Natale 2010
Durante l’omelia nella prima domenica di Avvento, citando un’incisiva espressione dello scrittore Ignazio Silone, don Simone rammentava come molta gente, purtroppo, corra il rischio di attendere Gesù Cristo con la stessa indifferenza con cui aspetta il tram.
Anche solo spulciando alcune parole fra i titoli di questo nuovo numero di Cüntòmela - santi, viaggio, preghiera, coscienza, accoglienza, condivisione, comunità, solitudine, ricordo, missione, nozze d’oro - in ognuno di noi potrebbe sorgere l’intuizione che la vita è un’esperienza troppo vera e troppo bella per essere vissuta con indifferenza.
Le nostre sole forze, tuttavia, non ci consentono di vivere in pienezza ogni istante della nostra esistenza. I molti affanni quotidiani, piccoli o grandi che siano, possono offuscare il desiderio di bellezza e attenuare l’attesa di felicità, fino quasi a farla scomparire.
Ecco, quindi, che può subentrare la monotonia, la consuetudine di vivere i gesti di ogni giorno - materiali, affettivi e anche spirituali o ritenuti tali - con lo stesso atteggiamento appunto con cui si prendono il tram o l’automobile per tornare a casa la sera.
Ecco allora che lo stesso Natale, come ci ricorda don Francesco, rischia di essere solo una favola dolciastra che brilla di luce artificiale, un’occasione commerciale tra i saldi autunnali e quelli primaverili, usata da chi si illude di poter comprare anche bellezza e felicità.
In fondo, però, Gesù Cristo è venuto su questa terra proprio per sciogliere la nostra indifferenza, per far affiorare dal nostro cuore i suoi desideri più profondi. Ed è nato in una stalla, morto su una croce e risorto in un giardino non solo per scuoterci dal nostro torpore ma, anche e soprattutto, per portare a compimento questi desideri profondi.
A tutti... buon Natale!!!
La redazione
Ormai è vicino ed anche l’atmosfera che ci avvolge lo rende percepibile: il Natale è qui. È una festa cristiana, ma anche chi non si professa credente può percepire in questa ricorrenza annuale qualcosa di straordinario e trascendente, qualcosa di intimo che parla ad ogni cuore. È così perché Natale è la festa della vita e della gioia.
Come la nascita di un bambino è vita e gioia per una famiglia, così il Natale è l’incontro con un piccolo neonato che domanda di essere accolto nella nostra vita, perché sperimenti la gioia, quella stessa che si percepisce in noi contemplando lo sguardo di Maria e Giuseppe nella bellezza e semplicità del presepio. Così anche il segno umile della grotta e di coloro che in essa vi hanno trovato riparo, ci spinge a pensare alle tante creature che nascono nella povertà in molte regioni del mondo, ai tanti bambini che non vengono accolti perché abbandonati, abortiti, buttati come spazzatura, alle famiglie che vorrebbero un figlio e non possono sperimentare questa gioia perché la natura glielo impedisce.
Natale, dunque, ci fa entrare un po’ di più nelle case e nelle famiglie del mondo, così che diventa anche per noi occasione di amicizia, di fraternità, spirituale, ma anche materiale con loro. Certo c’è sempre il rischio di non cogliere il significato interiore di questa grande festa e limitarsi al fatto esterno e commerciale di questo evento straordinario. Tuttavia difficoltà, incertezze, crisi economica possono farci riscoprire di più un Natale di semplicità, di amicizia, di sobrietà solidale, valori questi che sono propri del senso comune sul Natale. Una cosa, però, non può davvero sfuggire alla nostra attenzione: è quella che anima il Natale per noi cristiani quando, ogni volta che questa festa si avvicina, ci lasciamo cogliere dallo stupore e dalla sorpresa per ciò che è accaduto in quella stalla di Betlemme.
San Paolo ai Galati scrive: “Venne la pienezza del tempo, e Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge… poiché ricevessimo la adozione a figli”. E San Giovanni nel Prologo al suo Vangelo, ancora di più apre alla comprensione del Mistero, rivelandoci da dove viene quel piccolo bambino: “Il Verbo si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi”. Ecco il centro della nostra fede, che non è la celebrazione dei sentimenti buoni, dei valori umani e nemmeno di un grande personaggio storico, bensì di Dio fattosi uomo.
A Natale noi cristiani non ci raccontiamo una favola dolciastra e nemmeno celebriamo genericamente il mistero della vita o l’inizio di una nuova stagione dell’anno. A Natale noi cristiani ricordiamo nella liturgia divina qualcosa di molto concreto ed essenziale per tutti noi e per ogni uomo: il Verbo che si è fatto carne, Dio che ha voluto entrare pienamente nella nostra umanità.
E questo è un evento storico, collocabile in un tempo ed in un luogo ben precisi. È un evento che ha gettato veramente luce sul buio del mondo perché Dio, che si unisce indissolubilmente alla nostra natura umana, non può che illuminare ogni cosa di noi e, soprattutto, il buio che sta nelle pieghe più nascoste del cuore dell’uomo. È così che l’uomo ha potuto vedere il “senso” del suo esistere, perché dire che il Verbo, la Parola eterna di Dio “si è fatta carne”, vuol dire che il “senso” di tutto si è fatto così vicino all’uomo, tanto che pur nella piccolezza della sua creaturalità, egli ha potuto comprendere il mondo, se stesso ed il suo destino.
Nel Verbo che “si è fatto carne” non si è disvelato soltanto il senso di ogni cosa, ma è stata rivolta una parola personale a ciascuno di noi, nella quale ognuno ha potuto cogliere quanto Dio lo conosca, lo chiami a sé, lo guidi, lo ami. Questa stessa Parola fattasi carne è sempre a noi accessibile nel Vangelo, nella celebrazione dei sacramenti, nella preghiera, in mezzo alla gente semplice, povera e peccatrice, dove oggi il Signore ha la sua dimora.
Natale, dunque, è una festa grande della fede ma, ancor di più, una opportunità privilegiata per meditare sul valore della nostra esistenza, una opportunità per trovare risposta alla perenne ricerca di felicità e di senso del nostro vivere e morire, una opportunità per riconoscere quanto grande sia il dono che Dio ci ha fatto venendo incontro all’uomo, comunicandogli direttamente la verità che salva e rendendolo partecipe della sua amicizia e della sua vita divina. Grazie Signore perché ti sei fatto così vicino a noi bisognosi di senso e buon Natale a voi e alle vostre famiglie.
Don Francesco
Papa Benedetto XVI, anche nei due recenti viaggi apostolici (Gran Bretagna e Santiago de Compostela - Barcellona), si è rivelato un protagonista sul piano del pensiero e della coscienza, nello sforzo di aiutare a dare spazio alla luce che viene da Dio e che dà senso all’umana esistenza. I due viaggi gli hanno permesso di rilanciare alcuni temi che gli stanno a cuore. Ne vorrei accennare i principali.
Giunto a Londra, dopo la sosta in Scozia, dove aveva sottolineato l’importanza di non lasciare oscurare il fondamento cristiano che sta alla base della società e dei suoi valori, il Papa ha messo in luce che l’avere soldi permette di avere comodità ed anche di fare del bene, ma da solo ciò non è sufficiente a rendere felici. Ha esortato a porre le speranze più profonde non nel denaro, nella carriera o nel successo mondano, ma a puntare a qualche cosa di più grande: ha invitato ad avere il coraggio di cercare la felicità in Dio mediante una vita onesta, laboriosa e religiosa.
“La felicita - ha detto il Papa - è qualche cosa che tutti desideriamo, ma una delle grandi tragedie di questo mondo è che molti non riescono mai a trovarla perché la cercano nei posti sbagliati”.
Nella prestigiosa sala (Westminster Hall) del Parlamento di Londra, che è il più antico parlamento del mondo, il Papa si è rivolto all'intera classe dirigente parlando - con grande passione per il bene dell’umanità - dell’armonia tra fede e ragione, sottolineando che la fede getta luce sulla ragione nella ricerca dei principi morali oggettivi e guida all'azione.
“La questione fondamentale - ha detto il Papa - è quella del fondamento etico per le scelte politiche. Le norme obiettive che governano il retto agire sono accessibili alla ragione, prescindendo dal contenuto della rivelazione”. E sono leggi scritte in modo vincolante e stringente. Sono regole desumibili dalla struttura dell’uomo stesso, quale bene che sta al vertice. Solo indicando l’uomo nella sua integralità, dotato di diritti insopprimibili e salvaguardato prima di ogni ulteriore determinazione politica, si ha il codice basilare, quello che acquista il valore di fondamento razionale e oggettivo comune a tutti i popoli.
In altre parole, il rinvio alla legge scritta anzitutto nella natura umana diventa la garanzia per ogni persona di poter affermare la propria dignità, non a motivo di circostanze più o meno benevole o a convenzioni più e meno illuminate, ma in ragione della verità profonda della propria essenza personale. L’uomo non è un prodotte della cultura che, nel proprio evolversi, si compiace di elargire questo o quel riconoscimento; l’uomo in sé è il valore per eccellenza che, di volta in volta, si rifrange in una cultura che tale è quando non lo imprigiona, consentendogli di porsi in una continua tensione verse la pienezza della verità.
Il Papa ha concluso illustrando che “il mondo della ragione e il mondo della fede hanno bisogno l'uno dell'altro” e che, per il bene della nostra civiltà, devono entrare in un profondo e continuo dialogo. Il Papa ha inoltre aiutato i cattolici inglesi ad approfondire la loro fede e la loro vita cristiana, presentando l’esempio di due grandi figure del passato che hanno molto da insegnare anche agli uomini e alle donne di oggi.
Una è San Tommaso Moro, condannate a morte per avere seguito la propria coscienza. Egli era stato un eccellente Primo Ministro che aveva ben servite il re Enrico VIII, ma quando il re staccò da Roma la Chiesa della sua nazione (la presente Chiesa Anglicana) e si dichiarò capo non solo dello Stato ma anche della religione, Tommaso Moro si oppose decisamente. Lo fece perché nella sua vita aveva scelto di servire innanzitutto Dio: volle essere coerente con la propria coscienza. La conseguenza fu che venne condannato a morte.
La seconda figura è il Cardinal John Henry Newman, che il Papa ha beatificato nella sua città natale, Birmingham. Si tratta di un grande pensatore e una penna brillante, che si è dedicato ai problemi educativi,
soprattutto in campo universitarie. Dopo la sua conversione alla Chiesa Cattolica, fu un sacerdote e un parroco tutto dedito al bene delle anime, visitando i malati ed i poveri, confortando i sofferenti. I suoi insegnamenti sono moderni e valgono anche per la società secolarizzata di oggi: il primato della coscienza, alla quale si deve essere fedeli sempre, e poi l’importanza di una vita di preghiera unita all’impegno dei laici di essere, in famiglia e negli ambienti della società, luce, sale e lievito.
Nell’antica Cattedrale di Santiago de Compestela, il 6 novembre scorse, il Papa ha ricordato il fondamento cristiano dell’Europa ed ha invitato a riconoscere quale grande influsso ha avute la fede cristiana nella costruzione della civiltà europea. E lo ha fatte in quella Spagna in cui, ai nostri giorni, un esasperato spirito laicista verrebbe emarginare la fede ed i suoi valori.
L’Europa, se non vuole smarrirsi, deve attingere linfa dalle sue radici.
In particolare il Papa ha sottolineato che il contributo che la Chiesa deve dare all’Europa è di fare in modo che il nome di Dio ritorni a risuonare gioiosamente sotto i cieli del continente europeo. Il Papa considera una tragedia il fatto che, nell'Europa di oggi, Dio sia considerato antagonista dell’uomo e nemico della sua libertà, mentre Dio è la sorgente della dignità e della grandezza dell’uomo. Per il Papa non si può dare culto a Dio senza proteggere l'uomo, creatura di Dio, figlio di Dio; e non si serve l'uomo se non si riconosce il suo rapporto con Dio.
Ed ha concluso: “L’Europa della scienza e delle tecnologie, l’Europa della civilizzazione e della cultura, deve essere allo stesso tempo l’Europa aperta alla trascendenza e alla fraternità con gli altri uomini e le altre donne, aperta verso Dio ma anche verso l'umanità”. La Chiesa intende infatti “avere cura di Dio e avere cura dell'uomo”.
A Barcellona il Papa ha celebrato Messa nella grandiosa chiesa ideata da Gaudì e dedicata alla Sacra Famiglia. Si tratta di un tempio imponente, caratterizzato da una maestosità e bellezza che invitano a elevare lo sguardo e l’anima verso Dio: un’opera ricca di simboli religiosi, preziosa per l’intreccio delle forme, affascinante nel gioco delle luci e dei colori. Il geniale architetto, in quel magnifico tempio, ha saputo rappresentare il mistero della Chiesa, alla quale i fedeli sono incorporati col Battesimo “come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale” (cfr lPt 2,5).
