Pasqua 2010
A differenza di chi vive in città, nei prati e lungo le vallate delle nostre montagne, a volte, abbiamo ancora l'occasione di vedere pastori che conducono e vegliano il proprio gregge, sia sotto il sole che nei giorni di pioggia.
Per molti, forse, sarà un'immagine arcaica. Per altri l'idea della massa che si muove solamente al comando di qualcuno che sta sopra, potrà sembrare mortificante per la creatività e l'originalità che ognuno può e deve scoprire dentro di sé; potrà essere in contraddizione con il concetto di democrazia secondo il quale le decisioni devono essere condivise da tutti. Proprio quel concetto che, pur presentando istanze vere quali la pari dignità delle persone, spesso riduce e appiattisce tutto di nuovo ad una massa, ad una questione di numeri, facendo passare per vero, buono e giusto solo ciò che - più o meno apparentemente - viene fatto decidere dalla maggioranza.
La realtà quotidiana, tuttavia, ci mostra che nelle famiglie, nei rapporti educativi, nei cori canori sono sempre necessari genitori, educatori, maestri che guidano, insegnano, dirigono. Solo così si ama, si cresce e si possono ascoltare le vere melodie della vita, quelle in cui anche le voci diverse e i solisti riescono ad armonizzarsi in un'unica direzione.
Ecco allora che l'immagine del gregge è tuttora l'unica capace di esprimere il cammino di una comunità, il cammino della stessa Chiesa, specialmente quando lo sguardo del pastore e quello dei fedeli puntano entrambi in un unica direzione, verso l'unico e vero Pastore che conduce alla fonte della salvezza.
Ogni cammino può riservare imprevisti, piccoli o grandi ritardi, come testimonia anche l'uscita posticipata di questo numero di Cüntómela della quale ci scusiamo. A volte lungo la strada, invece degli osanna, si possono ricevere accuse, sputi, insulti come ci ricorda l'articolo del card. Re sul difficile momento che sta vivendo la Chiesa e lo stesso Papa Benedetto XVI.
Ma se mediante la preghiera e la guida dei pastori perseveriamo nel nostro cammino, se anche nei giorni di pioggia, quando vorrebbero indurci a vedere solo l'oscurità del male che purtroppo c'è, riusciamo a tenere puntato il nostro sguardo verso Colui che hanno trafitto, il nostro cuore sarà ancora invaso dal timore che si tramuta in gioia per l'unica notizia davvero straordinaria: Cristo è risorto!
La redazione
ripensandoci
Siamo giunti al termine del nostro itinerario quaresimale iniziato 40 giorni fa con il rito delle ceneri. Siamo giunti al culmine della celebrazione annuale della nostra fede, per la prima volta celebrato con voi bornesi. Siamo giunti alla notte di veglia in onore del Signore, la notte beata nella quale Cristo, “spezzando i vincoli della morte, risorge vincitore dal sepolcro”.
La sera prima del giorno splendente di Pasqua, abbiamo celebrato la grande veglia. La liturgia della luce, la liturgia della Parola, la liturgia battesimale, ci hanno condotti e, ricordando, ci condurranno ancora alla liturgia delle liturgie, la liturgia eucaristica pasquale. Fuori dalla chiesa il fuoco benedetto ci ha invitato a far sì che le feste pasquali accendano in noi il desiderio del cielo. Il cero che abbiamo introdotto in chiesa cantando “Cristo luce del mondo” è simbolo di Cristo-Dio, alfa e omega e sta a dirci che la luce del Signore risorto nella gloria disperde le tenebre del cuore e dello spirito.
La liturgia della Parola, attraverso le letture proclamate, ha gettato i fasci di luce della rivelazione su questa nostra storia desiderosa di incontrare Dio. La liturgia battesimale che abbiamo vissuto ci ha riportato ai secoli lontani nei quali i catecumeni, dopo una lunga preparazione, ricevevano il battesimo, fonte di grazia e di rigenerazione, proprio nella notte in cui Cristo risorge vincendo la morte e sconfiggendo il peccato. E dopo la veglia, alla luce del giorno, anche noi potremo con l'immaginazione del cuore condividere i sentimenti e lo stupore delle donne che per prime ricevettero l'annuncio della resurrezione: “non abbiate paura, colui che cercate non è qui. È risorto”.
E se ancora non siamo saturi delle cose inutili del mondo, nel vuoto che abbiamo fatto dentro di noi in questa Quaresima, risuonerà di nuovo questo annuncio che fa tremare i nemici del Signore e fa intimorire e gioire insieme i suoi amici. Tremore, timore e gioia: sono i sentimenti contrastanti che si generano in noi di fronte alla resurrezione. Tremore generato dalla paura in coloro che hanno crocifisso Gesù che ora, con potenza, ritorna alla vita. Timore e gioia che invadono il cuore di coloro che hanno amato Gesù, che ancora non riescono a credere che egli sia veramente risorto eppure, attratti da questo evento sconvolgente, vanno a Lui. Timore e gioia grande devono essere anche i nostri sentimenti perché oggi, ancora una volta, celebriamo il ricordo attualizzato di un evento che ha trasformato la storia.
Davvero la resurrezione è il segno autentico dall'amore di Dio, dell'identità del figlio di Dio e dell'interesse senza limiti che Dio ha per noi uomini. Dopo che Gesù è risorto, nulla è più come prima: l'uomo è realmente liberato, è realmente riconciliato con Dio, unico sommo bene dell'uomo.
È un evento che porta conseguenze dirette anche per noi questo? Certamente. Cristo risorto chiama, chi lo ha scelto e seguito, a risorgere, a rinnovarsi e a cambiare vita qui ed ora. Chiama a cambiare vita, sapendo che è una lotta quotidiana, una guerra difficile, ma non impossibile da vincere; cambiare vita sapendo che convertire la vita, cioè lasciare ciò che è male in noi per ritrovare l'amicizia perduta con Dio, è il nostro bene.
È come possibile questo? San Paolo ci aiuta con una immagine efficace: svestitevi dell'uomo vecchio, che si corrompe seguendo le passioni ingannatrici, e rivestitevi dell'uomo nuovo creato da Dio, nella giustizia nella verità. Cristo è l'uomo nuovo, Colui che può rinnovarci, farci più giusti e più veri, più uomini e donne autentici. Ecco l'invito della Pasqua: ascoltiamo Lui, seguiamo Lui, viviamo per Lui. E il nostro uomo vecchio cadrà, lasciando il posto alla vita nuova.
Buona Pasqua e il Signore sia la vostra gioia.
Don Francesco
ripensandoci
L’Anno Sacerdotale, che ormai volge al termine, ha attirato l’attenzione sui sacerdoti, chiamati ad essere uomini di Dio nella società di oggi, capaci di parlare di Dio agli uomini e di parlare a Dio, nella preghiera, degli uomini.
A Borno l’argomento “preti” è stato sulla bocca di tutti per il cambio di parroco: don Giuseppe è passato a fare il parroco a Darfo dopo 19 anni a Borno e don Francesco è venuto a sostituirlo pieno di vigore e con una grande carica di umanità. Uno è partito e l’altro è arrivato: è tuttavia la medesima missione del Buon Pastore che continua per il bene di tutti.
Nelle intenzioni del Papa, l’Anno Sacerdotale è stato un invito a guardare ai sacerdoti con gli occhi della fede, per cogliere il mistero di predilezione con cui Cristo è entrato nella loro vita e li ha resi strumenti per comunicare il suo amore, il suo perdono e la sua grazia.
Ogni sacerdote, benché conscio della propria debolezza, offre la sua vita per chiamare Dio sulla terra sotto il velo delle specie eucaristiche; presta le sue mani per la distribuzione dell’Eucaristia; presta la sua testa per spiegare la Parola di Dio; a nome di Dio assolve dai peccati; presta la sua lingua per esortare a divenire una nuova generazione di credenti che, con la testimonianza della vita, rendono Dio credibile. Ad un uomo sulla terra Dio non può fare dono più grande del sacerdozio.
Detto Anno è stato anche occasione per guardare al Santo Curato d’Ars a 150 anni dalla sua morte. Quando Don Giovanni Maria Vianney fu destinato ad Ars, il Vicario Generale della diocesi gli disse: “Ars è una piccola parrocchia nella quale c’è poco amore di Dio, ma voi ce lo metterete”.
E realmente la gente di Ars frequentava le osterie e le balere più della bella chiesetta parrocchiale.
Il Curato d’Ars era però tutto il giorno in chiesa, da prima che spuntasse l’alba, e là pregava e, meditando davanti al Santissimo Sacramento, preparava le sue prediche.
La gente che lo cercava, sapeva di trovarlo in chiesa ed i fedeli che riprendevano ad andare a Messa ed a confessarsi aumentavano, fino a quando negli ultimi anni il Curato d’Ars doveva passare 14-15 ore al giorno in confessionale per i pellegrini che venivano anche da lontano.
Dalla chiesa il Curato d’Ars usciva per andare a visitare gli ammalati, per organizzare opere di carità e di aiuto sociale. Con la collaborazione di un paio di buone donne e di una signora benestante che mise a disposizione una casa, il Curato d’Ars fondò anche un orfanotrofio. In occasione del Corpus Domini si dava da fare perché tutte le strade fossero parate a festa, affinché il Santissimo Sacramento ricevesse il dovuto onore e tra il popolo crescesse il fervore eucaristico.
E così la gente di Ars sentì il fascino del Vangelo di Cristo e in paese rifiorì la vita cristiana.
Anche oggi ci sono numerosi “Curati d’Ars” che danno tutto se stessi per il bene della loro gente. Quanti bravi preti – ed anche Borno ne è testimone, da don Domenico Moreschi a Don Pinotti in giù (per citare quelli che ho conosciuto nei miei anni verdi) – dedicano la propria vita a preparare i ragazzi ed i giovani al loro futuro; quanti sacerdoti proclamano con la parola e con l’esempio (sì, anche con l’esempio) l’ideale di una vita pulita, seria, impegnata, generosa; quanto fanno i preti per formare le coscienze ed incoraggiare a vivere con rettitudine morale!
Il grande risalto nella stampa e nei mezzi di comunicazione di questi ultimi mesi ai preti pedofili, o che si sono resi colpevoli di peccati con minori, tende a fare dimenticare i tanti “Curati d’Ars” che ancora esistono.
Certamente l’abuso di minori è un peccato gravissimo che offende Dio e la dignità della persona umana. Il danno fatto da alcuni sacerdoti e religiosi a persone minori e fragili riempie tutti di profonda tristezza, dolore e senso di condanna.
Però sia chiaro: è la nostra società che è malata, ed anche alcuni uomini di Chiesa, purtroppo, ne sono stati contaminati. Dai titoli dei giornali i casi sembrano più di quelli che sono in realtà: se poi si esaminano le cose in profondità, la percentuale numerica è bassissima: si tratta di casi isolati, riguardanti l’uno o l’altro e molti non sono recenti, ma risalgono alla metà del secolo scorso e i cui responsabili, o almeno una parte di essi, sono già morti da più anni.
Dobbiamo riconoscere che è in atto una battaglia campale contro la Chiesa, che ha cercato di colpire perfino il Papa. Non propriamente contro la persona del Papa, perché su questo terreno è impossibile attaccarlo: basta conoscere Benedetto XVI per essere sicuri che in questo è inespugnabile, essendo la sua vita al di sopra di ogni dubbio. L’accusa è che, prima di essere Papa, non avrebbe fatto tutto il possibile per combattere energicamente gli abusi da parte di sacerdoti (quando era Arcivescovo di Monaco di Baviera o Capo della Congregazione per la Dottrina della Fede). La verità è che ben pochi hanno fatto quanto il Cardinal Ratzinger e poi Papa Benedetto per combattere gli abusi sessuali e creare attorno alla gioventù un ambiente sano e sereno. La Chiesa non intende tollerare nessun cedimento e nessuna incertezza circa la condanna dell’abuso sessuale dei minori e circa la necessità di allontanare immediatamente dal ministero sacerdotale chi si è macchiato, anche una sola volta, di tanta infamia. In pari tempo la Chiesa desidera essere vicina alle vittime e offrire loro giusta riparazione.
In un primo momento avevano cercato di coinvolgere il Papa, attaccando il fratello del Papa; poi è stato dimostrato che il caso riguardante un ragazzo del coro di Ratisbona era avvenuto non durante gli anni in cui il Direttore del Coro era il fratello del Papa. Essendo fallito questo tentativo, hanno alzato il tiro. Si vuole tentare di indebolire l’autorità morale della Chiesa e del Papa.
In fondo è vero quanto il Sen. Pera ha pubblicato sul “Corriere della Sera”: è in atto una lotta accanita del laicismo contro il cristianesimo.
