Natale 2017
Cüntòmela PER RIFLETTERE
È di nuovo Natale. Qualche luminaria già si sta accendendo, ma non è il segno della gioia per Gesù che nasce. Cosa c’è mai da festeggiare? Chi attendiamo? Il Figlio di Dio? NO, non il Figlio di Dio, ma il bisogno di distrarci dalle tragedie del mondo, la necessità di un po’ di pace, il desiderio di sentirci un po’ più buoni forse. Il Natale oggi, per la maggioranza delle persone è questo: buoni sentimenti per quindici giorni, piccole buone azioni, svuotamento della testa dai cattivi pensieri, e perché no, un po’ di ebbrezza e divertimento a capodanno. Il Natale è la festa del DIO INUTILE.
C’è confusione in questo tempo della storia, disorientamento, nebbia e niente di certo ormai, ma non si va alla ricerca della luce, non si accoglie la verità, non ci importa se Dio si è fatto uomo. Dio non serve per trovare risposte, Dio è inutile da questo punto di vista. Anzi Gesù, il suo Figlio è un ostacolo, un rompiscatole che irrita, al massimo un soprammobile, una statuina da collocare nel presepio per rispettare la tradizione.
Eppure quando è venuto ha sconvolto il mondo, ha attirato tanta gente, ha suscitato discussioni e scontri, ha costretto a prendere una posizione per lui o contro di lui perché affermava di essere Dio e di essere venuto per la salvare il mondo. È proprio per questo che Dio è diventato inutile: perché della salvezza non importa più a nessuno, perché non risolve problemi, perché non ha ricette per rendere più ecologico il mondo, perché non ha proposte per armonizzare tutte le religioni, perché non offre mediazioni al ribasso affinché tutti i forti siano rispettati nei loro pretesi diritti e i più deboli accettino meglio di non averne. Da questo punto di vista Dio è proprio inutile, cioè non è di alcuna utilità per costruire il paradiso in terra, anzi è da respingere nettamente perché a causa della sua “assolutezza” appare divisivo e mal conciliante con le opinioni degli altri.
Ma qui sta la grandezza di questo Dio. Ha voluto “farsi inutile” all’uomo superbo che si è fatto egli stesso Dio, per aprire invece una via di salvezza e redenzione all’uomo povero, reso inutile scarto proprio dai novelli salvatori del mondo che hanno risposte per ogni problema, che auspicano una super religione universale senza nessun Dio che divida e una super nazione mondiale senza diversità e disuguaglianze, un ordine planetario da raggiungere sacrificando la libertà individuale e la verità assoluta sull’altare dell’armonia, come anche il Papa è sembrato auspicare parlando con linguaggio politicamente corretto, a politici e religiosi nel recente viaggio in Miammar, la ex Birmania.
Ho trovato su una rivista i consigli di un giornalista a noi credenti per essere più integrati, più collaborativi, più armonizzati col mondo moderno. Scriveva questo giornalista: “Voi parlate troppo spesso della salvezza di Cristo, ma c’è un abisso fra l’ammirazione per Gesù grande profeta ed il credere che egli è Dio. Il suo messaggio di amore e di giustizia è l’unico che può salvare l’umanità dall’egoismo, dall’odio, dalle guerre. Ma non c’è bisogno di credere che Gesù è Dio e obbedire alla Chiesa per voler bene al prossimo. Per cui, se Gesù mi dice di aiutare i poveri, di perdonare le offese, di educare i figli all’onestà e all’amore, mi sta bene, cerco di fare anch’io così. Ma se la Chiesa, a nome suo, mi impone molti altri precetti e divieti, la grande maggioranza degli italiani, pur battezzati, non la seguono più. Per cui datemi ascolto, parlate dell’amore come ispirazione per la nostra vita e avrete ampi consensi, ma lasciate perdere che Gesù è Dio e che la Chiesa parla a nome suo: sono concetti discutibili che suscitano divisioni e sentimenti di integrismo in chi crede”.
Un consiglio dato col cuore, per il nostro bene. Un invito a farci più moderni per salvaguardare la nostra sopravvivenza e visibilità in questo mondo. Un appello a lasciare perdere le nostre convinzioni di fede più antimoderne, che parlano di redenzione, di salvezza, di vita eterna, di giudizio di Dio, di paradiso e inferno, per poter aver ancora voce nella nuova religione umanitaria che sta nascendo. Io i consigli di questo onesto giornalista non li accetto, anche se ciò comporterà in futuro assumerne le conseguenze, che non sono molto lontane dal coinvolgerci. Già il nuovo corso avanza e che tristezza vedere già in qualche nostro paese i segni della fede natalizia rifiutati perché disturbano gli altri credenti e gli ex credenti, o le chiese usate per manifestazioni blasfeme spacciate per arte moderna, o alcune nostre parrocchie che ospitano nei luoghi di culto la testimonianza di chi sempre si è dichiarato abortista, ma in sintonia col Papa sui migranti, oppure vescovi e teologi che celebrano con enfasi Lutero, iniziatore dello scisma protestante, come fosse un santo, oppure il giornale della CEI che ospita un vignettista che mai ha smesso di dichiararsi ateo messo lì a rallegrare l’Avvenire della chiesa italiana. Certo ad alcuni queste cose potranno apparire quisquiglie, casi sporadici, cose estranee alla nostra religiosità italiana perché succedono all’estero. Ma solo per rimanere in tema, provate un po’ a chiedervi cosa intende la nostra gente per “Natale”, cosa credono di Gesù i nostri ragazzi e giovani, come si pongono le nostre mamme e i nostri papà di fronte alla Verità rivelata che Gesù porta e che è alla base delle nostre scelte e decisioni? Scoprirete forse che anche per voi in fondo per fare Natale non è poi così necessario Dio e i suoi comandamenti. Constaterete che anche alla Messa di Mezzanotte di Gesù luce del mondo si può fare a meno perché le luminarie già bastano. Potrete ammettere senza problema che anche del calore del bue e dell’asinello nel presepio possiamo fare a meno, perché tanto per alcuni giorni ci sono i buoni sentimenti a commuoverci e sul sagrato non mancherà certo il vin brulè a scaldarci i cuori. O Signore Gesù, non smettere mai di farti Dio inutile anche a noi che credendo in Te ci sentiamo sempre più “scarti” di questo mondo moderno.
Don Francesco
Cüntòmela PER RIFLETTERE
1 - ARRIVA SEMPRE PUNTUALE, ANCHE PRIMA CHE INIZI LA SANTA MESSA. - Ricorda che il primo precetto della Chiesa, che esiste già dal IV secolo, è ascoltare la Messa completa tutte le domeniche e nelle feste di precetto e non svolgere lavori o attività che possano impedire la santificazione di questi giorni. Per questo è importante arrivare in tempo in chiesa. Perché? Per prepararci spiritualmente in preghiera facendo la nostra preghiera personale. Anche per leggere in anticipo le letture approfittando dei foglietti domenicali. Quando si leggono le letture prima della Messa, si ha una buona idea di ciò che dirà il Signore e si riuscirà a capire meglio l’omelia.
Questa l’attuale santella, in località Croce di Salven, all’incrocio con Via Foiada, che ricorda San Giovanni Paolo II e il sua appassionato appello: “Aprite le porte le Cristo”. A far corona alla statua del Papa, sui muri laterali interni vi è, da una parte, un riproduzione della Madonna (a memoria di quella che era dipinta nell’antica edicola) e, dall’altra, spicca la figura del Beato Innocenzo da Berzo a ricordo del suo fermarsi a pregare davanti alla precedente santella, che era collocata a pochi metri di distanza e fu demolita anni fa per poter allargare la strada provinciale.
2 - ENTRANDO IN CHIESA, LA TUA PRIMA AZIONE DEVE ESSERE SALUTARE IL SIGNORE. - Non entrare mai distratto/a. Bisogna andare a cercare il Tabernacolo. Ci sarà una luce accesa a indicare il luogo in cui è custodito il Santissimo Sacramento. Se la salute te lo permette, inginocchiati completamente o almeno metti il ginocchio destro a terra (genuflessione), come segno di adorazione e rispetto stando davanti al Signore. Una volta compiuto il tuo atto di adorazione, cerca il luogo che preferisci, magari iniziando con l’occupare i primi banchi.
3 - SE DEVI MUOVERTI ALL’INTERNO DELLA CHIESA, FALLO CON RISPETTO. - Quando devi passare di fronte all’altare fai una riverenza profonda, anche se la Messa non è ancora iniziata. Se il Signore è già sull’altare, fai una semplice genuflessione (ginocchio destro a terra).
4 - OSSERVA IL SILENZIO. - Ci saranno persone che pregano, o che si preparano alla confessione o si confessano. Resta in silenzio o pregando come preparazione personale e per rispettare il momento degli altri con Dio. Mantieni il silenzio prima, durante e dopo la celebrazione, tranne quando si deve cantare o rispondere alle azioni liturgiche. Considera che la Messa è sacra; ciò implica la necessità di spegnere il telefono cellulare o di togliergli il suono. Non usare il vibracall perché ti distrae e ti rende dipendente. Se per distrazione dimentichi di spegnere il cellulare e suona durante la Messa, non uscire dalla chiesa per rispondere, spegnilo immediatamente.
5 - VESTITI IN MODO DIGNITOSO NELLA CASA DI DIO. - Nel luogo in cui si rinnova in modo incruento il sacrificio di Cristo sulla croce, vestiti meglio che puoi. Vestiti bene, ma per la dignità del luogo e del momento, non per spiccare davanti alla gente. Non metterti abiti audaci anche se fa caldo, né vestiti sportivi, né pantaloncini né infradito…
6 - RISPETTA IL DIGIUNO EUCARISTICO. - La Chiesa richiede per norma un digiuno eucaristico di un’ora da cibo e bevande prima della Sacra Comunione, a eccezione di acqua e medicine (CDC 919). Il digiuno include la gomma da masticare prima e durante la celebrazione. Questa norma non è opzionale, e violarla coscientemente è sacrilegio. Osservare questa norma è segno di massimo rispetto di chi identifica la presenza reale di Cristo nell’Eucaristia, ed è anche la preparazione e la disposizione corretta per ricevere il Signore.
7 - CONTROLLA I TUOI FIGLI. - Se sono piccoli, evita che giochino disturbando gli altri ed educali al rispetto che meritano il luogo e il momento, così sapranno l’importanza che hanno. Se sono molto piccoli o stanno in braccio e non puoi affidarli a qualcuno, cerca di sederti nei banchi alla fine della chiesa per poter uscire a tranquillizzarli nel caso in cui piangano.
8 - RISPETTA IL LUOGO SACRO. - Gesù dice: “La mia casa sarà chiamata casa di preghiera” (Mt 21,13). La chiesa parrocchiale non è quindi il luogo adatto agli scherzi; non confondere la chiesa con una caffetteria, e non ti sedere con le gambe accavallate come nelle riunioni conviviali. La Messa non è il momento per esprimere affetti personali. Se sei con tuo/a marito/moglie o fidanzato/a, lascia le dimostrazioni d’affetto eccessive per un altro luogo e un altro momento. Ora siete tu e il tuo partner, ciascuno con Dio: vivete la Messa come coppia, ma rivolti a Dio.
9 - PARTECIPA ATTIVAMENTE ALLA MESSA. - Lascia dunque le tue letture e le tue devozioni per un altro momento, prima o dopo la Messa. Durante la Messa evita gli spostamenti superflui come peregrinare di fronte alle immagini disposte per la devozione. Fallo soprattutto nei santuari.
10 - NON FAVORIRE LA DISTRAZIONE. - A Messa abbandona ogni altro argomento o pensiero. Non sminuire la Messa con un cuore diviso, pensando alle cose esterne.
Padre Henry Vargas Holguín
Cüntòmela PER RIFLETTERE
Che cosa c’entra san Francesco con il presepio?
Nel 1223, esattamente il 29 novembre, papa Onorio III con la bolla Solet annuere approvò definitivamente la Regola dei frati Minori. Nelle settimane successive Francesco d'Assisi si avviò verso l'eremo di Greccio dove espresse il suo desiderio di celebrare in quel luogo il Natale. Ad uno del luogo disse che voleva vedere con gli "occhi del corpo" come il bambino Gesù, nella sua scelta di abbassamento, fu adagiato in una mangiatoia. Quindi stabilì che fossero portati in un luogo stabilito un asino ed un bue - che secondo la tradizione dei Vangeli apocrifi erano presso il Bambino - e sopra un altare portatile collocato sulla mangiatoia fu celebrata l'Eucaristia. Per Francesco come gli apostoli videro con gli occhi del corpo l'umanità di Gesù e credettero con gli occhi dello spirito alla sua divinità, così ogni giorno mentre vediamo il pane ed il vino consacrato sull'altare, crediamo alla presenza del Signore in mezzo a noi. Nella notte di Natale a Greccio non c'erano ne statue e neppure raffigurazioni, ma unicamente una celebrazione eucaristica sopra una mangiatoia, tra il bue e l'asinello. Solo più tardi tale avvenimento ispirò la rappresentazione della Natività mediante immagini, ossia il presepio in senso moderno.
Giotto, Il presepe di Greccio (1295-1299 ca.)
Come si spiega la popolarità e la diffusione dei presepi?
Francesco morì nel 1226 e nel 1228 fu canonizzato da papa Gregorio IX; fin da quel momento la sua vicenda fu narrata evidenziandone la novità e, grazie anche all'opera dei frati Minori, la devozione verso il Santo d'Assisi si diffuse sempre più e in modo capillare. Di conseguenza anche l'avvenimento del Natale di Greccio fu conosciuto da molte persone che desiderarono raffigurarlo e replicarlo, iniziando a rappresentare e diffondere il presepio. In questo modo divenne patrimonio della cultura e fede popolare.
Presepio realizzato in Piazza san Pietro nel 2015
Che significato ha e perché la Chiesa invita i fedeli a rappresentare, costruire, tenere presepi in casa e in luoghi pubblici?
La Chiesa ha sempre dato importanza ai segni, soprattutto liturgico sacramentali, sorvegliando però che non sconfinassero in una sorta di superstizione. Alcuni gesti furono incentivati perché ritenuti adatti per la diffusione dell'annuncio evangelico e tra questi si segnala proprio il presepio nella cui semplicità indirizza tutto alla centralità di Gesù.
A cura di don Simone
Cüntòmela PER RIFLETTERE
Era la notte Santa. Un povero calzolaio lavorava ancora nella sua unica stanza, dove viveva insieme alla moglie. Entro la mattina successiva, avrebbe dovuto consegnare un paio di scarpe per il figlio di un ricco signore.
- Hai già pensato a quello che potremo comprarci con il guadagno di questo lavoro? - chiese il calzolaio alla moglie.
- Sono piccole: ci daranno ben poco! - scherzò lei.
- Accontentiamoci! Meglio questo che niente!
Il calzolaio appoggiò le scarpe sul banco e se le guardò soddisfatto.
- Guarda che meraviglia! - esclamò. - E senti come sono calde con questa pelliccetta dentro!
- Un paio di scarpette degne di Gesù Bambino!
- Hai ragione - rispose il calzolaio mettendosi a spazzolarle.
- Allora, che cosa pensi di compare per il pranzo di domani? - riprese l'uomo dopo un attimo.
- Mah... pensavo a un cappone.
- Già, senza un cappone non sarebbe un vero Natale!
- Forse anche mezzo...
- D'accordo, e poi?
- Due fette di prosciutto.
- Sicuro: il prosciutto come antipasto. E poi?
- E poi il dolce.
- E poi la frutta secca...
- Giusto. E da bere?
- Una bottiglia di spumante.
- Sì, una bottiglia basterà, ma che sia buono!
A quel punto si sentì un colpo alla porta.
- Hanno bussato? - chiese l'uomo.
- Ma chi sarà a quest'ora? Forse il cliente...
- No, gliele devo portare io domattina.
- Allora sarà il vento.
Ma il rumore si sentì di nuovo. La donna aprì la porta ed ebbe un moto di sorpresa. Un bambino la guardava, con grandi occhi neri, dalla soglia della porta. I suoi capelli erano tutti spettinati e i suoi vestiti erano laceri e sporchi.
- Entra, piccolo - lo invitò la donna.
Il bambino entrò. Aveva le labbra bluastre dal freddo. Il calzolaio guardò subito i suoi piedini.
- Ma tu sei scalzo! - gridò.
Il piccolo non parlò: guardò le scarpe, anzi le accarezzò con gli occhi, ma senza invidia.
L'uomo e la moglie guardarono prima i piedi nudi del bambino e poi le scarpe sul tavolo; quindi la donna fece un cenno al marito. Il calzolaio prese in mano le scarpe, le osservò contento e disse:
- Prendile, te le regalo. Sono morbide e calde.
La moglie aiutò il bambino a infilarsele.
- Grazie - rispose sorridendo. - Sono le prime che porto. Ora però devo andare. Buona notte.
Il calzolaio e la moglie non ebbero neanche il tempo di salutarlo che il bambino era già sparito.
- È fatta - esclamò l'uomo. - Ora niente più prosciutto, né cappone, né frutta, né dolce.
- E neanche lo spumante! In fondo a me lo spumante non piace nemmeno.
- E io non digerisco il cappone! Anche del prosciutto posso farne a meno. E il dolce poi... - C'è rimasta qualche noce e un po' di pane raffermo - disse la donna.
- Va benissimo. Passeremo un bel Natale.
Tutti e due pensavano al bambino.
- Penso che gli siano piaciute molto le mie scarpe - aggiunse il calzolaio.
- Sì, mi sembrava molto contento.
In quel momento suonò la Messa di mezzanotte e la stanza si illuminò all'improvviso. Il calzolaio e la moglie furono abbagliati da quella luce; poi, quando riaprirono gli occhi, nel punto in cui il bambino aveva calzato le scarpe, videro spuntare miracolosamente un abete con una stella in cima. Dai rami penzolavano capponi, prosciutti, dolci, frutta secca e bottiglie di spumante.
Soltanto allora capirono chi fosse quel bambino e si inginocchiarono a ringraziare Dio.
Cüntòmela PER RIFLETTERE
È nell’anno 1018 che, per la prima volta, il nome Borno appare in un documento, che la storia ci ha trasmesso. Nel prossimo anno ricorre pertanto il millennio di una data certamente significativa per il nostro paese. Non si può lasciarla passare sotto silenzio.
affresco della chiesetta della Dassa sull'incendio di Borno
L’occasione che mille anni fa fece parlare di Borno in un documento giunto fino a noi fu la interminabile contesa tra Bornesi e Scalvini circa il monte Negrino. Per aiutare a comporre questa accesa lite, il Vescovo di Brescia, Mons. Landolfo (accompagnato dell’Avvocato Lanfranco) e il Vescovo di Bergamo Mons. Alcherio (insieme con l’Avvocato Riccardo) vennero a Borno. In pari tempo dalla comunità della Val di Scalve venne qui una delegazione di oltre 20 persone, fra le quali due sacerdoti.
L’improvvisato tribunale si riunì davanti alla chiesa di Borno giovedì 13 novembre 10l8. La conclusione fu che gli Scalvini accettarono – di fronte ai due Vescovi – che tutti i diritti sul monte Negrino appartenevano alla “vicinìa” di Borno (oggi diremmo: al comune di Borno). Come sappiamo, però, col passare degli anni e dei secoli, gli abitanti della Val di Scalve ritornarono a pretendere che i pascoli del monte Negrino appartenessero a loro. Il contrasto durò per molti anni con alterne vicende, che culminarono nel tristemente noto episodio dell’incendio di Borno (1688) da parte di un gruppo di uomini della Val di Scalve. La vicenda è rievocata nell’affresco della volta della chiesetta della Dassa.
Non è irrilevante sottolineare che, da quel documento storico, emerge che mille anni fa Borno aveva già una propria chiesa, intitolata a San Martino, circa la quale non sappiamo da quanti anni esistesse, ed aveva un proprio sacerdote. (In altri periodi i sacerdoti furono due e a volte tre).