In quella splendida chiesa il Papa ha pregato per le famiglie, cellule vitali e speranza della società e della Chiesa, ed ha pregato anche per colore che soffrono in questi momenti di difficoltà economiche.
Si tratta di due viaggi brevi ma intensi, in cui il Papa è stato ascoltato con attenzione ed ha incoraggiato ad approfondire la fede ed irrobustire la propria vita cristiana. Abbiamo tutti bisogno di una fede più grande, piè convinta, più luminosa.
Card Giovanni Battista Re
Il rosario è una preghiera, facile e bella, che ha accompagnato generazioni e generazioni di cristiani; è una preghiera profondamente amata dai Santi e vivamente incoraggiata dai Papi, ricca di contenuti biblici e teologici.
Questa preghiera non ha perso nulla del suo valore tra i ritmi della nostra società tecnologica. Anche nel terzo millennio rimane una preghiera di grande significato, desinata a portare frutti di spiritualità. Se è vero che, tra le preghiere, il primo posto va alla liturgia, fonte e culmine della vita ecclesiale, non è meno vero che, tra le devozioni del popolo di Dio, al rosario spetta un posto d’onore.
Esso è “catena dolce che ci rannoda a Dio”, secondo la bella espressione del beato Bartolo Longo, “vincolo di amore che ci unisce agli angeli”, “torre di salvezza” e “porto sicuro”, perché ci affida all'intercessione potente di Maria e ottiene la grazia che ci salva.
La storia del rosario mostra che la Chiesa, nei momenti difficili, ha fatto ricorso a questa preghiera, che possiede una forza particolare, per ottenere l’aiuto di Dio mediante l’intercessione della Madonna.
È preghiera che alimenta la nostra spiritualità e ci fa crescere come cristiani perché, mediante Maria, porta ad una conoscenza più profonda dei misteri di Cristo. Il rosario, infatti, ci guida al cuore della vita cristiana ed aiuta a contemplare e ad approfondire il mistero di Cristo e il posto della Beata Vergine Maria nel mistero di Cristo e della Chiesa.
ll rosario, con i suoi venti misteri, esprime la fede della Chiesa senza giri di parole e senza falsi problemi, aiuta ad avere fiducia in Dio e ad abbandonarsi a lui.
Apparendo a Lourdes e a Fatima, la Madonna si è presentata con il rosario in mano ed ha raccomandato la recita del rosario.
Il Papa Giovanni Paolo II, che e venuto due volte a pregare presso questi Santuari durante il suo pontificato, confidò che fin dagli anni giovanili la preghiera del rosario ha avuto un posto importante nella sua vita. Nella Lettera Apostolica sul rosario, in occasione dell’anno del rosario, Rosarium Virginis Mariae (del 16 ottobre 2002), il compianto Papa afferma: “Il rosario mi ha accompagnato nei momenti della gioia e in quelli della prova. Ad esso ho consegnato tante preoccupazioni, in esso ho trovato sempre conforto” (n. 2).
Egli soleva dire che recitare il rosario era “pregare con Maria e alla scuola di Maria”. E diceva ancora: “Il rosario, pur caratterizzato dalla sua fisionomia mariana, è preghiera dal cuore cristologico. Nella sobrietà dei suoi elementi concentra in sé la profondità dell’intero messaggio evangelico, di cui è quasi un compendio. In esso riecheggia la preghiera di Maria, il suo perenne magnificat per l’opera dell’incarnazione redentrice iniziata nel suo grembo verginale. Con esso il popolo cristiano si mette alla scuola di Maria, per lasciarsi indurre alla contemplazione della bellezza del volto di Cristo e dall’esperienza della profondità del sue amore. Mediante il rosario il credente attinge abbondanza di grazia, quasi ricevendola dalle mani stesse della Madre del Redentore” (Rosarium Wrginis Mariae).
Padre Pio da Pietrelcina confidò ad un suo figlio spirituale che, attraverso la recita del rosario, la Madonna non gli aveva mai negate le grazie domandate (Giovanni Bardazzi, “Un discepolo di Padre Pio”, pag. 92). E quando, negli ultimi giorni della sua vita, fu chiesto a Padre Pio: “Che cosa ci lascia in eredita?”, egli rispese: “Vi lascio il rosario”.
La storia è piena di testimonianze che ci mostrano come questa preghiera ha accompagnato sia gente comune, che personaggi e artisti famosi.
Nella parte mediana del grande affresco del Giudizio Universale della Cappella Sistina, dipinte da Michelangelo negli anni 1536-1541, spicca un particolare: uno dei risorti porge con la mano sinistra la corona del rosario ad un uomo e ad una donna per aiutarli a salire in paradiso, aggrappandosi ad essa.
Con questa sobria raffigurazione pittorica, che nel capolavoro michelangiolesco e un piccole particolare, l’artista ha espresso la convinzione che il rosario è una preghiera importante per ottenere la salvezza eterna.
Nella casa di Alessandro Manzoni a Milano (via del Morone, 1), appesa in capo al letto, si vede ancora oggi la sua corona: la recitava abitualmente. Nel suo romanzo “I promessi spesi”, Lucia nel momento più drammatico della sua vita, tira fuori di tasca la corona e recita il rosario (capitolo 21) e, mentre sgrana il rosario, sente spuntare e crescere nel cuore una fiducia indeterminata e una improvvisa speranza.
Alcide De Gasperi nelle “lettere dalla prigione” che indirizza alla moglie quando fu arrestato dal fascismo, scrive che gli fu di sostegno spirituale la preghiera del rosario, che nei primi giorni recitava “come poteva”, cioè senza la corona. Poi la moglie gli inviò una corona del rosario che Alcide recitava alla sera, pensando che verso quell’ora anche la moglie e le sue bambine erano in preghiera e allora - cosi scriveva alla moglie - “il mio spirito si inginocchia con voi” (Lettere dalla prigione, pag 26-27).
Cristoforo Glück, grande musico, durante i ricevimenti alla Corte di Vienna, si appartava ogni giorno a recitare il rosario.
Il Beato Contardo Ferrini, professore universitario a Pavia, quando la sera aveva amici in casa, oppure era invitato da amici a cena, prima del congedo tirava fuori la sua corona e invitava gli amici a recitarlo insieme.
La pratica del rosario in famiglia la sera era molto diffusa in passato. Oggi purtroppo si guarda la TV o una parte dei membri della famiglia è fuori casa.
Al giorno d’oggi c'è la moda di imparare tecniche yoga per rilassarsi, ripetendo in continuazione uno stesso “mantra” che aiuta a centrarsi su sé stessi e a trovare la propria energia. Queste persone si sono dimenticate che questi “segreti” li avevano già in tasca. Bastava prendere in mano una corona del rosario. Esse cercano lontano ciò che già avevano molto vicino. Cercano in moderni maestri ciò in cui i loro padri e i loro nonni erano già esperti: il rosario.
Riscopriamo, dunque, il rosario. Sentiamolo come angolo di contemplazione da assicurare quasi come boccata di ossigeno alle nostre giornate. Facciamone un vincolo di unità per le nostre famiglie. La famiglia che prega unita, rimane unita.
Pratichiamolo come preghiera che accompagna i nostri viaggi, che si insinua tra un occupazione e un’altra, che occupa spazi vuoti di attesa, quasi ad immettere piccoli squarci di cielo nel grigiore della routine quotidiana.
Lungi dall’essere una fuga dai problemi della propria famiglia e del mondo, il rosario ci spinge a guardarli con occhio responsabile e sereno, e ci ottiene la forza di tornare ad essi con l’aiuto di Dio. Il rosario getta luce sul nostro cammino umano, è sorgente di speranza e di conforto, ci da la forza per andare avanti.
Card Giovanni Battista Re
Di cosa è capace l’Amore, Dio:
per puro Amore si è fatto uomo...
come me... come te...
Per puro Amore
ha lasciato il Suo Cielo
per vivere con me... con te...
su questa terra;
e non contento,
per puro Amore,
ci ha trasferiti nel Suo Regno
per condividere la Sua Gioia
con me... con te...
Non meravigliarti se questo Amore
ancora fa “rumore”
perché non ha ancora finito di amare...
Finché ci sarà un solo uomo
continuerà a ricordarci
di cosa deve essere capace l’Amore
...il mio ...il tuo.
Mentre scrivo queste righe sta per finire il mese di novembre, mese dedicato per tradizione ai morti e alla loro commemorazione. Questa pratica ha origine nel X secolo nel monastero di Cluny e si è diffusa così nella Chiesa attraverso i monaci. Il Papa Benedetto XV al tempo della Prima Guerra mondiale ha fatto, poi, una ulteriore concessione ai sacerdoti: quella di poter celebrare nel giorno dei morti tre S. Messe, anziché una soltanto: segno della sensibilità maturata nella chiesa per le anime dei defunti.
La liturgia dei funerali è un altro segno che mostra come il tema della morte sia legato inscindibilmente anche a quello della vita, nell’eternità, celebrato nel mistero pasquale di Cristo Risorto. Nelle esequie la Chiesa prega per i suoi figli, che sono già stati incorporati a Cristo nel battesimo, così che passino con Lui dalla morte alla vita e, purificati nell’anima, vengano accolti tra i santi, mentre il corpo aspetta la venuta seconda di Cristo alla fine del tempo, con la speranza della beatitudine eterna che solo Lui può dare.
La morte, non possiamo negarlo, accompagna la nostra esistenza sempre e si mescola alla vita. Addii, malattie, delusioni, tragedie, calamità, sono i segni premonitori di quella realtà ineluttabile, ma noi viviamo comunque nella speranza, perché siamo stati fatti per aspirare a un “di più” di amore, di felicità, di benessere, di mete da raggiungere. Viviamo protesi nella speranza perché Dio ci ha voluto così, lanciati nel domani, anche se sempre in agguato è la realtà della fine di tutto. Da cristiani, dunque, la realtà della morte non blocca il desiderio di scoprire il mistero nel quale siamo avvolti e che vogliamo conoscere comunque, mistero nel quale c’è anche questo confine che ci aspetta.
Come avvicinarsi, come rispondere alla domanda sul senso ultimo della vita, alla luce della realtà della morte?
I non credenti, benché anch’essi circondino di rispetto la morte, non hanno risposta sul presente ineluttabilmente diretto verso la fine di tutto e sul futuro dopo la fine di questo tutto. I cristiani trovano a queste domande la risposta delle fede, per cui la nostra morte si colloca nel solco della morte di Gesù Cristo. Essa allora è sì, un calice amaro da bere fino in fondo, ma non è la fine di tutto, perché oltre c’è ancora la volontà del Padre che ci aspetta a braccia aperte. La morte del cristiano non è allora la conclusione di questo passaggio nel mondo, ma un momento della vita umana, dove la vita terrena è preparazione di quella celeste, nella quale entra e gode dei suoi beni, per opera di Cristo Salvatore.
All’uomo Dio ha dato un grande potere perché gli ha messo tra le mani l’esito del suo destino eterno. Infatti, nella scelta di porsi contro Cristo, egli si autoesclude dalla possibilità di godere dell’amore di Dio in eterno e, nella decisione di stare con Cristo, egli troverà in quell’amore la gioia piena e definitiva che da sempre desiderava.
A volte pensiamo ai nostri defunti e alla maniera in cui hanno vissuto e sono morti. Cosa possiamo fare per loro? C’è qualche maniera per modificare il loro destino?
Intanto possiamo dire che tutti i morti appartengono ad una comunità sia civica che cristiana, indipendentemente da come siano vissuti e da come abbiano professato la loro fede, che solo Dio conosce nell’intimo più profondo. Questa convinzione ci fa sperare in un destino eterno positivo anche per chi ha vissuto trascurando in gran parte, ma non totalmente, di salvare l’anima. Noi, allora, per loro possiamo fare ancora qualcosa con la preghiera. La preghiera per i defunti è una grande tradizione nella Chiesa, motivata dal fatto che in ogni persona morta, pur anche nella fede, sussiste sempre molta imperfezione da purificare dagli antichi egoismi. La nostra preghiera esprime, dunque, la solidarietà nel bene per i nostri cari ed intercede presso il Signore perché la loro morte sia morte al male e definitivo ritorno alla luce di divina.
