte, sepoltura e risurrezione del Signore, mistero alla luce del quale si manifesta il senso cristiano della morte, l’inumazione è innanzitutto la forma più idonea per esprimere la fede e la speranza nella risurrezione corporale.
La Chiesa, che come Madre ha accompagnato il cristiano durante il suo pellegrinaggio terreno, offre al Padre, in Cristo, il figlio della sua grazia e ne consegna alla terra le spoglie mortali nella speranza che risusciterà nella gloria.
Seppellendo i corpi dei fedeli defunti, la Chiesa conferma la fede nella risurrezione della carne, e intende mettere in rilievo l’alta dignità del corpo umano come parte integrante della persona della quale il corpo condivide la storia. Non può permettere, quindi, atteggiamenti e riti che coinvolgono concezioni errate della morte, ritenuta sia come l’annullamento definitivo della persona, sia come il momento della sua fusione con la Madre natura o con l’universo, sia come una tappa nel processo della re–incarnazione, sia come la liberazione definitiva della “prigione” del corpo.
Inoltre, la sepoltura nei cimiteri o in altri luoghi sacri risponde adeguatamente alla pietà e al rispetto dovuti ai corpi dei fedeli defunti, che mediante il Battesimo sono diventati tempio dello Spirito Santo e dei quali, «come di strumenti e di vasi, si è santamente servito lo Spirito per compiere tante opere buone».
Il giusto Tobia viene lodato per i meriti acquisiti davanti a Dio per aver seppellito i morti, e la Chiesa considera la sepoltura dei morti come un’opera di misericordia corporale.
Infine, la sepoltura dei corpi dei fedeli defunti nei cimiteri o in altri luoghi sacri favorisce il ricordo e la preghiera per i defunti da parte dei familiari e di tutta la comunità cristiana, nonché la venerazione dei martiri e dei santi.
Mediante la sepoltura dei corpi nei cimiteri, nelle chiese o nelle aree ad esse adibite, la tradizione cristiana ha custodito la comunione tra i vivi e i defunti e si è opposta alla tendenza a occultare o privatizzare l’evento della morte e il significato che esso ha per i cristiani.
4. Laddove ragioni di tipo igienico, economico o sociale portino a scegliere la cremazione, scelta che non deve essere contraria alla volontà esplicita o ragionevolmente presunta del fedele defunto, la Chiesa non scorge ragioni dottrinali per impedire tale prassi, poiché la cremazione del cadavere non tocca l’anima e non impedisce all’onnipotenza divina di risuscitare il corpo e quindi non contiene l’oggettiva negazione della dottrina cristiana sull’immortalità dell’anima e la risurrezione dei corpi.
La Chiesa continua a preferire la sepoltura dei corpi poiché con essa si mostra una maggiore stima verso i defunti; tuttavia la cremazione non è vietata, «a meno che questa non sia stata scelta per ragioni contrarie alla dottrina cristiana».
In assenza di motivazioni contrarie alla dottrina cristiana, la Chiesa, dopo la celebrazione delle esequie, accompagna la scelta della cremazione con apposite indicazioni liturgiche e pastorali, avendo particolare cura di evitare ogni forma di scandalo o di indifferentismo religioso.
5. Qualora per motivazioni legittime venga fatta la scelta della cremazione del cadavere, le ceneri del defunto devono essere conservate di regola in un luogo sacro, cioè nel cimitero o, se è il caso, in una chiesa o in un’area appositamente dedicata a tale scopo dalla competente autorità ecclesiastica.
Sin dall’inizio i cristiani hanno desiderato che i loro defunti fossero oggetto delle preghiere e del ricordo della comunità cristiana.
Le loro tombe divenivano luoghi di preghiera, della memoria e della riflessione. I fedeli defunti fanno parte della Chiesa, che crede alla comunione «di coloro che sono pellegrini su questa terra, dei defunti che compiono la loro purificazione e dei beati del cielo; tutti insieme formano una sola Chiesa».
La conservazione delle ceneri in un luogo sacro può contribuire a ridurre il rischio di sottrarre i defunti alla preghiera e al ricordo dei parenti e della comunità cristiana.
In tal modo, inoltre, si evita la possibilità di dimenticanze e mancanze di rispetto, che possono avvenire soprattutto una volta passata la prima generazione, nonché pratiche sconvenienti o superstiziose.