I riflettori accesi dai mezzi di comunicazione sui peccati commessi dai sacerdoti hanno dato la falsa impressione che molti preti siano “bacati”. In realtà non è così. Ogni persona ben intenzionata sa che ciò non è vero. Non è giusto estendere i comportamenti di una percentuale minima a tutti i preti della Chiesa.
Fortunatamente, la nostra gente stima ed ama i sacerdoti, li cerca ed è loro riconoscente per quanto fanno.
Il tam-tam dei mezzi di comunicazione degli scorsi mesi ha avuto anche un effetto contrario: ha portato la gente delle nostre parrocchie a non lasciare troppo soli i preti, a pregare per loro ed a sostenerli con calore umano.
Card. Giovanni Battista Re
ripensandoci
Quando mi hanno chiesto di scrivere di nuovo due righe sui Centri di Ascolto mi sono detta: “Mamma mia! Cosa posso dire ancora?”. Chi legge Cüntómela, infatti, potrà forse ricordare che già più di una volta ho detto la mia sui Centri di Ascolto della Parola e dunque, in un primo momento, ho avuto il timore di non avere argomenti nuovi.
“Quale assurdità!” mi sono subito detta riflettendoci appena un attimo, “Quando mai, se il soggetto principale su cui scrivere è Gesù, posso temere di non trovare argomenti nuovi?” In fondo è quello che, di primo acchito, mi capita ogni anno: con l'avvicinarsi dei tempi di Avvento e di Quaresima, nonostante la preparazione sempre attenta e precisa che viene garantita agli animatori dei Centri, quando arriva la vigilia della prima serata mi ritrovo sempre in ansia, come alla primissima sera, come ad un esame, ed il pensiero corre alle mie “donne del centro” (come le chiamo io).
Anche se magari cambiano i brani in argomento, è sempre sul Vangelo di Gesù che dobbiamo riflettere e in me c'è il timore che si stancheranno o che non avranno voglia di affrontare ancora le stesse cose. Ma appena ci ritroviamo intorno al tavolo della ex scuola elementare di Paline, con il cero accesso accanto alla Bibbia aperta sul piccolo leggio di legno, gli occhi negli occhi, i foglietti in mano per iniziare la preghiera d'apertura e la lettura delle domande che introducono la fase tecnicamente chiamata “Per entrare in argomento”... ogni anno, puntualmente, tutte le mie ansie scompaiono.
C'è ogni volta una forte sensazione di "sorellanza" che ci unisce, una palpabile atmosfera di pace che noi, forse ambiziosamente, amiamo ritenere dono vero dello Spirito Santo che, in mezzo a noi, ci invita a “mettere in piazza” il nostro essere cristiane.
In fondo sono proprio questo i Centri di Ascolto: condividere la fatica dell'impegno a vivere con coerenza il nostro essere cristiane in tutti gli ambiti della nostra vita; scambiarci pensieri, emozioni, difficoltà, paure, incomprensioni, ma anche speranze, gioie e sensazioni forti, a lungo attese e poi finalmente sperimentate, e ancora decisioni prese (o non prese) alla luce di quegli insegnamenti sui quali abbiamo deciso di basare la nostra vita.
Ed ecco, allora, che Gesù “prende la Parola”. Sono certa di parlare a nome di tutte le altre persone del Centro quando dico che, ogni volta, pur davanti alla stessa Parola, lo stupore ci coglie impreparate e ci regala nuove certezze, nuovi modi per comprendere, sempre di più e sempre meglio, gli insegnamenti di Gesù. Abbiamo sperimentato spesso che vivere la vita quotidiana da cristiani non è cosa facile; tuttavia ogni anno, in occasione di queste serate all'apparenza uguali a tanti altri incontri che la parrocchia ci mette a disposizione per approfondire la fede, ci stupiamo di avere sempre cose nuove da imparare e angolazioni diverse dalle quali guardare a quella Parola, sempre uguale eppure sempre nuova.
Sperando di essere riuscita a trasmettervi un pochino della grande gioia che, personalmente, ogni anno vivo grazie ai Centri di Ascolto, auguro a tutti una Pasqua Santa. Alla luce di Cristo risorto invito tutti quelli che non hanno ancora provato questa bellissima esperienza, ad avvicinarsi ad uno dei tanti Centri che la parrocchia attiva ogni anno in Avvento e in Quaresima: sono certa che ne rimarrete affascinati come me!
Anna Maria
ripensandoci
Con la nomina del nuovo consulente ecclesiastico don Mario Bonomi, il Consultorio Tovini ha ripreso appieno la sua attività sui tre filoni classici di intervento: consulenza, prevenzione e formazione.
Vari sono i campi in cui è offerta consulenza: pedagogico (rapporto genitori/figli - famiglie allargate - genitori separati...); psicologico (adolescenti e giovani - fidanzati - sposi - famiglie - coppie in crisi...); sessuologico (singoli - coppie...); psicoterapeutico (singoli - coppie, nuclei familiari...); legale (in particolare per riconoscimento di nullità del matrimonio...); medico-sanitario (psichiatra - pediatra - ginecologo...); etico-religioso (per tutti, come ricerca di se stessi e del significato della propria vita, anche alla luce del messaggio evangelico).
I casi seguiti nel corso del 2009 sono stati 216 (col termine “caso” si intende una famiglia, o una coppia, o una persona singola...) ed hanno interessato circa 300 persone, di cui 84 coppie. I casi espletati sono stati 98, 57 dei quali hanno avuto una positiva conclusione.
Dal 1° gennaio 2010 i casi in carico sono 118, così suddivisi per zona di provenienza: 12 dalla 1° zona (Edolo e dintorni); 55 dalla 2° (Breno e dintorni); 37 dalla 3° (Darfo e dintorni); 8 dalla 4° (Pisogne/Lovere e dintorni); 6 da fuori zona.
L’accesso al Consultorio si caratterizza per il momento di “accoglienza”: la persona, quale che sia la sua provenienza (non c’è distinzione di razza, di lingua, di religione...), viene ricevuta con un approccio ricco di umanità e di condivisione ed invitata ad esporre i motivi della sua richiesta. Successivamente il “caso” viene affidato all’operatore più preparato in quel preciso campo.
Per la prevenzione e la formazione risulta interessante la presenza di due progetti, condotti con spirito di “rete”.
1. “Nessuno in panchina: rimettiamoli in gioco!” (legge 23/99, art.4, comma 2, lettera g), attivato con la supervisione dell’Asl di Breno presso le Scuole Medie di Boario Terme e di Angolo, riguarda la dispersione scolastica. Il titolo stesso è eloquente. Non si tratta solo di prevenire fenomeni di evasione dall’obbligo scolastico, di interruzione di frequenza o di bocciatura, ma di evitare quella situazione - decisamente ben più grave - che va sotto il nome di “dispersione dell’anima”: presenza di una sorta di lacerazione interiore, fatica a ritrovare se stessi, a costruire una propria identità, a raggiungere obiettivi di sicurezza-fiducia personale-autostima.
Il progetto è molto articolato e prevede tutta una serie di interventi che, al momento attuale, sono a livelli diversi di realizzazione.
Si stanno tuttora svolgendo i seguenti percorsi:
Saranno attivati dopo le vacanze pasquali:
2. Progetto in partnership con la locale Asl dal titolo “Una rete per la tutela della vita”.
Questa importante iniziativa intende costruire e consolidare una efficiente rete tra le associazioni e gli enti già operanti sul territorio al fine di promuovere, in ogni forma, una “cultura della vita”, prevenendo e rimuovendo ostacoli ed impedimenti.
All’interno di questo ampio ed articolato progetto il Consultorio, in stretta collaborazione con l’Istituto PRO FAMILIA di Breno, attiva tutta una serie di interventi mirati a sensibilizzare adolescenti, giovani, coppie e famiglie sul valore della vita e sulla necessità di rimuovere cause materiali e culturali che la possono insidiare.
Il progetto si svolge su due annualità: la prima dal 1° febbraio 2009 al 31 gennaio 2010 e la seconda dal 1° febbraio 2010 al 31 gennaio 2011.
La prima annualità è pertanto recentemente terminata, con buoni risultati. Le attività del Consultorio si sono concretizzate in 4 “miniprogetti”, di seguito indicati:
Il Consultorio è presente anche in altre iniziative: ad esempio collabora con le Suore Dorotee di Cemmo per la “Scuola Genitori”, iniziativa che ottiene in Valle notevole successo riuscendo ad aggregare circa 480 genitori! Via via nel tempo è venuta maturando un’ottica di rete, visione indispensabile oggi. In prospettiva si pensa ad una proficua e stretta collaborazione con l’Eremo di Bienno, su problematiche in corso di analisi tra i due giovani e bravi sacerdoti, ricchi di iniziativa e di disponibilità - don Mario Bonomi e don Roberto Domenighini - e Presidenza (Fausto Testini) e Direzione (Lucia Pelamatti) del Consultorio stesso e del Pro Familia.
Forze nuove sono entrate in équipe, che ora si avvale anche della presenza di alcuni consulenti giovani e competenti. Da segnalare, sempre per l’équipe, (di cui è supervisore Giancarla Sigala), l’importanza del momento formativo di carattere spirituale, guidato dal consulente ecclesiastico e molto apprezzato da tutti i partecipanti.
Ingresso recente anche di nuove forze di volontariato, disponibili e capaci.
In calendario prossimi incontri tra rappresentanti del Consultorio e Congreghe di sacerdoti delle singole zone al fine di approfondire la conoscenza reciproca e di impostare nuove forme di collaborazione.
L’augurio è che si incrementi il numero dei soci, in modo che l’intero territorio venga adeguatamente rappresentato e di conseguenza sensibilizzato alle molteplici emergenze che questa nostra difficile stagione sta incontrando.
Lucia Pelamatti
Direttrice del Consultorio
ripensandoci
Insieme al digiuno e alle opere di carità, la preghiera è l'esperienza che dovrebbe contraddistinguere la Quaresima e l'intera vita di ogni cristiano. Ma “Che cos'è la preghiera?”, “Come pregare?”, “Perché pregare?”. Sono questi i tre capitoli di un agile volumetto (l'ho letto tra un sabato sera e il pomeriggio della domenica successiva) scritto da Enzo Bianchi, priore della comunità monastica di Bose.
Ricordato che pregare non è mai stata un'azione umanamente facile, tanto che gli stessi apostoli hanno chiesto a Gesù: «Signore, insegnaci a pregare» (Lc. 11,1), l'autore ha descritto innanzitutto cosa dovrebbe essere per il cristiano questa la preghiera.
Partendo dalle tradizionali frasi di S. Agostino «Tu ci hai fatto per te, Signore, e il nostro cuore non ha pace finché non riposa in te» e di Giovanni Damasceno «La preghiera è l'elevazione dell'anima a Dio», Enzo Bianchi ha sottolineato come questo tendere dell'uomo verso Dio sia insufficiente per definire la preghiera e la stessa fede. Secondo la Bibbia, infatti, non è tanto l'uomo, con le sue sole forze, che può elevarsi per raggiungere e conoscere Dio, ma è Dio stesso che si rivela si e prende cura del suo popolo, che desidera talmente fare amicizia, entrare in comunione con l'uomo da incarnarsi in Gesù Cristo.
Ecco allora che biblicamente la preghiera è innanzitutto ascolto. Ogni momento orante del popolo ebraico iniziava con lo “shemà Israel”, “ascolta Israele”; il giovane Salomone, all'invito da parte di Dio di esprimergli ciò che desiderava, rispose «un cuore docile», «un cuore capace di ascolto», secondo la traduzione dello stesso Bianchi; sia al momento del battesimo nel Giordano, sia sul monte della trasfigurazione l'espressione di Dio Padre riguardo a Gesù è stata molto chiara: «Questo è il mio figlio, ascoltatelo!»
Il Signore ci parla mediante la sua Parola, la Chiesa e gli avvenimenti quotidiani. Ed è proprio ponendoci in ascolto e meditando giorno per giorno ciò che viviamo, facendo memoria di tutto quello che il Signore ha fatto per ognuno di noi, che possiamo vivere l'invito di S. Paolo di pregare incessantemente (1Ts 5,17). È mediante l'ascolto che possiamo destarci accogliendo una Presenza che fonda e colma la nostra vita, e aprendoci a quella vera comunione che, rendendoci consapevoli di tutta la nostra debolezza (come il pubblicano nel tempio), ci immerge in un grande mistero d'amore.
Immersi in questa grande comunione d'amore, come ci suggerisce sempre S. Paolo, non siamo più noi che viviamo, ma è Cristo che vive in noi; non siamo più noi solo che preghiamo - lasciandoci trasportare magari da entusiasmi e sentimentalismi passeggeri -, ma è lo Spirito Santo che prega dentro di noi, aiutandoci soprattutto nei momenti aridi. Tutto questo dovrebbe, poi, sfociare nella contemplazione che, come ricorda Enzo Bianchi, non è un'estasi spiritualistica di visioni e atmosfere più o meno angeliche, ma uno sguardo nuovo sulla quotidianità, un saper guardare tutti e tutto con gli occhi di Dio.