Così, ancora, possiamo mantenere un collegamento con i nostri morti e possiamo fare loro del bene, non tanto piangendo o mettendo un cero sulla loro tomba, quanto raccomandandoli alla misericordia divina con la preghiera, con la partecipazione al sacrificio di Cristo nell’Eucarestia e con atti di carità compiuti nel nome del Signore Gesù che anche loro ha voluto salvare. Questo è ciò che di meglio possiamo fare per non dimenticare i nostri morti e per preparare il nostro incontro con loro e soprattutto con il Dio dell’amore.
Don Francesco
È una gioia per noi cristiani far parte della grande famiglia di Dio: la Chiesa. A volte, però, abbiamo l’impressione che molti non possano più farne parte, soprattutto quando si riaffaccia alla nostra mente il ricordo dei nostri morti. Troppo immersi nel mondo, anche a noi credenti sembra che la Chiesa sia soltanto quella visibile, concreta, toccabile, fatta da noi uomini in carne ed ossa.
La festa di tutti i Santi ci ricorda, invece, che la grande famiglia di Dio contempla anche coloro che già godono della visione di Dio, i Santi appunto, ed altri che aspettano di essere ammessi al suo cospetto in cielo, cioè le anime del Purgatorio. Essere annoverati tra i Santi allora non è affatto un privilegio di alcuni ma, anzi, è il nostro destino.
L’apostolo Giovanni ce lo ricorda quando ci fa sapere che “per il grande amore del Padre siamo stati chiamati ad essere figli di Dio e lo siamo realmente”. Diventare Santi significa, allora, realizzare pienamente quello che già siamo in quanto “figli di Dio, nel Figlio suo Gesù”. I Santi godono già ciò che noi chiamiamo “vita eterna” e a cui, con tutto il cuore, anche noi cristiani aspiriamo. La vita eterna, però, non è soltanto una vita che dura per sempre. È una nuova qualità di esistenza, pienamente immersa nell’amore di Dio, che libera dal male e dalla morte e ci pone in comunione senza fine con tutti i fratelli e le sorelle che partecipano dello stesso amore.
L’eternità, allora, non è qualcosa di là da venire, ma anzi inizia qui, è già presente al centro della nostra vita terrena, temporale, quando le nostre anime sono unite a Dio mediante la sua Grazia. Tutti i cristiani allora sono chiamati alla santità, cioè a partecipare dell’amore di Dio, e questo è possibile e produce gioia in chi ci crede e si fida di Dio, quando si vive saldamente ancorati a Gesù, la nostra roccia, quando si vive con i piedi per terra, operando con carità nel mondo, ma tenendo sollevato il cuore già fin da ora al cielo, dove fratelli e sorelle ci attendono con Dio.
Da cristiani noi abbiamo, dunque, un compito: ravvivare il gioioso sentimento della “comunione dei santi” tra noi credenti, ma anche partecipando questo nostro sentire anche a coloro che sono più dubbiosi ed incerti. Sarà la nostra fede e il nostro modo di vivere a rendere manifesta questa verità che ci aspetta. Al tempo stesso eleviamo la nostra preghiera per tutti coloro che con noi aspirano al cielo e già ci hanno preceduto, i nostri defunti, ed anche per coloro che sono stati dimenticati o che sono più bisognosi della misericordia di Dio che attende e non ha mai smesso di volere bene anche a loro. Senza questa fede, anche la nostra speranza sarebbe vana e senza senso il nostro vivere e morire.
Don Francesco
Avvicinandosi il periodo del Natale con la sua atmosfera ineguagliabile, diventa più acuta per molti la sensazione di essere soli, abbandonati. Questo succede non solo ad anziani ed ammalati. Anche diverse persone a cui, apparentemente, non mancano familiari ed amici con i relativi auguri e regali di circostanza, in realtà, forse, non hanno nessuno che dia loro un sincero affetto.
Credo che tutti abbiamo sperimentato la solitudine e come questa sia per ognuno la fonte primaria delle varie paure che ci assediano. Molte persone, per esorcizzare la paura della solitudine, si immergono nella massa anonima dei centri commerciali, dei luoghi affollati e quant’altro, altri cercano con modi stucchevoli il compiacimento del potente di turno per poter emergere dall’anonimato, altri ancora di comprare con denaro la compagnia temporanea di estranei.
Mi ha fatto riflettere il ragionamento di un conoscente il quale affermava che una persona si sente sola quando manca dell’impagabile e insostituibile amore dei figli, genitori o parenti. Per questo a nulla servono il denaro o un ingente patrimonio immobiliare: nelle famiglie vere l’amore reciproco non si ottiene con gli appartamenti, anzi semmai con quelli lo si liquida.
Dio nella creazione, vedendo che era solo, ha messo a fianco dell'uomo la donna, ritenendo un bene che si facessero compagnia. Da questo si deduce che la sconfitta della solitudine avviene a seguito di un dono di Dio.
Allora è inutile cercare di comprare falsi amici con il denaro o con qualche regalo, se a questi gesti non si accompagna il dono dell’affetto sincero.
Si può vincere la solitudine o addirittura renderla feconda quando la sperimentiamo? Ci sono delle riflessioni di alcuni uomini di Chiesa, di ieri e di oggi, che, anche se sintetizzate in modo indegno, ci aiutano a rispondere:
Gabriele
Anche quest'anno, martedì 5 ottobre presso il Centro Congressi di Darfo Boario Terme, il nostro Vescovo, mons. Luciano Monari, ha presentato a tutte le parrocchie della Valle Camonica la sua lettera pastorale “Tutti siano una cosa sola”.
Ovviamente la lettura del documento, abbastanza scorrevole e ricco di immagini bibliche, è la scelta migliore per conoscere le riflessioni e i motivi di crescita che il Vescovo propone ad ogni comunità nel nuovo anno pastorale 2010-2011. I più pigri, invece, possono trovare un suo esauriente riassunto sullo scorso numero estivo di Cüntòmela, steso da mons. Gianfranco Mascher, Vicario Generale della diocesi di Brescia.
Personalmente desidero solo condividere ciò ha attirato la mia attenzione sia leggendo la lettera, sia ascoltando la presentazione dello stesso Vescovo in una sala piena di gente e con l'impianto audio che faceva i capricci: durante l'incontro mons. Luciano Monari ha dovuto imparare a colpire con un dito, a cadenze più o meno regolari, il microfono per mantenerlo in funzione e farsi udire.
Partendo dalla nota immagine della vite e dei tralci (Gv. 15), il Vescovo ha ricordato che per restare uniti al Signore, ricevere la linfa del vero amore e portare molto frutto, abbiamo a disposizione due esperienze fondamentali, quelle che lo stesso Vescovo ha illustrato nelle sue lettere precedenti: porsi in ascolto della Parola di Dio per conoscere, amare e rimanere in Cristo; celebrare e nutrirsi dell'Eucaristia (specialmente nel Giorno del Signore) per vivere di Lui e in Lui.
Tutto ciò, però, non per sentirci più bravi e meritevoli di indulgenze e paradiso, bensì per cercare di vivere già su questa terra un accenno germinale della pienezza di vita che si irradia dal Padre e dal Figlio uniti in un solo Spirito d'amore, e che viene donata ad ogni uomo.
È questo, a mio avviso, uno degli spunti preziosi che mons. Monari ci propone. La preghiera, la fede, l'Eucaristia sono indispensabili per far nascere e alimentare in ognuno di noi quell'autentica amicizia e fraternità che, nel Signore, ci fa sentire ed essere davvero una cosa sola nella famiglia, nella comunità e, aprendoci sempre più, nella diocesi e nella Chiesa universale.
Notevole il fatto che fra famiglia e parrocchia, il Vescovo abbia voluto inserire la “comunità territoriale”: espressione che lui stesso ha riconosciuto poco felice, ma che indica tutte quelle persone (vicini di casa, colleghi di lavoro, compagnia di amici soprattutto per gli adolescenti e i giovani) con le quali abbiamo davvero l'occasione di instaurare rapporti sinceri, solidali e profondi.
Tali rapporti dovrebbero poi tendere a rendere visibile e sperimentabile quell'unico “corpo di Cristo” descritto da San Paolo (1Cor 12); un corpo in cui ognuno con le proprie peculiarità può avere funzioni diverse - sacerdoti, genitori, figli, anziani, ammalati - ma dove tutti si prendono a cuore l'esistenza e il destino dell'altro, iniziando dalle persone più deboli e bisognose. Questo, ricordava giustamente il Vescovo, non perché esse siano più brave o più degne, ma perché amare significa desiderare e fare di tutto affinché il fratello possa vivere.
Ecco allora che la mamma si donerà per nutrire e far crescere il proprio bambino; altri si prenderanno cura di chi è anziano, ammalato o si trova in particolari difficoltà; altri ancora eserciteranno il non facile compito della correzione fraterna verso chi ha sbagliato, offrendogli però sempre una nuova occasione perché, appunto, egli possa ritornare a vivere. Tutto questo nella logica di porsi a servizio gli uni degli altri, come è indicato nell'introduzione della lettera pastorale, dove viene evocata l'immagine di Gesù che lava i piedi ai discepoli.
... è possibile crescere insieme.
Spesso mi dichiaro fortunato di vivere a Borno, un paese abbastanza piccolo e in cui si respira ancora aria di comunità. È sufficiente uscire dal portone di casa per ricevere un saluto, scambiare una battuta o, come mi è capitato una domenica, incontrare una coppia di sposi, fare due passi insieme, andare sul sagrato per la festa dell'oratorio e trascorrere un piacevole pomeriggio in loro compagnia.
Negli ultimi anni i Centri di Ascolto, il Rosario pregato fra vicini di casa, ma anche il Palio delle contrade che, oltre all'aspetto competitivo e folkloristico, sembra aiuti le persone ad incontrarsi, conoscersi e vivere alcuni momenti insieme, sono senz'altro buone occasioni per provare davvero a far comunità.
Frequentemente ci lamentiamo per questa società in cui impera l'individualismo, la corsa ad accumulare e a consumare sempre di più, a scapito magari dei più deboli o considerati tali dai parametri del mondo. Anche i molti che generosamente si danno da fare per gli altri, a volte sembra facciano molta fatica a sottrarsi alla cultura del denaro e di valutare tutto in termini mercantilistici.
Facendo tesoro dei suggerimenti del nostro Vescovo, se ogni giorno ci impegnassimo a vivere piccoli e autentici gesti di amicizia e gratuità, se ogni tanto ci ricordassimo che le esperienze più belle e vere sono quelle che nascono sotto il segno del dono, forse qualcosa potrebbe cambiare.
Le nostre mancanze, i nostri egoismi, le nostre difficoltà non scomparirebbero all'istante, ma sicuramente sarebbe la più limpida testimonianza che è possibile camminare e crescere insieme. Accogliendo quella Parola che continua a farsi carne e luce per ognuno di noi, è possibile provare davvero a vivere quell'amicizia e quella gratuità che ci fanno sentire una cosa sola in famiglia, nella comunità... nel mondo intero.
Franco
Durante questo anno la nostra comunità bornese ha vissuto, tra le tante cose, l’esperienza pastorale del cambio dei sacerdoti della parrocchia. Don Giuseppe a fine estate è partito, destinato alla parrocchia di Darfo.
Don Alberto è rimasto solo per molti mesi, ma ha avuto un valido aiuto da don Angelo Bassi che ha svolto il suo ministero tra noi celebrando quotidianamente nella nostra parrocchia e, soprattutto, a Paline e a Casa Albergo. Ora anche lui se n’è andato, destinato dal vescovo alle parrocchie di Losine e Cerveno.
Nel frattempo, dopo la partenza di don Giuseppe, il 7 febbraio di quest’anno è arrivato il nuovo parroco, don Francesco, che ha portato alcune novità: la catechesi degli adulti il mercoledì dalle ore 15,00 alle ore 16,00, l’adorazione eucaristica del giovedì pomeriggio e, nel mese di maggio, la recita serale del Rosario nei cortili del paese, che ha visto numerosa partecipazione di anziani, adulti e ragazzi.
Ad inizio estate dal Brasile è arrivato Padre Defendente per un periodo di cure e riposo. È stato di molto aiuto perché anche lui, come ha potuto, ci ha dato una mano importante nei mesi estivi. Ora è ripartito in discrete condizioni fisiche e di salute e con tanta voglia di tornare tra i suoi fedeli. Gli auguriamo un proficuo lavoro tra i suoi “brasileiros”.
A fine settembre, sofferta da parte di tutti noi, c’è stata la partenza di don Alberto, che oramai credevamo cittadino bornese, e la settimana successiva è arrivato don Simone, il nuovo curato, anch’egli giovane, dinamico e volonteroso.