6. Per i motivi sopra elencati, la conservazione delle ceneri nell’abitazione domestica non è consentita. Soltanto in caso di circostanze gravi ed eccezionali, dipendenti da condizioni culturali di carattere locale, l’Ordinario, in accordo con la Conferenza Episcopale o il Sinodo dei Vescovi delle Chiese Orientali, può concedere il permesso per la conservazione delle ceneri nell’abitazione domestica. Le ceneri, tuttavia, non possono essere divise tra i vari nuclei familiari e vanno sempre assicurati il rispetto e le adeguate condizioni di conservazione.
7. Per evitare ogni tipo di equivoco panteista, naturalista o nichilista, non sia permessa la dispersione delle ceneri nell’aria, in terra o in acqua o in altro modo oppure la conversione delle ceneri cremate in ricordi commemorativi, in pezzi di gioielleria o in altri oggetti, tenendo presente che per tali modi di procedere non possono essere addotte le ragioni igieniche, sociali o economiche che possono motivare la scelta della cremazione.
8. Nel caso che il defunto avesse notoriamente disposto la cremazione e la dispersione in natura delle proprie ceneri per ragioni contrarie alla fede cristiana, si devono negare le esequie, a norma del diritto.
Il Sommo Pontefice Francesco, nell’Udienza concessa al sottoscritto Cardinale Prefetto in data 18 marzo 2016, ha approvato la presente Istruzione, decisa nella Sessione Ordinaria di questa Congregazione in data 2 marzo 2016, e ne ha ordinato la pubblicazione.
Roma, dalla Sede della Congregazione per la Dottrina della Fede, 15 agosto 2016, Solennità dell’Assunzione della Beata Vergine Maria.
Gerhard Card. Müller Prefetto
+ Luis F. Ladaria, S.I.
Arcivescovo titolare di Thibica Segretario
PER RIFLETTERE
Invito alla lettura della lettera pastorale del vescovo Tremolada sul tema della santità.
La prima lettera del nostro Vescovo non lascia dubbi sulla “missione” dei cristiani: siamo votati alla santità!
Nell’intervista rilasciata ai microfoni di Radio Voce Camuna, all’indomani della pubblicazione, egli spiega: “È la mia prima lettera pastorale, in cui attiro l’attenzione sulla santità, considerandola non tanto come un tema, ma piuttosto come un orizzonte. Mi piacerebbe che in questi anni potessimo insieme, come Chiesa, camminare e dare alla nostra vista una forma sempre più bella, sempre più vera, nella prospettiva della santità. Così intenderei la santità: come la forma bella della vita […].”
È consuetudine rapportarci alla santità come a qualcosa di irraggiungibile: le vite dei santi e dei martiri del passato ci inducono a pensare che la santità non sia alla nostra portata.
Nel volumetto di poco più di un’ottantina di pagine, un sindacalista, un medico, una famiglia appena formata e due giovani consacrati, aiutano il vescovo ad introdurci a questo tema.
Lo fa facendoci assaporare i concetti di bellezza, di luminosità, di amore, di armonia indissolubilmente legati al bene, alla carità e alla grazia.
Sono pensieri e atteggiamenti di cui forse abbiamo perso il senso profondo, l’autenticità. Ripensando alla nostra quotidianità, le parole del vescovo ci danno l’opportunità di tornare a rifletterci un po’ su, di interrogarci in modo semplice sulla direzione della nostra vita di cristiani.
E così, pagina dopo pagina, quasi senza accorgercene, ci ritroviamo già posizionati sulla strada della santità che ci pareva tanto lontana da imboccare. Poi, naturalmente, camminare tocca a noi!
Nelle ultime pagine della lettera, il vescovo scrive: “Nella raccolta dei padri del deserto si legge il seguente aneddoto riguardante sant’Antonio abate. Il padre Antonio, nel deserto, ebbe questa rivelazione: in città c’è uno che ti somiglia, è di professione medico, dà il superfluo ai bisognosi e tutto il giorno canta con gli angeli l’inno al tre volte santo. La statura del grande padre dei monaci del deserto, dedito all’ascesi più eroica, è la stessa di un medico che vive in una città come tanti altri. La santità non dipende dalle circostanze esterne. È per tutti, in qualsiasi luogo si trovino. Ciò che la contraddistingue e la rende possibile, è l’apertura alla grazia, la comunione interiore con Dio, la carità verso i fratelli e l’umile adempimento del proprio dovere per il bene del mondo.”
a cura di Emilia Pennacchio
MISSIONE POPOLARE
Una “Missione popolare parrocchiale” nella vostra Unità Pastorale! È una notizia evangelica che deve suscitare entusiasmo e speranza.