Da altra fonte sappiamo che la comunità religiosa bornese dipendeva, dal punto di vista ecclesiale, dalla Pieve di Cividate Camuno, per cui non aveva un proprio fonte battesimale: per ricevere il Battesimo i Bornesi dovevano scendere a Cividate. Le cronache riferiscono delle lunghe processioni – composte da battezzandi, genitori, padrini, madrina e amici – che il Sabato Santo di ogni anno si vedevano scendere da Borno a Cividate con in testa il Parroco e le Autorità. La chiesa di Borno, pertanto, mille anni fa funzionava regolarmente per la celebrazione della Santa Messa e l’amministrazione dei sacramenti, eccetto il conferimento del battesimo.
Non deve apparire strano che la Pieve si riservasse l’amministrazione dei battesimi: era un segno della grande importanza che si attribuiva a tale sacramento che rende figli di Dio, fa nascere ad una vita nuova e incorpora al Popolo di Dio.
Nel 1091 Borno ottenne di poter gestire per proprio conto tutte le questioni di culto, compresa l’amministrazione del battesimo. Divenne vera parrocchia nel senso moderno. Pur mantenendo uno stretto e cordiale legame con la Pieve di Cividate, la nostra parrocchia acquistò una propria autonomia per quanto riguarda il servizio religioso. Altri paesi (Breno, Berzo, Esine, Malegno, Losine) si affiancarono da Cividate solo parecchi anni più tardi.
Uno dei motivi per cui Borno fu la prima comunità cristiana, tra quelle dipendenti dalla Pieve di Cividate, a divenire autonoma fu quello della distanza; influì però anche il fatto che Borno nel 1091 era considerato un centro abitato non privo di rilievo; inoltre godeva di una consolidata tradizione religiosa.
Con la costruzione del battistero, incorporato nella chiesa parrocchiale, San Giovanni Battista fu aggiunto, come patrono secondario, a San Martino, patrono principale. La devozione a questo santo era stata diffusa in Valle Camonica dei Benedettini provenienti dal Monastero di Marmounier (a pochi passi da Tours) ai tempi di Carlo Magno e, secoli dopo, dai Monaci di Cluny.
Nel 1141 il Vescovo di Brescia, S.E. Mons. Manfredi, consacrò con rito solenne la chiesa parrocchiale di Borno, confermando così l’affrancamento di Borno dalla Pieve matrice di Cividate.
Quella chiesa bornese ebbe poi ripetuti restauri nel corso dei secoli e rimase il riferimento della fede dei Bornesi fino al 1771, quando fu interamente demolita per costruire dalle fondamenta una chiesa completamente nuova, più grande e più bella, progettata dall’Architetto Pier Antonio Ceti e sempre collocata nel precedente posto, in alto e nel centro del paese. Il nuovo edificio fu inaugurato nell’autunno del 1781 con solenni festeggiamenti e grandi manifestazioni di gioia da parte della popolazione. È la chiesa che oggi noi vediamo, maestosa nelle sue linee architettoniche e decorata dal pittore Santo Cattaneo, nativo di Salò, e poi dal doratore Pier Martino Soardi, originario di Breno. Le belle lesene di marmo e le dorature delle cornici degli affieschi che oggi ammiriamo sono invece di molto posteriori: si devono al Parroco Don Domenico Moreschi e furono eseguite negli anni 1935-1940.
In occasione della riedificazione della chiesa dalle fondamenta, fu modificata anche la sua dedicazione: fu scelto come Patrono principale San Giovanni Battista, mentre San Martino restò come Patrono secondario.
Per questo le pitture dell’intera volta della chiesa riguardano tutte episodi concernenti San Giovanni Battista, mentre nella pala dell’altare maggiore, pur essendo dominante la nascita di San Giovanni Battista, a lato verso il basso vi è ben raffigurato anche San Martino, Vescovo di Tours, rivestito delle insegne episcopali.
Il campanile, accanto alla chiesa, incominciò ad apparire soltanto dal 1540, costruito sotto la guida del capo-muratore Bornino Regazzi, nativo di Ossimo Inferiore.
L’arrivo a Borno del cristianesimo va tuttavia collocato quasi 4 secoli prima della menzionata data del 1018, cioè non molto dopo che il messaggio di Cristo era giunto a Cividate, centro che i Romani avevano potenziato e che conservava le strade di collegamento con i grandi centri, costruite dall’Impero Romano. Come in altre parti del mondo, le tante e belle strade realizzate dall’Impero Romano servirono alla diffusione del cristianesimo, cosa che gli Imperatori Romani mai avrebbero potuto pensare.
Gli antichi abitanti di quello che oggi viene denominato l’Altopiano del sole erano profondamente religiosi, come attestano i ritrovamenti archeologici custoditi nel Museo di Cividate. Gli antichi Bornesi adoravano il sole e avevano un tempio dedicato alla dea Minerva. A Cividate invece il tempio principale era dedicato a Giove.
La innata e fervida religiosità dei Bornesi li portò ad aprirsi subito al messaggio cristiano, quando il suo annuncio arrivò in Valle Camonica (secolo VI) in epoca longobarda.
Card. Giovanni Battista Re
Cüntòmela PER RIFLETTERE
Lo scorso 8 ottobre la nostra diocesi ha vissuto un grande momento di festa, per l’ingresso del nuovo vescovo Pierantonio Tremolada.
Il vescovo ha iniziato il suo cammino in diocesi partendo da Urago d’Oglio, parrocchia ai confini con la bergamasca; dopo aver brevemente salutato le parrocchie di Chiari, Coccaglio, Rovato, Ospitaletto e Castegnato, è finalmente arrivato in città, dove ha sostato in preghiera davanti alle reliquie dei santi patroni Faustino e Giovita e davanti alla stele commemorativa della strage di Piazza Loggia, per poi arrivare in piazza Paolo VI, davanti alla chiesa Cattedrale, e ricevere l’abbraccio di una folla festante e del suo predecessore, il vescovo Luciano. Il culmine di questa festa è stata, senza dubbio, la solenne celebrazione eucaristica in cattedrale, durante la quale il vescovo Pierantonio ha pronunciato una bella omelia, in cui ha tracciato alcune linee guida per la nostra diocesi in questi prossimi anni.
Proprio di questa profonda omelia vorrei condividere con alcuni passi salienti.
Partendo dal brano di Isaia del canto d’amore della vigna del Signore, il vescovo dichiara di volersi inserire nel cammino di fede e di tradizione tracciato da chi lo ha preceduto, raccogliendo il grande patrimonio della nostra chiesa bresciana: “Anzitutto il Signore si aspetta che si prosegua nel solco sinora tracciato. […] Ci precede un fiume di bene, una folla immensa di testimoni della fede, di cui sono espressione soprattutto i santi e i beati della terra bresciana, uomini e donne dalla fede tenace e solida, intelligente e operosa. Per quanto riguarda me, credo domandi in particolare che io raccolga il testimone del magistero più recente dei vescovi di questa Chiesa ed in particolare del vescovo Luciano”.
Il vescovo, poi, cita un passaggio della Novo Millennio Ineunte, dove il santo papa Giovanni Paolo II illustrava alcune linee guida per il cammino della Chiesa nel terzo millennio cristiano. Per il vescovo Pierantonio due sono le linee fondamentali che si ricavano dal testo:
1) contemplare e rivelare al mondo il volto di Cristo;
2) tendere insieme alla santità.
Riguardo al primo punto dice: “Contemplare e rivelare il volto di Cristo: ecco il nostro compito. Il volto rinvia all’identità segreta del soggetto e la rende familiare. Il volto della madre per il bambino è tutto il suo mondo, è garanzia di sicurezza e di vita. Il suo sorriso è il motivo della sua felicità. Questo è per noi il volto di Cristo, volto del Signore crocifisso e risorto, rivelazione inaspettata del mistero di Dio, che è misericordia infinita, mitezza e umiltà. La Chiesa vive di questo sguardo e in questo sguardo. […] Vorrei tanto che alla base di tutta la nostra azione di Chiesa ci fosse la contemplazione del volto amabile di Gesù, il nostro grande Dio e salvatore. Così dal volto di Cristo si passerà, senza quasi accorgersi, al volto degli uomini e la nostra diventerà la “pastorale dei volti". Acquisterà la forma della cura delle persone per quello che sono, ciascuna con la sua identità”.
E proprio nel sottolineare questo il vescovo pone una grande questione: “A partire da qui dovremo guardare e forse riconsiderare tutte le nostre iniziative e le nostre strutture; e probabilmente, nel farlo, dovremo essere anche piuttosto coraggiosi, la domanda guida sarà: in che modo tutto questo è il Vangelo di Cristo? In che misura sta consentendo ad ogni persona, a lei, con il suo volto, di incontrare l’amore di Dio che è gioia e speranza?"
Riguardo al secondo punto – la santità della Chiesa - il vescovo Pierantonio ci regala una stupenda definizione di santità: trasparenza sulla terra della bellezza di Dio nei cieli; manifestazione della sua gloria tra gli uomini; perfezione di bene e splendore di grazia.
Proseguendo nella sua riflessione, il vescovo si chiede che cosa in concreto significhi per la Chiesa oggi tendere alla santità e testimoniarla nel concreto quotidiano: “Santità della Chiesa, alla luce della Parola di Dio e del recente magistero dei nostri grandi papi, significa concretamente questo: lotta alla mondanità e coltivazione di un’alta qualità evangelica dell’azione pastorale. La Chiesa sa che deve convertirsi ogni giorno, per dire no alla ricerca della gloria umana, del prestigio personale, dell’interesse privato, del benessere personale; e ancora di più dire no a tutte le forme della corruzione e dell’ingiustizia, a tutto ciò che può ferire la dignità delle persone o comprometterne la felicità.
Ma poi la Chiesa, oggi più che mai, sa che deve puntare sugli elementi costitutivi della sua identità, che sono l’ascolto della Parola di Dio, la preghiera, la vita sacramentale, la comunione tra i fratelli.[…] Dovremo cominciare a vivere con maggiore intensità e consapevolezza quel che abbiamo vissuto sinora in modo molto, forse troppo, naturale. La svolta epocale ci impone di non dare più nella per scontato: l’Eucaristia domenicale, il matrimonio cristiano, la preghiera dei ragazzi e degli adulti, le regole della morale cristiana, le feste liturgiche, sono tutte realtà irrinunciabili che oggi hanno bisogno di un ritorno alle loro motivazioni profonde, ma soprattutto domandano di essere sperimentate nella loro autentica ricchezza”.
Avviandosi alla conclusione della sua omelia, il vescovo Pierantonio rivolge un saluto e un pensiero a tutte le diverse realtà che operano nella nostra terra bresciana: i sacerdoti, i diaconi, i consacrati, i giovani, i poveri e sofferenti, le autorità civili. Il vescovo invita tutti alla speranza e alla collaborazione.
Le ultime battute della riflessione partono da un testo di sant’Agostino: “Con voi cristiano, per voi vescovo”. Il vescovo prosegue dicendo: “È quanto vorrei ripetere anche io a tutti voi. […] Sono e vorrei essere un bresciano. […] Vengo da Milano e porto con me una storia, una tradizione, un patrimonio di bene che mi ha plasmato. Permettetemi di dire che sono fiero di appartenere dalla Chiesa da cui provengo. Ma da oggi io sono qui, pastore del popolo di Dio che è in questa diocesi e in questa città. […] La vita di un vescovo appartiene al Signore e al popolo di Dio che è chiamato a servire”.
Ringraziamo il Signore per aver donato alla nostra chiesa diocesana il vescovo Pierantonio. Come parrocchie dell’Altopiano del Sole cercheremo di fare tesoro delle sue preziose parole e di camminare con lui e dietro a lui, per portare nella vita quotidiana il volto di Cristo e la luminosa testimonianza della santità. Che rende beati!
Don Simone
Cüntòmela PER RIFLETTERE
Il tema della vita è nel cuore di tutte le persone, ma spesso rimane nel segreto inconfessato, perché la cultura di oggi non è favorevole alla vita e nemmeno a chi si batte per difenderla. Se poi la vita da aiutare è quella nascente allora emergono gli attacchi più forti e violenti in difesa di quella legge che permette l’aborto, diventata un tabù intoccabile nonostante sia una macchina di morte e una causa tra le altre della natalità del nostro paese. Nel 2016 ci sono stati 87.639 aborti che sommati a quelli praticati da quando esiste la legge sull’interruzione della gravidanza del 1978 fanno 5.729.709 aborti. Sono cifre impressionanti ma nemmeno veritiere perché se è vero che si verifica una diminuzione numerica a partire dal 1982 questa è solo apparente. Infatti, da quell’anno è iniziata una straordinaria campagna in favore di vari tipi di contraccettivi e delle varie pillole (del giorno prima, del giorno dopo, oggi dei cinque giorni dopo, la RU486) che hanno limitato il numero degli aborti presso ospedali e cliniche ma hanno aumentato quelli praticati nel “privato” della propria casa. Basti pensare che nel 2012 sono state vendute circa 400.000 confezioni di "pillole del giorno dopo", e quel numero aumenta ogni anno. Quanti aborti hanno provocato tutte quelle pillole? Il 20%? Il 30%? Cioè 80.000? 120.000? Allora il numero degli aborti procurati da tali mezzi abortivi, vanno ad aggiungersi alle cifre ufficiali. È una ecatombe che sembra non avere termine.
Al fine di contrastare questa situazione, anche la nostra parrocchia si è attivata facendo nascere un gruppo che si impegna in vari modi nella promozione e nella difesa della vita. Si chiama “PROGETTO CICOGNA” ed è partito nel 2010 come proposta delle catechiste ai loro ragazzi, per raccogliere fondi da destinare al CAV, Centro di Aiuto alla vita di Pisogne. Il CAV aiuta mamme in attesa di un figlio, che per ragioni economiche, di disagio o di paura sarebbero intenzionate ad abortire.
Noi cerchiamo di raccogliere Euro 2880 con i quali sosteniamo per diciotto mesi una mamma che decide di tenere il suo bambino. Siamo giunti in questi otto anni al quattordicesimo “Progetto Cicogna” nella parrocchia di Borno ed altri due progetti sono stati attivati nella parrocchia di Ossimo Inferiore. Il gruppo che è composto da cinque o sei persone stabili ed altri collaboratori si è allargato ad altre iniziative a favore della vita. Nella ricorrenza annuale della Giornata per la Vita che si celebra in febbraio, ad esempio, si raccolgono indumenti per neonati, attrezzature per bambini utili nei primi mesi.
Purtroppo la “privatizzazione” del fenomeno dell’aborto riduce moltissimo la possibilità di aiutare, offrire sostegno, spiegare che è possibile dare un’alternativa all’aborto.
Così soprattutto i più giovani, ma anche non pochi adulti non si rendono conto che l’aborto provoca la distruzione di una vita, diventa un omicidio, e lascia conseguenze tragiche e strascichi dolorosi nelle donne che sono indotte a praticarlo.
Responsabilità grande hanno dunque gli adulti, in modo particolare verso ragazzi e ragazze adolescenti e giovani perché nulla si fa per educare alla vita e ci si è arresi ormai alla mentalità libertaria in materia sessuale che espone a grandi rischi coloro che, addirittura appena dopo la pubertà, ancora giovanissimi non sono pronti a rapporti che sarebbero propri invece di uomini e donne maturi, rapporti che esigono una donazione spirituale e una responsabilità morale dei propri atti, ben più importanti della sola capacità fisiologica. Il Progetto Cicogna cerca nel suo piccolo di sensibilizzare in tal senso con le sue iniziative e trova nella fede e nella preghiera un sostegno in questa azione a favore della vita. Il gruppo è sempre aperto a nuove adesioni e all’aiuto di chiunque voglia collaborare alla promozione della vita umana e quella nascente in particolare e in parrocchia potrete ricevere tutte le informazioni sulle nostre attività.
D.F.
Era un giorno qualsiasi, in un posto qualsiasi, ma per te era speciale. Lui ti faceva sentire speciale. Per i tuoi genitori eri da un’amica ma, come di solito succede. L’amica aveva in realtà coperto la tua fuga. Il cuore ti batteva a mille. Per te lui era tutto e pur di tenertelo stretto avresti ceduto al suo amore. Così, impacciati di fronte alla passione, precauzioni zero, pur sapendo come sarebbe andata a finire, ti fai travolgere. E arrivo anch’io. Mi sento rapire come dal cielo nel tuo ventre. Non so dove io sia, ma avverto che è il posto deciso per me, mi sento protetto, mi nutro e cresco. Ti avverto che piangi, urli e non so perché. Che sia colpa mia? Io cresco e tu piangi. Ed è così bello quando mi accarezzi e avverto i tuoi sorrisi. Ti sento fuggire lungo le scale, e una voce che ti urla dietro una parola incomprensibile per me: «Devi abortire, tanto è solo un feto grande quanto un fagiolo. Sei ancora una bambina. E quello sciagurato dov’è?».
Tu urli: «Non voglio». E se fosse colpa mia? Mi piace quando accarezzi il pancino e, a bassa voce, ti immagini di me. Ti sento piangere e singhiozzare, parlate di un appuntamento in ospedale, chissà di che luogo si tratta. Ti sento singhiozzare, e c’è chi ti dice: «Stai tranquilla, ancora un attimo e il problema non ci sarà più. Avrai altre occasioni quando sarai grande.». Scalci e urli e poi ti sento fuggire con la tua mano su di me. Tua madre ti prende, ti urla addosso, piange.
Poi avverto il suo abbraccio e lei che dice: «Perdonami, questo bambino vuole nascere e noi gli daremo un’opportunità, sia quel che sia». Intanto passa il tempo e cresco, mi nutro. Questo luogo sta diventando un po’ stretto, ti sento quando ridi e quando piangi, e io cresco. Poi, come il primo giorno che mi sentii rapito a venire da te, mi sento rapire verso la luce. Che affetto strano e chi sono tutti questi in camice bianco. Dove sei? Perché mi avete strappato dalla mia culla? Finché mi avvicinano a te, ti riconosco dal tuo battito e finalmente scorgo il tuo volto. Tu mi guardi e dici: «Sono la tua mamma e tu sei mio figlio». E io, anche se non mi è dato di parlare, assaporando il momento del tuo abbraccio, penso: «Dal cielo, al tuo ventre e ora nel mondo. Grazie.». - Catia Berti
Cüntòmela PER RIFLETTERE
La Presidente del Movimento per la Vita di Bolzano ha scritto questa toccante testimonianza per mostrare come nella semplicità si può dire Si alla vita e NO all’aborto. La storia parla di una donna sola, che vede l’aborto come l’unica facile soluzione a quello che le hanno detto è un problema. Ne esce distrutta, si pente, fonda un centro di preghiera per i bambini non nati, rinasce a vita nuova.
La donna racconta di come in giovane età abbia abortito e di come il Signore le abbia ridato la dignità che l’aborto le aveva tolto. L’aborto uccide due persone: un figlio e una madre, perché si muore insieme al proprio bambino quando si entra in sala operatoria. A qualsiasi età la donna si sente sconvolgere la vita quando scopre di essere incinta e questo dovrebbe essere vissuto come la cosa più bella del mondo. Invece la società non ti sostiene, anzi, se addirittura sei giovane ti vede come una fallita e attorno a te cala un velo di silenzio come se ti dovessi vergognare.
In questo mondo tutto alla rovescia dove prima vengono le cose materiali e dove ti inculcano che solo il lavoro, il denaro e il successo siano la vera realizzazione di sé, non c’è più spazio per le cose essenziali, e cioè l’amore, la famiglia e la vita. Solo Dio ti insegna che essere veri uomini e vere donne significa uscire da se stessi e amare e donare la propria vita all’altro, partecipando così alla Sua creazione tramite la famiglia e l’essere padre e madre. Io ho avuto paura – dice la donna - e mi sono sentita soltanto giudicata e terribilmente sola. Nessuno mi aveva parlato dei Centri di Aiuto alla Vita, nemmeno i medici. Se qualcuno mi avesse fatto sapere che dentro di me batteva già un cuore, io non l’avrei fatto. Ed è questa la più grande menzogna della Legge 194, la legge che permette l’aborto: convincere che si tratta di un grumo di cellule, che non è niente.