Che dire? Un grazie al nostro Vescovo che, nonostante la scarsità di sacerdoti dovuta a poche vocazioni, non ci ha lasciati senza pastori. Ma il più sentito grazie va ai nostri sacerdoti che sono venuti tra noi per dedicarci tempo, sacrifici e passione. Noi siamo contenti e speriamo che anch’essi, stando qui da qualche mese, abbiano capito che, sotto la scorza di montanari, c’è per loro amore, rispetto e condivisione.
Carissimi don Francesco e don Simone vi preghiamo di avere pazienza se, forse, non tutto è come desiderate e vi auguriamo affettuosamente Buon Natale e buon lavoro.
Una parrocchiana
Sono passati ormai tre mesi da quando, domenica 19 settembre, sono stato accolto gioiosamente in questa comunità di Borno. È stato quello un bel momento di festa e posso dire anche di Chiesa. Devo ammettere che per me è stato un vero e proprio “salto” passare dalla “bassa” – le nebbie, le strade tutte pianeggianti, il paesaggio uniforme e lo sguardo che si perde nell’orizzonte – alla montagna, con la sua bellezza e il suo fascino. Un “salto” anche perché ho lasciato alle spalle comunque una bella e buona esperienza, che mi ha aiutato a “farmi le ossa” come prete. Allora sono arrivato a Borno con un po’ di esperienza in più.
Alcune cose mi hanno subito piacevolmente colpito al mio arrivo: prima di tutto la disponibilità e il calore della gente, poi l’attaccamento ai valori della fede e alla Chiesa. Non sono considerazioni scontate perché altrove, ormai, c’è sempre di più un abbandono della parrocchia e un disinteresse delle cose di Dio. Sicuramente questo è un punto a vostro favore, che vi rende onore e per questo bisogna ringraziare il Signore.
Ricominciare una nuova esperienza non è mai facile, ci vuole sempre un po’ di tempo per smaltire il distacco da una comunità e imparare ad instaurare con essa un legame in maniera differente da prima. La bontà dei bornesi dimostratami fin dai primi momenti, la collaborazione di tanti nelle attività dell’oratorio e della parrocchia, mi aiutano, ne sono certo, a vivere al meglio, come mi è possibile, il mio essere prete con voi e per voi, nella convinzione che ovunque ci si trovi, in pianura o sui monti, si lavora per lo stesso Regno di Dio e si è sempre in una comunione viva. Allora ci auguriamo tutti un buon cammino!
Don Simone
Sono una catechista-mamma del nuovo cammino catechistico, cioè l’I.C.F.R.; sono con i ragazzi della 5° classe della scuola di 1°grado che debbono concludere la prima parte del loro percorso catechistico con la celebrazione unitaria dei sacramenti della Cresima e dell’Eucaristia.
I bambini vengono con regolarità e puntualità ai loro incontri che si svolgono ogni settimana; essi sono vivaci ed è giusto che lo siano perché dimostrano di amare e di interessarsi a quello che fanno, perché intervengono con domande pertinenti e mettono in comunione le loro esperienze di vita familiare e scolastica. Parlano con la loro innocenza velata, a volte, d’ingenuità ma anche di malizia. In loro c’è entusiasmo e voglia di sapere e di chiarire i loro dubbi.
Invitata e sollecitata da don Simone sono presente anche come accompagnatrice-mamma, una volta al mese, agli incontri con i genitori che hanno i figli al 1° anno dell’I.C.F.R. È questa un’esperienza che se all’inizio mi spaventava, mi sta invece arricchendo e coinvolgendo proprio perché, mettendo in comunione la nostra pochezza, sta scaturendo il bisogno e si sta cercando il modo di crescere spiritualmente prima noi genitori, per far poi crescere adeguatamente i nostri figli.
Certamente questo nuovo modo di fare catechismo ha un po’ stupito e lascia una scia di larvato scetticismo. Oramai il catechismo e il ricevere i sacramenti (tappe obbligate) erano delegati ai preti e ai catechisti; i genitori apparivano al momento delle cerimonie quasi del tutto estranei ad ogni genere di preparazione spirituale.
Perciò oggi si vogliono coinvolgere i genitori per permettere loro di recuperare la responsabilità di primi educatori cristiani, di primi accompagnatori del cammino di fede dei loro figli. Si vogliono far riscoprire i veri valori della vita che aiutano ad essere più cristiani, cioè più altruisti, più attenti al nostro prossimo, meno chiusi nel nostro egoismo.
In tempi non molto lontani, la fede si viveva in famiglia, era trasmessa dai nonni, dai genitori attraverso l’esempio della preghiera giornaliera (mattina, mezzogiorno e la sera con l’immancabile rosario), considerata guida e forza della vita.
Ricordiamoci che i bambini ci guardano, interiorizzano di più e meglio ciò che vedono, mentre le nostre parole si perdono al vento.
Madre Teresa di Calcutta non si stancava di ripetere che i giovani sono stanchi di sentire bei discorsi, belle parole; i giovani vogliono vedere, vogliono esempi e allora... cominciamo tutti a dare esempi positivi col nostro comportamento, con la preghiera, andando a Messa la domenica e le feste comandate; diamo il giusto posto al Signore nella nostra giornata; incoraggiamo i nostri figli con aspettative di speranza di un mondo migliore svolgendo le azioni della giornata con l’aiuto e la benedizione della nostra mamma celeste e del suo Divin Figlio. Non dobbiamo spaventarci pensando di fare chissà quali grandi cose, dobbiamo solo vivere e agire con onestà e serenità, facendo sempre e solo il nostro dovere.
Come ci teniamo a curare i nostri figli nell’abbigliamento, nell’alimentazione, nella salute, nel partecipare con impegno e puntualità alle attività sportive e scolastiche, perché non ci preoccupiamo di aver a cuore anche la loro crescita nella fede? Perché ci pesa tanto questa attenzione spirituale? La risposta penso sia molto elementare: “Non credo perché se credessi, se avessi fede, Gesù occuperebbe il primo posto nei miei pensieri e nella mia vita!”.
Si educa alla fede solo vivendo la fede, così come si educa all’Amore amando chi ci sta vicino: la famiglia, il prossimo, la comunità intera.
I genitori sono i veri testimoni della fede. L’educazione religiosa nasce in famiglia, si allarga andando a Messa (avete forse già dimenticato l’invito insistente di don Giuseppe?) dove, con l’ascolto della Parola di Dio e ricevendo l’Eucaristia, usciamo pieni di grazia e pronti ad affrontare più sereni la giornata e la settimana che inizia.
In questi tempi di vita frenetica, l’I.C.F.R. da l’occasione di trovare uno spazio per riflettere, pensare, meditare, facendo riscoprire la bellezza della preghiera comunitaria; dà l’opportunità di scambiarsi idee, esperienze, di presentare perplessità e problematiche che si affrontano ascoltando la Parola di Dio. Essa servirà ai genitori ad accompagnare verso il bene i propri figli che sono il segno tangibile della testimonianza, del nostro modo di vivere in casa. I figli sono il dono più caro e più prezioso che il Signore ci abbia dato, cerchiamo di farlo brillare di luce propria.
Questi incontri con i genitori sono, quindi, un aiuto per incoraggiarli a trasformare le loro famiglie in chiese domestiche, dove si vive respirando Dio.
Mi piace concludere meditando questo scritto di Madre Teresa di Calcutta che ci fa comprendere l’importanza e la forza della preghiera.
Il frutto del Silenzio è la Preghiera.
Il frutto della Preghiera è la Fede.
Il frutto della Fede è l’Amore.
Il frutto dell’Amore è il Servizio.
Il frutto del Servizio è la Pace.
Francesca
Ad ottobre la nostra comunità parrocchiale ha cominciato un nuovo anno pastorale. Fra le svariate attività è iniziato anche il cammino catechistico dei ragazzi. A me, Franco e Gabriele, trio ormai collaudato, è stata affidata una delle due sezioni di prima media.
Dovete sapere che la prima esperienza come catechista l'ho avuta cinque anni fa: io e Annalisa ci siamo buttati in questa nuova avventura, proprio con questa classe. All'epoca erano in prima elementare, ricordo la loro estrema vivacità, non riuscivano proprio a stare fermi... Dopo quel primo anno, a causa dell'impegno del Servizio civile, a Piamborno, purtroppo ho dovuto rinunciare alla catechesi. Sono stato davvero felice di avere avuto la possibilità di ritrovare proprio questi ragazzi molto più grandi ed anche decisamente più tranquilli, ma non troppo: una dose di vivacità non deve mai mancare!
Abbiamo iniziato un lungo viaggio, tutti insieme, che ci porterà fra tre anni al Sacramento della Cresima.
Ogni lunedì al termine della nostra ora di catechesi, mi rendo conto che sono io il primo a tornare a casa arricchito grazie alle domande e alle riflessioni che vengono dai ragazzi stessi. Spesso noi adulti, anche in materia di fede, diamo molte cose per scontato. Sono convinto, o almeno questa è una mia convinzione, che anche il catechista cresca nella fede insieme ai suoi ragazzi, il detto: “Non si finisce mai di imparare” è proprio vero!
Mi capita spesso di pormi una domanda: cosa desidero trasmettere durante la catechesi? Se mi limitassi ad insegnare nozioni non avrebbe senso. Il mio compito è dare una testimonianza. Nella mia vita ho avuto la Grazia di incontrare Gesù e di conoscerlo. Questo incontro ha trasformato la mia vita. Più semplicemente: avere fede nel Signore mi fa star bene! Ecco, se io riuscirò a far comprendere ai “miei” ragazzi che credere non è un dovere, ma un dono, potrò dire di aver fatto un buon lavoro!
Solo con l'aiuto del buon Dio ho la possibilità di raggiungere questo mio importante obiettivo. Chiedo a Lui di donarmi forza e perseveranza per essere veramente suo autentico testimone.
Luca Dalla Palma
14 settembre 2010
Carissimi Amici del Gruppo Missionario,
saluti dalle Filippine! Mi devo scusare prima di tutto per il lungo silenzio. Non sapevo che con la vecchiaia i difetti, come la fatica a scrivere, si ingrandiscono.
Mia sorella Domenica mi ha fatto sapere che ancora una volta avete voluto venire in aiuto alla mia missione, con l’offerta di 1500 Euro che mi avete fatto avere. Non posso che dirvi sinceramente grazie per la vostra generosità che continua ad accompagnarmi ormai da lunghi anni.
Qui le cose vanno avanti abbastanza bene. Il mio lavoro ora è meno direttamente collegato alla missione diretta e si concentra, invece, nella direzione delle attività degli altri missionari, impegnati nella formazione dei nuovi missionari e nella missione nelle due parrocchie che gestiamo.
Avremo nel giro di un anno l’ordinazione sacerdotale di quattro nuovi missionari: un Indonesiano, un Filippino, un Camerunese e un Bengalese. Come vedete abbiamo la varietà delle Nazioni Unite.
Ora sto lavorando nel preparare una casa più grande per gli studenti di teologia che si preparano ad essere missionari: abbiamo bisogno di una casa che possa accogliere 25 studenti... perché sembra che le vocazioni indonesiane, camerunesi, filippine e messicane siano ancora in aumento.
Sia ringraziato il Signore! La missione continuerà ad avere missionari.
Mi costa non essere nella missione diretta, ma nello stesso tempo mi fa piacere essere in grado di accompagnare nuovi missionari che porteranno avanti la missione al posto di questo povero vecchietto.
Il lavoro nelle parrocchie sta andando avanti bene. A Marikina la vita è ripresa bene e le comunità di base hanno ripreso il loro lavoro con nuovo impegno e vitalità.
Lo sforzo rimane enorme perché ci sono troppe cose da far partire e da inventare. Domenica scorsa sono stato là per dare una mano celebrando quattro messe nei vari quartieri: una situazione sfidante.
Sui 90.000 abitanti che fanno parte della parrocchia, si e no 3000 si fanno vivi in chiesa alla domenica: i giovani sono assenti. I presenti sono in gran parte donne e bambini. La grande massa è tutta da raggiungere con tanta pazienza e tanta creatività nelle iniziative. Che Dio ce la mandi buona! I tre confratelli che vi lavorano sono pieni di speranza e veramente molto impegnati.
La vostra generosità ci sarà di sostegno nell’andare incontro alle tante emergenze che si ripetono quotidianamente.
Continuate a ricordarci nella vostra generosità e nella vostra preghiera perché rimaniamo pieni di speranza ed impegnati. Noi e la nostra gente vi ricordiamo presso il Signore perché ricambi la vostra generosità con tante grazie e benedizioni.