Una Missione popolare per rinnovare la fede dei fedeli; oppure per ritrovare il dono di credere nella bellezza del vangelo. Comunque, un tempo di grazia per tutti, anche per chi non avverte alcun interesse o si ostina a considerarla un’esperienza di evangelizzazione superata.
Un tempo di gratuità spirituale, perché la Missione popolare non chiede nulla, ma vuole solo raccontare al cuore della gente il tesoro del cristianesimo: l’amore di Dio come sorgente per una vita autentica, aperta ai valori della fraternità e della condivisione.
Ma in modo più specifico, che cosa significa fare una Missione popolare? In generale, potremmo dire che “missione” è contribuire a portare la salvezza di Dio, attraverso Gesù Cristo (Rm. 5,1-11), a tutti gli uomini: “Dio vuole che tutti gli uomini siano salvi” (1Tim. 2,4). La missione di Gesù proclama il Regno e chiama alla conversione per entrare nel Regno: “Il Regno di Dio è vicino: convertitevi e credete al Vangelo” (Mc. 1,25).
La Missione popolare cerca di rispondere a questa esigenza: raccontare che Dio è salvezza, perché amore. Si svolge in un tempo relativamente breve (circa quattro settimane, un tempo distribuito in tre tappe corrispondenti alle tre aree comunali (Borno, Ossimo, Lozio ndr) che compongono la vostra Unità Parrocchiale), dove al centro viene posta la predicazione della Parola di Dio, soprattutto durante la celebrazione dell’Eucarestia, nei Centri d’ascolto che saranno attivati nelle famiglie, in alcuni incontri di catechesi e formazione alla fede proposti a bambini, adolescenti, giovani e coppie. Un aspetto che caratterizza la Missione popolare è rappresentato dalla visita dei missionari alle famiglie, agli ammalati e alle persone in difficoltà.
Di seguito, brevemente, commentiamo le esperienze che caratterizzano la Missione popolare, consapevoli che dovranno essere attuate nella forma e nei modi adatti alla vostra realtà ecclesiale e sociale.
Dipinto realizzato da Giuseppe Rivadossi per le Missioni Popolaro del 1994
Visita alle famiglie - Entrare nelle case per annunciare la novità del Regno è una delle strategie che Gesù suggerisce agli Apostoli, quando li invia a due a due per adempiere alla missione. I missionari visiteranno le famiglie per un breve dialogo, per consegnare un messaggio di fede, per condividere una preghiera.
Predicazione della Parola - L’annuncio di Gesù e del suo vangelo è il cuore della Missione. La fede nasce dall’ascolto, perché Dio è Colui che non smette di parlare al nostro cuore, di singoli e come comunità parrocchiali, per educarci alla verità, ossia per sostenere il nostro cammino di fede e renderlo autentico attraverso gesti e scelte che attuino la carità evangelica. Senza l’ascolto della Parola e la sua predicazione, la fede si spegnerebbe, verrebbe meno la fonte che alimenta la dimensione spirituale di noi credenti. Perderemmo il contatto con il volto di Dio, smarriremmo la nostra relazione con Lui, svanirebbe la preghiera. Custodire al centro del nostro itinerario di credenti la Parola della salvezza significa restare aperti alla ricerca del senso della vita e soprattutto avvertire la vita come un dono che non si esaurisce nello scorrere del tempo.
Momenti di catechesi - Sono previsti degli incontri sulla Parola di Dio con gli adulti, i bambini, gli adolescenti, i giovani, con chi vive l’esperienza della genitorialità e dell’essere coppia. La catechesi, sulla scia della predicazione, cerca di presentare e approfondire i contenuti della nostra fede cristiana. Si potrebbe dire che la catechesi fa prendere visione della bellezza della fede cristiana, visto che illustra e penetra il mistero dell’amore divino che in Gesù morto e risorto si è rivelato come perdono e legame con la paternità divina.
Visita agli ammalati - Gesù, ci raccontano i vangeli, poneva i segni del Regno, in primis i segni dell’amore verso le persone ammalate che spesso invocavano il dono di una guarigione che aveva anche un significato di rinnovamento spirituale e morale. La carità evangelica ci spinge a considerare l’importanza della compassione per coloro che sono nella difficoltà, che sono nella prova della sofferenza e che, dunque, sono spinti dalla loro condizione a confidare in Dio come salvezza, come risposta ultima di senso per la loro vita. Nella malattia la persona è interpellata sul significato dell’esistenza, soprattutto viene chiamata in causa la fede: nella malattia ci si può allontanare dal Dio vivente, oppure gli si può aprire le porte, consegnando a Lui la propria esistenza, offrendole un orizzonte di speranza.