Circa il come pregare l'autore del libro è partito ovviamente dalla madre di tutte le preghiere, quella che Tartulliano definiva «il compendio di tutto il Vangelo», ossia il Padre Nostro, e dalla cornice evangelica in cui è incastonato, per sottolineare l'esigenza, prima di pregare, di riconciliarsi con gli altri: «Chi infatti non ama (e ascolta) il proprio fratello che vede, non può amare (e ascoltate) Dio che non vede» (1Gv 4,20).
Ribadita la fondamentale importanza della preghiera liturgica e comunitaria in cui, come ricordava anche don Alberto agli adolescenti due estati fa, si può “imparare” a pregare dall'amico che siede accanto a noi e che prega con e anche per noi, il priore di Bose si duole del fatto che, sia in famiglia sia a livello pastorale nelle parrocchie, non si insiste e non ci si educa più molto alla preghiera personale, quella vissuta nel silenzio del proprio cuore, secondo lo stile di Gesù che si ritirava in disparte a pregare. E qui mi viene in mente ciò che ama ripetere p. Giacomo: se non ci abituiamo ogni giorno a fare un momento di silenzio dentro noi e intorno a noi per ricentrare la nostra vita su Dio e sulle realtà vere, rischiamo di venire travolti dalla caotica confusione di questo mondo in continuo mutamento.
Un altro spunto interessante offerto dal libro è la falsa contrapposizione fra preghiera di domanda, ritenuta infantile o egoistica, e la preghiera di ringraziamento, l'unica considerata degna di essere formulata. Sia il Vangelo che lo stesso Padre Nostro sono un continuo invito a cercare, a bussare, a chiedere tutto ciò di cui abbiamo bisogno: questo per aiutarci ad essere consapevoli che senza Dio non possiamo fare nulla, ma anche per educarci a purificare sempre più i nostri desideri, facendoli convergere verso l'essenziale, verso quella parte migliore che non ci verrà mai tolta.
La preghiera di domanda ci libera dalla presunzione che tutto dipenda da noi, facendoci cogliere, invece, che il vero bene, la vera pace, il vero amore, pur richiedendo la nostra risposta e il nostro impegno, ci sono donati. Ciò alimenta la speranza, la fiducia e il desiderio di ringraziare, il desiderio di una vita eucaristica. «Solo chi rende grazie» scrive l'autore «fa l'esperienza della salvezza».
Nell'ultimo capitolo di “Perché pregare, come pregare” - è questo il titolo del libro - Enzo Bianchi affronta difficoltà e ostacoli alla preghiera: alcuni seri e problematici come il presunto silenzio e non intervento di Dio nelle tragedie anche recenti della storia (vedi lo sterminio ad Auschwitz), altri che si rivelano poco più che scuse come, ad esempio, la mancanza di tempo da dedicare alla preghiera, quando ne sprechiamo in abbondanza davanti alla televisione o navigando in Internet.
Il libro termina con un'altra frase di S. Agostino: «Il desiderio prega sempre, anche quando la lingua tace. Se tu desideri sempre, preghi sempre. Quand'è che la preghiera sonnecchia? Quando si raffredda il desiderio». E l'autore conclude affermando che «La preghiera è il nostro desiderio di amore».
Franco
ripensando... alla vita
Chi guarda al benessere economico alla luce del Vangelo sa che esso non è tutto, ma non per questo è indifferente. Infatti, può servire la vita, rendendola più bella e apprezzabile e perciò più umana.
Fedele al messaggio di Gesù, venuto a salvare l’uomo nella sua interezza, la Chiesa si impegna per lo sviluppo umano integrale, che richiede anche il superamento dell’indigenza e del bisogno. La disponibilità di mezzi materiali, arginando la precarietà che è spesso fonte di ansia e paura, può concorrere a rendere ogni esistenza più serena e distesa. Consente, infatti, di provvedere a sé e ai propri cari una casa, il necessario sostentamento, cure mediche, istruzione. Una certa sicurezza economica costituisce un’opportunità per realizzare pienamente molte potenzialità di ordine culturale, lavorativo e artistico.
Avvertiamo perciò tutta la drammaticità della crisi finanziaria che ha investito molte aree del pianeta: la povertà e la mancanza del lavoro che ne derivano possono avere effetti disumanizzanti. La povertà, infatti, può abbrutire e l’assenza di un lavoro sicuro può far perdere fiducia in se stessi e nella propria dignità. Si tratta, in ogni caso, di motivi di inquietudine per tante famiglie. Molti genitori sono umiliati dall’impossibilità di provvedere, con il proprio lavoro, al benessere dei loro figli e molti giovani sono tentati di guardare al futuro con crescente rassegnazione e sfiducia.
Proprio perché conosciamo Cristo, la Vita vera, sappiamo riconoscere il valore della vita umana e quale minaccia sia insita in una crescente povertà di mezzi e risorse. Proprio perché ci sentiamo a servizio della vita donata da Cristo, abbiamo il dovere di denunciare quei meccanismi economici che, producendo povertà e creando forti disuguaglianze sociali, feriscono e offendono la vita, colpendo soprattutto i più deboli e indifesi.
Il benessere economico, però, non è un fine ma un mezzo, il cui valore è determinato dall’uso che se ne fa: è a servizio della vita, ma non è la vita. Quando, anzi, pretende di sostituirsi alla vita e di diventarne la motivazione, si snatura e si perverte. Anche per questo Gesù ha proclamato beati i poveri e ci ha messo in guardia dal pericolo delle ricchezze (cfr Lc 6,20-25). Alla sua sequela e testimoniando la libertà del Vangelo, tutti siamo chiamati a uno stile di vita sobrio, che non confonde la ricchezza economica con la ricchezza di vita. Ogni vita, infatti, è degna di essere vissuta anche in situazioni di grande povertà. L’uso distorto dei beni e un dissennato consumismo possono, anzi, sfociare in una vita povera di senso e di ideali elevati, ignorando i bisogni di milioni di uomini e di donne e danneggiando irreparabilmente la terra, di cui siamo custodi e non padroni. Del resto, tutti conosciamo persone povere di mezzi, ma ricche di umanità e in grado di gustare la vita, perché capaci di disponibilità e di dono.
Anche la crisi economica che stiamo attraversando può costituire un’occasione di crescita. Essa, infatti, ci spinge a riscoprire la bellezza della condivisione e della capacità di prenderci cura gli uni degli altri. Ci fa capire che non è la ricchezza economica a costituire la dignità della vita, perché la vita stessa è la prima radicale ricchezza, e perciò va strenuamente difesa in ogni suo stadio, denunciando ancora una volta, senza cedimenti sul piano del giudizio etico, il delitto dell’aborto. Sarebbe assai povera ed egoista una società che, sedotta dal benessere, dimenticasse che la vita è il bene più grande. Del resto, come insegna il Papa Benedetto XVI nella recente Enciclica Caritas in veritate, “rispondere alle esigenze morali più profonde della persona ha anche importanti e benefiche ricadute sul piano economico” (n. 45), in quanto “l’apertura moralmente responsabile alla vita è una ricchezza sociale ed economica” (n. 44).
Proprio il momento che attraversiamo ci spinge a essere ancora più solidali con quelle madri che, spaventate dallo spettro della recessione economica, possono essere tentate di rinunciare o interrompere la gravidanza, e ci impegna a manifestare concretamente loro aiuto e vicinanza. Ci fa ricordare che, nella ricchezza o nella povertà, nessuno è padrone della propria vita e tutti siamo chiamati a custodirla e rispettarla come un tesoro prezioso dal momento del concepimento fino al suo spegnersi naturale.
Roma, 7 ottobre 2009
Memoria della Beata Vergine del Rosario
Il Consiglio Permanentedella Conferenza Episcopale Italiana
ripensando... alla vita
È domenica mattina 31 gennaio, sono nella mia culla e vedo gli occhioni della mamma che mi fissano, lei mi sorride e capisco che qualcosa di diverso bolle in pentola. Chissà dove mi porteranno i miei genitori oggi?
Di corsa mi infilano giacca e cappello e siamo pronti alla partenza. In auto mamma e papà cercano di spiegarmi che oggi è la mia festa. Strano, mi dico, non mi sembra che sia già passato un anno da quando sono al mondo; comunque faccio finta d’aver capito e come al solito sfodero uno dei miei migliori sorrisi. Ripercorriamo la strada verso quella grande casa con la croce sopra dove, poco tempo fa, mi hanno spiegato che sono diventato figlio di Dio. Una volta entrati capisco che oggi si festeggia la Giornata della vita.
I miei genitori me lo ripetono da quando sono nato: per loro sono un dono di Dio e non passa giorno in cui loro lo ringrazino per la mia vita. Oggi hanno portato in Chiesa anche me, forse speravano che potessi dire anche io una preghierina per la nostra famiglia, ma il sonno ha avuto la meglio; accidenti nei momenti buoni mi addormento sempre.
Fortunatamente, sarà stata la bassa temperatura, sarà stato il sole che splendeva, al momento del lancio dei palloncini ero arzillo come un grillo. Bello veder salire al cielo una miriade di palloncini tutti colorati. Io ad uno di essi ho affidato il mio desiderio più grande: crescere in un mondo dove tutti i bambini possano avere la fortuna di camminare, mano nella mano, con Cristo che si manifesta attraverso l’amore delle persone che ci stanno accanto. Io questa fortuna ce l’ho, ed essere nutrito quotidianamente con grosse cucchiaiate d’amore aiuta non poco a vedere un futuro più roseo.
Ovviamente questo articolo non l’ho scritto tutto io, anzi per la verità non l'ho nemmeno cominciato, dato che le mie manine non sanno ancora scrivere. Ciò non toglie che dentro di me non preghi il Signore per il meraviglioso dono che mi ha dato: LA VITA.
il piccolo Matteo
ripensando... alla vita
Anche quest'anno è tornata la Quaresima a scuotere le nostre coscienze spesso assopite, ad interpellare le nostre vite, ad interrogarci circa il senso della nostra fede. E anche quest'anno, durante gli incontri di catechismo, con i ragazzi di seconda media abbiamo riflettuto su come vivere al meglio questo periodo di conversione e su come assolvere concretamente l'impegno al quale la Quaresima ci chiama: l'impegno della carità. Abbiamo capito che non potevamo più accontentarci dei bellissimi fioretti che facevamo da bambini, ma che dovevamo impegnarci in qualche cosa che ci mettesse in gioco in prima persona, qualcosa che non solo toccasse il nostro salvadanaio o il nostro tempo libero, ma che ci aiutasse anche a capire quale fosse il senso vero della condivisione con i fratelli di realtà e bisogni concreti.
Così, grazie a Don Francesco, abbiamo conosciuto il “Progetto Gemma”, un progetto che il nostro parroco già da alcuni anni sosteneva nella sua parrocchia di Capo di Ponte.
Il “Progetto Gemma” nasce a livello nazionale nel 1994 ed è un servizio per l'adozione prenatale a distanza di madri che aspettano un bambino e sono in difficoltà, tentate altrimenti di non accogliere il proprio figlio. Aderire al progetto significa aiutare una mamma per un periodo minimo di 18 mesi, gli ultimi 6 di gravidanza i primi 12 di vita del bambino, con un contributo minimo mensile di € 160, per un totale di 2880 Euro. Il progetto è promosso a livello nazionale dai CAV, cioè i Centri di Aiuto alla Vita di ispirazione cristiana, i quali non solo aiutano materialmente le madri in difficoltà, ma sono anche un sostegno morale preziosissimo, a volte insostituibile, per le donne contrastate da tanti dubbi e incertezze sul tenere o meno il loro bambino.
In Valle Camonica, a Pisogne, esiste un CAV che da anni lavora con dedizione e assiduità. Esso ha contribuito affinché decine di bambini venissero alla luce, quando ormai tutto sembrava indirizzato a risolvere “il problema” mediante l’aborto. Durante la Quaresima abbiamo invitato alcune volontarie del centro di Pisogne, che sono venute ad incontrarci e, facendo conoscenza con noi, ci hanno illustrato in cosa consiste il loro impegno nel CAV. Ci hanno proposto anche di aiutare concretamente una giovane mamma della Valle Camonica, la quale si è rivolta a loro perché, nonostante le pressioni della famiglia e i grossi problemi fisici ed economici in cui versa, non vuole abortire, ma anzi vuole a ogni costo dare alla luce il proprio bambino.
Noi siamo stati subito entusiasti di questa proposta, ma siccome come gruppo di catechismo da soli non riusciamo a sostenerla interamente, abbiamo deciso di chiedere la vostra collaborazione, dando un nome particolare a questa nostra iniziativa. L'abbiamo denominata nel modo più semplice e comprensibile a grandi e piccoli: “Progetto Cicogna”. Questo nome a noi ragazzi richiama immediatamente la nascita di un bambino, il suo vedere la luce venendo dall’alto, il suo essere un dono che la mamma riceve, ma che insieme con lei anche noi accogliamo.