Con tanto affetto e un forte abbraccio a tutti voi.
Vostro P. Giacomo
Santana, 22-11-2010
Carissimi amici,
come avevo promesso, eccomi qui a voi per darvi le ultime notizie. Il viaggio è andato molto bene e gli aerei sono stati sempre puntuali: tutto sommato sono state più di 20 ore di volo. Sono arrivato a destinazione con le gambe e i piedi gonfi: questo è normale dopo un viaggio così lungo.
Tutte le volte che vengo in Italia c'è sempre qualcosa che mi fa tribolare. Quattro anni fa fu la sciatica, quest'anno invece c'è stata l'operazione alla prostata. Ma sia lodato il Signore: è andato tutto bene!
Ringrazio tanti amici e benefattori che, anche con sacrificio, hanno voluto aiutare le mie opere missionarie. Ricordarli tutti è impossibile se non nella preghiera. Un grazie particolare va a don Francesco per la sua sensibilità davvero missionaria. Mi ha accolto come un fratello e amico.
Ringrazio tutto il gruppo missionario per la sua disponibilità e capacità nell'essere di aiuto al missionario: siete tutti davvero bravi. Complimenti! Durante la mia malattia e degenza in ospedale molte persone mi hanno aiutato. Ricordo specialmente il dottor Giumelli e la dottoressa Liviana Gregorolli che mi ha insegnato a fare fisioterapia.
Ma ci sono due persone, senza voler far torto a nessuno, che voglio ringraziare in maniera particolare: Ivana e Antonella. Qualcuno ha voluto paragonare Ivana alla compianta Adelina Trotti. Antonella mi diceva che la nostra infermiera mi ha salvato la vita. Devo anche ringraziare i miei parenti per la sollecitudine avuta nei miei confronti. Sia lodato il Signore per tutte queste persone buone.
Dicevo del mio viaggio che è andato molto bene. Al mio arrivo ho avuto una gradita sorpresa. Un piccolo pulmino pieno di gente, specialmente bambini, aspettava all'aeroporto. Quando sono sceso dall'aereo hanno cominciato a sventolare palloncini e bandierine: mi sono emozionato e, a stento, ho trattenuto qualche lacrima furtiva.
Adesso devo fare una rigorosa dieta e vincere tante tentazioni. In Italia a malapena sono riuscito a vincerle. Speriamo di fare lo stesso anche qui.
Con l'aiuto del signore ho ancora da fare tante cose: ristrutturare i tetti delle nostre chiese e ambienti ecclesiali, tutti coperti con tegole di amianto, fare ancora alcuni pozzi artesiani e continuare l'assistenza ai bambini disabili. C'è anche in progetto una cappella con annesso centro sociale da realizzare in periferia, che vogliamo dedicare alla Madonna dei Poveri.
Concludo augurando a tutti un buon Natale! Che il Signore vi benedica e protegga sempre.
Ciao a tutti.
Con tanto affetto e gratitudine
Frei Defendente Rivadossi
Carissimo Don Francesco,
rientrando ieri da Balém-Pará (seicento Km... 8 ore di corriera!), sfinito dal viaggio - per chi soffre di ernia di disco, osteoporosi, reumatismi come il sottoscritto - ho subito l'azione di un assalto sulla corriera: mi hanno rubato il portafoglio con un po' di soldi e la carta di Identità... ci vorrà più di un anno per rinnovarla. È stato un viaggio perso. Ero andato fino a Belém-Pará per farmi operare di cataratte, perché ora per leggere devo appiccicare il testo al naso, ma purtroppo c'è qualcosa che non va bene, per cui sono rientrato per una eventuale cura e per scoprire la causa di una misteriosa infezione: questi medici ne inventano sempre una per fare soldi...
Rientrato, però, ho avuto la sorpresa gradita della tua email. Come è gradevole leggere parole di stima, considerazione da una persona, che se anche non conosco, per me è il "mio parroco". Io ho sempre amato la mia parrocchia, i suoi Sacerdoti, figure indimenticabili, le suore, i suoi parrocchiani e, attraverso Cüntòmela, posso conoscere storia e vita del mio paese e della mia parrocchia, come anche le notizie dei miei confratelli missionari.
Sono sempre stato schivo nel parlare di me stesso: è una storia di un missionario che vive dando la sua vita per la Missione... Attraverso Cüntòmela potrà rifare il percorso di questi miei 45 anni con cui ho cercato di essere e fare Chiesa-Comunità. Modestia a parte, mi pare di avere fatto anche molto. Anche per questo sono abbastanza malandato, ma sono felice, realizzato.
Dopo aver creato 3 parrocchie con tutte le sue strutture, mi sono o mi hanno messo in disparte e mi sono rifugiato nel mio Ricovero "Lar Frei Daniel", in memoria del nostro fraticello lebbroso. Il Ricovero è una opera mia: un ettaro di terra con un bel bosco di piante di legno pregiato (mogano), un bel pollaio, porcile, orto, piante da frutta, ma sopratutto un bellissimo Santuario, dedicato alla Madonna della Pace, con tanto di vetriate, cupola e pitture: non è del Bernini ma quasi! Fa parte di esso anche un Centro spirituale, tre belle sale, un salone, servizi, cucina per ritiri e incontri pastorali.
Il Ricovero, con una media di 30 anziani, possiede tutte le strutture necessarie (la Vigilanza Sanitaria anche qui non scherza!): assistenza medica, fisioterapia ecc... Per gli anziani, sopratutto uomini, qui è un Paradiso: hanno tutto... Ma ora sono molto preoccupato perché Sindaco e giunta comunale non vogliono più firmare la convenzione tra la Prefettura e il Ricovero per pagare i funzionari. La Divina Provvidenza provvederà. Speriamo di non dovere sbattere questi anziani, la maggior parte senza nessuno, sulla strada!
Bene, spero di avere stabilito un contatto amico e fraterno. Il Gruppo Missionario potrà completare. Siamo qui per continuare la nostra storia di amore.
Ti saluto cordialmente e ti faccio tanto auguri (che rinnovo perché i primi sono andati persi purtroppo). Nel mio primo saluto accennavo alla tua figura buona, simpatica anche per via di una piccola barbetta! Ti garantisco che sarai felice perché il popolo di Borno è molto buono e religioso! Ne approfitto per estendere grossi saluti a tutti. Salutami tanto Frei Defendente.
Ciao, dal vostro missionario, frei Narciso
* * *
Email 17-11-2010
Carissimi,
con l'approssimarsi dell'Avvento, il momento liturgico mi riporta a tutti voi. Qui si canta: “Vieni, Signore Gesù, vieni a salvare il tuo popolo. Rinnova la speranza della salvezza!”.
Il Natale, con la sua mistica certezza, è la manifestazione più forte dell'amore infinito e eterno del Padre per noi suoi figli. Nel Natale tutto si rinnova davanti al povero e scarno presepio pieno di luce, pace e fede. Con quanta nostalgia, quando la neve ricopre come un manto case, pinete, prati e nelle nostre chiese riecheggiano i melodiosi canti natalizi, riviviamo in famiglia e nella comunità il clima di unione, fraternità e allegria che ogni anno ci dona il Bambino Gesù.
Le notizie che vi mando sono poche. Ormai la mia vita missionaria, anche per gli acciacchi, si è ridotta notevolmente e riguarda perlopiù la direzione e il mantenimento del Ricovero (casa e famiglia) “Lar Frei Daniel”: si tratta di provvedere al pane nostro quotidiano, medicine e anche biancheria per 50 persone. Per il Santo Natale, invece di panettoni e spumanti, festeggeremo con un bel e grasso maiale, produzione propria dello stesso ricovero.
Oltre a celebrare una Santa Messa solo per gli anziani del ricovero tutti i lunedì, assisto una piccola comunità di oltre 4 mila persone con la Santa Messa quotidiana, catechesi e momenti di preghiera nel bel Santuario “Rainha da Paz”. I frutti, però, sono magri a causa del forte proselitismo delle Chiese evangeliche: un fenomeno preoccupante. Siamo 8 sacerdoti e loro più di 300 pastori!
Quest'anno un bel gruppo di giovani celebrerà solennemente la Prima Comunione.
La visita del nostro P. Generale è stato un evento significativo. Ha ammirato molto la bella struttura fisica e sociale del nostro ricovero e ha incoraggiato tutti a mantenere viva quest'opera importante per la Chiesa e per l'Ordine francescano.
Molta apprensione si respira qui per le elezioni politiche, con la vittoria della candidata del Presidente Lula, un metallurgico, semianalfabeta, ma molto intelligente e considerato “padre dei poveri”.
Il giorno 5 di novembre sono stato operato di cataratta e miopia all'occhio destro; il sinistro sarà operato il giorno 19. Non sapevo fosse un'operazione ad alto rischio. Per ora tutto è andato bene, senza complicazioni.
Bene! Salutoni e auguri di Buon Natale e felice Anno Nuovo a tutti, specialmente a don Francesco, momentaneamente rimasto solo per il trasferimento del buono e bravo curato don Alberto.
Dal vostro frei Narciso
n.d.r. Rispondendo a Padre Narciso l'abbiamo informato che don Francesco non è rimasto solo per molto tempo. Quasi subito infatti è arrivato don Simone.
1° Ottobre 2007 – 1° Ottobre 2010
Festa di Santa Teresina del Bambin Gesù
Sono passati tre anni da quando abbiamo aperto il Centro di Accoglienza “I Dansè” a Bobo Dioulasso in Burkina Faso. Il Centro è stato aperto nella gioia e nella trepidazione; nella dolcezza di un sogno accarezzato teneramente e nell’urgenza di una risposta concreta da donare ai più poveri; nell’esultanza e nella sofferenza; nella forza della tenacia e nel coraggio dell’osare; nell’incertezza e nell’audacia; nella semplicità e nell’abbandono alla provvidenza; nello stupore e nell’incoscienza di quello che sarebbe stato il futuro, il domani.
Tre lunghissimi anni per alcuni aspetti, gli aspetti che toccano le corde umane del dolore e della sofferenza, dell’impotenza e della fragilità, della separazione e del distacco definitivo... Tre brevissimi anni, passati come un battito d'ali, per molti altri aspetti; gli aspetti che toccano le vibranti corde dell’amore e della passione, della conquista e della riuscita, della dignità riconquistata e dei diritti primari lentamente affermati...
Siamo alla 3a candelina posta al centro di questa entusiasmante esperienza di condivisione con i più poveri. Un'esperienza di vita familiare con ragazze e bambini che non hanno mai sentito e vissuto lo spirito di famiglia, l'attenzione, il prendersi cura. Un’esperienza di contatto, di accompagnamento, di “essere con” che va oltre le righe e al di là delle possibili differenze, resistenze, comodismi vari. Un’esperienza che cattura il cuore in un Amore condiviso e donato senza riserve, che fa girare la testa attorno a idee nuove di promozione umana e di sviluppo solidale, che muove le mani in azioni concrete e tangibili, che induce i piedi a tracciare cammini di condivisione umana e di rispetto sociale.
Certamente è un'esperienza non facile. Tante differenze convivono e si abbracciano costantemente tra noi, ma c'è una cosa che ci unisce e colma ogni differenza: l'amore, quello vero, quello senza interesse, quello che sgorga dal cuore di Dio ed è impegnato a costruire il Regno di Dio, un Regno di pace e solidarietà, uguaglianza e verità, libertà e giustizia, un Regno che si costruisce sin da ora e da qui attraverso scelte e decisioni concrete, controcorrente, segno di contraddizione nei confronti della mentalità imperante.
La candelina di quest'anno è posta al centro di una torta che ci riempie di gioia e di responsabilità. Il centro “I Dansè”, dopo aver dato alla luce la Fattoria “Dugunkolo ye Gnanamaya ye”, sta per ultimare la gestazione del suo secondogenito, la “Maisons des Poussins”, un centro di animazione per i piccoli dai 3 ai 5 anni.
Non è una novità creare un centro di animazione per bambini in terra di missione, la grande novità è che a gestire la “Maison des Poussins” saranno le ragazze-madri del centro “I Dansè”. Vale a dire ragazze provate nei sentimenti e nella vita che, con impegno, hanno compiuto con noi un cammino di crescita umana e affettiva, che si sono misurate in un percorso di ristrutturazione della persona, che hanno ritrovato fiducia e stima in loro stesse, che hanno scoperto la strada dei diritti e il sentiero della giustizia e che adesso, con responsabilità e grinta, sono pronte a prendersi cura di altri poveri.
La “Maison des Poussins” sarà un luogo di colori e di speranza in un quartiere molto provato dalla sofferenza della povertà più estrema. L’ultima prova è stata l’alluvione di qualche settimana fa che ha fatto crollare decine e decine di case.