La “missione popolare” vuole raggiungervi per ridire che Dio non smette di compromettersi con la nostra storia, con le nostre inquietudini, le nostre angosce e paura, con i nostri desideri di bene, di giustizia, di felicità, che convivono, talvolta subendone l’influsso, con il pessimismo e le tante ingordigie materialistiche del nostro contesto sociale.
Sì, la “missione popolare”, con grande umiltà, vuole entrare nelle vostre comunità per ridire che la fede cristiana è una chiamata alla santità, una proposta per stare dalla parte di Dio, del Dio di Gesù Cristo, mistero di bontà. Di bellezza, appunto, che trasforma in profondità la nostra vita e la apre ai tanti significati dell’amore, quell’amore senza il quale saremmo “degli esseri incomprensibili”, come diceva San Giovanni Paolo II.
I Missionari Oblati di Maria Immacolata
di Passirano
LA VOCE DEL CONVENTO
Carissimi fratelli e sorelle,
tento di risvegliare in me ed in noi il desiderio di un affidamento a Dio attraverso la mediazione di questo fratello Beato Innocenzo.
La vita di questo santo ha molto di rilevante per il nostro tempo, per noi.
Anzitutto la sete di Dio, che si manifestò in lui fin dalla fanciullezza e poiché non è un privilegiato bisogna ammettere che grande è stata la Grazia di Dio che, precedendo ogni merito personale, ha permesso a Innocenzo di desiderare fin da piccolo ciò che è più importante.
Cosa è importante? La parte migliore che Gesù indica a Marta indicando l’atteggiamento di Maria.
Rammentiamo il Vangelo e questo episodio: “Mentre erano in cammino, (Gesù) entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo accolse nella sua casa. Essa aveva una sorella, di nome Maria, la quale, sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola; Marta invece era tutta presa dai molti servizi. Pertanto, fattasi avanti, disse: «Signore, non ti curi che mia sorella mi ha lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma Gesù le rispose: «Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c’è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta»” (Lc 10,38-42).
Attraverso la Grazia di conoscere e vivere la parte migliore sono sgorgate nel Beato Innocenzo tutte le grazie necessarie al suo ben vivere.
Sappiamo per certo che il Padre ci conosce intimamente e sa meglio di noi ciò che è più utile alla nostra vita e quindi ascoltarlo, parlargli, stargli accanto significa attingere da Lui ciò che è più buono e utile alla nostra esistenza.
Ma c’è un altro aspetto che il Beato Innocenzo ci rammenta: la solidità che la vita ci dà quando viviamo nella volontà del Padre. Il fare la sua volontà ci permette di vivere in una serenità ineguagliabile e di continuare le nostre giornate con una forza sovraumana, la medesima forza del Padre. Fare, vivere secondo la sua carità ci permette di essere continuamente da Lui sostenuti e quindi di poter poi fare e vivere situazioni che umanamente superano le nostre aspettative umane.
La vocazione del Beato Innocenzo è stata una vocazione cristiana, ricca di Dio, ricca di carità.
Questo ce lo rende accessibile, famigliare, compagno di strada e amico nelle difficoltà.
La sua intercessione ottenga anche alla tua vita ogni bene, tutto il bene, solo il bene.
Un caro saluto a tutti
fra Piero Bolchi
L'ABC DELLA FEDE
Che cos’è la Bibbia? La parola Bibbia deriva dal greco e significa letteralmente libri. La Bibbia, infatti, è un insieme di libri redatti da una quarantina di autori diversi, nel corso di circa 1000 anni.
Com’è strutturata la Bibbia? La Bibbia è divisa in due parti: Antico Testamento (AT), composto da quarantasei libri e Nuovo Testamento (NT), composto da ventisette libri.
Nell’AT, redatto per lo più in ebraico, troviamo principalmente la storia dell’origine del mondo, del popolo d’Israele e del suo rapporto con Dio.
Nel NT, scritto in greco, troviamo tutto quanto riguarda la vita di Gesù e la nascita della Chiesa e delle prime comunità cristiane.