Dopo l’aborto mi sono sentita svuotata e non riuscivo più a vedere il senso della mia vita – ci racconta – Al consultorio nessuno ti parla del dopo e di cosa ti aspetta. La sindrome post aborto si manifesta di colpo e la donna non è preparata ad affrontare l’inganno e lo smarrimento in cui è caduta: capisce che dentro di sé portava una vita, sente di essere madre ma nessuno la riconosce tale, anzi tutti la incitano a dimenticare che ormai fa parte del passato. Ma come si fa a dimenticare un figlio? Diventa quindi una tortura sottile e subdola. E solo la fede ti salva! Io sono riuscita a perdonare quella ragazza impaurita che ero e tutti coloro che hanno contribuito all’aborto, ma è stato Gesù a insegnarmi a farlo. Da sola non sarei riuscita a fare nulla. Allora mi sono chiesta cosa avrei potuto fare per le altre donne che si sentono e si sono sentite come me e per evitare che ci siano altri innocenti a cui viene tolto il diritto di vivere. Per toccare tutti i cuori in tutto il mondo, mi sono detta, l’unica cosa è pregare. Così mi sono ricordata di Madre Teresa di Calcutta che, prima di iniziare la sua giornata di servizio ai più poveri, faceva due ore di Adorazione del Santissimo Sacramento. Tempo dopo mi capitò di leggere una frase di Benedetto XVI che mi colpì particolarmente: “Senza Adorazione non ci sarà trasformazione del mondo”, e ho capito che era la strada giusta. Ne ho parlato con un frate della comunità di Pietralba e insieme abbiamo preparato gli incontri dedicandoli alla Madonna in atto di riparazione e chiedendo la Sua potente intercessione. Per questo è stato scelto come giorno il primo sabato di ogni mese». In quel sacro monte, presso l’ingresso del Santuario, nel corridoio degli ex-voto, abbiamo messo un grande cesto ove le mamme (o chiunque altro conosca un bambino non nato) possono lasciare scritto in un bigliettino il nome che avrebbero dato a quel bambino… Andrea, Marco, Nadia, Enea, Giovanni, Josef, Ester… I bigliettini raccolti ogni mese superano ormai la cinquantina. All’inizio dell’Adorazione il cesto viene portato all’altare e il sacerdote legge i nomi di questi bambini, uno per uno, e dà loro il battesimo di desiderio. Dopo, davanti al Santissimo Sacramento recitiamo tutti insieme la Coroncina della Divina Misericordia. Segue la S. Messa con preghiere e suppliche particolari tutte rivolte alla Madonna affinché protegga ogni vita dal concepimento alla fine naturale. E ancora una grande preghiera anche per “quelle mamme che si sono lasciate tentare” e perché ritrovino la pace dell’anima, facendosi abbracciare dalla Misericordia di Dio. Un modo semplice, alla portata di tutti, per dire Si alla vita e NO all’aborto.
Antonietta Morandi
Cüntòmela PER RIFLETTERE
Mi piace iniziare questo articolo con queste belle parole inviate al gruppo Progetto Cicogna dalla presidentessa del CAV di Pisogne.
Niente di più appropriato, di più gratificante, di più incoraggiante e di stimolo a non arrendersi mai, neanche dinanzi ai tanti ostacoli e difficoltà che si incontrano per cercare di alleviare le pene di qualche mamma più sfortunata e sola di altre.
Tutti i volontari che operano in silenzio nelle varie organizzazioni dovrebbero essere chiamati “api operaie”. Il tempo prezioso che tolgono alla famiglia e ai loro impegni, viene ripagato quando - come nel nostro caso - riusciamo a consegnare l’assegno di ben € 2.880 e vediamo il volto di Angela (la presidente del CAV) aprirsi in un dolce sorriso; si vedono scendere delle lacrime di gioia e poi con un filo di voce quasi tremante ci dice “Grazie! Oggi un’altra mamma ha allontanato il cattivo pensiero di non far nascere una vita: è nata Luisa e voi la state adottando a distanza“.
Lei ci tiene al corrente delle diverse situazioni, sia di quelle ragazze che vogliono conservare l’anonimato e di quelle che, invece, hanno la gioia di farci conoscere la loro creatura inviandoci anche delle tenerissime foto.
È doveroso precisare che tutto questo è possibile per la generosità dei bornesi che ha contagiato e sensibilizzato tutto l’Altopiano del sole. Si è creata una catena di solidarietà commovente che di continuo fa arrivare ai neonati il necessario: oltre al vestiario arrivano lettini, carrozzine, ovetti, marsupi, girelli e tutto ciò che può servire sino a oltre l’anno di vita.
A ciò si aggiunge il forte sostegno delle Sanitarie di Borno e di Esine che da ben 8 anni ci aiutano a mantenere vivo questo progetto, permettendoci di realizzare anche dei mercatini. Queste due sanitarie forniscono in abbondanza alimenti e accessori per i neonati. Il CAV di Pisogne riconosce la loro straordinaria generosità e non smette di inviare al nostro parroco lettere di gratitudine infinita, sottolineando che siamo un paese UNICO e che senza di noi avrebbero anche loro, come associazione, qualche problema perché la precarietà bussa alla porta di tutti.
In questi 8 anni abbiamo portato a termine 14 progetti, equivalenti a 14 adozioni di mamme coi loro rispettivi figli, ed ora ci apprestiamo a finire il quindiceesimo progetto.
Io con le mie “API OPERAIE” ringrazio di cuore tutta la popolazione dell’Altopiano del Sole perché da soli non si realizza nulla, ma l’unione e la collaborazione possono fare grandi cose, aiutando ognuno di noi a contemplare il miracolo di una nuova vita. Come suggerisce una poesia inviataci sempre da Angela e che proponiamo qui sotto.
Francesca Paradies
È il sortire
da tenero bozzolo farfalla...
È il gorgheggiar
di un ruscello
che diventa fiume...
È schiudersi al sole
di turgide gemme...
È ogni creatura
che dal nulla emerge
per divino tocco
nel perenne fluire
del mare della VITA.
Romy Belotti
Cüntòmela a BORNO
Ringraziandoli per la disponibilità e per averci aperto il loro cuore, vi proponiamo l’intervista-chiacchierata fatta con Giuliana e Vittorino, mamma e papà di don Alex, novello diacono e prossimo sacerdote. Sarà infatti ordinato sabato 9 giugno 2018 in cattedrale a Brescia.
La prima domanda è banale e scontata: cosa si prova ad avere un figlio che, in quanto diacono, è già chiamato “Don”?
M. Anche la mia risposta sembrerà altrettanto banale. La verità è che Alex ha manifestato il desiderio di diventare sacerdote talmente presto, (8 anni) e lo ha esternato fin da subito con una sicurezza e determinazione tale che non ha dato adito a nessuno, in famiglia, di dubitare delle sue intenzioni. Fin dai primi tempi la gioia con cui partiva la domenica sera per il seminario mi rassicurava riguardo la sua scelta. Non ha mai manifestato la benché minima incertezza riguardo il cammino intrapreso. Vederlo affrontare con impegno, serietà ma anche vera felicità, le varie tappe del percorso sacerdotale mi ha portato a dare quasi per scontato questo traguardo, ed ora che il momento dell’ordinazione si avvicina mi sembra semplicemente il coronamento di un percorso che era stato già organizzato e definito, al quale noi ci siamo semplicemente adeguati, come se fossimo stati guidati ed accompagnati da una forza suprema.
P. Don Alex… già di per sé chiamare don un amico, un parente o anche un semplice conoscente suona strano, figuriamoci quando si tratta del proprio figlio! In quel momento ti rendi davvero conto che un percorso che hai condiviso per tanti anni sta per concludersi, che devi essere felice per lui. Io lo sono perché Alex è sereno e tranquillo delle scelte che ha fatto. La vocazione diaconale nasce all’interno di un percorso graduale, sincero e profondo che Dio ha voluto fare insieme con noi.
C'è stato un momento preciso o comunque quando avete capito che il vostro Alex avrebbe davvero intrapreso la strada del sacerdozio?
M. Non saprei definire un momento particolare. Sia noi famigliari che gli amici d’infanzia di Alex (ed i suoi insegnanti delle elementari) ricordiamo con chiarezza come, fin da bimbo, amasse radunare in camera amici e amiche per “celebrare la messa”. Naturalmente sulle prime si pensava fosse solo un gioco, una passione passeggera, simile a quella che a sette anni lo aveva spinto a chiedere a Santa Lucia l’attrezzatura per fare il mago. Crescendo è maturato lentamente, ma la salda certezza, presente in lui fin da piccolo, che quella era la sua strada da percorre non ha mai vacillato. Anzi spesse volte mi rimproverava di non credere abbastanza in lui.
P. Alex ha sempre manifestato questa sua propensione: lo si vedeva nel suo modo di giocare. A 8 anni il suo gioco preferito era dir messa in camera sua con Antonella e altri amici della sua età. A volte, quando aveva dei soldini in tasca, andava in farmacia dal dr. Luciano a comprare delle ostie per rendere più vero il “gioco”; in alternativa tagliava delle ostie da riviste e giornali.
Sappiamo che Alex da bambino ero molto legato alla nonna Antonietta. Che ruolo ha avuto, se lo ha avuto, sull’inclinazione religiosa di Alex?
M. Certamente la nonna Antonietta ha avuto una notevole influenza sull’inclinazione religiosa di Alex, ma ci tengo a sottolineare che anche il nonno Lino era profondamente religioso, così come i componenti della sua famiglia d’origine: aveva una sorella suora e lui stesso frequentò il seminario per un certo periodo. Quindi tale vocazione potrebbe essere insita nei geni! Personalmente sono però convinta che davvero la chiamata viene direttamente da Dio, e non saprei dire quanto l’ambiente familiare abbia contribuito.
P. La vicinanza della nonna materna Antonietta può avere influenzato un’inclinazione però già presente. Certamente l’ambiente in cui Alex è cresciuto non lo ha ostacolato, ma supportato e sostenuto, permettendogli di vivere con maggior serenità e forza scelte, per certi aspetti, non facili soprattutto nella mentalità attuale.
Siete contenti di questa sua scelta?
M. Vedere un figlio coronare il suo sogno non può che rendere i genitori altrettanto felici.
P. Credo non si possa essere contenti o scontenti della scelta di Alex. Come padre, ma penso sia la sensazione anche di sua madre, sono contento per la serenità e gioia nel cuore con cui ha affrontato e raggiunto questa meta. Quando un figlio, in questi anni di assoluta incertezza, ha la forza di fare una scelta cosi difficile, non puoi fare altro che essergli vicino e sostenerlo sempre.
Qual è stata la reazione delle altre figlie?
M. Anche per le sorelle la scelta di Alex è una cosa assolutamente normale. L’hanno vissuta entrambe con molta serenità, pur avendo entrambe inclinazioni molto diverse da lui. Infatti, ricordo che a volte mi succedeva di rimproverare Alex perché andava a tre messe al giorno invece di studiare, mentre con loro mi capita di dovere sollecitare la loro presenza almeno alla messa della domenica!
P. Antonella e Mariachiara hanno sempre vissuto serenamente, senza farsi coinvolgere. Penso che il rapporto fra fratelli resti immutabile, a prescindere dalle scelte di ognuno.
Sentiamo spesso parlare di vocazione. Per voi adesso questa parola che significato ha?
M. In questi anni ho avuto modo di maturare la convinzione che Dio ci parli nel silenzio e che le idee e le conseguenti azioni che ne vengono, siano guidate da Lui. Sarò molto fatalista, ma credo che davvero la nostra strada sia tracciata fin dalla nascita. La fortuna è nel saper riconoscere la via e sapere qual è il traguardo che si vuole raggiungere e che ci è stato destinato. Non è facile e non tutti ci riescono. Alex ha avuto la fortuna di vedere la luce che indicava il suo cammino fin da quando era in tenera età. Ha avuto poi la costanza di seguire il percorso e non si è fatto spaventare dalle difficoltà. Certamente l’ordinazione sacerdotale non è la meta, ma semplicemente l’inizio di un nuovo cammino, che sarà spesso anche impervio, ma sono certa che in compagnia del Signore giungerà dove Lui lo vuol guidare.
P. Diciamo che non fa paura, come invece spesso si è portati a pensare. Avendo vissuto da vicino la vocazione di Alex e seguito con lui il percorso che lo ha portato fin qui, ho raggiunto la consapevolezza che effettivamente vi è qualcosa di sovrannaturale, un di più che se non si vive in prima persona non è capibile. E quel che non si comprende, notoriamente fa paura.
Per un genitore cosa comporta avere un figlio in seminario?
M. Molti impegni. Il seminario ha sempre richiesto una presenza attiva da parte della famiglia e dei genitori. Ammetto tranquillamente che mio marito è stato molto più presente di me in seminario, poiché io mi occupavo delle sorelle minori e non sempre ho partecipato agli appuntamenti. Quando ho avuto la possibilità di presenziare ai vari incontri, ne ho tratto sempre un grande esempio di umanità e disponibilità.
P. Ormai sono 12 anni che Alex frequenta e vive tra seminario minore e maggiore in quel di Brescia. Fin da subito io e Giuliana lo abbiamo seguito in questa avventura compatibilmente con gli altri impegni familiari. Accompagnandolo ogni domenica sera in seminario, avevamo l’occasione di incontrare il suo Vice Rettore, il Padre Confessore, a volte il Rettore. Non mancavano nel corso dell’anno le riunioni con altri genitori, filosofi, psicologi, formatori, qualche volta col Vescovo. Abbiamo frequentato centri vocazionali e altri percorsi formativi e di avvicinamento che ci aiutavano a seguire la maturazione e la consapevolezza delle scelte di nostro figlio. Senza trascurare i normali impegni legati alla scuola, insomma due percorsi paralleli. È stata davvero una bella avventura, certamente impegnativa, che ha plasmato anche noi. Più prosaicamente non posso tralasciare l’impegno economico: forse molti pensano che il seminario sia gratis. Posso assicurarvi che non è così!
Da quando Alex ha intrapreso il suo cammino la vostra idea di "Chiesa" è cambiata?
M. Tocchi un tasto dolente. Sono stata una adolescente contestatrice. Nonostante la fede salda dei miei genitori a me personalmente la Chiesa come istituzione non piaceva. Intendo dire la Chiesa con le sue ricchezze temporali e le varie gerarchie. Sono sempre stata più affascinata dai missionari. Ho sempre sostenuto che Gesù si è fatto uomo ed è venuto fra i più poveri comportandosi da persona umile; le ricchezze possedute ed ostentate dalla Chiesa dal mio punto di vista non hanno ragione d’essere. Ne ho discusso varie volte con Alex, il quale mi ha suggerito di vedere la cosa da un altro punto di vista, cioè che le ricchezze ed i tesori della Chiesa sono una manifestazione dell’amore, della stima e del rispetto che proviamo per Dio. Diciamo che forse un pochino la mia idea di Chiesa è cambiata, ma non so dire se è perché, invecchiando, io tenda ad assomigliare sempre più a mia madre che amava la chiesa in tutte le sue espressioni, oppure se sia stata l’influenza di Alex.
P. No, non è cambiata. Con la scelta di Alex sicuramente ho acquisito una maggiore consapevolezza su cosa essa rappresenta, anche se vista e vissuta da “esterno”.
Concludiamo con un'ultima domanda altrettanto banale. Mancano pochi mesi all'ordinazione sacerdotale. Cosa augurate a don Alex?
M. Che sia in grado di mantenere viva la fiamma del suo amore per il Signore, e che con quella sappia illuminare il cammino e riscaldare i cuori di chiunque gli si avvicini.
P. L’augurio che faccio a Alex è quello di continuare a vivere serenamente questa sua scelta impegnativa e importante, di essere sempre sorridente e forte anche davanti ai problemi e alle difficoltà che la vita gli metterà davanti, di essere sempre positivo, di ascoltare tutti sempre col cuore aperto e sincero e per tutti trovare sempre una parola gentile.
a cura della redazione
Cüntòmela a BORNO
Nel nostro oratorio “Arcobaleno” si è formato un gruppo di genitori che si sono resi disponibili ad animare il sabato sera dei nostri bambini e ragazzi.
Si è pensato di dedicare ogni secondo sabato del mese ai ragazzi delle medie, mentre ogni quarto sabato del mese ai bambini e ragazzi delle elementari.
L’avventura è cominciata sabato 25 novembre, con la pizzata insieme e la tombola con ricchi premi.
È stato un inizio positivo, che ha visto la presenza di una quarantina di ragazzi e un buon numero di giovani genitori.
Grazie a quanti hanno dato la disponibilità di tempo ed energie da mettere a servizio dei più piccoli. Chi dei genitori volesse unirsi al gruppo è bene accetto. Il nostro oratorio è aperto a tutti!!!
Don Simone
Cüntòmela a BORNO
Domenica 8 ottobre, a conclusione della Settimana Pastorale-Mariana, durante la Messa delle ore 10 a Borno, è stato affidato il mandato ai catechisti.
Domenica 22 ottobre è stato affidato il mandato ai chierichetti, che hanno il compito di assistere il sacerdote nel servizio all’altare, durante le celebrazioni dell’Anno Liturgico.
Al gruppo dei chierichetti si sono poi aggiunte anche le CHIERICHETTE.
Cüntòmela a BORNO
Il gruppo Antiochia, cioè i ragazzi e le ragazze che lo scorso giugno hanno ricevuto la Cresima e si sono accostati per la prima volta alla Santa Comunione, come è consuetudine ha compiuto un pellegri- naggio a Roma dal 13 al 15 ottobre.
Descrivere questo pellegrinaggio non è cosa semplice; le emozioni vanno vissute, impossibile raccontarle. Ogni angolo di Roma è un’opera d’arte e ha una storia. La parte più toccante e degna di essere menzionata è stata la visita alla Città del vaticano, con una guida d’eccezione: il nostro cardinale Giovanni Battista Re.
Dire che il nostro cardinale è stato “divino” non esprime in modo completo la sua disponibilità ed il suo vivo interessamento nei confronti dei suoi compaesani. La visita ai Giardini Vaticani, alla Cappella Sistina e a tanti altri luoghi è stata superlativa. Che dire, poi, della celebrazione della s. Messa con il cardinale ed il nostro don Simone nelle Grotte Vaticane, davanti alla tomba dell’apostolo Pietro! La celebrazione è stata per tutti molto commovente. Infatti quando ho chiesto ai ragazzi che cosa li avesse colpiti di più del nostro entusiasmante viaggio a Roma, Emanuele mi rispose: “Fare il chierichetto al cardinale nelle Grotte Vaticane”.
Ci sentivamo dei privilegiati. Il nostro gruppo, con in testa il cardinale, girava indisturbato nel Vaticano; tutti quelli che incontravamo ossequiavano il cardinale e salutavano cordialmente anche noi; e il cardinale, con un sorriso fiero, diceva: “Sono i miei compaesani!”.
Un grazie speciale va al nostro don Simone che, da bravo conoscitore di Roma, ci ha fatto visitare tanti luoghi significativi, noti e meno noti, della Città Eterna. Tutto è filato liscio come l’olio. L’esperienza è stata entusiasmante; i ragazzi e gli accompagnatori si sono rivelati una compagnia piacevole. Siamo tornati a casa arricchiti e pieni di tante esperienze positive e di voglia di continuare nel nostro cammino di fede.
Cesarina
Cüntòmela a BORNO
Da domenica 12 a sabato 18 novembre si è rinnovato l’appuntamento della Convivenza per adolescenti, presso la “ex Casa delle Suore” della nostra parrocchia.
Per un’intera settimana un gruppo di adolescenti dalla I alla V superiore, assistito dagli animatori e dal don, ha fatto vita comune, portando avanti i vari impegni quotidiani (scolastici, lavorativi, sportivi…).
Ogni giornata cominciava di buon mattino con la sveglia alle ore 6.20; poi un breve momento di preghiera, la colazione e la partenza per la scuola o il lavoro.