A condurci per mano alla festa della 3a candelina è il nostro ultimo arrivato, Angelo-Karim, un Angelo caduto dal cielo sul nostro centro, figlio di una ragazza musulmana. Ha solo dodici giorni di vita, ma già conosce fino in fondo la sofferenza e la fame: per ben nove lunghissimi giorni, i primi nove giorni della sua vita su questa terra, non ha assaporato un goccio di latte. La giovanissima mamma non ha latte ed è stata molto male dopo il parto. Era sola a Bobo e non sapeva cosa fare. Qualcuno l’ha accompagnata al nostro centro.
Adesso Angelo Karim è al Centro di Neonatalità dell’Ospedale di Bobo, pesa solo 1 chilo e 400 grammi, ha una severa infezione e non riesce a mangiare da solo, è alimentato attraverso il sondino. È piccolissimo, ma i suoi occhi sprigionano un’energia incredibile. I suoi pugni sempre chiusi sono indice di quella battaglia silenziosa che sta combattendo in solitudine. Basta guardarlo e s’intuisce e si assapora la sua voglia di farcela. Attorno ad Angelo Karim e alla sua mamma è scattata una gara di solidarietà da parte delle ragazze e dei bambini del centro “I Dansè”, non c’è sera che i bambini non preghino Maria Madre del Cammino per il piccolo Angelo Karim, perché cresca e venga a giocare a pallone con loro!
Questa 3a candelina è anche segnata da un piccolo-grande evento: la nostra Mariam oggi inizia l’avventura della scuola primaria. Mariam, il nostro orsetto diventato tenero batuffolo che si fa coccolare a più non posso, è diventata grande e sta crescendo bene, nonostante le numerose ferite che si porta dentro. È ancora senza denti, ma è piena di vita, entusiasmo e la sua voce squillante riempie tutto il centro. Oggi i suoi lacrimoni nel lasciarci mentre varcava la porta della scuola, ci hanno detto ancora una volta che Mariam ha vinto la battaglia dei sentimenti e adesso è capace di legarsi, di manifestare affetto, di chiamare “mamma”.
È per me e per noi una gioia grande poter condividere questa 3a candelina con gli amici. Se ci sono amici che ascoltano col cuore il tuo racconto, significa che non sei solo nel cammino e la tua voce non cade nel vuoto, significa che le tue mani sono strette in una cordata e non c'è pericolo che costruiscano sulla sabbia, significa che i tuoi piedi calzano il coraggio dell'unità e non possono mai farsi fermare dallo scoraggiamento e dalla paura.
Non ci lasciate soli in questo cammino e in questa esperienza di condivisione. Vi chiediamo la preghiera e il pensiero del cuore, l’affetto e la condivisione concreta, il sostegno e l’incoraggiamento dell’amico.
Grazie per tutto quello che avete fatto per me e per noi e che, sono certa, continuerete a fare.
A presto.
Patrizia Zerla
Se qualcuno ha voglia di farci un regalo di compleanno... il regalo è ben accetto!!! Qui abbiamo bisogno di alcune cose: chissà se qualcuno di voi può darci una mano?
1. Cerchiamo dei computer portatili, funzionanti e in buon stato, anche se ovviamente non di ultimissima generazione, per i nostri giovani che frequentano l'università.
2. Abbiamo bisogno ancora di 5 famiglie che s’impegnano per 5 anni a sostenere la gestione della “Maison des Poussins”.
3. Vi chiediamo di fare un regalo un po’ alternativo per il prossimo Natale: regalate ai vostri amici e parenti un asino o un bue o un montone o una pecora o una gallina... con destinazione Fattoria "Dugunkolo ye Gnanamaya ye".
Il centro “I Danse” vive grazie al sostegno generoso di tanti di voi! Vi preghiamo: non fateci mancare il pane quotidiano.
Le quattro suore indiane, suor Carolina, suor Nobile, suor Sofia e suor Sarida, ci lasciano dopo aver prestato il loro servizio per quasi tre anni presso Casa Alberto con competenza, impegno e serenità, dando aiuto e conforto agli ospiti anziani che, con i bornesi, le hanno accolte, apprezzate ed amate.
Ora si vedrà se il loro servizio potrà essere assunto integralmente da volontari e da persone competenti e retribuite per la loro qualifica formalmente in regola.
È senz'altro giusto che in una casa di riposo si pretenda professionalità e competenza, ma è risaputo che l'anziano e l'ammalato, come del resto ogni persona, oltre alle cure materiali ha bisogno anche e soprattutto di relazioni, compagnia, vicinanza umana e sostegno spirituale, specialmente in un luogo, come appunto una R.S.A., che per sua natura tende ad essere freddamente istituzionalizzato.
Insieme al contributo del volontariato proprio le suore svolgevano, penso con dedizione, impegno e pazienza, queste funzioni che dovrebbero far parte di ogni essere umano, aldilà delle cosiddette qualifiche professionali senza le quali, con più va avanti, sembra non si possa nemmeno muovere una foglia.
Se posso permettermi una battuta, mi auguro errata, verrebbe da pensare che chi attualmente dirige la nostra R.S.A., in nome di una malintesa laicità molto di moda, mostri una certa insofferenza per i religiosi in generale, visto che nelle ultime riunioni della commissione per la Casa Albergo neppure il parroco è stato invitato.
Forse questo è solo un segno dei tempi che cambiano. Sperando che tali cambiamenti siano per il meglio e che Casa Albergo, oltre alla doverosa professionalità, rimanga un luogo familiare e aperto a tutti, esprimo anche a nome delle altre volontarie il grazie più sincero e sentito alle suore per la loro presenza in questi tre anni.
Care Suor Carolina, suor Nobile, suor Sofia e suor Sarida vi abbracciamo e vi auguriamo di proseguire il vostro apostolato in un ambiente sereno e accogliente.
La responsabile delle volontarie
Mariuccia Valgolio
Una bella notizia possiamo darvi in questa nevosa settimana di inizio dicembre: abbiamo terminato il nostro 2° PROGETTO CICOGNA. Questa settimana infatti, attraverso la cassetta in fondo alla chiesam sono giunti gli ultimi 85 Euro che hanno fatto salire il totale da 2795 ai 2880 Euro necessari a completare il progetto. È grandissima la soddisfazione per aver raggiunto il nostro obiettivo in così breve tempo e lo stupore è soprattutto mio, per il fatto che in meno di un anno abbiamo completato due progetti, cosa impensabile all’inizio.
Questo è il segno di una grande sensibilità delle famiglie bornesi verso la vita e soprattutto la vita nascente. È anche una felice coincidenza il fatto che abbiamo completato il secondo Progetto Cicogna in concomitanza con l’appello del Papa a ritrovarsi la sera del 27 novembre 2010 in San Pietro per un tempo di preghiera a favore della tutela della vita umana nascente.
Il Papa in quell’occasione ha detto... Noi naturalmente non c’eravamo, ma come parrocchia abbiamo avuto l’opportunità della preghiera dell’adorazione del giovedì in S. Antonio, dove abbiamo pregato anche per questo scopo. Ora inizieremo un terzo Progetto Cicogna. Vediamo infatti che senza insistere c’è un gruppo di persone che anonimamente, senza mostrarsi, anche con poco, cerca di rispondere alla proposta di “un Euro al mese”, sufficiente, insieme ad altre offerte “una tantum” più consistenti, a mandare avanti con tranquillità un nuovo progetto. L’iniziativa, se ricordate, era nata per l’impegno quaresimale dei ragazzi di seconda media, ora cresimandi, ed allargata a chiunque volesse sostenere questa proposta.
Ora vogliamo verificare se esiste la possibilità di far nascere un gruppo stabile di alcune persone (visibili) che abbia a cuore questo tema della vita nascente e dei problemi a volte connessi, così da mantenere un minimo collegamento anche con il Centro di Aiuto alla Vita, il CAV di Pisogne, che è quello a noi più vicino. Vi daremo notizie in merito anche a questa proposta in divenire.
Mentre scriviamo è saltata la possibilità di scendere al Cav di Pisogne con i ragazzi di terza media, causa neve e mezzo di trasporto in panne. Era nostra intenzione portare quanto raccolto tempo fa (indumenti, carrozzine, passeggini, ecc.) alla sede del CAV. Però non desistiamo e lo faremo quanto prima, previsioni climatiche permettendo. Ora un’ultima cosa per concludere con le informazioni.
Accanto a questo articoletto vi presentiamo Leonardo, il bambino nato con il contributo del nostro primo Progetto Cicogna e la lettera della sua mamma che ci dà qualche notizia di loro. Vedete che una piccola goccia di tante generose persone produce qualcosa di eccezionale: la nascita di una nuova vita. Ringraziamo il Signore e voi per questo dono. Speriamo però che anche attraverso CÜNTÒMELA continuiate a seguirci e ad aiutarci, a favore della vita. A presto.
D.F.
Mi ha fortemente impressionato - e con me, credo, anche altri - la notizia dell’AVIS della Lombardia in merito al numero delle donazioni in estate e, con buona previsione, per i tempi che verranno: le presenze si sono ridotte ma, pure nei mesi caldi, non diminuisce la richiesta di sangue, e cosi per le stagioni che ci attendono.
Qui “donare” è sempre stato un alto merito, con la spontaneità di tanti giovani protagonisti, anche in questo campo, di avventure dell’umano di altissimo significato.
Dalla nostra terra ad altre regioni - sempre nello stesso servizio - un uguale lamento: l’invito esplicito a non perdere questa battaglia, che è il vero orgoglio del nostro Paese, anche se tante persone influenti fingono di ignorare il problema.
Il Pastore di Milano, nel discorso alla città per la Vigilia di Sant’Ambrogio 2007, scriveva con la solita capacita dialettica: «Quella del Concilio è una pagina estremamente lineare e insieme di singolare efficacia e incisività nella sua concretezza, merita di essere attentamente meditata per recuperare e rilanciare con rinnovata forza la coscienza della responsabilità sociale di tutti e di ciascuno».
Con il significativo titolo “Occorre superare l’etica individualistica”, cosi inizia il numero 30 della costituzione pastorale “Gaudium et spes”: «La profonda e rapida trasformazione delle cose esige, con più urgenza, che non vi sia alcuno che, non prestando attenzione al corso delle cose e intorpidito dall'inerzia, indulga ad un'etica puramente individualistica».
E Carlo Maria Martini, l'indimenticato arcivescovo di una comunità in profonda evoluzione, nelle sue pagine “Conversazioni notturne a Gerusalemme” del 2008, poneva questa riflessione, frutto di saggezza e lungimiranza: «La vita nel benessere apre ai giovani molte possibilità, più di quelle di cui disponeva la mia generazione. Più possibilità si prospettano, più le decisioni saranno difficili. Vorrei incoraggiare i ragazzi a scegliere e a non aspettare troppo a lungo. Chi non prende decisioni si lascia sfuggire la vita. Questo, al giorno d'oggi, è il problema più grande. In confronto il rischio di prendere una decisione sbagliata, che andrà corretta, è assai inferiore. Chi ha coraggio, rischia di sbagliare. Ma la cosa più importante è che solo gli audaci cambiano il mondo, rendendolo migliore. Ai coraggiosi sono concessi amici sinceri. Essi imparano che la potenza viene dalle mani di Dio».
Ecco una risposta onesta ed esauriente alle difficoltà di oggi, nella speranza che anche il dono del sangue rappresenti la meta di un autentico risveglio della coscienza sociale.
a cura di Carlo Moretti
Finalmente il tanto atteso 13 dicembre è arrivato e, come ogni anno, è apparsa la misteriosa Santa Lucia, avvolta dal suo velo bianco. Noi ospiti della Casa di Riposo l’abbiamo accolta con gioia. Sapete perché? Perché ha portato con sé un bel cesto pieno di dolci ed insieme dei morbidi e coloratissimi plaid per coprire le nostre gambe dal freddo di questo inverno.
Ringraziamo tutti per questo giorno di festa.
Gli ospiti
L’ARCHITETTURA
Questa volta racconteremo poco dell’edificio, se non quel tanto che basta per agganciarci agli interventi pittorici della parete sud, che sono quanto ci interessa. Dunque la chiesetta, o oratorio, è il risultato di due interventi edificatori; attualmente è dedicata a S. Antonio da Padova (che si festeggia il 13 giugno, da non confondersi con quello del porcellino o del fuoco o del bastone a tau s. Antonio Abate, nato in Egitto, la cui festa cade il 28 febbraio, quando si benedicono gli animali a quattro e a due zampe).