In realtà, questa divisione è soltanto apparente e utile per collocare alcuni fatti temporalmente. A ben vedere, l'Antico Testamento è ricchissimo di riferimenti profetici sulla vita di Cristo, sulla sua venuta sulla terra e sulla sua natura divina, mentre il Nuovo Testamento contiene continui rimandi e conferme degli scritti più antichi.
Struttura dell’Antico Testamento
Pentateuco (i primi cinque libri della Bibbia), narra degli inizi del mondo e introduce alla storia del popolo d’Israele:
1. Genesi
2. Esodo
3. Levitico
4. Numeri
5. Deuteronomio
Libri storici, sono dodici e descrivono le vicende del popolo d'Israele, come il suo ingresso nella terra promessa sotto la guida di Giosuè, la conquista del paese, le numerose infedeltà e i vari ritorni al Signore, l’introduzione della monarchia, le invasioni da parte di Assiri e Babilonesi fino alle deportazioni. Poi, dopo settant'anni di esilio, il ritorno in patria, la ricostruzione delle mura e del Tempio a Gerusalemme. Dopo tali avvenimenti, la narrazione si interrompe per un periodo di quattrocento anni.
Libri poetici, sono cinque e rappresentano dei veri capolavori di letteratura e soprattutto dei tesori spirituali.
Libri profetici, raccolgono i messaggi dei profeti di Israele. Un profeta di Dio era un canale che egli usava per trasmettere la sua parola al popolo e annunciare anche eventi futuri. Israele aveva il compito di essere il portavoce di Dio fra gli altri popoli, ma, a causa delle continue infedeltà, veniva meno al suo compito. Per riportarlo all’ubbidienza, Dio suscitava continuamente dei profeti, il cui messaggio vivo e potente aveva non solo lo scopo di metterli in guardia dai pericoli comportati dall'idolatria e spingerli al ravvedimento, ma anche di annunciare la venuta e la gloria del Messia che li avrebbe liberati. Ognuno di questi profeti che si avvicendarono aveva caratteristiche particolari. Tutti parlarono di ciò che ancora non si vedeva e spesso morirono prima che le loro predizioni si avverassero, ma quello che Dio aveva ispirato loro si realizzò alla lettera nei secoli successivi e alcune loro profezie si stanno adempiendo sotto i nostri occhi.
Questa sezione di divide in:
1. profeti maggiori
2. profeti minori
Struttura del Nuovo Testamento
Vangeli e Atti degli Apostoli. I vangeli, scritti da quattro evangelisti, raccontano la vita di Gesù e trasmettono il suo messaggio di salvezza, mentre gli Atti degli Apostoli raccontano le vicende dopo l’Ascensione di Gesù e la nascita delle prime comunità cristiane, ad opera della predicazione degli apostoli.
Le lettere di san Paolo, sono tredici, inviate a diverse comunità cristiane fondate dallo stesso Paolo.
Lettere cattoliche, così chiamate perché sono lettere universali, rivolte a tutti i cristiani. Sono state scritte da alcuni degli apostoli di Gesù.
L’Apocalisse di san Giovanni. È un’opera drammatica, piena di simboli, non sempre immediatamente comprensibile. Molti lettori sfogliano l’ultimo libro della Bibbia per trovarvi indicazioni sul futuro. Ma Dio non ci ha dato questo testo per soddisfare la nostra curiosità. Come tutti i libri che compongono la Bibbia, l’Apocalisse trasmette un messaggio che riguarda ognuno di noi, ieri, oggi, e domani.
La parola “Apocalisse” deriva da un termine greco che significa “rivelazione”. Secondo il primo versetto del libro, si tratta di una rivelazione di Gesù Cristo data da Dio e riguarda le cose che devono accadere. È l’unico libro della Sacra Scrittura in cui viene promessa una benedizione speciale a chi lo legge: «Beato chi legge e beati quelli che ascoltano le parole di questa profezia e fanno tesoro delle cose che vi sono scritte, perché il tempo è vicino!» (1,3).
Questo testo conclude la rivelazione biblica e deve essere interpretato alla luce di tutta la Sacra Scrittura. I suoi 22 capitoli contengono centinaia di citazioni dell’Antico Testamento ed è necessario conoscere bene quei testi per comprendere il significato preciso dei personaggi e dei simboli presenti nell’Apocalisse.
