Estate 2019
PAROLA DEL PARROCO
Carissimi,
che cosa ci “raccontiamo” in questi giorni d’estate?
Siamo lontani dalle solennità della Pasqua e del Natale, ma non dobbiamo scordarci che la solennità dell’Assunta è la Pasqua dell’estate! Così, anche questo tempo di meritato riposo, di benefico svago, ci invita a riflettere e a riscoprire la dimensione profonda della vita. In questi mesi estivi celebriamo i santi patroni delle nostre comunità. Ecco un altro bello spunto di riflessione: raccontarci il valore della santità nella vita cristiana!
Troverete, in questo numero del nostro giornale della comunità, tante notizie, iniziative, curiosità e vita vissuta.
L’intento è di rinnovare l’entusiasmo e la gioia di essere cristiani, di crescere come comunità, sentendoci missionari-testimoni della bella notizia che è Gesù.
Riscopriamo allora insieme l’appartenenza di ognuno alla propria comunità ricca delle proprie tradizioni e delle belle ed esclusive peculiarità, ma facendo in modo che le differenze diventino motivo di accoglienza e di ricchezza reciproca. Faremo così esperienza di vera unità pastorale e ci prepareremo al meglio alla missione popolare del prossimo anno.
In questo tempo per così dire “rallentato”, riscopriamo la bellezza e la centralità dell’eucaristia: il nostro vescovo ce la indica come scelta per il nuovo anno pastorale, incoraggiandoci a partecipare alla Messa e riscoprendola come incontro con Gesù che ci apre agli altri.
Nella settimana dell’Assunta vivremo le giornate eucaristiche o “Quarant’ore”: l'adorazione del Santissimo Sacramento, visibile nell'ostensorio contenente l'Ostia consacrata per pensare, pregare, ringraziare…
Sul nostro Altopiano, in questi mesi si cercano riparo dalla calura, aria fresca e pulita, paesaggi belli e incontaminati. Nell’emozionarci per la bellezza di tanti doni, facciamo un passo in più e riscopriamo anche la bella notizia del Vangelo, lasciamoci affascinare da “belle storie” ricche di bene, raccontiamo il nostro passato e guardiamo con fiducia e speranza al nostro futuro; anche se ci troviamo spesso a raccontare di problemi e preoccupazioni, facciamolo in autentico spirito di condivisione e sostegno. Sarà più alleggerito il nostro fardello e non solo il corpo, ma anche la nostra anima sarà ritemprata!
Auguro dunque a tutti, residenti, originari, e villeggianti un tempo d’estate ricco di bene in una gioia autentica e duratura.
Vostro
Don Paolo
PER RIFLETTERE
Nel cuore della stagione estiva, i giorni del ferragosto non sono soltanto una pausa di riposo dal lavoro, di sollievo, di distensione e di incontro con amici, magari in un bel luogo di villeggiatura come l'Altopiano del sole (anche se quest'anno ha conosciuto molta pioggia). Sì, il ferragosto è anche questo: ed è bello avere una pausa per ricaricare le batterie e irrobustire le nostre energie, fisiche e spirituali, godendo delle gioie degli affetti familiari e degli incontri con gli amici.
Ma il ferragosto non deve limitarsi solo a questo: per i credenti, al centro del ferragosto vi è una delle feste più antiche e più suggestive in onore della Madonna: l'Assunzione.
Quando è uscita dalla scena di questo mondo, la Madonna è stata subito glorificata: il suo corpo non è stato abbandonato alla corruzione del sepolcro, come avviene per tutti i mortali, ma è stato spiritualizzato e assunto in cielo.
In previsione dei meriti di Cristo, la Madonna era stata preservata dalle conseguenze del peccato originale: era pertanto logico che fosse esentata anche dalla corruzione del sepolcro. Inoltre, sarebbe stato strano abbandonare alla corruzione quel corpo nel quale il Figlio di Dio si era fatto uomo.
La glorificazione della Madonna anche nel corpo ci parla della dignità del corpo umano e ci ricorda che il nostro corpo è destinato alla gloria del cielo alla fine del mondo.