Per questo progetto noi ci impegniamo a versare € 10 tolti rigorosamente dal nostro salvadanaio, non da quello di papà e mamma; faremo una bancarella per la vendita delle torte e, cosa più importante, ci proponiamo di versare un piccolo contributo, tutti i mesi con costanza, anche durante l’estate. Insomma ci impegniamo seriamente a sostenere nel tempo una mamma e un bambino che sentiamo già un po' nostri e a condividerne nel limite del possibile le loro sorti. Vogliamo che il nostro non sia un entusiasmo passeggero, che l'impegno preso in Quaresima non si esaurisca in 40 giorni, ma continui nel tempo. Aiutateci in questo progetto nel quale anche voi potrete dire con noi: “abbiamo contribuito a far nascere un bambino”. A tutti buona condivisione.
I ragazzi e le catechiste della seconda media
P. S. Se qualcuno fosse interessato a conoscere in maniera più approfondita il lavoro, le proposte, i bisogni del CAV non esiti a chiedere anche noi. Potete fermare i ragazzi di seconda media anche per strada: siamo disponibili per qualsiasi chiarimento. Qui di seguito descriviamo brevemente il progetto che di nuovo proponiamo a tutti voi.
“PROGETTO CICOGNA”
UN'IDEA IN PIÙ PER SERVIRE E CELEBRARE LA VITA
Partecipa anche tu al “Progetto Cicogna”: una idea dei ragazzi della seconda media con le loro catechiste. Offri ad una mamma il sostegno economico che le consenta di portare a termine con serenità il periodo di gestazione e la aiuti nel primo anno di vita del bambino.
COME FARE UN PROGETTO CICOGNA - Il Progetto Cicogna si realizza attraverso il Centro di Aiuto alla Vita (CAV) di Pisogne che offre accoglienza e aiuto alle maternità più contrastate.
PENSACI BENE: OGNI MAMMA ADOTTATA È UNA VITA SALVATA - Ricordati: il tuo sostegno può essere determinante a far nascere un bambino. Per questo su iniziativa dei ragazzi di seconda media è nato il Progetto Cicogna che si propone di mettere in collegamento le mamme più bisognose con tutti coloro che desiderano aiutarle. La tua richiesta di adozione, se vuoi, puoi farla personalmente, o partecipando alla nostra richiesta come parrocchia immediatamente associata a uno dei tanti casi di mamme con bambino segnalata al Centro di Aiuto alla Vita (CAV) di Pisogne.
18 MESI DEL TUO AIUTO VALGONO QUANTO UNA VITA - Accettare un'adozione prenatale a distanza significa aiutare la mamma per un periodo minimo di 18 mesi (gli ultimi 6 mesi di gravidanza e i primi 12 mesi di vita del bambino) con un contributo mensile di 160 Euro, da versare direttamente al CAV a cui si è stati abbinati. Se l'impegno è troppo pesante per una persona singola o una famiglia, si può condividerlo con amici o metterlo in atto come parrocchia: ed è quello che faremo noi. Sarà compito del CAV destinare la cifra totalmente alla mamma da aiutare e al bambino da salvare.
Ben arrivato don Francesco
Borno accoglie il nuovo parroco
Caro don Francesco,
nel darLe il benvenuto nella nostra comunità, desideriamo innanzitutto ringraziare il Signore perché, mediante il Vescovo, l'ha chiamata a venire in mezzo a noi per esserci parroco, pastore, guida e ci auguriamo anche amico.
Grazie don Francesco per aver accolto questo invito che proprio oggi si trasforma nell'inizio di un nuovo cammino che speriamo, sia per Lei che per tutti noi, possa essere lungo e ricco di opportunità per crescere nella fede, nella speranza e nell'amore.
Come i sentieri di montagna, i percorsi di una comunità possono condurre ad ammirare panorami stupendi, ma richiedono fatica, costanza, tenacia, voglia di mettersi in gioco e di donarsi. A volte viene spontaneo sentirsi in cordata, darsi la mano e tendere a quel “amatevi gli uni gli altri”; altre volte difficoltà, incomprensioni o semplice superficialità possono indurre a scegliere salite in solitaria, a preferire i sentieri dell'egoismo, della sola e precaria ricchezza materiale, di un certo individualismo, della stessa indifferenza religiosa che ormai iniziano a serpeggiare anche nella nostra comunità.
Grazie, però, ai sacerdoti che l'hanno preceduta ed in questi ultimi mesi a don Franco e don Alberto che hanno fatto di tutto per farci avvertire meno la mancanza del parroco, noi desideriamo continuare a sentirci in cordata e Le chiediamo di aiutarci ad essere sempre comunità in cammino.
La preghiera, la testimonianza soprattutto verso i ragazzi e i giovani, la disponibilità per mantenere funzionali e decorosi gli ambienti della comunità, l'attenzione e la vicinanza verso chi è nel bisogno, la collaborazione nella corresponsabilità, sono i passi che ci impegniamo a donarLe per rendere vivo questo cammino, consapevoli delle nostre piccole o grandi miserie e che senza il Signore e la forza del Suo Spirito non possiamo fare nulla.
L'arrivo di un nuovo parroco è sempre occasione di rinnovamento nelle iniziative e nel coinvolgimento delle persone e dei collaboratori: per questo rendiamo ancora grazie a Dio della Sua presenza in mezzo a noi.
Carissimo don Francesco a nome di tutti i nostri bambini, adolescenti e giovani, a nome dei papà, delle mamme, degli anziani e degli ammalati, a nome dell'intera comunità di Borno e di Paline ben arrivato e buon lavoro! Il Signore Le doni tanta forza e tanto entusiasmo per questo nuovo cammino insieme a noi.
Ben arrivato don Francesco
Borno accoglie il nuovo parroco
Ben arrivato don Francesco
Borno accoglie il nuovo parroco
Santana (Amazzonia - Brasile), 15-2-2010
Carissimo Don Francesco,
ci siamo sentiti al telefono sabato scorso, appena rientrato dagli Esercizi Spirituali. Il giorno 7 febbraio ho tentato di telefonare per tutto il pomeriggio, ma nessuno rispondeva. Posso immaginare come è andata la prima settimana a Borno. Dopo 19 anni abituati con Don Giuseppe, girare pagina penso non sia molto facile.
II mio vescovo Mons. Carlo Verzeletti quando ha saputo della tua nomina a parroco di Borno, mi ha detto che sei un prete molto bravo. Mons. Carlo Verzeletti è stato mio vescovo per oltre 10 anni, ma io pure ho dovuto ubbidire ai miei superiori e il 15 febbraio dello scorso anno sono stato trasferito in un’altra parrocchia, come curato. Una parrocchia di recente erezione, senza canonica, senza niente.
I frati missionari che hanno iniziato questa avventura sono stati del veri pionieri. E i miei superiori brasiliani mi hanno buttato qui, appunto perché sapevano che mi sarei arrangiato e che avrei costruito la casa parrocchiale. Vedi le foto. Ci sono otto stanze,tutte col bagno, la cappella, la cucina, refettorio, area di servizio. Tutto piccolo, ma molto accogliente.
Sono un frate e allora ho cercato di fare le cose conforme lo stile francescano. Avrei dovuto rientrare in Italia lo scorso anno, ma c’era questa casa da fare. E allora in Italia ci vengo quest’anno e così potrò conoscere il mio nuovo parroco di Borno.
Anche se ci siamo incontrati a Carpenedolo alcuni anni fa, mi ricordo bene che mi hai detto che eri native di Terzano, il paese del mio Vescovo. E a Carpenedolo ci sono andato perché il gruppo missionario di là mi conosce per il fatto che sono molto amico di Padre Giangiuseppe Pietta. Che è ancora molto vivace, nonostante i suoi 80 anni e più.
Al telefono mi dicevi che a Borno fa molto freddo, come del resto in tutta la Valcamonica e in tutta Italia. Qui fa sempre molto caldo, siamo sulla linea dell’equatore, sulla sponda sinistra del grande fiume Rio delle Amazzoni.
Chiedo al Signore che mi dia forza e coraggio per continuare nella mia missione con grande zelo e amore per le anime. Di cose da fare ce ne sono molte. Basti il fatto dei tetti coperti con tegole di amianto. Abbiamo sei chiese nella parrocchia.
Chiedo al Signore che il tuo apostolato nella mia terra natale sia pieno di copiosi frutti. Sono sicuro che Borno ha ricevuto un grande dono del Signore nella tua persona. I bornesi sono un po' testardi, craponi, ma hanno il cuore buono.
Faccio tanti auguri di una santa Quaresima e una Buona Pasqua.
Aff.mo Padre Defendente
Ben arrivato don Francesco
Borno accoglie il nuovo parroco
Carissimo Don Francesco,
Ciao! Sono padre Giacomo e ti scrivo dalle Filippine. Ti spero felice a Borno e spero che la ferita del distacco dalla tua precedente parrocchia si stia già rimarginando. Le ferite al cuore capitano solo a quelli che amano sul serio la gente. E ho sentito che tu sei uno di quelli.
Non ti ho scritto in occasione del tuo ingresso a Borno non perché non ti abbia ricordato, ma solo perché io sono un incorreggibile lazzarone quando si tratta di scrivere.
Ci vorrà tempo, fino al mio rientro a Borno per vacanze, perché ci possiamo conoscere di persona, ma sappi che, da quello che ho sentito dire di te, ti ho già preso in simpatia.
Io sono già vecchietto, nei 69, ma grazie a Dio mi difendo ancora bene e posso fare più o meno tutto quello che viene richiesto dalle mie responsabilità. Qui tutti i miei confratelli mi chiamano “nonno”, perché quello che viene dopo di me come età ha 20 anni di meno... e quindi sono nonno anche per lui. Non sto a dilungarmi nella lettera. Volevo solo mandarti gli auguri di Buona Pasqua, augurandoti che sia ricca di cose belle, o anche cose difficili che però si rivestono della luce della risurrezione perché portano frutti di un futuro migliore.
Salutami don Alberto! Auguri di Buona Pasqua da una “tua pecorella” anche se lontana.
Tuo. P. Giacomo
Ben arrivato don Francesco
Borno accoglie il nuovo parroco
Un pensiero semplice sulle letture di questa quinta domenica del tempo ordinario, nella quale faccio il mio ingresso nella parrocchia Borno, per lasciare poi alla fine i doverosi ringraziamenti legati alla circostanza.
È la domenica della chiamata. Lo possiamo cogliere dalle tre letture proclamate oggi. Dal libro del profeta Isaia: si narra della chiamata di questo profeta a servire il Signore facendosi voce di lui che si rivela al popolo di Israele. Dalla seconda lettura tratta da San Paolo apostolo: egli stesso testimonia come l'incontro di conversione con il Signore gli abbia cambiato l'esistenza e l’abbia fatto diventare apostolo, cioè annunciatore della Parola che salva e di Cristo redentore del mondo. Dal Vangelo: ci viene presentata la chiamata di Pietro e dei discepoli a diventare amici del Signore e suoi testimoni nel mondo, guidati dalla forza dello Spirito Santo.
Pensando a ciò che la Parola di Dio ci ha fatto conoscere mi domandavo perché, anche nel nostro linguaggio religioso, si parla tanto di Dio che chiama, di chiamata, di vocazione. La risposta potrebbe essere nel fatto che noi non abbiamo un Dio indifferente, non abbiamo un Dio insensibile. Quando nessuno ci chiama per nome, quando nessuno ci parla, quando nessuno ci chiede collaborazione, allora pensiamo subito di valere poco, anzi di non valere nulla o ci rendiamo conto, peggio ancora, di essere in mezzo a tante persone indifferenti che neanche ci vedono.
Il nostro Dio invece non è così. È un Dio che parla, un Dio che dialoga, che entra in rapporto con le persone. È un Dio che chiama a collaborare con lui coloro che fanno parte del suo popolo. È un Dio anche che richiama quando, molte volte, l'uomo intraprende strade sbagliate, non tanto perché questo procuri un danno a Lui, quanto perché è l'uomo stesso che così si autodistrugge. È un Dio che scuote le coscienze quando coloro ai quali si rivela e con i quali entra in dialogo si assopiscono, perdano l'entusiasmo, si lasciano abbattere dalle difficoltà e dalle delusioni. È un Dio anche che punisce a volte, come farebbe un padre o una madre con il proprio figlio, non per volontà di violenza e di dominio, ma per il desiderio che quel figlio cocciuto accolga invece il buon insegnamento, perché intraprenda vie giuste, senza fare errori gravi che sarebbero solo il suo danno. Soprattutto il nostro Dio, però, ama. Per questo vuole farlo sapere, comunica con gli uomini, chiede collaborazione, interpella, si fa piccolo domandando l'aiuto degli uomini; per questo chiama e fa sentire la sua voce anche oggi.