Il titolo del libro riporta il nome dell’autore, Giovanni, in cui si riconosce tradizionalmente l'apostolo di Gesù. Secondo diversi autori, il testo fu scritto durante le violente persecuzioni al tempo di Domiziano. Sarebbe quella l’epoca in cui Giovanni fu esiliato a Patmos, un'isola nel mare Egeo, a circa 55 chilometri dalla costa turca.
L’uso del tempo passato “ero in Patmos" sembra indicare che, pur avendo avuto le visioni mentre era sull’isola, fu soltanto dopo la sua liberazione ed il ritorno ad Efeso che Giovanni scrisse il libro, quindi verso il 96 d.C.
a cura di don Simone
L'ABC DELLA FEDE
I principali gesti del corpo nella celebrazione liturgica
Nella liturgia il corpo è luogo della celebrazione, non semplice mezzo o strumento per celebrare.
Stare in piedi
È una caratteristica che distingue l’uomo dalla maggior parte degli animali e indica la sua dignità come re della creazione.
Questo atteggiamento riunisce una serie di valori e significati:
- in piedi manifestiamo il rispetto e l’attenzione per una persona importante;
- è l’atteggiamento che meglio indica la prontezza e la disponibilità;
- è il segno della dignità di risorti, di figli di Dio, di persone libere dalla schiavitù del peccato e della morte;
- è l’atteggiamento di chi veglia in attesa del Signore risorto e del compimento della salvezza.
Nella liturgia si rimane in piedi durante i riti d’ingresso, mentre si canta l’alleluia e viene proclamato il vangelo, alla professione di fede e mentre vengono presentate le preghiere dei fedeli, durante la preparazione della Comunione e al momento dei riti conclusivi.
Stare seduti
È un atteggiamento che esprime la ricettività e l’ascolto.
Significa inoltre:
- attento e comodo ascolto, per una proficua interiorizzazione;
- un atteggiamento di pace e distensione;
- la posizione più favorevole alla concentrazione e alla meditazione.
È l’atteggiamento del discepolo verso il maestro, ma anche la posizione di chi insegna, di chi giudica, di chi agisce come ministro della Riconciliazione.
Nella liturgia si rimane seduti durante la proclamazione delle letture prima del vangelo, quando il sacerdote tiene l’omelia, alla presentazione dei doni durante l’offertorio e dopo la comunione in silenzio orante.
Stare in ginocchio
Davanti alla grandezza di Dio l’uomo si inginocchia.
L’atto di pregare in ginocchio esprime:
- la fede nella presenza di Dio, come dice il Salmo: “Venite, prostrati adoriamo, in ginocchio davanti al Signore che ci ha creati” (Sal 95, 6);
- l’umiltà, il sentirci piccoli e peccatori;
- la venerazione del Mistero e l’adorazione;
- la penitenza.
Nella liturgia ci si inginocchia durante la consacrazione (precisamente, dal gesto dell’imposizione delle mani fino all’elevazione del calice inclusa); si può rimanere inginocchiati anche durante tutta la preghiera eucaristica, fino al Padre nostro.
La genuflessione che è il segno d’adorazione, è riservata al Ss.mo Sacramento e alla santa Croce (dalla solenne adorazione nell’azione liturgica del Venerdì Santo fino all’inizio della Veglia pasquale).
Scrive Romano Guardini: “Quando pieghi il ginocchio, non farlo né frettolosamente né sbadatamente. Dà all’atto tuo un’anima! Ma l’anima del tuo inginocchiarsi sia che anche interiormente il cuore si pieghi dinanzi a Dio in profonda reverenza”
Sarebbe un peccato che sparisse l’abitudine di pregare in ginocchio in alcuni momenti della nostra vita da credenti: nella preghiera personale, nell’adorazione del Ss.mo Sacramento, passando davanti al tabernacolo, nella preghiera penitenziale.
Il silenzio
Il silenzio è il grembo che genera l’ascolto, perché crea le condizioni indispensabili affinché si possa passare dall’udito esteriore all’adesione interiore, dal suono delle parole, che si imprime nell’orecchio e nella mente, al canto della vita, che manifesta l’avvenuto ascolto della Parola. Il silenzio, come acutamente hanno intuito i grandi autori spirituali, è così importante per l’ascolto della Parola anche perché evoca la presenza nascostamente efficace dello Spirito Santo, il vero maestro interiore, senza il quale sarebbe impossibile riconoscere la parola della Scrittura come Parola di Dio e decidere che sia lei a guidare i nostri passi. Nei brevi silenzi liturgici previsti, che non possono che essere un anticipo di tempi di silenzio più prolungati al di fuori dell’azione liturgica per la preghiera e la meditazione, ci è dato di sperimentare l’azione vigorosa e suadente dello Spirito, che apre la mente alla comprensione, invita all’assenso del cuore e suggerisce le parole dell’adorazione, della lode e della supplica.