In pari tempo ci dice che l'uomo e la donna non esauriscono il loro essere nel corpo. Siamo anche spirito. Non si può ridurre la vita, non si possono ridurre gli ideali della vita solo al godimento dei sensi.
Nell'attuale ora della storia, segnata da tante immoralità e profanazioni del corpo, la glorificazione della Madonna anche per quanto riguarda il corpo è un invito ad elevare la vita, a purificare l'esistenza, ed è appello ad una sana reazione contro il dilagare del male, che con la sua violenza ed i suoi drammi rende triste e bassa la vita.
La solennità dell'Assunta inoltre getta luce sui problemi, le preoccupazioni, le gioie e le speranze della nostra esistenza. Abbiamo bisogno di lavoro, abbiamo bisogno di pane, ma abbiamo bisogno anche di Dio. Le prodigiose conquiste del progresso hanno migliorato la qualità della vita, hanno reso la nostra esistenza più confortevole, ma lasciano senza soluzione le aspirazioni più profonde dell'animo umano. Solo l'apertura al mistero di Dio può colmare il vuoto del nostro cuore e darci serenità e gioia.
La Madonna Assunta in cielo getta luce anche sul nostro futuro, sul nostro destino eterno, cioè su quanto ci attende oltre questa vita. Il grande filosofo Kant si poneva una domanda che spesso affiora nel cuore umano: che cosa posso sperare per il mio futuro? Debbo pensare che tutto terminerà nella tomba? Debbo pensare che i miei giorni e tutti i miei sforzi sono una corsa verso il nulla?
No, la nostra avventura umana non termina nel nulla.
L'assunzione al cielo della Madonna ci dice che la nostra vita non si esaurisce nelle vicende terrene, ma ha il suo termine ultimo in Dio: ha il suo senso vero in Dio. Nella Madonna Assunta in cielo vediamo la meta verso la quale siamo incamminati. Quanto è avvenuto alla Madonna è garanzia di un futuro che si realizzerà anche per noi. Siamo fatti per il Paradiso: là è il nostro traguardo, la nostra meta, la nostra patria, il nostro destino eterno.
Guardare al cielo non è sfuggire alle nostre responsabilità su questa terra. Il pensiero del cielo ci aiuta a vedere le cose di questo mondo nella giusta luce, e ci permette di attingere luce, speranza e forza dall'alto.
Card. Giovanni Battista Re
PER RIFLETTERE
Una riflessione sulla festa dell'Assunzione di Maria
[…] Noi viviamo in un periodo in cui l'attrattiva delle cose naturali si è fatta assai suggestiva; natura, scienza, tecnica, economia e godimento impegnano potentemente la nostra attenzione, il nostro lavoro, la nostra speranza; e la fecondità meravigliosa, che l'ingegno e la mano dell'uomo hanno saputo trarre dal seno della terra, ci ha procurati beni, ricchezze, cultura, piaceri, che sembrano saziare ogni nostra aspirazione, e che sembrano corrispondere perfettamente alle nostre facoltà di ricerca e di possesso.
Le parole del Vangelo […] dicono il rimprovero di Gesù a Marta troppo sollecita delle cose materiali. Qui è la vita, dice la nostra faticosa, ma vittoriosa conquista del mondo circostante; e qui si dirigono, si legano e si arrestano i nostri desideri; qui arriva la nostra speranza, qui si ferma il nostro amore. E quando è così – e come spesso lo è – non siamo più capaci di pregare, di aspirare alle cose trascendenti e supreme, di porre la nostra speranza al di là del quadro della nostra immediata esperienza. […]
In altri termini: siamo gente tutta occupata dai desideri e dagli affari di questo mondo, come se altro noi non dovessimo cercare ed amare. Così non siamo più spiriti veramente religiosi, che conoscono la contingenza radicale delle cose presenti; e non siamo più allenati a estrarre i valori superiori, che sono quelli morali, connessi col nostro eterno destino, dal rapporto, che pur dobbiamo cercare e perfezionare, con le cose presenti; le quali sono solo a noi prodighe di valori utili, ma non definitivi.