Ci si ritrovava poi di nuovo tutti insieme per il pranzo, a seconda dei diversi orari di rientro. Un po’ di tempo di svago preparava, poi, allo studio nella sala comune.
Dopo lo studio, ciascuno raggiungeva i propri impegni sportivi.
Alle 19.30 ci si ritrovava poi a tavola per la cena e prima della preghiera e della buonanotte alle ore 23.00, c’era ancora un po’ di tempo per stare insieme, studiare o concludere i compiti per il giorno dopo.
È stata un’esperienza bella e positiva, che ha aiutato i nostri ragazzi a stare insieme, condividendo tempo e forze, e imparando a mettersi un po’ a servizio degli altri.
Cüntòmela a BORNO
Sto capendo molte cose del nostro paese rileggendo i vecchi numeri de «La voce di Borno».
Come di prassi nell’Italia degli anni ‘50 – e ancor di più nei paesini di montagna isolati e lontani - don Ernesto a Borno si occupava del paese a 360 gradi. Al buon parroco mancava forse solo la mansione di “ostetrico”: i neonati si limitava a battezzarli!. Di ogni cosa, sacra e profana, rendeva cronaca accurata sulle pagine della Voce agli abitanti e ai “lontani” - e cioè gli emigranti - che a lui stavano particolarmente a cuore (la metafora con i lontani di oggi, e cioè i lontani dalla chiesa è immediata e sono certa che anche da lassù essi gli stanno a cuore come i primi). Perciò non ho dovuto fare grandi ricerche per trovare qualcosa sul rifugio san Fermo. Numero IV Agosto 1953: Eccolo!
Quel che scrive lo potete leggere nel trafiletto riportato originale qui accanto. A me quel che preme è aver compreso una volta di più il perché noi bornesi, di fronte ai simboli che ci rappresentano, proviamo sempre e immancabilmente tutti - senza distinzione di età, sesso e appartenenze politiche e religiose - lo stesso orgoglio, lo stesso stupore e finanche la stessa emozione (se non proprio la commozione). Questo vale sia che si tratti della fontana, della “castagna gingia” (l’ippocastano), della piazza, del cinema, della chiesa, del lago di Lova o di san Fermo.
Grazie ad esse e alle cronache più o meno antiche, ancora oggi possiamo respirare la storia dei nostri avi, vivere di riflesso le loro scelte, scoprire le loro vite; lì affondano le nostre tradizioni, le radici che hanno fatto di noi quel che siamo oggi e quel che saremo fra 1000 anni. È un imprinting che ci portiamo dentro! È questo che ci fa vibrare l’anima, che ci riempie d’orgoglio.
Troppe volte e troppo spesso, tuttavia, ci facciamo attanagliare dall’abitudine peregrina di appropriarci indebitamente di ciò abbiamo ereditato dal passato, come se quel bene fosse esclusivamente nostro dal momento che siamo noi a goderne (per un fatto puramente temporale) e per questo ci sentiamo autorizzati a farne l’uso che ci sembra il più opportuno in quel momento. Così facendo, però, ribaltiamo il senso di appartenenza: perché deve essere chiaro che siamo noi che apparteniamo a loro e non il contrario! Loro c’erano prima e ci saranno dopo! E perciò abbiamo il sacrosanto dovere di mantenerli integri per il futuro nel rispetto, nella riscoperta e nella valorizzazione del patrimonio artistico e culturale - che diventa poi quello turistico e “identitario” - di Borno. In questo senso diventa quanto mai necessario evitare, allo stesso modo, sia l’incuria e la trascuratezza come pure gli interventi - certo necessari – che non siano preceduti dallo studio approfondito, dalla condivisione, dal confronto, dalla partecipazione più ampia possibile alle scelte.
Riflettere su queste cose credo sia esercizio di bontà, d’intelligenza e soprattutto di rispetto. Fatta questa premessa, veniamo al tema.
Come membro del Consiglio Pastorale degli Affari Economici, ho avuto il piacere di salire a san Fermo in una bella giornata di inizio estate con la delegazione della Soprintendenza di Brescia: è stato bello e illuminante ascoltarli.
Quasi tutta la struttura che sin ora ha ospitato il rifugio, è il frutto di un’ampia ristrutturazione secentesca, rimaneggiata poi nel Novecento. Vecchie concessioni, sia parrocchiali sia comunali risalenti ai primi anni del ‘900, trasformatesi in una sorta di prassi negli anni successivi, hanno consentito ai diversi gestori che si sono avvicendati, di utilizzare tutti gli spazi per le esigenze del rifugio.
Da qualche mese, come ben sappiamo, sono cominciati i lavori di costruzione della struttura nuova, ubicata sul piccolo promontorio a ridosso della chiesetta. La decisione del Comune di realizzare su un terreno di sua proprietà tale intervento, in grado di assolvere in modo congruo alle esigenze del moderno turismo montano, è da accogliere con plauso: se Borno vuole tornare ad essere un paese turistico, è anche in questi ambiti che deve giocarsi la partita! Ma ci vuole attenzione, ci vuole cura: non tutti i paesi della Valle Camonica possono vantare un rifugio a quasi 2000 metri di quota con accanto una pregevole struttura secentesca!
Di questa unicità ci hanno fatto prendere coscienza i membri della Soprintendenza, facendoci notare quanto sarebbe attrattivo, turisticamente parlando, rendere fruibili per l’ospitalità quegli ambienti, mediante un restauro che permetterebbe di “leggere” per così dire, le parti antiche ed uniche del complesso architettonico.
Cultura, montagna, sport, trekking, enogastronomia e accoglienza: tutto in una sola meta! Ma ci pensate? E si badi bene, è un obiettivo che si può raggiungere se parrocchia, comune e gestione sceglieranno di condividere lo stimolo venuto dal funzionario di Soprintendenza per valorizzare e curare anche la parte storica e artistica dell'antico complesso.
E così, inevitabilmente, ecco ripresentarsi, come per il cinema, la necessità di collaborazione fra Comune e Parrocchia per il bene dei bornesi, per la preservazione e diffusione della cultura e delle tradizioni del paese e della sua rinascita turistica. Una bella occasione che, però, non può prescindere dalla premessa iniziale: ciò che abbiamo la fortuna di amministrare non è nostro e abbiamo il dovere di consegnarlo il più possibile integro e fruibile alle generazioni future, così che a loro volta ne abbiano cura e non si dimentichino da dove sono venuti!
È un compito grande, ma siamo gente di montagna: abbiamo la forza e la capacità per farlo. Forse per strada abbiamo perduto un po’ di umiltà, ma se guardiamo ai nostri avi, che l’umiltà la mangiavano con la polenta, la lezione è subito imparata!
Emilia Pennacchio
Cüntòmela a BORNO
Si conclude con questa cappelletta il percorso iniziato alcuni anni fa con il quale, utilizzando la voce di Cüntómela, abbiamo esplorato tutte le chiesette campestri. È stata costruita spianando la collinetta a ridosso del cimitero, che compare ancora in alcune vecchie fotografie, prima dell’espansione edilizia del secondo dopoguerra: in dialetto era detto “dòs de la mul”nota.
Fu costruita nel 1968 ad opera e per volontà di Francesco Avanzini, con l’aiuto di altri volontari. È in sassi a vista ben squadrati e posti in linee orizzontali. L’ingresso, protetto da bella cancellata in ferro battuto, ha forma ovale; il tutto riparato da tetto a due spioventi. Ai due lati è richiamata una frase del beato Papa Paolo VI, quasi bornese, ed è posta la targa con la dedica ai GRANDI INVALIDI DEL LAVORO accompagnata da due, purtroppo ben noti, strumenti in uso ai minatori: il martello pneumatico e la lampada a carburo. La chiesetta infatti è dedicata a S. Barbara, protettrice dei minatori, morti per silicosi, terribile malattia conosciuta anche con un francesismo dialettale “pussiéra”, causata dalla inalazione di polveri ricche di silicio che penetravano i polmoni pietrificandoli e causando gravi difficoltà respiratorie e, spesso, una morte prematura.
Questi uomini, vittime della povertà che li spinse spesso a emigrare, furono la ricchezza di stati e popolazioni che li disprezzavano, talvolta venduti con trattati vergognosi che scambiavano le loro vite con tonnellate di carbone! Al suo interno decorano le pareti semplici disegni esplicativi in bianco e nero, dovuti alla mano di Dante Ughetti, che narrano il duro lavoro del minatore.
L’elemento angosciante e sconvolgente sono però le nere lapidi che recano il nome e la fotografia di ben 122 nostri concittadini che nelle miniere respirarono la loro morte, delle quali proponiamo qui sotto un esempio.
Francesco Inversini
nota: È un interessantissimo toponimo per molti indecifrabile, ma forse non troppo. La strada che oggi è conosciuta come Via Fonte Pizzoli, che muove dal municipio e sorpassa il cimitero, nelle vecchie mappe era “Strada comunale della Mole”. Tra i vari significati di mole si trova anche: costruzione grandiosa (vedi: Mole Antonelliana a Torino). A Borno la mole doveva essere la torre, attualmente denominata “dei Pagà”: prima che fosse circondata dalle recenti costruzioni doveva svettare altissima e imponente: potremmo chiamarla la Mole Federiciana!
Cüntòmela a BORNO
Quando suor Scolastica si trovò di fronte al piccolo Giovanni Battista Re, suo scolaro in prima elementare, non sapeva né immaginava quale compito avrebbe avuto nella vita. Non pensava proprio che dal suo Vescovo, Mons. Giacinto Tredici, dopo l’ordinazione sacerdotale, sarebbe stato avviato all’Accademia Diplomatica, che avrebbe collaborato in Vaticano alla missione di cinque Papi: Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Papa Francesco. Né che sarebbe stato Sostituto alla Segreteria di Stato per molti anni e incaricato di tanti preziosi e riservati servizi alla Chiesa Universale. E neppure che nel 2017 avrebbe celebrato il sessantesimo di sacerdozio e il trentesimo di Episcopato.
Ma chi l’avrebbe immaginato?
Suor Scolastica lo guardava con tanto affetto, con stima, intuiva in lui qualcosa di grande e di bello, ma forse questo era anche il suo stile di maestra saggia e intuitiva che augurava nel cuore e chiedeva nella preghiera una vita impegnata e generosa per tutti i suoi alunni. Certo Giovanni Battista colse quest’arte educativa della sua maestra e ne portò in cuore un ricordo vivo e diremmo pieno di riconoscenza: una singolare amicizia educativa, che nasceva presto negli scolari di Borno perché, a quanto ho sentito dire, suor Scolastica era sempre incaricata della prima elementare.
Sta di fatto, che quando me ne parlava, sua Eccellenza dimostrava sempre grande ammirazione per questa suora educatrice e ne prolungò l’amicizia, che il nostro carisma chiama evangelica, verso l’Istituto di cui suor Scolastica divenne Madre Generale. Quando durante i crudi eventi provocati in Zaire dalle lotte tra la varie tribù e con i paesi limitrofi, mi trovai in grandi preoccupazioni per non poter comunicare con le nostre suore missionarie e avvertirle dei grandi rischi che correvano, ricorsi alla Segreteria di Stato e Mons. Re mise a disposizione la “posta diplomatica” che ci trasse dal grande groviglio . Al momento in cui lo ringraziai con tutto il cuore per l’aiuto, mi rispose: “L’ho fatto molto volentieri questo favore, era veramente importante, ma anche lei deve farne uno a me”. “Davvero, Monsignore? Quale? “. “ Non deve chiudere la comunità delle Suore che è a Borno!!!”.
In realtà la revisione sulla nostra distribuzione in Valla Camonica prevedeva qualche chiusura e forse la comunità di Borno non era del tutto al sicuro, ma questa richiesta mi fece cambiare parere. Quando poi ho avuto bisogno di una comprensione più attenta delle situazioni politiche e sociali dei territori delle nostre missioni, sempre ho avuto da sua Eminenza una panoramica che mi potesse orientare per il meglio e ne sono molto riconoscente. È stata come una paternità attenta e affettuosa verso il nostro Istituto. Non potrò dimenticarla.
Monsignore ha poi mantenuto, fin dai primi tempi, sempre un contatto di grande amicizia con la nostra comunità romana “Mater Ecclesiae”. Ogni anno, alle feste natalizie sempre viene per gli auguri, portando anche quelli del Papa, celebra l’Eucaristia con le suore e si ferma a cena. Anche alle feste del venticinquesimo, del Quarantesimo e in qualche altra festività particolarmente significativa per la comunità, non ha lasciato mancare la sua presenza e la sua preghiera.
Siamo certe che Madre Scolastica si rallegra per tutta questa bellissima relazione nata proprio sui banchi della prima elementare e la preghiamo perché con la sua intercessione accompagni il suo e nostro Cardinale, perché i suoi profondi desideri si realizzino secondo la misura dell’infinito Amore con cui Dio lo ama.
Suor Giulia Entrade
Cüntòmela a BORNO
Matilde Isonni
di Andrea e Francesca Mazzucchelli
16 luglio 2017
Emma Teresa Abdel Sattar
di Adam e Fabiana Flavoni
10 agosto 2017
Alessandro Maugeri
di Alberto e Sonia Fedrighi
16 settembre 2017
Lorenzo Richini
di Matteo e Ivonne Baisotti
27 agosto 2017
Francesca Pedersoli con Valentino Fedriga
16 settembre 2017
Stefania Taboni con Domenico Gheza
1 ottobre 2017
Tanti auguri ad Anna Baisotti e Abramo Corbelli
per il 50° ANNIVERSARIO DI MATRIMONIO
(2 dic. 1967 - 2 dic. 2017)
Cüntòmela a BORNO
Padre DEFENDENTE Fermo RIVADOSSI
nato a Borno il 2 marzo 1938
noviziato a Lovere dal 1956
ordinato sacerdote l’8-6-1963
partenza per il Brasile il 29-10-1963
Come Padre Cappuccino ha svolto la sua missione in varie parrocchie dell’Amazzonia per 50 anni.
Rientrato in Italia nel 2013 è morto presso l’infermeria del Convento di Bergamo il 25-9-2017.
“Buon giorno!
Nei miei 50 anni di missione ho aiutato tanti poveri e bambini disabili, che in Brasile si chiamano “speciali”. La cosa più bella è aver insegnato ai poveri ad aiutare i più poveri.
Ecco allora la messa della solidarietà una volta al mese. I cristiani che al momento dell’offertorio portano in chiesa riso, fagioli, pasta, zucchero, ecc. e depongono tutto questo ai piedi dell’altare. E alla fine della messa tutto viene portato ai più poveri, come facevano i primi cristiani degli atti degli apostoli. Ci metto una sola foto: una mamma che insegna al suo bambino il gesto della solidarietà.” (Da Facebook 8 ottobre 2016)
Quando arrivai a Borno come curato, nell’agosto 1984, alla porta della nostra chiesa con don Andrea c’erano ad accogliermi monsignor Re e un “piccolo” fraticello. Vedendolo ancora a distanza feci un solo pensiero… ma questo è il giullare di Dio – l’immagine vera dei fioretti di san Francesco d’Assisi.
Incontrai e conobbi così padre Defendente.
In questi anni più volte ricevendo i messaggi di padre Defendente sia via mail sia in facebook ho pensato che sarebbe stato bello scrivere i “Fioretti del giullare di Dio di Borno”.
Sì, perché di padre Defendente credo che ognuno di noi porti nel cuore un fatto, un aneddoto, un incontro, una chiacchierata, un regalo, che nella loro semplicità ci hanno donato una ricchezza umana e cristiana unica e grande.
Quando padre Defendente tornava a Borno per le sue presunte vacanze mi affascinava tanto il suo saio francescano da cappuccino.
Sapete perché? Mi sembrava di vedere quel saio come la grande e magica borsa di Mary Poppins… era misteriosamente capiente: ci stava un libro, una pelle di serpente, una bottiglia di vino, un biglietto di auguri, una foto, un oggetto dell’artigianato brasiliano…
E così come era capiente, altrettanto era sempre pronto ad aprirsi per donare.
Credo proprio che padre Defendente non conoscesse il pronome “mio”. Sapeva solo dire: “nostro, è un pensiero per te, è un dono che ti ho portato”!
Ma ciò che ha reso ancora più belli questi doni è che questo saio magico era colorato di gioia, di sorrisi, di semplicità all’apparenza ingenua, in realtà disarmante.
Sì, lo ricorderò e lo ricorderemo così: Giullare di Dio!
E non stento a credere che anche alla porta del paradiso padre Defendente abbia sfilato dal suo saio un dono per san Pietro, dicendogli: “L’ho portato per te, perché ti sostenga nel tuo perenne e impegnativo lavoro di portinaio!”.
Padre Defendente continua a farci sorridere così e sempre!!!
don Giovanni
Qualcuno ti chiamava “il giullare di Dio”, qualcuno “il padre dei poveri”, altri “il fratasì”. A me piace ricordarti come l’uomo di Dio. Sì, Padre Defendente, perché tu fino alla fine dei tuoi giorni, nella buona e nella cattiva sorte, hai saputo mantenere intatti la semplicità, l’entusiasmo e la voglia di fare che da sempre ti hanno contraddistinto. E soprattutto hai mantenuto salda la fede incrollabile nella Provvidenza e nell’Amore di Dio Padre. Ora che hai combattuto la buona battaglia, che hai terminato la tua corsa, che hai conservato la fede, sono certa che godrai anche tu come san Paolo, della corona di giustizia che il Signore, giudice giusto, ti consegnerà… Grazie Padre Defendente per aver contribuito a rendere questo mondo un posto migliore!
Michela
“Quest’estate dovrebbe arrivare anche Padre Defendente!”. Ogni tre-quattro anni era la frase che ci scambiavamo fra gli amici del gruppo missionario e le molte persone che lo stesso frate missionario riusciva a contagiare e coinvolgere nei suoi progetti.
Ed era la frase che preannunciava attività ed esperienze che l’entusiasmo, a volte irruento, di Padre Defendente ci avrebbe fatto vivere ancora una volta.
L’inizio, di solito, consisteva nel disfare le valige colme di magliette, quadri, soprammobili ed oggetti vari e disparati che portava dal Brasile. Con la sezione della mostra fotografica su ciò che viveva e realizzava nelle varie missioni in terra brasiliana, completava almeno per un mese l’occupazione della chiesetta di Sant’Antonio.
Il particolare di un’immagine, la domanda su cosa fosse o a cosa servisse quello strano oggetto o la polvere color terra racchiusa in sacchettini trasparenti erano l’occasione per raccontare al visitatore la vita, i problemi ma anche le risorse e le speranze che incontrava nei luoghi in cui operava. Con semplicità e solo apparente ingenuità sapeva coinvolgere e comunicare ciò che più gli stava a cuore e pochi uscivano da sant’Antonio senza aver messo qualcosa nella cassetta delle offerte.
Come ha ricordato don Francesco durante il funerale, se qualcuno manifestava il desiderio di acquistare un oggetto della mostra, quasi sempre opponeva il suo energico dissenso. Nella sua mente tutti gli oggetti della mostra erano già destinati a specifiche persone, o all’ormai tradizionale estrazione che seguiva l’altrettanto tradizionale pranzo al ristorante che avveniva pochi giorni prima della sua ripartenza per il Brasile.
Ogni persona che lo ha conosciuto sicuramente si porta nel cuore le sue frasi, le sue riflessioni, le sue manie e quasi ossessioni. Di tutto quello che gli capitava – ormai famoso era l’episodio dell’ «armadio assassino» come lo chiamava lui – sapeva imbastire un racconto da volgere sempre al positivo.
E tale racconto si trasformava in un treno impossibile da far dirottare dalle sue rotaie.
Se si accennava solo a deviare leggermente discorso si veniva, con più o meno garbo, zittiti e ricondotti a ciò che doveva raccontare lui.