Pensando a come Dio ha agito sempre nella storia, quali collaborazioni domanda anche a noi oggi, a noi che abbiamo ascoltato quella sua Parola, che chiama interpella tutti? Oggi questo Dio, di cui ci parla il Figlio Gesù, domanda ancora voci “profetiche” che sappiano non tanto leggere il passato, quanto gettare uno sguardo sul futuro, invitando a pensare e ad agire come pensa ed agisce Dio. Oggi il Signore domanda anche degli uomini “convertiti”, persone capaci di collaborare strettamente e fedelmente con Lui sull'esempio di San Paolo che, dopo avere fatto un'esperienza di persecuzione verso i primi cristiani, si è visto cambiare la sua esistenza, non per sua volontà, ma per l'incontro di Grazia con il Signore, ed è diventato testimone di Lui fino a sopportare la prigionia, l’incomprensione e poi anche il martirio.
Oggi il Signore domanda ancora degli “apostoli”, annunciatori di speranza, annunciatori della “buona novella”, annunciatori del Vangelo, persone che non hanno vergogna di parlare, con la forza che viene dal credere che Egli è accanto a loro con la luce e la forza dello Spirito Santo. Oggi domanda a noi tutti cristiani di essere Chiesa che annuncia la salvezza al mondo e agli uomini che ancora non lo conoscono, o hanno dimenticato il nome di Cristo.
E quale messaggio domanda sia annunciato anche oggi dalle nostre parole e dalle nostre persone? Un unico messaggio: l’AMORE DI DIO. Questo amore di Dio è annunciato quando si annuncia il nome di Gesù, il Salvatore unico, quando si fa sperimentare la misericordia del Signore offrendo il perdono, facendoci capaci di risollevare ed aiutare a riprendere vita coloro che sono abbattuti nei loro errori. È annunciato quando non si cede alla tentazione di omettere la verità: anche questo è un modo per far conoscere l'amore di Dio, perché l'amore non è compagno della menzogna, anche se accogliere la verità costa a volte molta fatica.
L'amore di Dio si annuncia come messaggio di Grazia anche quando si tratta di sopportare per amore suo le persecuzioni di oggi. Molto spesso anche qui, nelle nostre parrocchie, nella nostra cultura, è evidente che questo accanirsi contro i credenti, contro i vescovi, contro il Papa, con accuse molto violente ed infamanti, è il segno della persecuzione di chi vuole che la Chiesa non sia più tale e si adegui, riguardo al bene al male, ai criteri di giudizio del mondo. Sono accuse che stridono con l'esempio e la severità che vengono messe in atto proprio contro i mali presenti nel mondo e nella stessa Chiesa, soprattutto quelli più odiosi verso i deboli, verso i bambini, che anche uomini di Chiesa hanno perpetrato, contraddicendo la loro chiamata a vivere e trasmettere l'amore di Dio.
L’amore di Dio è annunciato oggi anche nello stare dalla parte della vita, sempre. In questa domenica noi celebriamo, infatti, la trentatreesima “Giornata per la Vita” che ha come titolo “La forza della vita: una sfida nella povertà”. L'amore di Dio si trasmette e si fa percepibile quando si sostiene la vita umana sempre, dalla nascita, poi nel suo crescere e svilupparsi, fino al suo spegnimento nella morte.
Dentro questa parabola le povertà dell'uomo si fanno molto presenti, non solo nelle debolezze spirituali, ma oggi anche in quelle materiali. La vita, allora, si sostiene anche aiutando tante famiglie che vivono la difficoltà della mancanza del lavoro, della precarietà, del non avere ciò che serve per sostenere minimamente la famiglia. La vita si difende nel cercare di assicurare una dignità anche a persone che, pur nei loro errori, chiedono oggi di vedere restituita la loro dignità di uomini e donne.
E noi cosa possiamo fare, come rispondere alla nostra chiamata? Pensando al fatto che già abbiamo compiuto la scelta fondamentale, viviamo la vita in questa scelta consolidata, non cercando chissà quali altre strade per vivere l'amore di Dio, ma soltanto cercando di vivere più seriamente il nostro essere cristiani, con fiducia grande nella Grazia del Signore. Ecco questo è proprio quello che Dio vorrebbe da noi e vorrebbe anche da me, che vi parlo in questo pomeriggio di festa e di gioia per tutti.
Don Francesco
Ben arrivato don Francesco
Borno accoglie il nuovo parroco
Ho già fatto precedere i miei ringraziamenti sul bollettino parrocchiale, perciò permettetemi oggi di rimanere sul Vangelo, mentre condivido con voi queste ultime riflessioni, dopo otto anni di permanenza alla guida di questa parrocchia di Capo di Ponte.
La Parola di Dio di oggi ci presenta uno spaccato dell'atteggiamento con cui molti, che hanno conosciuto Gesù, si sono posti davanti a Lui. Accogliere è il verbo sul quale anche noi oggi, da cristiani, ci dobbiamo verificare, per scoprire quanto sia presente e significativa la persona del Signore nostro Gesù Cristo. Anche ieri sera nella Messa, ricordavo che molti sono i pregiudizi su di Lui, tra i quali c'è anche quello che giudica le sue parole, la sua azione e finanche la croce un sacrificio inutile, perché non cambia nulla nella vita concreta delle persone. Questo pregiudizio blocca ogni ricerca ed impedisce di aprirsi al Signore, perché non avrebbe nulla di immediato da offrire e, tanto meno, una felicità che costi poco e non comporti sforzi. Così molti lo estromettono dalla loro vita di cristiani ed altri lo rinnegano con facilità nella vita quotidiana.
Ecco invece a cosa serve un prete: a far incontrare la gente con il Signore della vita, della vita beata e senza fine. Serve a far tornare la memoria su chi è Dio, sul suo disegno riguardo al destino dell'uomo, sul paradiso, che è il luogo della nostra vera felicità, su chi ci fa entrare in quella condizione beata, e su come raggiungere quella meta desiderata. Questo è il compito del prete in una comunità parrocchiale: comunicare la buona notizia su Gesù il Salvatore, illuminare e precedere gli altri sulla via per incontrare ed accogliere il Signore, accompagnare e condividere la fatica dei credenti in Cristo nello stare dietro a Lui.
Così ho cercato di fare anch'io, con la mia umanità imperfetta, negli otto anni che sono stato tra voi. Ho provato a comprendere il Vangelo con voi ogni domenica. Ho incontrato molti di voi personalmente. Ho più spesso parlato con voi in occasione della celebrazione dei sacramenti, il battesimo, la cresima, l'eucarestia, il matrimonio, l'unzione dei malati, nei funerali e nelle celebrazioni anche civili. Ho invitato con caparbietà papà e mamme con i figli nella catechesi. Molte volte sono state belle soddisfazioni, talvolta delle delusioni, ma sempre con la speranza di avere un'altra occasione per parlare del Signore Gesù. L'ho fatto sempre con la convinzione che Egli soltanto è capace di cambiare la vita di una persona e di trarre fuori da lei doti insospettate per il bene di tutti.
Potrei testimoniare io stesso questa verità perché nel 1983, ventisette anni fa, nessuno immaginava che sarei venuto tra voi e che mi aveste a segnare così profondamente la vita. Potrebbero dire la stessa cosa molti di voi, che in questi anni con me hanno cercato il Signore e, in molte maniere, hanno capito che Egli sta nella Parola Rivelata, nei sacramenti, nelle persone di fede, nei poveri, nella preghiera e nella carità fraterna. Questo Signore che ha cambiato la mia vita, ne ha cambiate molte altre ed ha lasciato il suo segno, anche tra voi che, ancora come me “imperfetti”, cercate da Lui le risposte alle tante domande della vostra vita. Noi dunque siamo la risposta al pregiudizio che Cristo, la sua passione, morte e resurrezione, la fede, la Messa siano inutili.
Certo, talvolta, noi stessi abbiamo complicato le cose, abbiamo reso opaca la testimonianza del Signore, perché abbiamo permesso che prevalesse la parte nera della nostra anima. E anch'io l'ho fatto, non sempre, non con piena coscienza, non con volontà malefica, ma l'ha fatto: offendendo, arrabbiandomi violentemente, trascurando, sottovalutando situazioni, non compiendo fino in fondo il mio dovere. Vi chiedo perdono ora dei miei errori, perché solo ora, ripensando a questi anni, emergono ricordi e situazioni in cui avrei potuto fare di più e meglio, se solo avessi imitato di più Gesù.
Gioie e amarezze le abbiamo provate tutti, anch'io. Se le prime sono per me di gran lunga maggiori delle seconde, queste però ci segnano di più, soprattutto se sono ancora vicinissime nel tempo, ma anche queste servono per farci più maturi nella vita e nella fede, vivendole in unione Gesù nostro Salvatore.
Mi consola e mi dà fiducia, anche nel nuovo servizio, il fatto che le cose meno belle e dolorose non le ho vissute tra voi come “parroco” e questo mi rincuora, dovendo assumere un incarico più oneroso, in una parrocchia che conosco ancora poco, ma che mi dicono voglia molto bene ai suoi sacerdoti. Voi non siate da meno dei bornesi. Così come avete voluto bene a me, accogliendo con pazienza uno della bassa bresciana per farlo diventare un po' meno bresciano e sempre più camuno, accogliete con fiducia e vogliate bene al vostro nuovo parroco che verrà.
Non è un addio questo, ma un arrivederci ad altre numerose occasioni per incontrarci e perciò auguro a ciascuno di mantenerci in amicizia, ricordandoci nel Signore. Io lo farò e spero sia così anche per voi.
Don Francesco
Ben arrivato don Francesco
Borno accoglie il nuovo parroco
È facile in circostanze come quella di oggi, una bellissima festa, stupendamente preparata, con tanta gente coinvolta, dimenticare qualcuno nei ringraziamenti, all'inizio del mio servizio a Borno. Comunque io ci provo. Rivolgo perciò il mio grazie tutti voi bornesi presenti.
Moltissimi volti non li riconosco ancora, ma in mezzo ai vostri, ce ne sono alcuni che per me sono indimenticabili. Sono i volti dei capontini, che mi hanno accompagnato qui, sono quelli della gente di Pescarzo che mi hanno avuto parroco solo pochi mesi, sono quelli di coloro che hanno conosciuto me a Carpenedolo, tra i quali sono stato nove anni, sono anche i volti dei Trenzanesi, quelli della mia parrocchia di origine e sono i volti di persone che ho conosciuto in questi anni in Valle Camonica. Se sono qui penso sia perché insieme, idealmente, mi vogliono affidare, nel nome del Signore, a voi bornesi perché mi accogliate come vostro parroco.
Quello che stiamo vivendo è un passaggio che mescola tristezza e gioia, ma è un passaggio irreversibile. E se non si possono troncare di netto rapporti e amicizie, da questa sera sarà diverso. Sarà diverso per me e per voi capontini: io ormai sono di Borno e voi preparate bene l'accoglienza del vostro nuovo parroco che spero arrivi presto.
Ho detto “sono di Borno” non tanto perché formalmente sono il parroco di questa parrocchia, quanto perché voglio entrare a far parte di questa comunità civile e religiosa. È una comunità importante, che ha accolto il Papa Giovanni Paolo II, che ha dato i natali a Sua Emin. Giovanni Battista Re, che ha annoverato sacerdoti come don Andrea Pinotti, don Domenico Moreschi, don Ernesto Belotti, che non ho certo conosciuto direttamente, ma di cui mi è giunta l'eco della fama e della stima che ancora Borno porta per loro. È la stima che sento dire voi nutrite per tutti i sacerdoti diocesani e religiosi che qui sono nati, come don Franco Rivadossi, padre Defendente Rivadossi, padre Giacomo Rigali, padre Narciso Baisini che hanno operato nella nostra diocesi, oppure come missionari in parti lontane del mondo. È la stessa stima che avete avuto per i sacerdoti che pure qui hanno lavorato e che voi avete amato fino a don Giuseppe a cui succedo.
Questa è anche una comunità che conserva radici di civiltà molto antiche e un patrimonio culturale da riscoprire come memoria, come identità da conservare. Tutto ciò che è tradizione infatti non è da buttare, ma anzi da riattualizzare in questo tempo, per non perdere il senso delle nostre origini di fede e di civiltà. Saluto e ringrazio della loro presenza il sindaco, le autorità civili e militari, le associazioni del territorio, la banda cittadina e tutti coloro che in ambito civico hanno contribuito ad abbellire il paese e a preparare questa immeritata accoglienza.
L’accoglienza del parroco è soprattutto un evento di Chiesa che stiamo vivendo nella gioia, dopo un periodo faticoso di attesa. Ringrazio perciò il vicario zonale, don Franco Corbelli, e sopratutto don Alberto che, con l'ausilio di don Angelo e di altri generosi sacerdoti, ha retto con sicurezza gli onerosi impegni della parrocchia. Prezioso è stato l'apporto dei consigli parrocchiali, il Consiglio Pastorale e il Consiglio degli Affari Economici, che pure ringrazio per l'affiancamento ai sacerdoti in questo tempo di vacanza.