San Giovanni Paolo II diceva: "un aspetto da coltivare con maggiore attenzione all’interno delle nostre comunità è l’esperienza del silenzio. La liturgia tra i suoi diversi momenti e segni, non può trascurare quello del silenzio".
Nella liturgia il silenzio è vivamente consigliato dopo l’ascolto delle letture e dopo l’omelia, durante le preghiera eucaristica e dopo la comunione, come tempo di ringraziamento per il dono dell’Eucaristia ricevuto.
a cura di don Simone
13-1-2019: DON PAOLO È PROPRIO ARRIVATO
Era dal mese di novembre che la gente dell’altopiano del sole si faceva domande del tipo “Quando arriverà il nuovo parroco? Speriamo che non tardi molto. Ci sentiamo orfani.
Chissà come sarà: sarà giovane, vecchio. Speriamo che non si spaventi quando conoscerà le tante parrocchie dislocate sul nostro territorio. Ne avrà di cose da affrontare! Dovremo proprio stargli vicino!” Finché una domenica di dicembre, in chiesa, don Simone ha dato lettura della lettera ricevuta dal Vescovo Pierantonio che annunciava l’arrivo di don Paolo Gregorini proveniente da Manerbio per il 13 gennaio.
Conosciuta quindi la data d’arrivo, tutto il paese si è mobilitato ad accoglierlo nel miglior modo possibile. Si è messa in moto la macchina della collaborazione, del confronto, del consigliarsi, ed ognuno ha dato sfogo alla propria creatività e fantasia per rendere il paese il più accogliente possibile. Alla fine, davvero il paese aveva cambiato aspetto! Fiori di ogni genere, bianchi e gialli, creati dalle mani di tante volontarie laboriose e palloncini, anch’essi bianchi e gialli, hanno ornato strade, negozi, balconi. Si respirava un clima di entusiasmo e gioia e di impazienza per vedere e conoscere finalmente questo don Paolo.
Anche don Simone era in fibrillazione per dar il meglio di sé curando il suo coro e preparando nei minimi particolari la celebrazione della prima Santa Messa di don Paolo nella nostra parrocchia.
Ed ecco, è arrivato il tanto atteso giorno! Dalla Dassa è partita una processione di gente insieme alla nostra Banda Santa Cecilia che ha accompagnato il nuovo parroco fino in Piazza San Giovanni Paolo II gremita all’inverosimile.
Qui lo aspettavano i sindaci dell’Altopiano del sole per il consueto saluto di benvenuto e i bambini che, con i palloncini in mano, lo hanno accolto con un “Evviva don Paolo, benvenuto”. Una bimba gli si è avvicinata per offrirgli un mazzo di fiori: lui ha gradito e sorriso facendole una carezza. Su tutti i visi c’era gioia e anche commozione.
Don Paolo, sempre sorridente, con poche e semplici parole ha ringraziato tutti chiedendo di stargli vicino, di aiutarlo a saper adempiere questo suo nuovo incarico, consapevole della grande responsabilità del compito assegnatogli. Terminato il momento dei saluti ufficiali, la processione ha proseguito per la chiesa per la celebrazione solenne. Era stracolma: gente in piedi e anche all’esterno della chiesa. Erano arrivati anche tantissimi parrocchiani di Manerbio, dove copriva il ruolo di vice parroco e cappellano.
Tanti si avvicinavano a noi bornesi e, pur non conoscendoci, ci dicevano che eravamo stati fortunati ad averlo, perché loro stavano rimpiangendo la sua partenza. Noi sorridevamo e in cuor nostro ringraziavamo Dio di questo dono. La cerimonia è durata quasi due ore ma non ce ne siamo neanche accorti perché pendevamo dalle labbra di don Paolo che parlava con voce calda, calma e con un linguaggio semplice e chiaro. Il tutto poi coronato dal coro San Martino, curato da don Simone, che ha creato momenti di alta commozione.
Terminata la Messa si è passati ad un momento conviviale in Sala Congressi. Anche qui la sala non è riuscita a contenere quanti avrebbero voluto salutarlo o parlargli o presentarsi. L’impressione sin da subito è che sia una persona dolce, affabile, desiderosa di conoscere la nostra realtà per poter subito prendere in mano la situazione e mettersi al lavoro: le cosa da fare non mancano!