Le gite spericolate verso lo Stelvio con le giovani maestre di allora, gli appuntamenti con gli amici del “Boscoblù” – di molti dei quali, grazie probabilmente al DNA famigliare, teneva memorizzato nella sua testa volti, nomi, date di nascita – che diventavano suoi benefattori, farsi accompagnare in auto per un viaggio anche di 200 Km solo per salutare quella persona dalla quale non sarebbe venuto via a mani vuote, le adozioni a distanza dei bambini speciali (disabili)… tutto sembrava finalizzato a dirigere la provvidenza verso i progetti che aveva in mente.
Come diceva Padre Narciso Baisini – un altro frate originario di Borno e missionario in Brasile come lui – a volte Padre Defendente sembrava un terremoto. Proprio mediante il suo entusiasmo riusciva a scuotere le persone e gli amici che incontrava, chiamandoli a collaborare concretamente a quel regno di Dio in cui, come amava ripetere, “nessuno è così povero da non aver nulla da donare e nessuno è così ricco da non aver nulla da ricevere”.
Certamente Padre Defendente Rivadossi ha saputo condividere e donare la sua vita soprattutto fra la genti brasiliane con le quali, forse, avrebbe desiderato concludere i suoi giorni anziché nell’infermeria del convento di Bergamo.
Il gruppo missionario
Cüntòmela a BORNO
Brescia, 21 agosto 2017
“Donna, grande è la tua fede!
Avvenga per te come desideri”
Mt 15,28
Carissime sorelle,
il Signore ha chiamato a sé suor lldefonsa, ieri sera, all’improvviso. Si trovava a Casa Angeli per la riabilitazione, dopo l’intervento al femore.
Aveva tanta nostalgia della sua comunità; nominava spesso suor Tullia e suor Annarosa, che amava e da cui si sapeva amata; gioiva quando le telefonavano o venivano a trovarla.
Però non pretendeva nulla, da nessuno. Sicuramente aveva negli occhi gli incantevoli bambini della scuola dell’infanzia, le sue montagne con il cielo limpido, il giardino con numerose, bellissime rose e li suo orto con il radicchio, le carote, i pomodori... e poi il profumo del basilico, della salvia, del rosmarino; il profumo stesso della terra che lavorava con cura e costanza in attesa di frutti abbondanti e gustosi da offrire alla comunità…
La quasi immobilità di questi ultimi mesi le deve essere costata molto: avrebbe voluto andare, essere utile, fare qualcosa. Soffriva, ma non si lamentava.
Quando le si chiedeva se avesse dolore, non rispondeva né si né no, ma diceva, ad esempio: “Il Signore mi ha fatto tanti doni, mi ha dato una vita lunga, come posso lamentarmi?”.
Le sue erano sempre risposte impregnate di una fede semplice, genuina, senza ombre.
La fede l'aiutava ad accogliere la volontà di Dio sempre all’orizzonte del suo pensiero, sempre accolta. Desiderava il paradiso. Lo invocava spesso; era un vero desiderio, espresso anche ieri. Si affidava al suo papà perché intercedesse per lei. Ed è avvenuto, per lei, donna di fede, come desiderava. Per questo mi è venuto spontaneo il riferimento al Vangelo di ieri, alla risposta ammirata di Gesù alla donna cananea: “Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri”.
Suor lldefonsa pregava continuamente, teneva la corona tra le mani, la sgranava e il movimento della bocca accompagnava il ritmo del cuore. Diceva con una semplicità disarmante: “È il mio lavoro!”. Insieme al servizio umile e prezioso, la preghiera è stata proprio il suo lavoro.
In questi ultimi tempi amava chiamarsi con il nome di Battesimo, Dorotea: dono di Dio.
Quel nome datole dai suoi genitori, forse in onore delle Suore Dorotee presenti al suo paese da tempo, è stato per lei un programma di vita.
Suor lldefonsa è stata dono di Dio per le comunità dove è passata, per la gente che l’ha conosciuta, per la sua famiglia di origine: un dono gratuito, di chi non contando su se stessa, trasmette quello che riceve. Un dono che si leggeva nei suoi occhi trasparenti e sereni, nelle sue risposte simpatiche e argute. Nessuno le ha rubato la sua gioia.
Aveva espresso proprio ieri un altro desiderio, forse una nostalgia: poter andare in cerca di stelle alpine. La nostalgia delle vette! Per questo accompagniamo la sua partenza per il Cielo con una invocazione al Signore delle Cime: "Lasciala andare per le tue montagne”.
Lasciala andare ora, con passo leggero e piede sicuro, confidente e lieta.
E conferma noi nel desiderio di seguire le tue orme fino alla Tua Santa montagna.
Aiutaci a farlo attraversando le nostre comunità con cuore grande, capace di amare, di prendere su di noi il peso del fratello, della sorella, lasciandoci rinchiudere tutte nel tuo abbraccio misericordioso (cfr. Rom 11, 32).
Saluto tutte con affetto.
Suor Lucia Moratti Madre Generale
Cüntòmela a BORNO
Pietro Fedrighi
17-3-1943 + 30-7-2017
Rosalba Bassi
7-12-1944 + 3-8-2017
Bortolina Rigali
15-1-1921 + 4-8-2017
Tiziana Musoni
11-10-1952 + 18-8-2017
Villeggiante di Cremona morta a Borno
Assunta Rivadossi
10-12-1932 + 19-8-2017
Bruna Sanzogni
10-5-1934 + 3-9-2017
Claudio Camillino Franzoni
23-11-1930 + 4-9-2017
Massimo Guglielminetti
11-12-1957 + 13-9-2017
Giuseppe Andreoli
7-4-1938 + 16-9-2017
Mary Rivadossi
26-6-1939 + 19-9-2017
Faustino Rigali
31-1-1940 + 22-9-2017
Lorenzo Rigali
28-8-1951 + 5-10-2017
Rina Fedrighi
3-8-1928 + 11-10-2017
a Belluno
Bortolina Rivadossi
27-4-1926 + 21-10-2017
Osvaldo Gheza
10-8-1948 + 27-10-2017
Gabriella Berardinelli
12-11-1937 + 5-11-2017
Elisa Venturelli
7-1-1922 + 15-11-2017
Albina Silva
25-12-1935 + 20-11-2017
Rosina Elma Lenzi
28-5-1930 + 23-11-2017
sepolta al Dosso
Giuseppe Genziani
8-12-1937 + 28-11-2017
sepolto al Dosso
Franco Fedriga
30-7-1964 + 2-12-2017
Caterina Avanzini
3-8-1933 + 2-12-2017
defunta a Cogno
Celso Bettoni
14-7-1946 + 6-12-2017
Cüntòmela a OSSIMO INF.
Il gruppo dei volontari dell’oratorio ha offerto sabato 19 novembre una occasione favolosa per passare una serata all’insegna dello “stare bene insieme”, con una cena aperta a tutti.
L’invito è stato accolto da un buon numero di persone che insieme con i propri familiari, hanno riempito l’oratorio con la loro calorosa e gioiosa presenza. La cena era organizzata in maniera ingegnosa.
Un gruppo di ragazzi capeggiati da Samuele e Jerry, si sono cimentati nella preparazione dei “Gnocchi di colla” che, cucinati e serviti a tavola, sono stati apprezzati da tutti. Il resto è stato offerto dai partecipanti che si sono sbizzarriti in una fantasia di eccellenti e molto decorosi “secondi piatti” e dolci. Vanda e Ornella con altri aiutanti hanno allestito le tavolate: tutto era pronto.
Il quadro era veramente simpatico ed edificante. Una “famiglia di famiglie” che conversavano serenamente e condividevano la cena, ha dato all’oratorio una immagine della “casa di tutti”. Una occasione bellissima per creare legami di fraternità e di comunione, cosa di cui oggi c’è veramente di bisogno.
Terminata la cena, i bambini e i ragazzi si sono intrattenuti fino all’orario di chiusura con i nuovi giochi di società, in parte acquistati con il ricavato della piccola pesca di beneficenza “il pozzo di San Patrizio” e in parte regalati.
Certamente questa esperienza non è l’unico modo per far funzionare l’oratorio, ma dobbiamo tenere conto anche del fatto che Gesù incontrava la gente anche durante le feste e coglieva tutte le occasioni per avvicinare coloro che voleva raggiungere anche servendosi dei banchetti e degli inviti a pranzo e a cena.
Speriamo di poter ripetere ancora in futuro queste iniziative che hanno un valore aggregante e favoriscono l’incontro e la condivisione stabilendo le relazioni in modo semplice e informale.
Un doveroso grosso ringraziamento a tutti coloro che hanno pensato e realizzato questa iniziativa, e a tutti coloro che con la loro partecipazione l’hanno resa concreta.
Don Mauro
Cüntòmela a OSSIMO INF.
Nei tempi forti dell’anno liturgico, si svolgono diverse attività tra i quali anche i “centri di ascolto”. Si chiamano così perché al centro c’è l’ascolto della Parola di Dio, e perché c’è anche l’ascolto di quello che i partecipanti sentono di dover esprimere partendo dall’accoglienza della Parola del Signore, oppure partendo da altri punti di vista più nostri, per arrivare poi al confronto con la sua Parola. C’è quindi spazio per esprimere i propri motivi di contentezza, di gioia, felicità, come anche di difficoltà, di incertezza, amarezza, disappunto, delusione, irritazione e via dicendo, inoltre c’è spazio anche per domande e per possibili risposte ai nostri interrogativi.
Ogni martedì, in attesa del Natale, è offerta a tutti questa occasione di Grazia, che permette di fare tesoro del dono che Gesù ci fa della sua sapienza. L’incontro avviene in forma dialogata così da rendere più agevole e immediato l’arricchimento dato dalla conoscenza della Parola di Verità. In effetti ciascun partecipante, nella diversità delle sensibilità ed esperienze, offre la propria esperienza e il proprio contributo ai presenti. Negli anni precedenti gli incontri sono sempre stati vivaci e coinvolgenti, e sono serviti anche per approfondire e rafforzare le nostra esperienza di vita cristiana. Ci auguriamo che la partecipazione sia sempre buona e benefica.
Don Mauro
Domenica 15 ottobre nella chiesa parrocchiale di Ossimo Inferiore è stata consegnata la Bibbia ad alcuni ragazzi e ragazze del IV anno ICFR (Gruppo Gerusalemme).
Cüntòmela a OSSIMO INF.
Nel 1730 la devota popolazione della contrada di Ossimo Inferiore, messa finalmente alle spalle con non poca fatica una greve e turbolenta fase di disorientamento e di confusione generata dall’improvvido prolungarsi per un fosco biennio della vacanza ai vertici del locale beneficio di cappellania in cura d’anime, decise con coraggiosa determinazione di porre mano al radicale rinnovo dell’antica e angusta chiesa dei Santi Cosma e Damiano, dando il via al rifacimento quasi dalle fondamenta dell’intero edificio, sotto la direzione del capomastro comasco Domenico Tettamanti (1685 c.-Lovere 1760). A far tempo da quella data, il luogo di culto diventò - per oltre un cinquantennio - un cantiere aperto e impegnativo, passando le varie maestranze freneticamente da un lavoro all’altro, quasi senza concedersi un momento di stasi, tolte le domeniche e le feste comandate.
In quei tumultuosi decenni di fervida operosità fu completata - stagione dopo stagione - la struttura portante della fabbrica nelle sue componenti murarie principali, furono rimaneggiati gli altari laterali e tracciato ex novo il coro, vennero eseguiti gli stucchi, la pavimentazione e i tetti, furono affrescati il presbiterio, la volta della navata1 e la facciata, fu aggiunto il corpo della sagrestia, si compì l’atteso finimento del campanile (rimasto fermo poco oltre l’avvio dei lavori d’impianto scattati nel 1683), vennero commissionate e portate a termine preziose e costose opere di abbellimento, quali pale e paliotti d’altare, tele, statue, arredi, suppellettili, decorazioni, paramenti, depositi per le reliquie.
Tra le iniziative artisticamente più considerevoli e di maggior impatto risalenti a questo periodo di eccezionale attività, sostenuto da abbondanti elemosine, prestazioni gratuite e cospicui lasciti pii disposti dai fedeli terrazzani, figura la realizzazione in arenaria grigia del maestoso portale maestro d’ingresso alla chiesa. Incaricato di eseguire il delicato lavoro fu il comasco Giacomo Novi, noto nel circondario camuno come valente “capo mastro di altari di pietra”, originario del paese di Lanzo in Val d’Intelvi, una vallata montuosa posta a guisa di cerniera tra i laghi di Como e di Lugano, genericamente designato nelle fonti come proveniente dal “milanese”, area da dove all’epoca giungevano con frequenza stagionale in Valle Camonica frotte di muratori, scalpellini, scultori, architetti, pittori e stuccatori, rinomati eredi della millenaria tradizione della grande famiglia dei cosiddetti “maestri comacini”, universalmente apprezzati come portatori di proverbiale abilità costruttiva, sorprendente rapidità nell’attuazione dei lavori, spiccato piglio imprenditoriale, leggendaria efficienza organizzativa, prezzi a tariffe concorrenziali.
Oltre a Giacomo, altri membri della famiglia Novi esercitarono in Valle Camonica: tra il 1739 e il 1747 sono attivi nel santuario di Santa Maria del Monte di Gianico i fratelli “batti pietre” Domenico e Francesco, mentre il diciassettenne Benedetto, figlio di Martino, nativo di Scaria (frazione di Lanzo d’Intelvi), muore il 17 ottobre 1788 a Breno, “trovandosi qui per la sua professione di piccapietre”2.
Attorno alla metà del Settecento operarono a Ossimo Inferiore numerosi “artisti” oriundi dei villaggi lariani, quali Lanzo, Scaria, Schignano, Veglio; tra gli altri, sono ricordati i mastri Domenico, Felice e Simone Allio, Carlo Andreani, Giuseppe Ceresola, Aloisio Ferradini, Giovan Battista, Maurizio e Pietro Gelpi, Ambrogio Grandi, Antonio Peduzzi, Giovanni Antonio e Pietro Silva, Giulio e Pietro Vigezzi3.
Anche il “picaprede” Novi era entrato da qualche tempo nel novero degli artigiani attivi nella chiesa di San Damiano, realizzando nel 1761 “li scalini de la scala” di accesso - insieme a tali mastro Domenico e mastro Antonio e con l’assistenza di mastro Andrea Gaioni (Ossimo 1721-1796) - e nel 1766 un lavello ad uso delle donne.
Sotto l’accorta regia del rettore cappellano curato don Antonio Maria Franzoni (Ossimo 1730-1802), in sede dal 1755, i responsabili della “fabrica” ossimese affidarono al “signor” Giacomo Novi “la fattura della porta maestra della chiesa de’ Santi Cosmo e Damiano” con le mansioni di tagliare le pietre, modellare le parti e le decorazioni, acconciare al finito il portale, autorizzando l’iscrizione in bilancio della spesa preventivata in complessive 759 lire e 10 soldi ed erogando contestualmente la somma di 251 lire e 14 soldi a titolo di caparra nelle mani del medesimo lapicida, venuto di persona con un compagno in sopraluogo “a tor le misure della porta maestra” il 9 ottobre 1768, fermandosi anche a prendere una buona “colazione” (con la spesa di 18 soldi a carico della chiesa): attorno alla metà del XVIII secolo un mastro artigiano provetto riusciva a spuntare, per prestazioni svolte in cantiere, tra le 3 e le 3 lire e mezza a giornata, a volte con vitto e alloggio a parte. L’anno seguente, nella prima decade del mese di agosto, le diverse sezioni dell’armonico manufatto, prelevate direttamente presso il laboratorio dell’appaltatore, vennero trasportate in paese e montate ad arte dal Novi, assistito da propri collaboratori e dai muratori locali Martino Andreoli (Ossimo 1728-1808) e Antonio Bona (Ossimo 1729-1774).
A perfezionamento della già rigogliosa opera venne inserita una formella recante la scritta esplicativa: “D. O. M. / AC SS. M. M. / COSMAE ET DAMIANO / DICATUM / MDCCLXIX”, a segnare - sotto l’invocazione a Dio - l’entrata nel luogo sacro, dedicato ai due Santi Martiri Patroni. Nel gennaio 1770 i presidenti della chiesa Martino Andreoli e Bartolomeo Franzoni (Ossimo 1733-1802) - esaminata la positiva “terminazione” rilasciata da un paio di periti appositamente nominati4 - saldarono ogni pendenza derivante dal contratto acceso con il Novi, tenuto conto dei “diversi capitoli di dinari, e robba data a lui ed a suoi maestri” (vivande consistenti in latte, formentone, vino, “melga macinata e data in polenta”, formaggio e altre vettovaglie somministrate a bifolchi, mastri e lavoranti). Un paio d’anni più tardi, nel 1772, il tagliapietre Giovanni Pico di Sarnico realizzò, con i suoi aiutanti, i portali delle due aperture laterali.
Trent’anni dopo, il 16 settembre 1797, il “marmorino” Giacomo Novi tornò a Ossimo Inferiore per assumere “l’impegno di fare la pradella del’altar maggiore di bardiglio di Volpino colle convenienti rimesse nelle facciate de’ gradini nei soccoli, e sul piano di essa”, al prezzo pattuito di 600 lire, versate in più rate (alcune al giovane Giovanni Antonio, figlio del Novi), l’ultima delle quali venne erogata il 27 giugno 1798, a collaudo del lavoro, con il supplemento di 40 lire e 5 soldi per “aumento di fattura” dovuto a voci varie ed impreviste, quali “assistenza e dissegni, far metter a ricovero le pietre a Volpino, la pietra dei colori”. Nel frattempo, tra il 1797 e il 1798, lo scultore Francesco Inversini (Mazzunno 1763 - Gorzone 1836) aveva costruito, su mandato della vicinia ossimese, l’elegante complesso ligneo dell’altar maggiore, con “custodia, tribuna ed ancona”, e l’aggiunta di intagli del più famoso collega Tommaso Pietroboni (Vione 1760-1833).
Il 15 settembre 1799 al “cittadino” Novi fu riconosciuto un anticipo di 48 lire e 10 soldi “per fatura di angeli per portare la girlanda nella tribuna” dell’altar maggiore; l’8 aprile 1800 l’intelvese venne integralmente saldato (con pagamenti, rispettivamente, di 155 lire e 13 soldi e di 73 lire), “a compimento della fatura delli angeli di pietra posti sul tabernacolo” e per quattro “angelini di pietra da mettere sulla tribuna”.
Il Novi fu molto attivo in Valle Camonica, dove abitò a lungo impiantando nel paese di Artogne un’affermata bottega dalla quale uscirono altari e lavori per le parrocchiali di Artogne, Gianico e Piancamuno. Tra il 1771 e il 1772 eseguì, assistito dai maestri convalligiani Angelo e Santino Franco, Carlo Piazzoli e Rocco Quadroni, il portale maggiore della chiesa parrocchiale di San Paolo di Esine, aggiungendovi nel 1778 le porte laterali. Mediante atto di accordo steso il 22 agosto 1772 dall’arciprete don Giambattista Guadagnini (Esine 1723-Cividate 1807), il “professore di tagliapietre” Giacomo Novi fu incaricato di produrre in marmo di Botticino, entro la scadenza di quattro anni e al costo di 2800 lire, la porta maggiore della pieve di Santa Maria Assunta di Cividate5.
Durante il parrocchiato dell’arciprete don Lorenzo Federici (Borno 1736-1800), Giacomo Novi venne ingaggiato nella squadra dei maestri impiegati nel grande cantiere della chiesa parrocchiale di Borno, innalzata praticamente ex novo nella seconda metà del Settecento. Il 31 gennaio 1791 i presidenti della chiesa, il notaio e tesoriere Bartolomeo Dabeni (Borno 1750-1797) e mastro Maffeo Rivadossi (Borno 1735-1811), commissionarono per 10.000 lire al Novi l’altare maggiore della parrocchiale: alla decisione si uniformò la locale vicinia con deliberazione assunta il 13 febbraio. Il manufatto, da compiersi in marmo di “carara, verde antico, diaspro” e con “tutti i bronzi ben indorati”, avrebbe dovuto essere terminato entro il 1793; venne tuttavia concessa all’esecutore la proroga di un anno, “purché venga fatto con singolar esatezza e diligenza”6.