Sentendo poi accompagnare il rito con il canto, presumo sia presente un coro parrocchiale a cui estendo il ringraziamento per il servizio decoroso, sempre necessario per una degna celebrazione liturgica.
Molte altre persone certamente hanno dato tempo, fatica, impegno: penso a collaboratori, catechisti, sacriste, giovani, adulti e anziani. Tutti voglio ricordare nel mio ringraziamento e nessuno dimenticare, anche se forse potrà accadere. Affidandoci reciprocamente al Signore. Vi chiedo di avere un po’ di pazienza e di comprensione, finché anch’io non avrò imparato (e spero presto) ad essere vostro degno parroco.
Don Francesco
Don Francesco saluta il sindaco di Borno
dalle missioni
Manila, Natale 2009
Carissimi amici di Borno,
da alcune telefonate che ho ricevuto, sembra che siate tutti affaccendati per il Progetto delle Lamiere per Manila, per dare un tetto a mille famiglie che hanno avuto la loro casa distrutta dal tifone.
Sinceramente mi ha commosso sentire dell'entusiasmo che ci state mettendo perché questa iniziativa di solidarietà riesca appieno. Non dico, “Dio vi benedica!” perché vi ha già benedetto e la generosità con cui state lavorando ne è la prova.
Dio è grande nel suscitare la generosità nei cuori e voi siete grandi nel lasciare che questa solidarietà di Dio, passi attraverso i vostri cuori. Sono questi i miracoli che piacciono a Dio. Dio non ama molto fare miracoli in cui sia Lui a fare tutto, preferisce i miracoli in cui riesce a coinvolgere un gran numero di persone, un intero paese.
Qui intanto le cose stanno già muovendosi. Con dei soldi ricevuto da altre fonti abbiamo cominciato a fare qualcosa, sapendo che poi avremmo ricevuto il vostro aiuto. Cinquecento famiglie hanno già ricevuto le lamiere per riparare le loro case. Hanno dovuto arrangiarsi da soli per procurarsi il legname per la intelaiatura del tetto. Tutti hanno cercato di recuperare quanto possibile della casa vecchia: legname, vecchie lamiere, che hanno raddrizzato e ritagliato, porte e finestre. Ognuno ha ricevuto a seconda del bisogno: chi 3, chi 4, chi 5, chi 10 lamiere, magari con 2 o 3 o 4 fogli di faesite. È commovente vedere come con un po' di aiuto riescano a rimettersi a tetto, sentirsi a casa di nuovo e ricominciare a sorridere e sperare.
Le case che vengono messe insieme non sono un gran che, tutte rattoppate come sono, ma sono sempre una casa in cui ricominciare a vivere come famiglia. I miglioramenti verranno col tempo e con la buona volontà di mettercela tutta nella lotta per la vita.
Un papà di famiglia mi diceva: “Padre, avevo perso ogni speranza e, non potendo più sopportare di vedere la mia famiglia senza cibo e senza casa, ero stato tentato di andarmene, di scappare. Poi, invece, il cibo offertoci dalla solidarietà dei buoni e il vostro aiuto per ricoprire la casa, mi hanno ridato coraggio. Siamo di nuovo in casa nostra e, anche se a fatica, riusciamo a mangiare insieme ogni giorno, qualche giorno una volta sola, qualche giorno due volte e qualche giorno abbiamo persino la merenda! Dio vi benedica!”
Queste parole di speranza e di ringraziamento le passo a voi, perché siete voi che vi state impegnando perché molte altre famiglie ritrovino la stessa speranza. Sarà il miracolo di questo Natale!
Anche le attività parrocchiali hanno ripreso appieno. Il 12 dicembre abbiamo avuto la festa patronale, la Madonna di Guadalupe. E la gente ha saputo far festa anche con poco. C'è stata tanta gioia. Ci sono state anche 225 Cresime e sono in vista per gennaio più di mille prime comunioni.
La vita è potente, ha una capacità di ricupero che è davvero miracolosa. E noi ne siamo testimoni! Sorgente e liberatore di questa vita è il Bambino che accogliamo a Natale: sembra fragile, ma è potente! Grazie a tutti voi per essere suoi collaboratori! Buon Natale e Felice Anno Nuovo!
Sempre con tanta gratitudine e amicizia, vostro
P. Giacomo
dalle missioni
Santana, 24-2 -2010
Carissimi amici del gruppo Missionario,
siamo già in Quaresima e la Pasqua si avvicina. Dopo un lungo inverno la natura si rinnova e anche la parrocchia di Borno, con l'arrivo del nuovo parroco, riprenderà il suo cammino di fede, di speranza e ardore missionario.
Ho ricevuto in questi giorni Cüntòmela di Natale un po' in ritardo... e ringrazio per la mia lettera che avete pubblicato, assieme ad alcune fotografie.
Notizie da dare ne ho sempre tante. Il giorno 7 gennaio abbiamo fatto l'inaugurazione della nostra casa parrocchiale, che è un piccolo conventino stile francescano.
Nel mio lavoro sto cercando di mettere in pratica il Vangelo di San Matteo al capitolo 25. “Avevo fame e mi avete dato da mangiare...” Una volta al mese celebriamo la Messa della solidarietà, con la raccolta di generi alimentari per i più poveri della nostra comunità. “Avevo sete e mi avete dato da bere...” È la storia dei pozzi artesiani: ne abbiamo messo a punto già tre, ne mancano ancora due. “Ero nudo e mi avete vestito...” Il giorno dell'Epifania abbiamo organizzato la raccolta dei vestiti, nuovi e usati, sempre per i più poveri. Allego una foto di quel giorno memorabile. La nostra gente mi ha chiesto di organizzare un'altra raccolta di vestiti in questo tempo di Quaresima. Il giorno fissato è domenica 7 marzo.
Quanto alla visita ai malati, è specialmente in questo periodo dell'anno liturgico che mettiamo in pratica l'insegnamento del Signore. Qualcuno mi ha suggerito di organizzare pure la visita alle prigioni.
Nella mia vita di missionario ho aiutato tante persone povere. Non dimenticherò mai che nel 2003 mi hanno fatto cittadino onorario di Nova Timboteua proprio per questo amore verso i poveri, specialmente verso i bambini disabili e bisognosi di aiuto, di affetto e compassione.
Ma quello che più mi rende soddisfatto è il fatto di essere riuscito ad educare la nostra gente ad aprire il cuore verso i fratelli più poveri, facendo sperimentare a loro che nessuno è cosi povero da non avere qualcosa da dare... E mi rendo conto di una cosa: quando la gente apre il cuore verso i più poveri e i più deboli, cresce la fede che si trasforma in carità. È proprio questo il tema della Campagna della Fraternità di quest'anno.
Faccio a tutti tantissimi auguri di ogni bene, in particolare al nuovo parroco. Ho tanta voglia di rivedervi. Nel mese di luglio arrivo a Borno.
Ciao a tutti e un grazie sincero per il vostro bellissimo lavoro.
Padre Defendente
dalle missioni
Carissimi amici, Buona Pasqua a tutti!
Chiedo scusa per questo mio lungo silenzio, non per questo vi ho dimenticato. Ogni giorno i vostri bambini vi hanno accompagnato con la preghiera per affidare ciascuno di voi al Signore, per dirvi il loro grazie. Mi vorrei soffermare con voi con una breve riflessione sul discorso del Papa all’inizio della Quaresima, dove dichiarava che “la giustizia distributiva non basta, serve l’amore”.
Se analizziamo la parola “giustizia”, nel suo significato vuol dire “dare a ciascuno il suo”. Molte volte davanti ad alcune realtà mi chiedo in che cosa consista quel “suo” da assicurare a ciascuno, perché ciò di cui l’uomo ha bisogno non può essergli garantito per legge.
I beni materiali sono utili e direi indispensabili per vivere, e Gesù stesso si è preoccupato di guarire i malati, di sfamare le folle, e se fosse presente oggi condannerebbe l’indifferenza che anche oggi costringe milioni di persone alla morte per mancanza di cibo, d’istruzione, di medicine, ma la giustizia “distributiva” non rende all’essere umano tutto il “suo” che gli è dovuto. Come e più del pane, egli ha bisogno di Dio.
Quale giustizia viviamo noi in Congo? Gli insegnanti sono stati in sciopero tutto il mese di gennaio e febbraio: reclamavano dallo Stato il loro “dovuto”. Hanno lottato per un salario giusto. Li hanno obbligati con forza a riprendere scuola a 35 $ al mese. Quale giustizia distributiva, quando un deputato guadagna 5.000 $ al mese, e un insegnante o un operaio deve vivere con un dollaro al giorno, e sono in dieci o dodici in famiglia?
Abbiamo ripreso la scuola nel mese di marzo, mentre parecchi genitori hanno dovuto ritirare i loro figli da altre scuole perché nell’impossibilità di pagare le rette, che in alcune scuole sono state raddoppiate o triplicate per poter pagare gli insegnanti. La situazione non è certo molto piacevole, e non ci lascia in pace, siamo continuamente contestate e prese di mira, perché noi non abbiamo aumentato la retta e non abbiamo mandato via gli alunni, proprio per quel senso di giustizia distributiva.
Abbiamo quasi terminato i lavori di ampliamento del nostro centro scolastico, con gli ultimi locali, che saranno utilizzati dalla scuola materna. Stiamo ultimando tre aule, penso che entro il 15 maggio, festa patronale e festa della nostra fondatrice Asteria Annunciata Cocchetti, potremo fare l’inaugurazione di tutto il complesso.
C’è comunque una speranza che qualcosa cambi, hanno iniziato la sistemazione della strada, e sono quasi arrivati alla missione, e questo è una gioia per tutti, per gli ammalati che potranno essere portati all’ospedale con l’autolettiga, per i bambini che, abitando lontano, potranno usufruire del taxi o del bus. (perché no uno scuolabus? È un idea, cosa ne pensate?)
Non c’è mai da disperare, c’è sempre qualcosa che può germogliare quando le persone sono aiutate a riflettere. La situazione politica non è ancora stabile, sembra che tutto dorma, anche se apparentemente si dice che la pace è ritornata, almeno in città. Nei villaggi vicini ci sono diversi attacchi dei militari, che non si sa per quale obiettivo combattano: rubano, uccidono, violentano le donne. Molte persone fuggendo dai villaggi cercano rifugio in città e soprattutto nella periferia.
Che il Signore risorto accompagni tutte queste persone a ritrovare il “dovuto”. Grazie a voi, perché per molte persone di Cimpunda siete il segno dell’amore di Dio. Tutti vi sono riconoscenti. Da parte di tutte le suore della comunità un augurio per ciascuno di voi. Un augurio di Pace.
Buona Pasqua!
Sr Giuliana e comunità di Cimpunda
Abbiamo letto questa lettera su “con Cimpunda”, il foglio di collegamento con la missione di sr Giuliana Fadani: ci è piaciuta e l'abbiamo usata come argomento di discussione nel primo incontro di formazione del gruppo missionario con don Francesco.
Proponendola anche a voi, invitiamo tutti coloro che fossero interessati a sostenere l'attenzione e la solidarietà verso i missionari e i paesi poveri, a partecipare ai nostri incontri con don Francesco, ogni primo giovedì del mese alle ore 20,30 in oratorio.
Il gruppo missionario
dalle missioni
Carissimi amici di Borno,
porto ancora nel cuore i giorni vissuti tra voi e la vostra “fresca” accoglienza (qui fa ancora molto caldo e ho già nostalgia dei nostri monti). Siamo nella stagione delle piogge, ma la pioggia si fa molto desiderare e questo ci preoccupa per il raccolto: la maggior parte della nostra gente vive di quello che coltiva.
Pregate con noi il Buon Dio del Cielo che mandi pioggia sufficiente per un buon raccolto. Questa, per il momento, è la nostra preoccupazione primaria: senza pioggia non c’è raccolto e senza raccolto si muore di fame e di malattie.
È per me una grande gioia scrivervi dal Centro di Accoglienza “I Dansè” di Bobo Dioulasso, in cui ormai da due anni vivo la mia missione con i più poveri, soprattutto ragazze madri e in difficoltà e bambini abbandonati.
II Centro è attivo grazie anche al vostro impegno e alla vostra fedele generosità. II primo ottobre 2008 abbiamo festeggiato il primo anno di attività del Centro ed è stato bellissimo vedere quanti bambini e quante donne hanno migliorato la loro qualità di vita grazie ai servizi del Centro.
Qui ospitiamo decine e decine di donne con i loro bambini, moltissime solo a livello diurno, tante altre anche per la notte.