Il primo intervento risale nientemeno che al secolo XIV, per intenderci al 1300: allora i devoti Bornesi costruirono una cappella a pianta quadrata, che prendeva luce anche da due finestrelle, aperte sulla parete a ovest, quella verso l’oratorio, che culminano in alto con una specie di trifoglio; la cappella era aperta sul davanti, verso il sagrato, ed era affiancata ad est da un portichetto.
Non si sa bene quando, ma sicuramente tra i secoli XV e il XVI, a est fu abbattuto il portichetto e aggiunta un’altra campata esattamente uguale alla prima; guardando dal sagrato la parete rivolta verso la chiesa, è possibile individuare esattamente la congiunzione tra i due interventi costruttivi. Successivamente le aperture verso il sagrato furono chiuse e lasciate due porte: una sarà poi tamponata.
I DIPINTI
Anche per i dipinti tralasceremo tutto quello che non attiene al nostro argomento; purtroppo per gli affreschi dietro l’attuale altare c’è poco da fare. Qui ci interessano i due dipinti a fresco che decorano la parete a sud, che sono nettamente divisi, decorando ognuno una delle campate.
Campata antica
L’opera pittorica è stata brutalmente manomessa dall’apertura di una finestra: un intervento sciagurato, sicuramente non nello spirito dei nostri antenati che ci avevano donato una bella composizione. La finestra ha praticamente cancellato la figura della Madonna in trono, racchiusa in una nicchia dipinta: c’è rimasta solo l’aureola!
Ai lati due solenni figure di Santi: Giovanni Battista e Martino vescovo, racchiuse dentro architetture con paesaggi sullo sfondo; sopra, entro due tondi, l’Angelo nunziante e la Vergine. A fianco del Battista, successivamente sarà dipinto un s. Pietro, che ripete il gesto di Giovanni, indicando la Madonna.
Campata aggiunta
È interamente occupata dalla Sacra Conversazione di Callisto Piazza, racchiusa in un’ampia lunetta, con la Vergine e il Bambinello; ai lati, partendo da sinistra di chi guarda, i santi Rocco, Antonio Patavino, Battista e Martino.
I MISTERI
Fin qui tutto chiaro, ma ora cominciano i misteri. Chi ha dipinto i due affreschi?
Su quello di sinistra pare non ci siano più dubbi, ma ce ne sono stati tantissimi in passato. I due pittori ai quali il dipinto è stato alternativamente attribuito sono il bresciano Girolamo Romano detto il Romanino e Callisto Piazza da Lodi, ma ora gli storici concordano sul nome del secondo.
La prima menzione di “pitture insigni del Romanino” la si trova nel trattato Curiosi trattamenti contenenti ragguagli sacri e profani dei popoli camuni di Padre Grogorio Brunelli del 1698; l'attribuzione corretta a Callisto Piazza risale invece al secolo scorso, periodo in cui importanti studi furono dedicati al pittore, da parte degli studiosi locali P. Guerrini e A. Sina nell'anno 1912.
Tutti gli storici che nell'ultimo secolo si sono occupati di questo dipinto, e sono veramente numerosi (fra i tanti Giorgio Nicodemi, Bernard Berenson, Maria Luisa Ferrari, Rossana Bossaglia, Gianni Carlo Sciolla, Bruno Passamani, Gaetano Panazza, Franco Mazzini, Marco Tanzi, Sara Marazzani), hanno riconosciuto la correttezza dell'attribuzione e hanno di conseguenza speso le proprie fatiche per capire secondo quali idee compositive fosse stato realizzato; altro elemento su cui si sono fatte numerose ipotesi è l'anno di esecuzione: alcuni giustamente hanno sostenuto l'ipotesi del terzo decennio del 1500, altri invece pensarono al successivo, tutto questo perché l'opera non è firmata e non esistono documenti che la riguardano.
Ora sappiamo, grazie alle osservazioni e studi di numerosi esperti, che Callisto Piazza (Lodi, c.a. 1500-1560) operò nel territorio bresciano presumibilmente negli anni 1523-29, ossia nella fase giovanile della sua attività.
I primi dipinti certi a lui attribuiti sono proprio opere presenti in Brescia e riportano le date 1524-25; dopo questa prima parentesi si inserirebbe il soggiorno in Valle Camonica (c.a. 1526-1529), successivamente un breve ritorno a Brescia prima del rientro definitivo a Lodi. Da un contratto del 1529 sappiamo che accettò un lavoro per la realizzazione del quale dovette tornare in città dove impiantò una stabile ed importante bottega; dalla sua città di origine gestì numerose commissioni provenienti da diversi paesi e città del nord Italia.
Le opere di Callisto Piazza presenti in Valle Camonica sono quindi da vedere, studiare e capire, come tasselli di un percorso giovanile che si snoda fra gli insegnamenti ricevuti nella bottega lodigiana gestita dal padre Martino e dalla zio Albertino, a cui si aggiunse il notevole influsso esercitato dai due più importanti pittori attivi a Brescia, ossia il già citato Romanino e Alessandro Bonvicino detto Moretto.
Il periodo trascorso da Callisto sia in Valle Camonica ma, principalmente a Brescia, che definirei di “perfezionamento” piuttosto che di alunnato, in quanto questa attività si svolgeva in età ben più precoce, lo vedrà poi tornare a Lodi con un bagaglio di conoscenze ed esperienza che gli permise di assumere notevoli ed impegnativi incarichi che fino ad alcuni anni prima erano stati gestiti dalla bottega di famiglia; il padre morì l'anno 1523, lo zio invece nel 1529.
Tornando alla nostra parete dell’oratorio di S. Antonio: per il dipinto di destra, quello che in teoria dovrebbe essere precedente all’opera di Callisto, l’attribuzione è aperta. Bertolini e Panazza, nel primo volume della collana ARTE IN VAL CAMONICA, lo collocano nell’area del Ferramola, pittore bresciano (pag. 262), puntando soprattutto sullo stile e l’inquadratura architettonica che si rifà ad un architetto bolognose, vissuto a cavallo tra i secoli XV e XVI: il Serle; poi ancora per i motivi decorativi che abbelliscono le architetture e per il paesaggio che fa da sfondo.
PERCHÉ e QUANDO?
Questi due interrogativi ci sprofondano nel mistero più fitto.
Perché due dipinti pressoché uguali nella stessa chiesetta?
Non c’è dubbio che nell’uno e nell’altro dipinto il tema sia lo stesso: si tratta di una “sacra conversazione”, composizione inventata nella Toscana quattrocentesca, che vede al centro la Madonna col Bambino e, ai lati, Santi devozionali del luogo o indicati dai committenti o grandi Santi guaritori.
Nella campata a ovest la Madonna doveva sedere in trono, per trovarsi alla sua destra Giovanni Battista e alla sinistra Martino; tutto a puntino e secondo tradizione: il Battista è stato collocato in posizione privilegiata non solo perché parente e precursore di Cristo, ma perché soppiantò il povero Martino nella dedicazione della parrocchiale. Martino, grande santo venerato da Carlo Magno e dai Franchi, che aveva governato una prima chiesetta, aveva probabilmente lasciato il posto a Giovanni Battista a seguito dell’assegnazione a Borno del fonte battesimale.
Nella campata a est i due Santi sono stati posti da Callisto Piazza ambedue alla sinistra della Madonna, nell’ordine d’importanza: prima Giovanni e poi Martino. Alla destra hanno trovato posto prima Antonio, cui è dedicata la chiesetta, e Rocco che doveva difendere dalle pestilenze, male terribile dei secoli passati: a peste, fame et bello, libera nos, Domine!
Non siamo quindi solo di fronte allo stesso tema ma ad un medesimo sviluppo dello stesso: tra l’altro perfino lo sfondo è svolto ugualmente, almeno per quanto è dato confrontare: in tutte e due i dipinti è presente il lago con le barche.
Riformuliamo la domanda: perché due dipinti uguali, uno di fianco all’altro, nella stessa chiesetta?
Il mistero s’infittisce quando s’affronta l’altro interrogativo: quando sono stati dipinti?
L’argomento è talmente spinoso che il critico d’arte F. Mazzini, autore del volumetto Callisto Piazza nell’oratorio di S. Antonio a Borno (2005), a proposito della datazione 1528, presente sul dipinto a destra, afferma che si sarebbe riferita meglio all’opera di Callisto.
Dobbiamo dedurre che le due pitture sono probabilmente coeve o dipinte a brevissima distanza, questione di mesi, l’una dall’altra!
L’anno successivo infatti, Callisto, dopo aver dipinto un’ultima opera nella chiesa dell’Assunta a Cividate, se ne torna a Brescia e poi riparte quasi subito per Lodi.
Una prima risposta a queste domande potrebbe venire forse dal tentativo di ipotizzare un committente.
CHI HA FATTO DIPINGERE L’AFFRESCO DI CALLISTO PIAZZA?
Le opere di Esine furono realizzate tutte per la chiesa della Santissima Trinità che, come quella di Santa Maria, era retta da Don Faustino Fostinoni (Cividate ca. 1485-1564) inoltre nello stesso periodo egli era pure arciprete di Cividate (1527-1550). Se si ricostruisce la genealogia dei Fostinoni di Cividate, si noterà che la famiglia era sì originaria di Ossimo ma che era un ramo derivante da quella originaria di Borno!
Bisogna considerare inoltre anche la famiglia Federici di Esine che, come riporta il Sina in alcuni scritti rintracciabili fra le sue numerose opere di storia locale, era abituale committente di opere e di interventi relativi a tutte le chiese presenti sul territorio del paese. Sebbene i documenti a riguardo non precisino nulla e neppure Sina approfondisca questo aspetto, si potrebbe ipotizzare il reiterato rifarsi alla bottega di Callisto (escluse da questo gruppo resterebbero solo la Deposizione e la Pala d'altare di Breno) da parte delle famiglie Fostinoni-Federici per l’esecuzione di opere da collocare nei luoghi più significativi (la Pieve di Cividate sarà affidata a membri della Famiglia Fostinoni per circa un secolo; Borno era il luogo da cui si era diramata la famiglia Fostinoni; Esine la località in cui entrambe le famiglie Federici e Fostinoni esercitavano una profonda influenza; Santa Maria del Restello ad Erbanno era una chiesa-cappella di giuspatronato Federici).
Rimane l’interrogativo: perché? Si voleva dimostrare qualcosa? Era un dono a Borno? Era frutto di un’immensa ammirazione per il nuovo pittore? Si trattava di una specie di contestazione nei confronti dell’altra opera coeva, ma comunque antecedente?
QUALCOSA A PROPOSITO DELL’OPERA DI CALLISTO PIAZZA
Dice il Passamani che Callisto svolge il tema devozionale “in uno spirito neoquattrocentesco formatosi sui modelli puristi del Moretto, ma con la ‘licenza’ dello straordinario paesaggio camuno, immagine riflessa di quello che l’occhio abbraccia all’esterno, con la stessa pulizia primaverile e l’aria cristallina e fresca di neve che scende dai monti”.
Passi per l’aria cristallina e fresca di neve che ci può stare, ma ci pare che il Piazza non abbia proprio guardato molto le nostre belle montagne: quell’“immagine riflessa di quello che l’occhio abbraccia all’esterno” non riusciamo proprio a vederla: dove sono le nostre belle montagne, con i loro prati e pascoli verdeggianti fin sotto i grigi spuntoni rocciosi? Dove i córegn di S. Fermo o il gruppo del Mòren o la Presolana...?
Possibile che salendo ogni mattina o scendendo ogni sera dal sagrato, non abbia mai alzato gli occhi? Ci pare che sia andato a braccio e molto a memoria di cose viste, lontane da qui.
E il mulino? Pure quello dipinto a memoria e preso a prestito dalle pianure dov’era nato lui o dal fondovalle! In montagna la ruota idraulica non pesca nelle rogge la forza motrice, ma la trova nella caduta dell’acqua dall’alto, portata da canalette di legno. E quando mai le torri o i campanili in queste lande sono rotondeggianti? Sono tutti ben fondati su piante quadrate!
Ma queste sono piccole annotazioni: il dipinto è un bellissimo dono che qualcuno ha voluto fare a Borno, ma noi non riusciamo a sapere CHI e PERCHÉ!
Gianpaolo Scalvinoni
e Francesco Inversini
Quella mattina di fine estate, prima dell’alba, mentre trascinavo il mio trolley sulle strade di Borno cercando di fare (senza riuscirci) meno rumore possibile, penso proprio di aver svegliato tutte le contrade che da via Trieste portano a piazza Umberto I° e mentalmente mi scusavo con quanti, svegliandosi, mi avranno giustamente mandato a “quel paese”; beh, sappiano che ci sono andata molto volentieri alla Valle del Reno, parte più romantica dell’austera patria del Santo Padre, perché è proprio quella la meta scelta dal nostro don Francesco per il viaggio annuale della Parrocchia.