Il 10 settembre 1794 fu accordato al Novi l’importo di 349 lire per “stipendio dell’opera e marmi, ed i pochi bronzi indorati occorrenti a levar alquanto il nuovo tabernacolo sino al piano del 2° gradino coi piedestalli alle colonne”. Già sotto la data del 14 maggio 1794 allo stesso tagliapietre era stata data l’incombenza di lavorare, per la somma di 2300 lire, la “porta maestra” della chiesa, completata nella sua messa in opera, con i “gradini di essa”, nell’ottobre 1795. Oltre a queste importanti prestazioni, nei medesimi anni il Novi produrrà la “pietra sepolcrale del clero di marmo di Bottesino” e due “lavellini per l’acqua santa posti alla porta di mezzo”. Suo figlio, il “marmorino” Giovanni Antonio, è segnalato nella chiesa bornese tra il 1807 e il 1809, in veste di aiutante dell’artista Pietroboni nell’esecuzione degli altari del Santissimo Rosario e del Sacro Cuore.
Oliviero Franzoni
1. Nella volta il pittore Domenico Quaglio di Laino affrescò tre episodi (Ultima Cena, Resurrezione, Ascensione) riguardanti le Storie di Cristo (1749). Sulla chiesa: O. FRANZONI, La chiesa parrocchiale dei Santi Cosma e Damiano di Ossimo Inferiore, in Nel ricordo di Don Giovan Maria Spiranti (1915-2001). Breno 2002, pp. 60-64.
2. O. FRANZONI, Gianico. Terra di Valle Camonica. Gianico 2008, p. 118; Archivio Parrocchiale di Breno, Libro de’ Morti 1770-1812.
3. Archivio Parrocchiale di Ossimo Inferiore, Scoderolo n° 27, secc. XVIII-XIX; da questo registro di conti sono tratte le notizie relative alle prestazioni effettuate dallo scultore Novi per la chiesa ossimese.
4. Purtroppo la perizia manca, poiché lo “scoderolo” è mutilo di alcuni fogli iniziali.
5. A. BERTOLINI, G. PANAZZA, Arte in Val Camonica. Monumenti e opere, III/I. Brescia 1990, pp. 35, 149, 159, 161, 195, 364, 384; E. FONTANA, La Chiesa e le chiese di Artogne. Artogne 1997, pp. 66-67; Archivio Eremo dei Santi Pietro e Paolo di Bienno, Sina, Registro fabrica S. Paolo 1745-1782; Archivio Parrocchiale di Cividate, Faldone Guadagnini, Scrittura con il sig. Giacomo Novi di Lanzo Val d’Intelvi tagliapietre per la porta maggiore della Pieve; cfr.: G. GUADAGNINI, Lettere a Giambattista Rodella, a cura di O. FRANZONI, G. MORELLI, L. SANTINI. Brescia 1989, p. 507; R. EVANGELISTI, La Porta della Parrochiale di Cividate Camuno, in “La Valle Intelvi. Quaderno scientifico”, n° 19 (2014), pp. 42-43.
6. Archivio Parrocchiale di Borno, Amministrazione della chiesa, secc. XVIII-XIX; sulle opere d’arte contenute nell’edificio: O. FRANZONI, La chiesa parrocchiale di Borno. Storia e arte. Darfo Boario Terme 2006.
Cüntòmela a OSSIMO INF.
Complimenti vivissimi ad Antonietta Zani e Antonio Mora
di Ossimo Inferiore per il notevole traguardo di vita insieme.
Sophia Squaratti
di Domenico e Dori Zani
Ossimo Inferiore 8 ottobre 2017
Arturo Andreoli
8-8-1948 + 10-8-2017
Bruna Sannicolò
17-4-1942 + 21-9-2017
Gianfranco Franzoni
25-8-1948 + 22-10-2017
Giovanna Zendra
8-3-1927 + 3-11-2017
Angela Zendra
8-11-1939 + 30-11-2017
Cüntòmela a OSSIMO SUP.
Lo scorso 27 Settembre, in occasione del concerto organizzato a due anni dal restauro integrale dell’organo e per ricordare i 230 anni dalla sua costruzione (1787/2017), la Parrocchia di Ossimo Superiore ha avuto l’onore di ospitare la giovane e bravissima M° Organista Susanna Soffiantini*. Durante il concerto sono stati eseguiti brani appartenenti al repertorio classico, appositamente scelti dall’organista al fine di esaltare al meglio le caratteristiche dello strumento e di poter inoltre sfruttare la buona acustica della nostra Chiesa Parrocchiale. Il risultato è stato sicuramente molto apprezzato dai tanti presenti: l’artista ha saputo spaziare dal repertorio seicentesco per arrivare fino all’Ottocento Italiano, periodo in cui allo strumento veniva richiesto di replicare i suoni dell’orchestra!
L’occasione del concerto è stata anche quella di ascoltare questa nostra macchina sonora antica e complessa, recentemente riportata alla sua massima efficienza, proprio come era stata voluta in passato. Ancora oggi l’organo è principale strumento capace di accompagnare solennemente la liturgia durante le sue parti cantate, ed anche da solista. A fine serata, la generosità dei presenti ha consentito anche di inserire un altro piccolo tassello nella raccolta fondi che ancora la nostra Parrocchia sta faticosamente affrontando per le spese relative al restauro. A tutti va il nostro ringraziamento.
Come spesso accade in queste occasioni particolari, l’evento del concerto ha consentito anche l’arrivo di alcuni rinomati musicisti! Il gruppetto di speciali accordatori concertisti, entusiasmati forse delle note del concerto, o forse dall’accento marcatamente francese del nostro grande Organaro Barthèlèmy Formentelli, hanno dato diversi grattacapi pure al sottoscritto, preso più volte alla sprovvista, proprio mentre salivo i ripidi gradini della cantoria...
Grazie forse al clima particolarmente caldo di questa estate, insomma, il gruppetto di musicisti però proprio non ne voleva sapere di lasciare le stanze dietro all’organo…. Così, dopo un’iniziale trattativa con i più anziani del gruppo il problema sembrava risolto: ed anche Don Francesco aveva tirato un bel sospiro… ce la siamo cavata con 3 noci in cambio di un concerto! Ma come dice il proverbio… non dire gatto se non l’hai nel sacco!!!
La stanzetta dietro l’organo e la cantoria dovevano proprio essere un ottimo rimedio alla calura estiva! Presto si era sparsa la voce ed erano accorsi altri piccoli GHIRI musicisti, tanto che ormai non mi rimaneva che chiedere rinforzi! I piccoli musicisti erano dappertutto e dopo aver fatto indigestione di noci minacciavano di passare alle canne del nostro organo da poco ben ripulite… Alla fine, e sempre con le buone maniere, li abbiamo convinti tutti e tredici di proporre un bel concertone, ma questa volta nel bosco a Creelone.
Luca Bardoni
* Susanna Soffiantini, nata nel 1993, si è formata presso il Conservatorio “Luca Marenzio” di Brescia ed ha conseguito nel 2016 il Diploma Accademico di I livello con il massimo dei voti, la lode e la menzione d’onore e vanta già numerosi riconoscimenti in concorsi nazionali e internazionali.
Cüntòmela a OSSIMO SUP.
Lucia Angela Bettineschi
di Paolo e Luz Karime Russo
Ossimo Superiore 16 aprile 2017
Giovanna Andreoli
10-3-1917 + 27-10-2017
Domenica Scrivo
3-12-1932 + 8-8-2017
Cüntòmela a VILLA di Lozio
Sono milanese ed esprimo qui la gioia per la scelta del papa di nominare vescovo di Brescia proprio un mio conterraneo. Da ciò che ho potuto conoscere di lui penso sarà un dono grande per la diocesi di Brescia l’aver ricevuto una persona così stimabile come il vescovo Pierantonio.
Mons. Tremolada è nato a Lissone il 4 ottobre 1956 ed è stato ordinato presbitero della Diocesi di Milano il 13 giugno 1981. Ha proseguito gli studi a Roma presso il Pontificio Istituto Biblico, dove ha conseguito prima la Licenza nel 1984 e poi il Dottorato nel 1996 in Scienze Bibliche, con una tesi sulla Passione secondo Luca.
A partire dal 1985 è stato per più di 25 anni docente di Sacra Scrittura. Ha pubblicato contributi per riviste bibliche di carattere scientifico e divulgativo. Dal 1212 è vicario episcopale del cardinale Angelo Scola per l'Evangelizzazione e i Sacramenti. Nel maggio 2014 è stato nominato dal Santo Padre vescovo ausiliare di Milano. Con la testa e con il cuore Pierantonio è già a Brescia da tempo, da quando a luglio il papa lo ha nominato vescovo.
Da domenica pomeriggio 8 ottobre, quando all'ingresso in Cattedrale bacerà l'antico pastorale di San Filastrio, settimo vescovo di Brescia alla guida della Diocesi nel IV secolo, sarà pienamente bresciano. Biblista coltissimo, come del resto il predecessore Luciano Monari, suo grande e sincero amico, il nuovo vescovo guiderà una diocesi di quasi un milione e duecentomila persone con ben 473 parrocchie. È la quinta più grande d'Italia dove i problemi non mancano, il secolarismo avanza come ovunque, da noi è però arginato da un cattolicesimo in affanno ma tutt'altro che rassegnato a diventare irrilevante. Certo si fatica e non poco. Anche le istituzioni più blasonate sono in affanno, i tempi d'oro sono alle spalle, ma questo non significa che il declino sia inesorabile.
Il gregge che si appresta ad accogliere il vescovo Tremolada è certo ben diverso da quello che trovò il suo predecessore. Le nostre chiese sono sempre più vuote, i giovani sempre più lontani. Eppure, è bene ripeterlo, nell'aria non si percepisce un clima di smobilitazione, da storia finita e sepolta. I sacerdoti, anche loro in calo costante, restano figure di riferimento nelle comunità; la loro centralità non è più data per scontata come poteva essere negli anni Cinquanta, ma i nostri preti lavorano sodo e questo è loro riconosciuto. I giovani sono il tema dei temi. I nostri oratori sono un'esperienza unica senza eguali in Italia, un tesoro educativo che non può essere disperso, anche affidandolo ai laici: percorso peraltro iniziato con coraggio da monsignor Luciano Monari.
Cosa si aspettano i bresciani da monsignor Tremolada? È stato lui stesso a dirlo spiegandoci perché i giovani amino così tanto papa Francesco. Lo amano perché vedono in lui una persona vera, una persona che vive e mette in pratica ogni giorno quello che predica. Come diceva Paolo VI, i giovani ascoltano i maestri quando sono testimoni.
Questo è ciò che i bresciani si attendono dal loro nuovo pastore. Dalla metà del secolo scorso la Chiesa cattolica vide protagonista il bergamasco Giovanni XXIII e il bresciano Paolo VI che vollero e portarono a compimento il Concilio Vaticano II. Brescia sentiva il dovere di manifestarsi come la terra che aveva cresciuto alla vita e alla fede papa Montini. Questi provarono già da allora ad evitare che la Chiesa venisse emarginata. Dopo di loro anche Brescia inizia a scivolare su quello che monsignor Foresti nell'omelia d'ingresso del 1983 rappresenta come un dolce piano inclinato che non invita a puntare i piedi. Monsignor Monari ha provato a battere la strada dei fondamentali della fede, nonostante il diffondersi, tra sacerdoti e laici, della pratica della fede da supermercato dove si prende ciò che piace.
La sua soddisfazione, per l'arrivo di monsignor Tremolada non ha nulla a che vedere con la formalità di commiati o benvenuti registrati. Monsignor Monari crede che il suo successore possa continuare l'opera e fare di più perché la fede sia bussola di vita quotidiana.
Ed ecco, nel cammino d'ingresso, l'arrivo in città: la chiesa dei Patroni, piazza Loggia, la Cattedrale. E la dimostrazione con la promessa di una Brescia fedele alla fede e alla giustizia.
Promessa anche alla prova delle difficoltà. Le infedeltà di tanti non cancellano le fedeltà di pochi. L'abbraccio sincero a monsignor Tremolada è nel rappresentargli che la risalita, anche da noi, è aspra. Lui lo sa. Quello che deve misurare è la disponibilità di sacrificio di sacerdoti, religiosi e laici cattolici, più che per intestarsi la cima di qualche collina, per rinvigorire la luce della verità nella nebbia di confusione che così pesantemente ci avvolge.
F. D’A.
Cüntòmela a VILLA di Lozio
Conosciamo bene l'ambiente in cui viviamo in questo nostro tempo, ma cosa sappiamo di tutti gli avvenimenti succedutisi nei tanti secoli passati in questo nostro paese? Un invito a ricordare tra storia e leggenda. (Terza puntata)
Con questa terza parte concludiamo il racconto breve della storia della nostra Valle di Lozio e per quanto concerne il periodo post-bellico mi limiterò ad elencare, in modo sintetico e cronologico, gli avvenimenti e le opere più importanti realizzate in Val di Lozio.
1945. Conclusasi l'esperienza dei podestà e dei commissari prefettizi, il 18 maggio viene eletto sindaco provvisorio don Giovanni Melotti, sacerdote antifascista molto legato ai partigiani della brigata Cappellini. Resterà in carica fino al 22 agosto dello stesso anno, il giorno dopo sarà sostituito dal nuovo sindaco Medici Felice. Don Giovanni Melotti (1913-1990) è stato parroco di Villa dal '41 al '54.
1946. Nel referendum popolare vince la repubblica. Le elezioni amministrative premiano il partito della Democrazia Cristiana, a Lozio guidata dal sindaco Piccinelli Luigi.
1949. Il parroco di Villa don Giovanni Melotti pubblica il libro “Cronistoria della Valle di Lozio”, che verrà poi ristampato, aggiornato e completato, nell'anno 1982 dai curatori don Giulio Corini ed Edoardo Mensi.
1951. A Villa viene realizzata per conto dell'Elva una centrale idroelettrica che produrrà 7 milioni di Kwh all'anno. Nell'anno 1955 l'impianto verrà rilevato dalla Società Elettrica Bresciana. La centrale è alimentata da una piccola vasca di soli 180 metri cubi di volume, sita a circa 1330 mt. s.l.m. Da cui si diparte una condotta forzata lunga circa 860 metri.
1952. In primavera la ditta Vanoli Alessandro cessa il servizio di trasporto pubblico sulla linea Villa di Lozio-Cividate. Il primo di dicembre il Ministero dei Trasporti concede provvisoriamente alla ditta Bassi Bortolo di Ossimo l'autolinea Villa di Lozio-Cividate con diramazione Malegno-Breno. Il servizio dell'Autocorriera Bassi inizia solo il 1° marzo 1953.
1953. È ultimata la condotta forzata che dalla centrale di Villa perviene alla vasca di carico del Colle dell'Oca per alimentare le turbine della centrale del Lanico. Il canale, della lunghezza di 7,7 Km, all'inizio è alimentato dalle acque di scarico della centrale e, in corrispondenza della Valle di S. Cristina, attraverso un impianto di pompaggio, capta a valle le acque di questo torrente sollevandole di circa 90 mt. Con una portata media di 60 litri al secondo.
1956. Cessa di funzionare la teleferica della Falck che trasportava la siderite dalla località Gaffione di Schilpario alla stazione ferroviaria di Cividate Camuno, passando per Villa e per Camerata. La stessa verrà smantellata negli anni 1958-59.
1957. Alla presenza del Prefetto e del sen. Giacomo Mazzoli vengono inaugurati a Villa il nuovo acquedotto e il nuovo impianto fognario.
1959. Grazie alle sovvenzioni della Comunità Montana di V.C. iniziano i lavori della nuova strada Lozio-Ossimo realizzati dalla “Scuola Cantiere”. Oltre a una più rapida comunicazione tra i due comuni, la nuova arteria risulta indispensabile per il taglio e il trasporto del legname, a sostegno della forestazione del comprensorio Lozio-Ossimo. Il 12 di luglio il sindaco di Lozio Giorgi Edoardo autorizza la ditta Autolinee Bassi ad effettuare due corse giornaliere per turisti e forestieri per il periodo 20 luglio-20 agosto.
1960. La ditta Menegolli dà impulso all'attività estrattiva aprendo due cave di pietra, nelle vicinanze dei Monti di Cerveno e oltre la Val Calcinera per estrarre il “venato nero”. Si stacca una consistente valanga sulla strada di Villa. In seguito all'alluvione del 16 settembre la strada Lozio-Malegno è interrotta in più punti per il crollo di piccoli ponti e smottamenti.
1961. Viene edificato il nuovo edificio della scuola elementare nella frazione di Sommaprada.
1965. La casa della Cappellania Pennacchio di Laveno viene ristrutturata e adibita a Canonica per ospitarvi il nuovo parroco don Domenico Boniotti.
1967. La nuova canonica e il Centro Giovanile di Laveno vengono inaugurati il 4 giugno dal vescovo Luigi Morstabilini. Sempre nello stesso anno viene aperta anche la scuola materna.
1968. Verso la fine dell'inverno una grande slavina scesa da un canalone della Concarena orientale, sulla sinistra dell'abitato di Sommaprada, raggiunge la strada provinciale impedendone il transito. In settembre viene ultimata l'asfaltatura dell'ultimo tratto di strada provinciale Malegno-Lozio aperta nell'anno 1928.
1970. Il 14 settembre la ditta Sabba di Bruno e Albanino Bassi sospende il servizio di trasporto pubblico per Lozio, essendoci in media solo tre viaggiatori giornalieri e due studenti abbonati.
Prima di sospendere le corse la ditta aveva chiesto dei contributi al Comune di Lozio, alla Comunità Montana di Valle Camonica, alla provincia di Brescia, che però avevano risposto negativamente. Una valanga raggiunge la strada Malegno-Lozio impedendone il transito; altri episodi simili si verificheranno negli anni 1980-1982-1984-1985.
1971. Viene rimesso a nuovo il Municipio di Laveno sito all'ingresso della frazione in via Giacomo Cappellini. Una ricerca effettuata dall'Ispettorato del Lavoro mette in evidenza che dal 1950 al 1970 sono deceduti sul lavoro ben 21 operai di Lozio, praticamente uno all'anno. Il 50% è morto in gallerie ferroviarie e autostradali, il 20% in cave di pietra e incidenti stradali di trasferta, il 15% in elettrodotti, il 15% sul cantiere della metropolitana milanese. I deceduti sono così ripartiti fra le frazioni: 10 di Villa, 6 di Sucinva, 3 di Sommaprada e 2 di Laveno.
1973. A Villa si dà luogo ad una manifestazione turistica di rilievo: il Concorso Nazionale dei Canti di Montagna a cui partecipano numerosi gruppi canori da varie regioni d'Italia. Il comune acquista uno scuolabus per il trasporto di 26 alunni che freguentano la scuola media a Breno.
1978. Nella frazione di Sommaprada, ad opera della signora Caterina Baisini di Boario Terme viene istituita la “Casa della Sapienza”, ubicata in via S.Gregorio. Oggi la fondazione religiosa per seminari spirituali è dotata di posti letto, sala da pranzo, auditorium, cappella e ampio parcheggio.
1979. Un'indagine epidemiologica sulla silicosi in Valcamonica colloca Lozio al 9° posto tra i comuni valligiani più colpiti, con 25 decessi nel decennio 1970-1979. Verso primavera una consistente slavina scende dalla Valle Gè e impedisce di raggiungere la frazione di Villa.
1980. Il Comune acquista una piccola corriera per effettuare in proprio il servizio di trasporto pubblico e scolastico.
1981. L'imprenditore Corna Tommaso apre un laboratorio artigianale per la lavorazione dei bottoni nell'edificio scolastico di Sucinva.