In questo momento vivono con noi tre bimbi orfani (Luckman, Mariam e Sabine) e cinque ragazze madri con i loro bambini (Natacha con Casimir, Zeha con Estelle, Azeta con Ida, Adjara con Fathao; Sita con Laetitia). Ognuno di loro ha alle spalle una storia difficile e, a volte drammatica, come quella di Zeha e della piccola Estelle (Estelle è giunta da noi a 9 mesi e pesava solo 3,400 kg a causa della denutrizione e della malattia) oppure come quella di Luckman, 5 anni, e Mariam, 3 anni, due fratellini abbandonati più volte dalla madre.
II pranzo al Centro è sempre una festa e siamo sempre numerosi, tutti seduti in cerchio aWhapatam per condividere il cibo, ma anche la gioia e le pene che ognuno porta con sè. Ogni giorno c’è sempre qualche nuovo povero che bussa affamato alla porta e noi abbiamo sempre un posto in più alla nostra tavola conviviale.
Al Centro è attiva la “Maison des Poussin”, una sorta di scuola materna per i bimbi delle nostre ragazze madri, per consentire loro di lavorare (ben 16 bambini). Molte delle loro mamme sono inserite nei progetti lavorativi del Centro: il progetto “Keneya ye musso ye” (La salute e donna) per la fabbricazione di zanzariere, uno degli strumenti prioritari di prevenzione contro la malaria; il progetto i “Sanya” (Pulizia) per la fabbricazione del sapone; il progetto “Ate mine ne dun” (Prendimi e mangia) per la produzione di biscotti ad alto valore energetico; il progetto “Banca Mais” per lo stoccaggio dei sacchi di mais durante la stagione di raccolta.
Dall’anno scorso è attivo un gruppo di Formazione e Sensibilizzazione sociale e politica con i giovani che frequentano il Centro: bisogna formare dei cittadini responsabili e solidali in grado di “aprire gli occhi” ed esercitare un “pensiero critico”.
II Centro “l Danse” cresce e cresce anche l’attesa e la speranza dei nostri poveri. Tante, tantissime le piccole-grandi soddisfazioni che abbiamo raccolto, ma anche tante le delusioni e i fallimenti a causa di mancanza di risorse.
Dal Centro “I Danse” è nata l’idea di creare un campo in cui coltivare insieme. Abbiamo cercato nei dintorni di Bobo e il Buon Dio del Cielo ci ha aiutato a far diventare realtà anche questo sogno donandoci un bellissimo campo di 20 ettari. In questo campo, già molto ricco di alberi da frutto (alberi di anacardi, di manghi, di karitè e di nerè, un prodotto tipico ocale con cui si fa un dado per le pietanze), vogliamo coltivare i tradizionali prodotti locali ed avviare nuovi progetti di produzione; vogliamo allevare buoi, montoni, maiali, volatili..., vogliamo vivere un’esperienza di totale condivisione, dal lavoro al guadagno alla vita di famiglia; vogliamo creare lavoro per famiglie, ragazze madri, donne e giovani in difficoltà e costruire con loro un futuro diverso.
In questo terreno abbiamo cominciato a costruire il muro di cinta e molti metri di questo muro sono stati realizzati grazie alla vostra pronta disponibilità, compresa quella personale del “don” (mi riferisco al nostro carissimo don Giuseppe, che spero in migliore salute).
Grazie per il vostro affettuoso aiuto, continuate con la vostra preghiera e con il vostro concreto aiuto a far sì che il nostro Centro di Accoglienza possa continuare ad essere una magnifica realtà ed un’opportunità per molti poveri.
Una cordata lega ormai Borno a Bobo, continuate a stringere le vostre mani in questa cordata di amore e fraternità e, insieme, costruiremo un mondo più solidale e giusto. Buone vacanze a chi può, e che Dio vi benedica.
Vostra sr Patrizia
oratorio arcobaleno
- Dai, dai... Raccontamela di nuovo... Per favore!
- Ma è la millesima volta che ti racconto di quella giornata, oramai sai già tutto a memoria...
- Ma non fa proprio niente sai... Anche se la so già per filo e per segno, quella fiaba è bellissima... È sempre bellissima...
- Ma ti ricordo che non è una fiaba, è una storia verissima...
- Ma dai, non ci credo...
- Sì, sì ti giuro che è una storia vera...
- Allora vuoi dire che una domenica pomeriggio del lontano 2010 a Borno si sono materializzati al vecchio piazzale del mercato tre favole contemporaneamente...
Certo, certo... Voi che a quei tempi c'eravate, di sicuro non potete dimenticare quel bellissimo e stranissimo fenomeno per il quale tre favole, con tutti i loro personaggim si sono catapultati nel Piazzale Mercato. Sono apparsi su degli strani e fantastici mezzi, guidati da mezzi meccanici ruggenti, completamente decorati e colorati e ghirigorati e addobbati e…
C'erano tre volte, quindi, Alice nel Paese delle Meraviglie, Pinocchio e Cenerentola...
Collodi, Perrault, i fratelli Grimm, Carroll. Anche loro, che con le loro magnifiche fantasie, hanno saputo inventare e raccontare magnifiche fiabe; non avrebbero potuto creare una fabula e un intreccio così appassionante, divertente, ridicolo... proprio da morire dal ridere. Beh, d'altra parte era Carnevale, no?
A Borno le favole sono rivissute e hanno girato fianco a fianco alle persone “normali” (si fa per dire) come noi.. Che bello!
Una enorme zucca a forma di carrozza (o viceversa?) con le ruote che gli giravano sul serio e non perché era arrabbiata. Le sorellastre di Cenerentola per le quali calzava a pennello il detto “semper mei 'na brota fonna che 'n bel om..”... Insomma, che soché...
Da un libro in mezzo al bosco sono usciti tutti i personaggi di Alice... Le guardie carta da gioco, Pinco Panco e Panco Pinco (o viceversa?), il Cappellaio Matto, il Bianconiglio... La regina di cuori... Insomma, tagliatele la testaaaaaaaaa...
Mastro Geppetto alla guida del trattore trainava una enorme balena che si era quasi pappata Pinocchio, il Grillo Parlante, la fata Turchina... E il temibile Mangiafuoco... Insomma, le bugie hanno le gambe corte...
Un ringraziamento enorme ai ragazzi di terza, quarta e quinta superiore che hanno lanciato la sfida del Carnevale ai più piccoli. Un ringraziamento coraggioso ai ragazzi di prima e seconda che hanno accettato e rilanciato al sfida del Carnevale per l'anno prossimo.
Un grazie eterno alla Contrada di Mandòl che non ha mai mollato e che vogliamo tenga sempre alto il Carnevale Bornese.
Un ringraziamento infinito alla più forte e strenua costumista dell'Altopiano: grazie Franca! Fantasia, ago e filo e tutti sono vestiti a puntino.
Un ringraziamento goloso alle volenterose mamme che hanno imbottito panini con Nutella per i più affamati e golardi. Un doveroso grazie anche agli stomaci che si sono riempiti nel rinfresco all'Oratorio...
All'anno prossimo, me racomande!!!
Il Carnevale
oratorio arcobaleno
Prima dell'arrivo della Pasqua, tutti si preoccupano della Quaresima e del sacrificio che li aspetta in questi quaranta lunghi giorni. Quest'anno noi abbiamo voluto, invece, riesumare la tanta acclamata “Vecchia” che da anni mancava nel nostro paese.
Molti i dubbi iniziali e le preoccupazioni, ma poi abbiamo deciso di buttarci in questa nuova esperienza di piccoli attori. Sotto il vigile occhio di Danilo e Narciso, ormai veterani nella nobile arte del far ridere, abbiamo abbozzato battute e scene per lo scontro in tribunale tra nuova e vecchia generazione.
Quindi, dopo serate passate a pensare a come avremmo potuto strappare una risata ai nostri compaesani e dopo aver svolto prove su prove, è arrivato il grande giorno della messa in scena. Tutto era pronto sul sagrato e quando le luci si sono accese, abbiamo dato il via alla nostra interpretazione da Oscar!
La nostra udienza ha inizialmente messo in evidenza come è cambiato il tribunale stesso, che è passato dalla penna e calamaio alla tecnologia avanzata. Si è, poi, preso in considerazione il ruolo dei nostri amati sacerdoti che avevano, e hanno tutt'ora, l'arduo compito di trascinare un'intera comunità.
Tema sicuramente non trascurabile è stato anche quello riferito alla scuola, che ha visto a confronto generazioni ben diverse, a partire dagli insegnanti e dagli alunni, passando addirittura attraverso le immancabili merendine.
Questo scontro generazionale si è concluso con un faccia a faccia tra famiglie che, però, ha portato a una situazione di parità per le due parti.
Non si poteva certo terminare la serata senza aver dato fuoco alla “Vecchia”: mentre questa bruciava e scaldava il nostro pubblico, noi ci sentivamo sollevati per aver portato a termine questa impresa. Speriamo di avervi fatto divertire e... arrivederci alla prossima!!!
Irene B.
Jessica Z.
oratorio arcobaleno
Noi ragazzi molte volte ci siamo sentiti dire dalle nostre mamme: “Ma tu ti rendi conto cosa vuol dire pulire una casa?” oppure “Sai cosa significa cucinare per una intera famiglia?”. Se prima, a orecchie basse, dovevamo dire di no, oggi noi adolescenti di prima e seconda superiore possiamo dire forte e chiaro “Si!” e se vogliamo proprio essere sinceri, che casa e che famiglia! Abbiamo, infatti, rassettato l’intera Casa delle suore, abbiamo cucinato per una trentina di persone e non è andata per niente male!
Inoltre avendo scelto una settimana normale, abbiamo continuato nella nostra routine che comprendeva scuola, studio, sport ed eventuali impegni.
Come partenza il nostro Don ha elencato le varie regole da non trasgredire. Poi si è provveduto ad acquistare tutto il necessario e la domenica sera, dopo la rappresentazione della “Vecchia”, un gruppo di 25 giovani ragazzi si è incamminato verso la famosa Casa delle suore. La voglia di vivere un'altra nuova avventura non mancava in nessuno di noi e, forse, è stato proprio questo desiderio che ha assicurato la buona riuscita dell’esperienza.
Con l’aiuto dei nostri animatori abbiamo imparato (quasi tutti per la verità!) a cucinare. A pranzo il tutto era un po’ complicato perché bisognava che i ragazzi che arrivavano a casa per primi, preparassero da mangiare per quelli che arrivavano più tardi e, oltre all’impegno nel cucinare, c’era anche il sacrificio di dover tenere a bada la fame e aspettare gli ultimi arrivati. Qui un grazie speciale va al Don che ogni giorno aiutava nella preparazione del pranzo, facendo persino rosolare con tanto amore la pancetta per la carbonara.
Ovviamente al mattino e alla sera non sono mancati momenti di preghiera e di riflessione. Abbiamo inoltre partecipato ad un incontro degli esercizi spirituali proposti da don Francesco e, come conclusione, siamo andati la Veglia delle Palme a Brescia, dove il vescovo Luciano Monari ci ha guidati in una attenta analisi del testo della Bibbia riguardante l’uomo ricco che chiede a Dio cosa può fare per ereditare la vita eterna.
Il Vescovo ci ha fatto capire che questo era un uomo come noi che, però, è riuscito a fare qualcosa di nuovo: non chiedere niente di materiale, non chiedere ricchezza e fama, ma la vita eterna e l'ha chiesta in eredità perché sapeva che questa è un dono di Dio.
Ed è proprio con questa omelia che si è conclusa la nostra settimana di convivenza. Spero con tutto il cuore che ognuno dei ragazzi presenti abbia fatto tesoro di questa esperienza nuova e costruttiva, e mi auguro di ritrovarci ancora per altri momenti come questo.
Grazie ai nostri animatori Laura, Dade, Davide, Luca, Francesco, Paolo ed anche ad Annalisa, Enzo e Paolo; grazie al Don per la sua continua presenza e alla Leo che, non ci siamo mai spiegati il perché, ogni giorno passava di li per caso e finiva per restare con noi, rimboccandosi le maniche e aiutandoci a preparare la cena! Alla prossima!
Eleonora
oratorio arcobaleno
Il giorno di Pasqua, mentre sul nostro splendente altopiano scendeva una tipica pioggerella primaverile, noi animatori con i cresimandi eravamo in viaggio verso Malonno per l'immancabile ritiro pre Cresima.
Quest'anno abbiamo sottoposto i nostri ragazzi alla visione del film “I ragazzi del coro”, per sottolineare quanto sia importante far parte di un gruppo nel quale sentirsi liberi e a servizio gli uni degli altri.
La frase che forse rappresenta meglio questo campo scuola e che più ci ha colpito, è la pluricitata espressione: “Non cantano bene, però cantano!” Questa ci è servito per capire che in ogni situazione, soprattutto in quelle dove non ci sentiamo liberi di esprimerci, dobbiamo cercare di tirare fuori il meglio che c'è in ognuno di noi e dare sempre il massimo.