Il viaggio è iniziato sotto un cielo plumbeo che non prometteva nulla di buono. Infatti anche il “gadget” offertoci dalla Sabba (un grazioso ombrello) era chiaro riferimento alle previsioni meteorologiche infauste.
Prima sosta presso le straordinarie cascate di Sciaffusa che stupiscono per la grandezza; sono infatti le più grandi cascate d’Europa con i loro 150 metri di larghezza e con una portata di 700 metri cubi al secondo.
Dopo una notte movimentata perché non siamo abituati a quei cuscini morbidissimi tanto di moda all’estero, andiamo a visitare un delizioso borgo antico, Eildleberg, che si affaccia sul fiume con le sue vetuste costruzioni e la fortezza che ci osserva maestosa dall’alto di tutte le sue pietre imbevute di storia. Ci sorprende molto la visita alle sue immense cantine, una grande sete doveva animare la vita dei suoi abitanti a giudicare il volume spropositato delle botti ivi custodite, sete che i loro posteri hanno ereditato, se vi è mai capitato di vedere i fiumi di birra che scorrono all’Oktober Fest.
Nel pomeriggio ci rechiamo a Spira per la visita alla celebre cattedrale Romanica. Il giorno dopo andiamo a Worms, a Magonza e a Rudesheim dove il 26 agosto siamo pronti per la navigazione sul Reno nel tratto più romantico che ci porterà a Boppard. Paesaggio incantevole: fra le aspre rupi e le piccole isole il nostro sguardo è rapito dai castelli e dalle rovine abbarbicate sulle pendici coperte di vigne, cittadine, villaggi, e borghi medievali. Pranziamo ottimamente a bordo e sbarchiamo a Coblenza che visitiamo e dove il nostro autista Manuel ci attende col bus.
La sera, a Colonia, l’instancabile don Francesco ci guida ad una visita notturna della città. Arriviamo fino al Duomo, fa impressione per le sue dimensioni; è immenso, alziamo lo sguardo e ci toglie il fiato: si erge maestoso e sembra perdersi nel cielo nero della notte, è sicuramente la cosa più notevole di Colonia.
Appena svegli la guida ci porta ad Aquisgrana, celebre città imperiale, fondata dai romani e dal 754 residenza di Carlo Magno. Le vestigia dell’impero carolingio sono ben presenti nell’architettura della cattedrale dove sono custodite reliquie importantissime quali: la veste di Maria, le fasce di Gesù bambino, il panno della decapitazione di S. Giovanni Battista e il panno che Cristo crocifisso aveva intorno ai fianchi. Molto venerate, sono custodite all’interno del preziosissimo scrigno d’oro della Vergine e vengono esposte al pubblico ogni 7 anni.
Un drappello di noi va a visitare il tesoro del Duomo che è veramente straordinario. Nei locali semibui dove si trova, il luccichio dell’oro e delle pietre preziose attira i nostri sguardi meravigliati che vanno dalle croci pettorali ai più curiosi “reliquiari parlanti” nel senso che dalla loro forma si evince il contenuto, così che ad esempio nel busto d’oro di Carlo c’è veramente il suo teschio e il braccio d’argento dorato contiene veramente le ossa corrispondenti.
Rientrati a Colonia ne visitiamo il centro storico e ci apprestiamo ad assistere alla S. Messa, mentre aspettiamo, Angelo ci offre un dolcissimo croccante e noi golosi lo sgranocchiamo con gusto. Solo il Don si astiene nonostante i ripetuti inviti, ed è qui che approfitta per darci una meritata lezione, ci lascia a leccarci i baffi e poi ci dice: “E adesso non penserete mica di accostarvi alla S. Comunione, ricordate che bisogna mantenere almeno un’ora di digiuno per farlo, vero?”.
Ci lascia spiazzati, ha ragione da vendere e noi pentiti e a capo chino andiamo a messa consapevoli del nostro errore.
È giunto il momento di metterci in viaggio per avvicinarci a casa. Ci fermiamo a Treviri che è la più antica città della Germania, fondata nel 17 a.C. da Cesare Ottaviano Augusto, ci meraviglia per la sua bellezza paragonabile ad alcune località italiane. Ci accoglie la maestosa Porta Nigra che è una delle 5 porte della cinta muraria e poi ci piace tutta la cittadina, in modo particolare il Duomo di St. Peter e il castello rococò con la sua bella facciata rosa e i maestosi giardini.
29 Agosto, ultimo giorno: percorriamo la strada dei vini e sostiamo in due borghi molto gradevoli, con le tipiche architetture alsaziane, le viuzze e i balconi fioriti. Fra i canti di... vini arriviamo a Borno a tarda sera, stanchi ma felici per i bei giorni trascorsi insieme condividendo zuppe e insalate, birra e crauti, wurstel e kartoffel, strade e paesaggi incantevoli.
È già buio e mentre trascino il mio trolley verso casa non mi preoccupo del rumore che sto facendo, ma penso già all’anno venturo: se “quel paese” dove mi manderanno i miei vicini di casa che sveglierò sarà bello come questo, ci andrò molto volentieri... A Dio e alla Madonna piacendo.
Ricevuto il testimone dal suo predecessore, don Francesco ne mantiene le belle tradizioni; fra queste vi è sicuramente la gita del mese di ottobre. Partecipatissima come al solito, con due pullman pieni di gente allegra e festosa. La meta era Piacenza dove con gioia abbiamo incontrato suor Lidia, suor Candida e le consorelle nella loro prestigiosa casa in centro città. Visita brevissima ma piacevole, anche se abbiamo dovuto rinunciare alle golosità che ci avevano preparato perché la S. Messa non doveva essere procrastinata. Alla fine ci siamo comunque consolati con un pranzo veramente eccellente e gustosissimo. Poi, sul bus, qualcuno ha potuto schiacciare un sonnellino ristoratore mentre ci dirigevamo a Castell’Arquato.
Questo graziosissimo borgo medievale ci ha portato in un baleno in quell’epoca lontana che tanto ci affascina ma che serbava, per chi meno poeticamente la viveva, atrocità, malattie, fame e consunzione tanto che l’aspettativa di vita era molto breve, cinquant’anni i più fortunati, mentre la maggior parte delle donne raramente raggiungevano i trent’anni di età. Ciò non toglie che quel bel villaggio ci sia piaciuto molto, con le sue torri merlate e le stradine lastricate di pietra, il tempo sembra veramente essersi fermato ed è facile immaginare dame preziosamente vestite affacciarsi curiose al nostro passaggio, o cavalieri con tanto di cimiero tenere a freno il loro destriero bramoso di galoppare via veloce verso fantastiche avventure.
Le guide che ci accompagnavano ci hanno descritto con maestria vita ed opere degli abitanti di quel tempo lontano: i Visconti e gli Sforza, i Farnese ed i Borboni hanno tutti lasciato memoria in quelle pietre consunte dal tempo. È bello per un giorno tuffarsi in un’altra epoca e immaginarsi di vivere fantastiche avventure, anche se è ancor meglio poi poter apprezzare tutte le meraviglie che riserva il mondo d’oggi.
Una su tutte, ci vien subito da pensare, per quanto fascino potesse avere la carrozza, volete mettere la comodità dell’autobus riscaldato che in breve tempo ci riporta a casa? Noi nel pullmann numero due “capitanato” dal simpaticissimo don Simone e “imbeccati” da lui, ci siamo divertiti un sacco fra canti e barzellette irriverenti, tanto che avremmo voluto che la nostra “carrozza” non fosse così veloce a riportarci in Valle Camonica, anche se è sempre emozionante rivedere il nostro meraviglioso paesello, luminoso e bello, adagiato su un cuscino di velluto verde sotto il cielo trapuntato di stelle.
Poco tempo fa abbiamo avuto l’immensa fortuna di festeggiare le nozze d’oro, cioè cinquanta anni di matrimonio. Amici, parenti e conoscenti ci hanno chiesto: “È stata una bella festa? Come vi siete sentiti? Cosa pensate?” Con impulso ed entusiasmo abbiamo risposto, ed anche qui rispondiamo, che è stato il giorno più bello della nostra vita, più bello anche di quando ci siamo sposati. Qualcuno è rimasto un po’ interdetto, ma sì, sinceramente è stato il giorno più bello della nostra vita. Non è facile spiegare ciò con le parole, ma vogliamo provarci.
Ecco, il giorno che ci si sposa è bellissimo, è l’avverarsi di un sogno che si aveva e finalmente è realtà e ciò è bellissimo. Ma è anche l’inizio di una nuova vita, una vita in due. La si vede bella, gioiosa, ma essa ha davanti anche molte incognite. Ci saranno da affrontare problemi grandi e piccoli, ci saranno magari incomprensioni. Poi si pensa: la gioia lenirà il dolore. Con viva speranza, col nostro amore, con la nostra unione reciproca, ci aiuteremo nel superarle.
Ma voglio cercare di spiegarmi meglio sulle nozze d’oro con una parabola. C’erano due persone che un giorno si unirono e decisero di scalare una montagna. Si prepararono per bene, si attrezzarono, cercando di non lasciare niente al caso. Di buon mattino partirono entusiasti e felici. Per un po’ di strada marciarono spediti, ma poi incominciò a farsi sentire la stanchezza, si paravano davanti a loro i primi ostacoli e tante difficoltà, e poi altre ed altre ancora. Ma i nostri amici, malgrado le lamentele ed anche qualche litigio riguardo alla scelta della via migliore e più giusta da seguire, rimasero comunque uniti. Si aiutarono a vicenda nel superare gli ostacoli.
In realtà non era tutto così tragico. Ogni tanto il cammino si faceva più bello e così fra gioie e dolori, stanchi e stremati, col fiato grosso e le ossa doloranti, arrivarono sulla vetta. Si sedettero e con lo sguardo osservarono la strada fatta. Valeva la pena tanta fatica? Osservarono lo splendido paesaggio e l’immensità del creato. Ah, dimenticavo, durante la salita pur faticosa raccolsero anche splendida prole e poi nipotini. Sì, ne valeva la pena perché la gioia della partenza è stata grande, ma la soddisfazione dell’arrivo è stata immensa.
Tutto ciò non è merito dei protagonisti o, almeno, lo è in minima parte. Il grazie più grande è da rivolgere a Colui che ci ha creati, ci ama, e ci aiuta sempre, anche se non lo meritiamo.
Grazie a Dio. Grazie.
Gianni
Mattia Dabeni
di Roberto e Derocchi Silvia
Giulia Marsigalia
di Paolo e di Bottichio Rosalba
Cottarelli Martina
di Andrea e di Franzoni MariaElena
Raffaldini Valentina
di Giuseppe e di Lupu Floricica
Gheza Sara
di Claudio e di Longa Monica
Tommy Giorgi
di Luca e di Miorini Elisa
Marco Marsigalia
di Andrea e di Sanzogni Miriam
Corbelli Alice
di Marco e di Sanzogni Sabrina
Rivadossi Benedetta
di Mario e di Rivadossi Veronica
Nonelli Maurizio e Scalvinoni Marialuisa
Berzo Inferiore 5 giugno 2010
Roberto Dabeni e Silvia Derocchi
Borno 10 luglio 2010
Arici Valerio e Bonfadini Antonella
Breno 7 agosto 2010
Corbelli Luca e Leo Emiliana
Crispiano (TA) 28 agosto 2010
Romellini Daniele e Menolfi Giovanna
Cividate Camuno 29 agosto 2010
Luca Giorgi e Elisa Miorini
Borno 20 novembre 2010
Albino Sanzogni
24 settembre 1939
27 luglio 2010
Pietro Rivadossi
5 luglio 1939
14 agosto 2010
Pietro Andreoli
28 ottobre 1936
16 agosto 2010
Giacomo Arici
19 agosto 1933
23 agosto 2010
Lorenzo Ghitti
28 giugno 1926
26 agosto 2010
Faustino Andreoli
29 dicembre 1943
30 agosto 2010
Lorenzo Merelli
1 gennaio 1923
30 agosto 2010
Maria Mensi
31 ottobre 1913
2 settembre 2010
Lucia Albertinelli
8 febbraio 1934
8 settembre 2010
Pietro Rigali
23 gennaio 1945
19 settembre 2010
Pierina Rivadossi
26 settembre 1936
5 ottobre 2010
Adele Mensi
12 agosto 1915
22 novembre 2010
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