1986. Si completano i lavori e si inaugura il bivacco in cima alla Val Baione. Promotore di tale iniziativa è stato Tone da un'idea avuta già dal 1982 e con la collaborazione di Pippo. (sto parlando di Antonio Giorgi e Albino Archetti). Concessionaria di tale iniziativa è stato il C.A.I. Cedegolo. Nel 1984 col ricavato della 1^ Festa della Montagna svoltasi a Villa si poterono acquistare la struttura in ferro e il legname occorrente. Così iniziarono i lavori protrattisi anche l'anno successivo. Al completamento dell'opera è stato affidato al G.E.L. (gruppo escursionisti Lozio) la gestione di tale struttura. In seguito ad una grossa valanga che isola le frazioni di Laveno e Sommaprada la Provincia installa un sistema automatico di segnalazione semaforica.
1987. Nasce la Cooperativa Agricola Valle di Lozio, che si propone anche come Azienda Agrituristica. Il fabbricato che ospita l'azienda è sito in località Camerata e dispone di 30 posti letto, 70 coperti e la possibilità di effettuare escursioni a piedi e gite a cavallo. Un tempo, la Cooperativa oltre all'allevamento bovino e ovino si dedicava anche alla coltivazione di piccoli frutti.
1988. Il 2 di dicembre viene chiusa a Villa l'agenzia della Banca di Valle Camonica che era stata aperta il 15 gennaio del 1923. successivamente è stato però aperto uno sportello di Tesoreria Comunale che funziona tutt'oggi.
1991. La ditta Eilmineral del bornese Giuliano Comensoli ottiene l'autorizzazione di scavare un tunnel della lunghezza di 3,7 Km e del diametro medio di 3,5 mt per collegare la Valle di Lozio con la confinante Valle di Scalve. Lo scopo principale è però quello di estrarre dalla montagna la fluorite e la barite. Il tunnel venne aperto in località Ponte del Ferro ma dopo breve tempo la ricerca mineraria si interrompe.
1992. Il Municipio e la Cooperativa Val di Lozio, tramite la Tipolitografia Lineagrafica di Boario Terme, editano il libro ' Storia del Castello di Villa e l'eccidio dei Nobili di Lozio'. Coautore l'allora sindaco Antonio Giorgi.
1993. Il 12 giugno si inaugura la 'Casa Arcobaleno' e viene fondato il G.I.A.N. (gruppo italiano amici della natura) di Lozio. L'amministrazione comunale mette a disposizione del gruppo l'edificio delle ex scuole elementari di Laveno. Oggi la sede è a Villa e conta numerosi iscritti.
1995. Nasce la corale “L'Eco della Concarena”, formata da una trentina di coristi che inizialmente esibisce un repertorio di canti sacri e in seguito anche di canti popolari e di montagna. In dicembre
iniziano i concerti annuali nella Chiesa di S.Nazzaro.
1996. La Pro Loco e L'Associazione Motolozio indicono in agosto il primo motoraduno della Val di Lozio.
1998. Il 6 dicembre viene inaugurato a Laveno il Centro Diurno Per Anziani. Il 6 luglio l'amministrazione comunale promuove un convegno sul 'Castello dei Nobili' con l'intento di effettuare un recupero archeologico; partecipano, tra l'altro, l'ambasciatore Pennacchio Fausto Maria e l'assessore provinciale alla Cultura e al Turismo Tino Bino. Numerosi tratti stradali della provinciale vengono allargati e si provvede a mettere in sicurezza le curve con apertura alla visibilità. Viene aperta la nuova strada del cimitero di Villa.
1999. A febbraio una troupe di Rai 2 del programma “La Vita in diretta” di Michele Cucuzza giunge a Villa per pubblicizzare l'iniziativa municipale di elargire un contributo di 3 milioni di lire per ogni neonato. A luglio si svolge la prima Fiera di S.Cristina. Il 6 agosto viene inaugurato l'Oratorio o Centro Aggregazionale Giovanile a Villa.
2000. Il comune affida alla Società Archeologica Padana la campagna scavi al Castello dei Nobili di villa. Viene aperta anche una nuova strada di accesso al maniero, trattorabile e percorribile con fuoristrada. A scavi conclusi si realizza l'esposizione dei risultati e una mostra fotografica.
2001. Il 15 di gennaio si costituisce la società “Lozio Risorse Spa” con capitale sociale di 206 mila euro; la maggioranza del capitale è detenuto dal Comune col 51% delle azioni e il restante 49% da un privato. È pure stata prevista la possibilità di vendita all'azionariato popolare fino al 9% del capitale privato e fino al 20% delle quote comunali agli Enti comprensoriali. La società oltre a gestire i tributi comunali ha come obiettivo lo sviluppo turistico della Val di Lozio.
2002. Il Comune e la Pro Loco danno vita al giornalino informativo della Valle di Lozio dal titolo “Lozio Times”, edito come strenna natalizia; Michele Pizio ne è il promotore e il redattore. Il 15 di agosto il cardinale Giovanbattista Re, nativo di Borno, visita la comunità di Lozio. A Sommaprada, dopo 28 anni senza alcuna nascita, viene alla luce una bimba di nome Aurora, figlia di Marcella e Maurilio Canossi.
2003. Il 25 maggio viene inaugurata la Santella della Madonna della Pace restaurata grazie al contributo del comune e al lavoro di volontari. L'11 maggio si assiste a Laveno al concerto delle cinque campane della chiesa dei S.ti Nazzaro e Celso, restaurate dopo ben 106 anni dalla fusione. Il 6 luglio si inaugura a Villa la 'Casa-Museo della gente di Lozio' che ospita un'esposizione etnografica È collocata nei locali di un'abitazione appartenuta anticamente alla famiglia Nobili, situata nell'ex via S.Paolo e da qualche anno rinominata via dei Nobili. Vengono restaurati il Peristilio e la Cappella del cimitero di Villa. Viene ristrutturato il trasporto pubblico locale e al Comune subentra la ditta Sabba di Bassi che riprende l'attività il 29 marzo dopo una parentesi ultraventennale.
2004. Il 9 gennaio la Sovrintendenza ai Beni Ambientali ordina il fermo lavori degli edificandi 80 minialloggi in località S.Nazzaro, primo lotto del programma denominato Centro di Residenza integrata affiancato al Centro Regionale Anziani, avversato dalla minoranza consiliare e dagli ambientalisti. Il 21 febbraio a seguito delle dimissioni di 4 consiglieri della minoranza, di 3 consiglieri di maggioranza dissidenti e della giunta, viene nominato il commissario prefettizio, nella persona della Dott.ssa Paola Fico, che reggerà il comune fino alle elezioni di giugno.
Da moltissimi anni la popolazione di Lozio è in una fase di netto calo demografico; negli anni '50 gli abitanti superavano il migliaio (esattamente 1121); nel 1960 il numero scende a 980; nel 1970 si registrano 800 anime, nell' '81 ridotti a 606 e oggi a febbraio del 2017 a soli 395 residenti e 260 abitanti effettivi. Il calo delle nascite ha certo contribuito alla diminuzione della popolazione, ma un enorme apporto a tale fenomeno è stato dato dalla emigrazione. L'occupazione non offre certo molte garanzie: o il pendolarismo verso il fondo valle o l'allevamento del bestiame. Il seminativo non riesce neppure a produrre il necessario per i residenti; per quanto riguarda l'allevamento, al vantaggio dei ricchi pascoli si contrappone la quasi impossibilità della meccanizzazione e pertanto il ripetersi di una attività tutta basata ancora sulla disponibilità e la capacità delle braccia umane.
Una vita di sacrifici, per chi decide di restare, le tante conclamate facilitazioni che dovevano essere
attuate per far sì che l'uomo non abbandonasse la montagna, sono rimaste pressochè inesistenti. Nelle mani dei 'pochi' rimasti sta il futuro di questa bella valle, ricca di patrimonio e di cultura, vicina ai grossi centri urbani, ma nello stesso tempo isolata, ancora intatta e originale nelle sue tradizioni; un futuro difficile, ma che potrebbe anche arrestare quel processo di spopolamento che in questi anni ha predominato. La bellezza, la naturalità di Val di Lozio potrebbe diventare una attrattiva turistica non indifferente capace di dare un volto nuovo alla economia di questa terra. Un turismo che non vada a cancellare la tradizione ma che si inserisca armonicamente senza creare quegli squilibri che si sono verificati altrove; che hanno ridotto il fenomeno ad un semplice fatto economico a scapito di alcuni valori propri delle zone di montagna quali l'architettura, le tradizioni e l'ambiente. Un turismo senza grandi pretese ma pure ricco di prospettive per il futuro, collegato anche ad una valorizzazione dal punto di vista alpinistico. L'interesse alpinistico per questa zona, forse ingiustamente trascurato, potrebbe rinascere. Potrei citare a questo proposito che in questi ultimi annisono sorti tre 'Bed & Breakfast per l'accoglienza dei visitatori; e in questo ultimo febbraio la 9° Ciaspolada nella Valle di Lozio' che, partita in sordina alcuni anni fa, ha avuto un incremento enorme di iscritti, ben oltre i trecento. Altre iniziative sono in corso come la preparazione delle pareti d'arrampicata sul lato destro della cava di Sommaprada.
Per concludere vorrei dire che questo racconto vuole essere un invito a ricordare per tanti che, come me, non sono più giovanissimi; e poi potrebbe essere una prima notizia, una prima infarinatura per i ragazzi in età scolare e adolescenziale. Capisco che ad un ragazzo non si può imporre di leggere tutto un libro sul suo paese, al massimo si accontenterebbe di guardare le tante belle fotografie. Tutti sappiamo che la mente umana recepisce e immagazzina tutto ciò che vede e sente e che vada sollecitata continuamente, altrimenti tutto finisce nel dimenticatoio.
F. D’A.
P.S. le notizie di queste pagine, ricercate e proposte e senza alcuna pretesa, sono tratte da alcuni libri editi da almeno un decennio. Le dedico a Maria Ancilla che oltre quarant'anni fa m'ha portato a conoscere Sommaprada e tutta questa bellissima valle.
Cüntòmela a Lozio
Fautino Rivadossi
13-3-1930 + 9-9-2017
Villa
Bibiana Barbara Mora
1-12-1920 + 28-10-2017
San Nazzaro
Cüntòmela a SAN NAZZARO di Lozio
Mi è stato chiesto di spiegare il perché noi cittadini di Lozio abbiamo insistito affinché il bivacco in questione fosse intitolato a don Giulio Corini.
Lo farò entrando nei miei ricordi, perché sono quelli che hanno fatto in modo che arrivassimo fino a qui. Io metterò i miei ricordi e so che lo farò con una velatura di commozione quindi scusate se la voce trema, ma assieme a me ogni persona che ha conosciuto il “piccolo don”, sarà invasa da ricordi particolari e so senza ombra di dubbio che quei ricordi collocano don Giulio quassù sulle nostre montagne e su tutte le montagne della Valcamonica e oltre.
Quando don Giulio era parroco di Lozio io avevo 7 anni e quando se ne è andato ne avevo 19. Dodici anni di vita e assieme con me tutti i bambini e ragazzini del paese. Ogni settimana ci portava in montagna; sveglia presto perché presto si partiva, zaino in spalla. Condividendo la fatica e il pranzo e si raggiungevano il rifugio, la malga, la cima, il laghetto passando dalle montagne di Lozio, ma raggiungendo anche l’Adamello, la Presolana, il Trentino: tutte gite fatte in giornata.
Coi ragazzi più grandi, grazie al sostegno delle guide del CAI come Antonio Moles, don Giulio organizzava spedizioni più complesse ed è ancora vivo il ricordo di Elide, Giacomino, Rico…
Ecco infatti cosa scrive nel suo libretto personale la guida alpina Gian Antonio Moles a proposito di don Giulio:
Partiti da Brescia in sei con l’intenzione di fare l’ascensione al Bianco, siamo stati doppiamente fortunati. Tempo bellissimo per tutti e tre i giorni e una guida eccezionale, alla quale diciamo un grazie immenso. In quei giorni Don Giulio mi raccontò della sua passione per la montagna e di tutte le escursioni, ascensioni con i fratelli Don Giuseppe, Luigi e un seguito sempre numeroso.
Dopo anni di disavventure si erano decisi a contattare una Guida alpina professionista e da quell’anno il nostro rapporto di amicizia lavoro non si e mai interrotto. A quel tempo Don Giulio era Parroco a Lozio, ma anche quando con suo grande rammarico fu trasferito a Poncarale, arrivava a trovarmi prima di Natale, si fermava a pranzo da noi, portava sempre tante fotografie delle ultime salite e mi prenotava i giorni per l’anno successivo decidendo insieme quale poteva essere la meta da destinare.
Per anni ho avuto la necessità di avere con me un’altra guida perché il gruppo era sempre numeroso. Dopo il monte Bianco fu la volta del Bernina e dei Piz Palu, del Disgrazia, del monte Ortles, del Gran Zebru’ e del Cevedale, dell’Adamello, Presanella, Tresero, San Matteo della Pala Bianca e del Similaun. E poi in Austria al Grossglochner, in Svizzera all’Allalinhorn, Alpubel, Waismiss, Monch, Junfrau.
Poi arriva la richiesta per salire il monte Cervino e da quell’anno Don Giulio, che aveva sempre condiviso le sue vacanze sui monti con ragazzi, adulti, amici suoi o portati a me, cambia orientamento, si convince che sulla cresta del Cervino la Guida può avere solo una persona legata alla sua corda, che bisogna essere veloci e che lo zaino deve contenere solo il necessario per la scalata e che i paramenti per celebrare la S. Messa sulla cima dovranno essere lasciati in macchina.
Il primo tentativo finisce alla Capanna Carrel causa mal tempo e siamo noi ad aprire la via del ritorno con un metro di neve caduta nella notte, l’anno dopo siamo talmente veloci che sulla cima decidiamo di scendere dal versante svizzero compiendo la traversata Cervina Zermatt.
Quello che mi colpiva di don Giulio era la passione nascosta. Per il suo modo di fare e di comportarsi non lo avresti mai annoverato tra gli alpinisti, ma emergeva in lui la voglia di conoscere posti nuovi, di documentandosi in anticipo. Sembrava volesse permettermi di salire montagne che non avevo mai salito, era un amante di orizzonti nuovi e di cime dai nomi difficili da pronunciare, ma che avessero una quota pari o superiore ai quattromila.
Si presentò una sera e mi portò in dono un libro sui quattromila delle Alpi, lo aprì sfogliandolo velocemente e si fermò indicando con il dito, per l’anno prossimo questo: Alechhorn nell’Oberland Bernese. Tre tentativi andati a vuoto, tanta acqua e neve, lunghe camminate nell’Alechgletcher e la mia caduta in un crepaccio, con non poche difficoltà ad uscirne, non fece distogliere Don Giulio dal suo obiettivo.
L’anno dopo io fermo per problemi alla schiena, diedi al Don la possibilità di riprovare con un’altra guida e l’obiettivo venne raggiunto con il collega e cugino Boninchi Enrico. Si continua con i quattromila della Svizzera, Dom di Miscabel, Fiscerhorn, ritorniamo a Sass Fee sull’Allalinor Grat.
Poi una grande richiesta mi fa capire la voglia e la conoscenza messa in atto dal Don: la cresta del Mittelegi all-Aigher. Quanti alpinisti che si definiscono tali sanno dove sia questa splendida e difficile cresta? Convinco don Giulio per una salita più tranquilla visto il meteo avverso, Palon della Mare e mi accorgo di qualche difficoltà.
L’anno dopo proviamo la traversata Vioz Cevedale, ma tutto termina sulla cima del Vioz e nella discesa mi confessa le prime difficoltà con la salute. Sono io il primo a saperlo: coartazione dell’aorta, sostituzione della valvola aortica, infarto. Ma Lui non demorde e mi chiede di accompagnarlo in Val Maira per vedere il Monviso dal basso anche se non siamo più in grado tutti e due di salirlo.
La mia rinuncia non mette fine a trent’anni di stima profonda, perché quando ci si lega insieme per una scalata il rapporto Guida-Cliente viene messo in secondo grado, quello che conta e la cordata, e la fiducia reciproca, le strette di mano sulla vetta, qualche lacrima e sempre una fervida preghiera.
Non ho nessuna ambizione, soleva dirmi, ma tre o quattro giorni all’anno con la Guida Tone me lo posso e lo voglio permettere.
Grazie Don per avermi permesso di accompagnarti su montagne che non conoscevo e di aver insieme raggiunto queste cime e recitato con Te una preghiera.
27/28/29 Agosto 1984 - Monte Bianco
Don Giulio per tutti noi nelle diverse fasce di età, sei stato di esempio, hai creato gruppo, ci hai insegnato l’arte dello stare assieme. La montagna era la tua linfa vitale, ci dicevi sempre di ascoltare il silenzio delle montagne. Allora eravamo piccoli e c’era solo un gran vociare, ma oggi quanto apprezzo quel silenzio! Ci hai insegnato ad ammirare e rispettare la montagna e a ringraziare Dio per tanta meraviglia. Si camminava a volte tanto, troppo, ma col sorriso e tutti assieme si tornava e se strada facendo nel ritorno c’era una gelateria ci pagavi il gelato. Ricordo una tempestata proprio qui, sulla val Piane. C’era nebbia e faceva un gran freddo, tu ci hai portato al riparo, ma avevamo paura, tirava un forte vento, eppure mi ricordo come se fosse oggi le tue parole: “per quanto il vento possa soffiare la montagna non si potrà mai inchinare”.
Perché intitolare a te questo bivacco? Il motivo è che questi monti ti hanno visto protagonista assoluto. Non c’è stato malghese che non ti abbia conosciuto, perché tu passavi sempre a salutarli, a bere il caffé e nel loro viso si vedeva quanto erano felici che qualcuno fosse andato a trovarli. Parliamo degli anni 80 quando i malghesi stavano in montagna per tanto tempo. L’amore, la gioia era in tutti noi quando andavamo in montagna e guai se incontravamo qualcuno e non lo salutavamo! E ricordo che ci dicevi che se chiedevano quanto mancasse all’arrivo la risposta era sempre la stessa “poco, 10 minuti”. Sei stato per tutti noi e lo sarai sempre un amico e un uomo di montagna. Da bambini probabilmente venivamo in montagna con te per stare assieme per gioco, ma ora vedendomi negli stessi posti con uomini e donne che tu hai visto bambini che ancora amano la montagna, posso con orgoglio dire che oggi la MONTAGNA È DENTRO DI NOI. Quale uomo merita più di te un ricordo fra le nostre montagne, tu che ti sei cullato fra le Sue braccia per sempre, anche quel giorno di settembre?
Giusy Ballarini
Cüntòmela a SAN NAZZARO di Lozio
Inaugurazione del parco giochi dedicato a Ugo Ballarini, dipendente comunale, indimenticato autista dello scuolabus ad amico dei nostri bambini della scuola materna e primaria di Lozio.
Bambini della scuola primaria di Lozio che, accompagnati dalla maestra Domenica, hanno partecipato e sono stati anche premiati alla quattordicesima edizione del premio “Curt Granda”, concorso di poesia in dialetto lombardo indetto dal comune di Villa Campello-Albiate (Monza-Brianza). Bravi i nostri ragazzi che hanno saputo trovare la “vena poetica” in dialetto di Lozio.
Le zucche di Halloween sono dolci, ma in tante cose è meglio avere sale in zucca… ed i nostri ragazzi di Lozio sembra che ne abbiano…. Almeno lo speriamo.
Halloween è una festa intrusa e scadente che viene dall’estero, ma a tavola i nostri ragazzi non seguono le mode straniere: mangiano le buone cose delle mamme di Lozio.
Altro che videogiochi e internet: la tombola è sempre un gran gioco di società che fa contenti grandi e piccini...
La Sacra di San Michele, meta della gita del centro anziani di Laveno. Impressionante l’antichissima struttura che sembra abbia fatto anche un gran bene alla salute dei partecipanti: appaiono tutti affiatati, contenti e… ringiovaniti.
Cüntòmela con i MISSIONARI
Manila: 1-12-17
Carissimi Amici di Borno,
questa mia vuole portarvi i miei più cordiali saluti e gli auguri di Buon Natale e Felice Anno Nuovo. Infatti non è da molto che ci siamo lasciati e non ho grandi notizie da mandarvi. Io sto bene e così spero anche di tutti voi.