Specialmente per i ragazzi del giorno d'oggi, questo dovrebbe essere un buon promemoria, data la tendenza a seguire sempre il gruppo e agire da “caproni”, piuttosto che fermarsi un attimo a riflettere con la propria testolina.
Felicità e libertà... ma anche attese e delusioni: questo possiamo incontrare nel corso della nostra vita e di questo abbiamo cercato di parlare con i ragazzi ormai vicini alla cresima.
Durante il nostro cammino non dobbiamo lasciarci trasportare da un'ottica di “azione e reazione” (altra espressione presente nel film), bensì cercare di mantener viva l'attesa, il desiderio, la speranza, soprattutto nelle situazioni difficili.
Tutti noi siamo solisti che dobbiamo integrarci il meglio possibile nel coro di cui vogliamo far parte, per essere sempre in sintonia con noi stessi e con gli altri.
Quindi, cari ragazzi, non abbiate mai paura di ascoltare, cantare ed esprimere tutto ciò che di più profondo avete nel cuore. È questo che vi rende unici, liberi e veri!
Irene B. e Paola B.
di tutto un po'...
Ho conosciuto Padre Domenico, che per tanti anni ha svolto il suo ministero presso il Convento dell'Annunciata, guidando molte persone nel loro cammino spirituale. Nel mese di ottobre dello scorso anno Padre Domenico è morto. Mi è parso bello chiedere a P. Serafico il permesso di pubblicare sul nostro periodico questo articolo, apparso sul bollettino dell'Annunciata, sia perché P. Domenico era conosciuto da molti bornesi, sia perché ha rappresentato per me un sicuro, costante e prezioso riferimento spirituale. Sono certa che continua, dal cielo, ad accompagnarmi e a tracciarmi un segno di croce sulla fronte, come faceva sempre. Grazie, Padre Domenico! (Anna Miorini)
Mi sembra bello associare padre Domenico al Beato Innocenzo da Berzo per questi motivi: Innocenzo fu ordinato nella diocesi di Brescia come prete diocesano ed esercitò il suo ministero in obbedienza al vescovo. Padre Domenico fu ordinato sacerdote nell'ordine dei Barnabiti e visse il suo ministero in tale Ordine.
Innocenzo sentì la vocazione alla vita ritirata nella preghiera ed entrò nei cappuccini e visse quasi tutta la sua vita alla Santissima Annunciata. Padre Domenico ebbe lo stesso desiderio e si fece cappuccino nello stesso convento del Beato. Un binomio perfetto.
UN BARNABITA - Domenico nacque a Bevera di Castello Brianza (Como) il 15 ottobre 1922 da Eugenio ed Eugenia Ferrario. Entrò nel noviziato dei Chierici Regolari di san Paolo decollato detti Barnabiti nel 1940 e fece la prima professione religiosa il giorno 8 settembre 1941 a Monza Carrobiolo.
Emise la professione perpetua nel medesimo Ordine il 5 luglio 1947 a Roma, e fu consacrato sacerdote sempre a Roma il 22 maggio 1948.
Nello stesso anno si iscrisse all'Università di Firenze, alla facoltà di Lettere moderne. La sua vita nell'Ordine non fu sedentaria, ma passò da una città all'altra: Roma, Firenze, Bologna, Cavareno (Trento), Perugia, Lodi, Eupilio (Como). Lodi. Fu il classico religioso disponibile all'obbedienza dei superiori che lo usarono per vari servizi e uffici.
Visse i primi decenni nel collegio addetto ai giovani studenti. Più tardi iniziò la sua attività come direttore spirituale dei giovani. Nel 1966 fu destinato all'Opera Ritiri Spirituali di Eupilio e vi rimase fino al 1979 svolgendo i seguenti uffici: superiore, direttore dei corsi di esercizi e predicatore.
L'ultima destinazione come barnabita fu il Collegio di Lodi, dove esercito l'ufficio di direttore spirituale e fu assistente al Circolo Carlo Parravicini.
Come appare da questa breve lettura della sua attività nell'Ordine dei Barnabiti, padre Domenico fu collocato sempre nel mondo giovanile come educatore e poi figura spirituale. I superiori avevano compreso la ricchezza interiore di padre Domenico, una ricchezza che viene costituita da due elementi: quello umano e quello spirituale. Per stare con i giovani occorrono qualità e virtù umane di grosso spessore: intelligenza, sensibilità, accoglienza, rispetto e pazienza.
Capire il mondo interiore di un giovane, le sue aspirazioni, i suoi progetti richiede una grande capacità di ascolto e comprensione. In tal modo si riesce a stabilire una rapporto confidenziale che genera fiducia e perciò apertura di cuore. L'educatore si pone sullo stesso piano del giovane e si dispone a camminare con lui senza giudicarlo, ma prendendolo per mano come fratello maggiore. E così operò padre Domenico nella sua lunga presenza tra la gioventù.
Evidentemente l'educatore religioso ha come compito non solo una crescita umana della persona, ma soprattutto l'annuncio del mistero di Dio che si realizza attraverso le domande fondamentali sul valore della vita, e su di esse propone la figura di Gesù e del suo Vangelo come punto fondamentale di riferimento per una visione piena e più ampia della nostra esistenza. La profonda fede, la ricchezza spirituale, l'autorevolezza che gli venivano da un vissuto esperienziale avevano presa sull'animo giovanile; e il suo lavoro si dimostrava prezioso.
Per questo la perdita - diciamo così - di padre Domenico recò ai suoi confratelli e soprattutto ai superiori meraviglia e sofferenza.
UN CAPPUCCINO - Padre Domenico entrò tra i cappuccini nel convento di Lovere il giorno 8 dicembre
1981, a 59 anni, e nello stesso convento emise la professione perpetua l'8 dicembre 1982.
Nel gennaio del 1983 fu destinato al convento dell'Annunciata dove rimase, eccetto una breve parentesi a Sovere, fino all'agosto del 2008, quando fu ricoverato nell'infermeria "Beato Innocenzo" dei cappuccini in Bergamo come ammalato e dove morì il 3 ottobre 2009. Fu sepolto al suo paese natale Bevera di Castello Brianza (Como).
Come il Beato Innocenzo visse all'Annunciata di preghiera e ritiro. Pensiamo al passaggio da una vita molto attiva tra i giovani e in casa di ritiro dove organizzava e predicava ritiri e corsi di esercizi spirituali, a una vita completamente ritirata. Veramente nel suo cuore coltivava da tempo tale vocazione o forse l'ha sempre avuta, ma i casi della vita ti portano qua e là dove non vuoi. E dopo, alla fine, riesci a raggiungere e a realizzare i desideri del cuore.
Le occupazioni giornaliere furono umili e domestiche. Non ebbe compiti particolari, ma sviluppò la realtà di una presenza, la presenza di un frate, sacerdote a disposizione delle gente. Accostarsi a un convento e trovare un frate che ti accoglie in chiesa, in confessionale, oppure sulla piazza e che ti viene incontro fraternamente non è cosa di tutti i giorni. La figura del frate ti si imprime nella mente e negli occhi e la vedi come benedizione di Dio; ti rasserena nell'animo, magari colmo di amarezza, e te ne ritorni a casa consolato, con il desiderio di rivederlo.
Egli era un uomo colto e di spirito vivace, esperto di preghiera e denso di interiorità. Facendosi Cappuccino depose la veste del professore per rivestire la tonaca della semplicità. La bella figura di frate Cappuccino dalla barba fluente, dallo sguardo intenso e sereno, addolcita da un sorriso contenuto si è impressa nell'animo della gente che frequentava il convento dell'Annunciata e ne ha sentito la mancanza quando la malattia lo ha loro sottratto.
È vissuto in quel convento 26 anni, un tempo abbastanza lungo per imprimere un esempio di francescana originalità e santità. La sua presenza in chiesa nella celebrazione dell'Eucarestia e del sacramento della riconciliazione l'ha messo a contatto con molta gente, specialmente d'estate quando la località viene invasa da molti abbonati fedeli al santuario, in particolare durante i giorni della festa del Perdono d'Assisi e del Beato Innocenzo.
Aveva un carattere molto umano e un atteggiamento di grande serenità. Gli era facile accostare le persone nell'intimo della coscienza, mettere a proprio agio nel raccontare le gioie e le pene della propria storia umana e cristiana. Gli era di grande aiuto poi la ricca esperienza accumulata negli anni precedenti per dirigere le anime nella vita cristiana della virtù. La sua presenza fu una grazia per la vita del santuario della Santissima Annunciata e del Beato Innocenzo.
Fratello discreto nella vita fraterna, attento e rispettoso delle persone, seppe vivere la carità accettando il diverso nella pazienza e nella comprensione. Avendo vissuto sempre all'Annunciata, molti frati giovani non l'hanno conosciuto se non per sentito dire. Peccato! È stato una grande bella figura di frate!
padre Ismaele Bertani
di tutto un po'...
La storia della donazione degli organi ha inizio con un grande atto d'amore compiuto da un santo. Il 28 febbraio 1956 moriva a Milano don Carlo Gnocchi, autentico interprete dell'amore evangelico, dapprima come cappellano degli Alpini durante la tragica ritirata di Russia, poi nell'immediato dopoguerra come educatore e “padre” di tanti piccoli orfani e mutilati.
L'ultimo suo gesto profetico di carità, quando ancora in Italia i trapianti di organi non erano previsti dalla legge, fu quello di donare le cornee a due ragazzi non vedenti: Amabile Battistello e Silvio Colagrande.
Dopo 53 anni li abbiamo ritrovati lo scorso 23 ottobre in piazza Duomo a Milano, mentre scoprivano l'urna con le spoglie mortali di don Gnocchi, proclamato beato al culmine di una solenne e toccante celebrazione presieduta dal card. Dionigi Tettamanzi.
Tanti altri atti d'amore hanno contrassegnato la storia delle donazioni e dei trapianti. Basti ricordare quella dei coniugi americani Green che, nel 1994, non esitarono a donare gli organi del figlioletto Nicholas, barbaramente ucciso durante una tentata rapina sull'autostrada Salerno-Reggio Calabria.
Questo loro atto di grande generosità, che garantì una vita serena a sette pazienti italiani, calamitò per diverso tempo l'interesse dell'opinione pubblica, contribuendo in modo determinante a dare rilancio a quella cultura della donazione che era ancora quasi assente nel nostro paese.
A quindici anni dalla morte del piccolo Nicholas, il tasso della donazione degli organi in Italia risulta pressoché triplicato. Dopo un biennio piuttosto negativo i dati parziali del 2009 indicano una generale ripresa dei trapianti che a fine anno dovrebbero superare quota 3.000, circa 400 in più rispetto al 2008. Eppure, come ha sottolineato il presidente nazionale dell'Aido Vincenzo Passarelli, le liste di attesa si attestano su 9.500 pazienti, dei quali solo uno su tre riuscirà a vincere la battaglia per la vita. Per gli altri o una lista d'attesa che non lascia speranze, o sarà la fine.
Una situazione drammatica, che ha indotto di recente Stefania Mariotti - madre ad Alessandria di un bambino di 4 anni gravemente malato ai reni e in attesa di trapianto - a creare su Facebook il gruppo “Donazioni organi. Facciamo qualcosa” che conta già oltre ventimila iscritti, desiderosi di stimolare la cultura della vita e della donazione a ogni livello, partendo dai banchi di scuola.
Un obiettivo che i vari gruppi Aido di Cremona e provincia cercano da tempo di perseguire con le loro modeste risorse finanziarie, ma con l'appassionato impegno di tanti volontari.
Carlo Moretti
Adele Ducoli
di Geraldo e Loredana Bonalda
10-1-2010
Nicola Zerla
di Davide e Geida Chiarolini
14-2-2010
Leonardo Gaffuri
di Stefano e Anna Marsegaglia
11-4-2010
Giacomina Arici e Luigi Cottarelli
Veronica Fiora e Bortolo Augusto Gheza
Da tutta la comunità le più sentite congratulazioni!
Giovanna Rivadossi (in Calissi)
15-9-1933
29-12-2009
Francesco Gheza
25-12-1954
1-1-2010
Tomasina (Fausta) Miorini
20-12-1931
24-1-2010
Giulio Gheza
9-1-1966
8-2-2010
Martino Fiora
n 6-10-1923
9-2-2010
Ida Rivadossi (in Sarna)
3-2-1920
24-2-2010
Giuseppe Bertelli
18-3-1930
5-3-2010
Maria Fiora
28-1-1934
11-3-2010
Antonietta Pezzoni
20-5-1926
12-3-2010
Angela Andreoli
31-1-1922
13-3-2010
Maria Martinelli
9-2-1908
16-3-2010
Mario Peroni
27-8-1924
30-3-2010
Umberto Rivadossi
29-1-1921
7-4-2010
Simone Rivadossi
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