Infatti già dopo pochi giorni, guidato dall’instancabile don Simone, ha voluto conoscere tutte le realtà presenti, parlando personalmente con ognuno e scusandosi se per i primi tempi non avesse ricordato tutti i nomi perché eravamo in tanti e non si aspettava una così grande e numerosa collaborazione.
Ora sono passati tre mesi, confermiamo la fortuna che ci invidiava la gente di Manerbio. Abbiamo un parroco cordiale, sempre disponibile e presente, che scende per le strade per conoscere la gente e scambiare con loro anche solo un breve saluto. È una persona propositiva che non ha paura delle difficoltà che ci sono e che cerca di affrontarle con ottimismo e pazienza. Un giorno mi ha detto “Bisogna dare e fare più che si può e il meglio possibile. Non lasciamoci abbattere dagli ostacoli”.
Questo è il nostro don Paolo! Siamo stati davvero fortunati. Non lasciamolo solo. Ringraziamo lo Spirito Santo che ha illuminato il nostro Vescovo Pierantonio che lo ha scelto per noi e ringraziamo don Paolo che ha ubbidito con umiltà con il suo Sì che ci richiama il Sì ubbidiente e fedele della Vergine Maria.
Francesca Paradies
13-1-2019: DON PAOLO È PROPRIO ARRIVATO
Domenica 20 Gennaio la comunità di Ossimo Superiore si è riunita per celebrare la festa di Sant’Antonio Abate, protettore degli animali, che da generazioni viene vissuta con fede e amore dal paese. Quest’anno poi, tale ricorrenza è coincisa con la prima messa nella chiesa dei Santi Gervasio e Protasio del nuovo parroco don Paolo Gregorini, che già era stato accolto dall’intera unità pastorale la domenica precedente.
All’inizio della celebrazione eucaristica, la comunità ha dato il proprio benvenuto a don Paolo con le parole di Mons. Angelo Bassi, originario di Ossimo Superiore e collaboratore nella nostra unità pastorale, a cui è seguita una lettera di saluto e incoraggiamento al nostro nuovo “pastore”:
“Caro don Paolo, caro nuovo parroco,
dopo il tuo arrivo solenne di settimana scorsa nell’unità pastorale, oggi la comunità di Ossimo Superiore si ritrova con gioia e riconoscenza per accogliere la sua nuova guida, per lodare il Signore a gran voce dicendo: “Benedetto colui che viene nel nome del Signore”. Ecco che La presenza del Parroco, il quale agisce in “Persona Christi” ci è tanto preziosa perché diventa strumento di unione per conciliare le sensibilità e le diversità del tuo nuovo gregge. Ringraziamo Dio Padre che con il dono della tua vocazione ci permette di entrare in comunione piena e perfetta con Lui, sicuri che lo Spirito Santo saprà guidarti e accompagnarti in questa tuo nuovo cammino che oggi diventa anche il nostro cammino.
Caro don Paolo oggi noi ti accogliamo nella famiglia della nostra piccola comunità, sarai per noi Padre e Maestro, ma anche e soprattutto amico, con te siamo pronti a condividere le nostre iniziative e idee, ma anche gli sforzi e le difficoltà. Nel tuo ingresso Tu hai parlato delle 5 comunità che formano l’unità pastorale, paragonandole alle mani di tutti noi che devono collaborare insieme con gioia e entusiasmo, ecco che con fermezza oggi la nostra comunità è pronta ad offrire la propria mano, formata dalle mani di tutti noi per lavorare insieme nell’unità pastorale.
Forza don Paolo, buon cammino e GRAZIE.
BENVENUTO!”
Al termine della celebrazione, i fedeli si sono recati all’altare per venerare e baciare la reliquia di Sant’Antonio Abate che da sempre è sostegno per il paese. Successivamente, come da tradizione, il celebrante si è recato al sagrato per benedire gli animali e i mezzi agricoli giunti da tutta l’unità pastorale.
Infine, per concludere, c’è stato un momento conviviale al centro anziani del paese, dove dopo una buona merenda, è andata in scena la tombola e la lotteria.
Si ringraziano tutti coloro che hanno contribuito a realizzare questa giornata di festa e coloro che con le loro offerte hanno assicurato, anche quest’anno, un prezioso aiuto.
Michele Ravelli
13-1-2019: DON PAOLO È PROPRIO ARRIVATO