Sono rientrato di corsa in anticipo a Manila per una emergenza creatasi nella comunità dei nostri studenti di teologia: il Rettore, nominato consigliere generale, doveva trasferirsi a Roma per il suo nuovo compito, e il vice-rettore era in vacanze in Brasile. Alla mia dolce età, come “missionario d’emergenza”, sono venuto a prendere in mano la situazione. Quasi tre mesi di emergenza, ma ora fortunatamente le cose si sono sistemate. Ora sono di nuovo libero di fare il missionario nelle parrocchie vicine.
Sono stati mesi molto impegnativi ma anche molto belli. Mi sono dovuto rimettere al passo con la comunità dei giovani, le loro problematiche, le loro iniziative e il loro cammino. Tre hanno preso i loro impegni definitivi come missionari e saranno ordinati diaconi nei prossimi giorni. Saranno ordinati sacerdoti il prossimo giugno e saranno di partenza per le loro missioni nel mondo.
Gli ordinati saranno due africani e un messicano... nei prossimi anni saranno africani e indonesiani. Come vedete la missione del futuro sta cambiando. Gli italiani non ci saranno quasi più. La missione in Asia sarà fatta da africani e indonesiani. Noi, incaricati della loro preparazione, cerchiamo di condividere con loro il nostro cuore missionario ma ci rendiamo conto bene che il futuro è nelle loro mani. Possiamo solo impegnarci a pregare per loro perché il Signore sia la loro guida e la loro forza.
Per me c’è stata anche un’altra esperienza significativa. Siccome quasi attaccate alla nostra casa di teologia ci sono due enormi supermercati mi sono trovato ad essere il prete dei due supermercati. Tra sabato pomeriggio e domenica vi si celebrano dieci messe: in una tre messe in una sala cinematografica, nell’altra sette messe nella grande cappella con gente ammassata anche nei corridoi circostanti. Ho dovuto scoprire che c’era più gente alle messe nei supermercati che neanche in parrocchia. Sono stato felicemente sorpreso e mi sono reso conto come tutto stia velocemente cambiando. Mi è venuta persino la tentazione di chiedere al vescovo di poter aprire la cappella ogni giorno per un paio d’ore per ascoltare le confessioni della gente che gironzola nel supermercato... sono convinto che ci sarebbe da fare. Come vedete le sorprese non finiscono mai.
Come voi a Borno, anche qui hanno voluto celebrare il mio 50mo di sacerdozio. Grazie di cuore a voi! e grazie a loro!
Continuate a ricordarmi nella preghiera perché anche se il corpo invecchia il cuore rimanga fresco e giovane.
Buon Natale e Felice 2018!!!
Un abbraccio cordiale!
Vostro, P. Giacomo
Cüntòmela con i MISSIONARI
Proseguiamo la pubblicazione delle pagine tratte dal volume dedicato ai missionari partiti dai nostri paesi.
Suor Romana Giacomina Baisini
È nata a Borno il 16 gennaio 1933. Il 3 novembre 1952, all’età di 19 anni, entrò nell’Istituto (delle suore Dorotee di Cemmo) e nel 1955 emise i suoi primi voti che professerà definitivamente il 23 settembre 1961. Con disinvoltura e solerzia passò in alcune comunità dell’Istituto presenti in Italia: prima a Rovato, poi a Brescia in Via Gallo e a Cevo, Temù e Ceriale (Sv). Nel 1967 partì per l'Argentina. Particolarmente significativa è stata la sua esperienza tra i poveri dei barrios di Santiago del Estero ai quali si dedicò per ben 25 anni con passione e zelo apostolico.
Nel settembre 1992, già ammalata anche se ancora desiderosa di donarsi ai fratelli, dovette rientrare in Italia; soffrì non poco a doversi ritirare dalla missione, che tanto amava, e che l’aveva sempre vista impegnata e carica di entusiasmo. Visse quest'ultimo periodo nell'infermeria di Brescia con intervalli, più o meno lunghi, di ricoveri in ospedale dove ha concluso il suo viaggio terreno all’età di 61 anni il 15 maggio 1994, giorno dell’Ascensione del Signore. I funerali sono stati celebrati nella parrocchiale di Borno il 17 maggio ed e stata sepolta nel cimitero di Cemmo dove riposano tante sue consorelle.
Suor Eulalia Pierina Franzoni
Nata a Ossimo Inferiore il 5 luglio 1934. Novizia a Cemmo l’8 settembre 1949, dopo la prima professione del 29 settembre 1952, ha emesso i voti perpetui il 30 settembre 1958. In servizio presso diverse sedi come cuoca, nel 1973 ha iniziato la sua attività missionaria in Argentina a Santiago del Estero (1973-1983) e poi, come superiora, a Guemes (1983-1990), a La banda (1990-1994), a Las Termas (1994-1998), a Buenos Aires per un breve periodo (1998-1999), dopo di che è stata trasferita a Melo in Uruguay. Oggi risiede nella comunità di Buenos Aires.
Suor Rosina Giacomina Maggiori
È nata il 23 settembre 1923 a Ossimo Inferiore. Il 3 marzo 1943 è entrata nella congregazione iniziando nel medesimo anno il noviziato. Emise i voti temporanei il 10 ottobre 1946 e i voti perpetui, sempre nella casa madre di Cemmo, il 18 settembre 1952. Ha svolto a lungo in diverse sedi vari servizi, tra qui quello di maestra di lavoro. Dall’1 ottobre 1968 al 30 novembre 1972 ha svolto la sua attività a Nottingam. Oggi risiede a Capodiponte.
Cüntòmela di TUTTO UN PO'
Da cinque anni, ormai, Fondazione Scuola Cattolica di Valle Camonica opera sul nostro territorio con l’obiettivo di formare e far crescere i giovani dal punto di vista culturale, professionale, valoriale e umano, attraverso le sue scuole e i suoi servizi
Per i più piccoli la Scuola secondaria di primo grado che, come dice Papa Francesco, vuole “sviluppare il senso del vero, del bene e del bello” attraverso una didattica seria, coraggiosa e costantemente aggiornata, in continuità con la missione educativa di madre Annunciata Cocchetti che si realizza in ogni momento della giornata scolastica, dalle attività didattiche del mattino fino ai laboratori extracurricolari e al doposcuola per il supporto allo studio e allo svolgimento dei compiti in orario pomeridiano.
Per gli adolescenti c’è la possibilità di scegliere tra due percorsi tecnico-professionali. Il primo, della durata di 5 anni, è rappresentato dall’Istituto tecnico settore economico “Scuola di Impresa”: una scuola dinamica, innovativa, un cantiere permanente di attività, metodologie, iniziative, laboratori volti alla realizzazione dell’obiettivo generale di rendere l’impresa parte attiva ed integrante della scuola. Con un primo biennio comune e la possibilità, nel triennio di scegliere tra 3 profili in Amministrativo specialista in controllo di gestione, Specialista marketing comunicazione e vendite e Digital & Innovation specialist si rivolge a tutti coloro che sono alla ricerca non solo di una formazione tecnica altamente qualificata, ma di un’esperienza formativa unica che oltre ad una maggiore alternanza scuola lavoro, (a partire dal 2° anno), si caratterizza per una metodologia didattica innovativa in cui le materie curricolari si integrano con attività laboratoriali tenuti da formatori e consulenti, visite aziendali e testimonianze di imprenditori che raccontano ai ragazzi il significato del “Fare Impresa” con una particolare orientamento al lavoro etico e socialmente responsabile.
Per chi vuole acquisire competenze tecnico – professionali e cerca un lavoro, il Centro di Formazione Professionale Padre Marcolini offre la possibilità di scegliere tra 7 qualifiche professionali triennali operatore del legno, operatore di impianti termoidraulici, operatore elettrico, operatore agricolo per la coltivazione di piante arboree, erbacee e ortofloricole, operatore meccanico, e, novità dello scorso anno, operatore edile. A seguito dell’accordo stipulato tra Fondazione Scuola Cattolica di Valle Camonica ed ESEB Ente Sistema Edilizia Brescia, infatti, la Fondazione Scuola Cattolica di Valle Camonica è subentrata nella gestione del CFP Edile di Breno. Uno degli obiettivi fondamentali del Centro di Formazione Professionale P. Marcolini è, infatti, favorire una formazione integrata tra le diverse professionalità operanti in un cantiere, con particolare attenzione all’edilizia sostenibile e all’innovazione tecnologica. L’esperienza diretta e l’incontro con imprenditori e aziende rappresentative per i diversi settori sono aspetti fondamentali della didattica. Forte importanza viene attribuita ai progetti di alternanza scuola – lavoro. Ne è testimonianza concreta un percorso formativo “duale” (4° anno) che vede gli allievi cimentarsi in un progetto che vede la loro presenza a scuola, alternata a momenti di lavoro in azienda per oltre 500 ore. A questo si aggiungono alcuni progetti di apprendistato attraverso i quali gli allievi vengono assunti dalle aziende con contratto di apprendistato di 1° livello per il conseguimento della qualifica e o del diploma di tecnico che permettono loro di conseguire il diploma attraverso un’esperienza lavorativa concreta oltre alla formazione scolastica.
Fondazione Scuola Cattolica di Valle Camonica, invita tutti coloro che volessero scoprire l’offerta didattica nelle giornate degli OPEN DAY, fissati per i prossimi sabato 2 dicembre dalle 14.00 alle 17.00, 15 dicembre dalle 20.00 alle 22.00 e 14 gennaio 2018 dalle ore 14.00 alle ore 18.00. È inoltre possibile visitare le scuole della Fondazione Scuola Cattolica di Valle Camonica tutti i giorni, previo appuntamento telefonico ai contatti 0364/331016 - 0364/42088.
Cüntòmela di TUTTO UN PO'
Anche al Consultorio Familiare G.Tovini di Breno, che ha chiuso il 2016 con quasi 2000 consulenze annuali, si ha l’impressione che oggi più di ieri, le forme di sofferenza individuali e familiari siano aumentate; accanto a quelle tradizionali, connesse con la nascita, la crescita, la malattia e la perdita delle persone care, si fanno strada nuove forme di sofferenza collegata alla temporalità e a volte fragilità dei legami d’amore, ai problemi e alle difficoltà comunicative e relazionali tra coniugi e tra genitori e figli, all’emergere di nuove conflittualità tra i sessi e le generazioni.
Molteplici sono le forme attraverso cui la sofferenza trova la possibilità di manifestarsi: i rapporti interpersonali più comuni, quelli cioè che legano un uomo ad una donna, un genitore ad un figlio, una famiglia ad uno specifico contesto socio-ambientale, sono sovente esposti a fraintendimenti, squilibri, che generano inevitabilmente forme di sofferenza individuale e familiare a cui ogni componente della famiglia vorrebbe porre rimedio, ma spesso mancano le parole per dare un nome al malessere, o viene meno la spontaneità per esprimerli, forse anche la disponibilità per confidarli.
E a chi “confidarli”? Con chi parlarne?
Il singolo, la coppia e la famiglia che vivono una situazione di sofferenza hanno l’opportunità di rivolgersi al Consultorio Familiare G.Tovini, portando e raccontando la propria sofferenza, il proprio disturbo e affidandosi ad un consulente psicologo-psicoterapeuta familiare, un pedagogista o mediatore familiare, o ad altri professionisti della relazione d’aiuto che credono fermamente nella centralità della persona e nel valore della famiglia. Ogni professionista lavora con lo scopo di rinforzare le risorse di ogni persona aiutandola a recuperare il senso del suo progetto di vita, favorendo adeguate strategie di riprogettazione esistenziale e di speranza.
Il singolo, la coppia o la famiglia sono sollecitata e accompagnati attraverso un percorso di sostegno volto a costruire nuovi orizzonti di senso, a risignificare la propria vita, accettandone i limiti e cogliendo i propri punti di forza e le risorse, rivalorizzando la comunicazione e superando il conflitto.
Pensare al Consultorio come centro per la famiglia e riscoprire il valore della persona umana nella sua unicità e integralità, riconoscendo la famiglia come risorsa primaria per la crescita umana e sociale, è parte determinante della mission del nostro Consultorio che è a fianco delle comunità locali da 20 anni.
Per accedere ai servizi del Consultorio chiamare allo 0364/327990 e prendere appuntamento per un primo colloquio.
Il Direttore
Dr.ssa Guglielmina Ducoli
Il Consultorio ha la sede legale e operativa a Breno in Via Guadalupe n° 10
Tel. 0364-327990
email consultovini@libero.it
Cüntòmela di TUTTO UN PO'
In questo bel libro che si gusta come un buon bicchiere di vino o un piatto sapientemente cucinato, l’ultra settantenne Enzo Bianchi si chiede il significato dei suoi giorni, passati e futuri, ripercorrendo le stagioni dell’anno e della sua vita.
Ecco allora le estati in cui da ragazzo con i suoi amici si divertiva a preparare i falò per la festa di San Giovanni Battista o per la festa della Madonna di agosto. Nato in un paesino del Monferrato tra i brik (colline) e le vigne, Bianchi descrive l’autunno come la stagione più ricca di colori, sapori e doni della terra; un periodo in cui tutti si davano da fare per preparare nelle case tutto ciò che avrebbe consentito di trascorrere l’inverno freddo e che aveva il suo preludio nel significativo mese dei morti.
E proprio prendendo spunto dalle attività autunnali, con gioiosa semplicità sembra innalzare al cielo due lodi: una per il vino con tutte le risonanze bibliche, cristiane e quindi fraterne che questa bevanda sprigiona, senza sottacere gli effetti disastrosi del suo abuso che hanno segnato la storia del suo e dei nostri paesi; l’altra è per quelle lunghe e massicce tavole di legno presenti nelle case contadine, simbolo anch’esse di condivisione fraterna specialmente con chi arrivava all’ultimo momento, e invito a riscoprire quel percorso di umanizzazione, sul quale lo stesso monaco di Bose insiste spesso in questi anni per vincere l’individualismo e le altre barbarie del nostro tempo.
Insieme alle stagioni vengono evocati i giorni del focolare e dell’attesa quando ci si preparava al Natale non con lo shopping sfrenato per regali sempre più formali e obbligati, ma andando a raccogliere il muschio per il presepe e riscaldandosi intorno al camino prima della Messa di mezzanotte. Vincendo la sua riservatezza piemontese, nei giorni della memoria accenna anche alla sua famiglia e alle due donne, la maestra e la postina del paese, che l’hanno aiutato a crescere dopo la morte della mamma.
Specialmente le persone anziane possono ritrovare in questi piacevoli racconti molte espressioni e situazioni che fanno parte della storia dei nostri piccoli paesi. Ma lo stesso autore afferma di non averli scritti per miticizzare il passato, bensì per rendere grazie a Dio di tutto quello che ha vissuto, compreso i momenti difficili dell’infanzia e la sua stagione attuale, la vecchiaia con gli inevitabili acciacchi, ma anche con una maggior tranquillità per accorgersi e guardare in modo diverso le cose quotidiane come, ad esempio, i sassi del viale che conduce alla sua cella, dove ha voluto piantare dei tigli. Pur sapendo che non li vedrà crescere, è un piccolo segno del suo desiderio di lasciare questo mondo un po’ più bello, con un po’ più di fiducia e di speranza.
A me è piaciuto in particolare l’epilogo dove parla della sua passione per la lettura della Bibbia che ha ricevuto in regalo a tredici anni e che definisce la sua “cella fedele”: anche quando è fuori dalla cella fisica del monastero, gli è sufficiente estrarla dalla borsa e aprirla perché essa diventi il luogo del silenzio, del pensare e del pregare. Per leggerla sempre più in profondità afferma di aver studiato anche l’ebraico oltre ad aver stretto amicizia con diversi studiosi ed esegeti. Però narra anche un episodio molto significativo.
Dopo aver incontrato un contadino che lo aveva ospitato nella sua cascina offrendogli mezzo bicchiere di vino davanti al tepore del focolare, come segno di riconoscenza gli donò i quattro vangeli: unico libro che aveva in auto in quel momento. Passati sei mesi si incontrarono di nuovo. L’uomo che aveva dichiarato di frequentare poco le chiese e di non sapere molto avendo fatto solo la quinta elementare, si mostrò molto entusiasta di quel librettino. Gli alberi, la sua vigna, il bambino paralizzato della cascina sotto la sua, il lievito che usava sua mamma per fare il pane, il calice che suo padre offriva a chi entrava in casa e a volte alzava verso l’alto… tante cose della sua vita erano scritte lì, gli disse con stupore, e “quel Gesù ha vissuto come è toccato a me… a noi. Il Vangelo mi ha letto la vita”. “A quell’uomo va la mia gratitudine”, annota Bianchi, “In quel «librettino» io cercavo sempre Dio, quel contadino mi stava dicendo che dovevo cercarvi anche l’uomo”.
Ma forse lo spunto più bello e importante si trova nel capitolo intitolato “Amicizia e fraternità, nonostante”, dove l’autore ricorda che alla fine ciò che conta davvero sono solo tre cose come afferma la tradizione cristiana: la fede, la speranza e la carità. Ringrazia Dio per l’amore e l’amicizia che ha ricevuto da molte persone. Cita un sacerdote amico che ha proposto una singolare traduzione dell’inno latino “Ubi caritas”: «Dove c’è amicizia e amicizia vera, lì c’è Dio e lì c’è l’uomo!». Non omette di riconoscere che proprio nei rapporti più fraterni a volte si manifestano i nostri egoismi e le piccole o grandi falsità che richiedono ogni giorno misericordia e perdono.
Aldilà dei piani pastorali, dei predicozzi che scrivo anch’io su queste pagine, delle capacità o simpatie che può suscitare un prete piuttosto di un altro, penso proprio che se non cercheremo di essere realmente amici, di darci ascolto e aiuto reciproco, partendo ovviamente da chi ci è più vicino, di aver a cuore quella “pastorale dei volti” come ha detto il nostro nuovo vescovo, difficilmente riaccenderemo il fuoco della fraternità.
Se non ritorniamo a far comunità pregando insieme, ascoltando quella parola che può leggerci la vita oltre che ricordarci che siamo figli amati da un unico Padre, ma anche sedendoci a tavola con la gioia di mangiare insieme una pizza o un piatto di pastasciutta, difficilmente sentiremo ardere quel fuoco. E ancora più difficilmente chi non mette più piede in chiesa potrà essere sfiorato dall’idea: “Guarda quelli lì come si vogliono bene!”.
Franco
Cüntòmela di TUTTO UN PO'
29, 30 aprile e 1 maggio 2018
Domenica 29 aprile: BORNO - SACRA DI S. MICHELE - VIZILLE - GRENOBLE
- Ritrovo all’orario stabilito presso la pro-loco di Borno.
- Partenza in pullman. Soste lungo il percorso.
- Visita alla Sacra di san Michele. Santa Messa e pranzo.
- Dopo pranzo partenza per Vizille e visita al castello,
- dimora che è stata la culla della Rivoluzione Francese.
- Arrivo a Grenoble, sistemazione in hotel,
- cena e pernottamento.
Lunedì 30 aprile: SANTUARIO DE LA SALETTE
- Colazione in hotel. Partenza per il santuario de La Salette.
- Giornata dedicata alla visita del santuario e alle varie celebrazioni.
- Pranzo presso il santuario.
- Nel tardo pomeriggio rientro in hotel, cena e pernottamento.
Martedì 1 maggio: GRENOBLE – BORNO
- Colazione in hotel.
- Mattinata dedicata alla visita della città di Grenoble,
- che vanta più di 2000 anni di storia e è ricca di monumenti
- ed edifici storici sia religiosi sia civili e militari.
- Pranzo in ristorante. Nel pomeriggio partenza per Borno.
- Soste lungo il percorso. Arrivo in tarda serata.
Costo del pellegrinaggio: 350 euro
La quota comprende: viaggio in pullman GT a/r; trattamento di pensione completa dalla cena del primo giorno al pranzo del terzo giorno; visite guidate a Grenoble e al Santuario de La Salette.
Iscrizioni Presso DON FRANCESCO entro il 15 marzo versando una caparra di 150 euro.
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