Ecco allora che la festa dell'Assunzione di Maria fa risuonare alle nostre anime quasi uno squillo di trombe celesti, una chiamata che parte di là, dall'altra riva della vita, quella oltre il tempo e oltre questo quadro del nostro mondo naturale, quella dell'eternità e della vita soprannaturale nella sua dispiegata pienezza.
Così l'Assunzione della Madonna ci obbliga, con suadente invito, a verificare se la viam che ciascuno di noi percorre, è rivolta verso il sommo traguardo, e a rettificarla decisamente verso di esso. […]
Maria ci chiami. Maria ci dia la fede nel Paradiso e la speranza di raggiungerlo. Maria ci aiuti a camminare per la via di quell'amore che a quel beato termine conduce. Maria ci insegni ad operare con bravura e con dedizione, sì, nella cura delle cose di questo mondo, che ci danno il programma dei nostri immediati doveri; ma Maria ci dia insieme la sapienza e la povertà di spirito, che tengano liberi i nostri cuori e agili i nostri animi per la ricerca dei beni eterni. […]
Da "Leviamo in alto le nostre teste". Omelia durante il Pontificale nel Duomo di Milano nella solennità di Maria Assunta,15 agosto 1961 in G.B. Montini (Arcivescovo di Milano), Discorsi e scritti milanesi (1954-1963), vol. III, Brescia-Roma, Istituto Paolo VI-Edizioni Studium, 1997, n. [1831], pp. 4545-4552.
PER RIFLETTERE
La lettera del vescovo per il nuovo Anno Pastorale
“Sono convinto che nel cuore della missione della Chiesa ci sia l’Eucaristia. Non sono certo il primo a pensarlo, ma mi fa piacere dichiararlo. L’Eucaristia è un nucleo incandescente, una sorgente zampillante, una realtà misteriosa che permette alla Chiesa di essere veramente se stessa per il bene del mondo. Mi piacerebbe far percepire a tutti questa verità”. Con queste parole si apre la lettera pastorale del vescovo Pierantonio per il prossimo anno. Al centro ci sta l’Eucaristia, l’atto liturgico per eccellenza, attraverso la quale siamo nutriti dalla Bellezza.
Nell’introduzione il nostro vescovo chiarisce quali sono le motivazioni che lo hanno portato alla scelta di questo tema e lo fa evidenziando una preoccupazione generale: oggi il numero di chi partecipa all’Eucaristia domenicale è molto diminuito. “Quel che una volta appariva normale, giusto e doveroso, sembra non esserlo più. Capiamo bene che non possiamo imporre e, d’altra parte, le raccomandazioni già su ragazzi e adolescenti hanno poco effetto. Quanto ai giovani e agli adulti, è evidente che deve trattarsi di una decisione libera e convinta. Perché dunque risulta così difficile prenderla? Perché questa disaffezione crescente?” A queste domande il vescovo risponde invitando a puntare sul valore, sulla grandezza e sulla bellezza dell’Eucaristia. Questo è lo scopo della lettera: aiutarci a cogliere tutta la potenzialità di questo grande sacramento, celebrato e vissuto nella verità.
C’è, poi, un secondo motivo che ha portato il vescovo a dedicare questa lettera all’Eucaristia, un motivo storico: il cinquecentesimo anniversario della costituzione della Compagnia dei custodi delle Sante Croci. Della croce l’Eucaristia è memoriale e questo anniversario, celebrato da un Giubileo Straordinario, aiuterà l’intera diocesi a fare del sacramento dell’altare il cuore pulsante della nostra Chiesa.
Nelle varie parti in cui la lettera è divisa, il vescovo Pierantonio mette in luce tutti gli aspetti dell’Eucaristia.
La lettera si conclude con una bella mediazione sull’icona della Trinità di Andrej Rublëv. “Un particolare dell’icona mi preme qui di sottolineare: la coppa presente al centro della mensa. Essa richiama il sacrificio del Figlio sul calvario, ma anche l’Eucaristia che permetterà di riviverlo nella forma del memoriale liturgico. Così, l’icona di Rublëv ci fa comprendere che l’orizzonte ultimo della celebrazione eucaristica è la comunione d’amore della Santissima Trinità. Il memoriale liturgico dell’Eucaristia rinvia contemporaneamente al sacrificio d’amore sul calvario e al mistero d’amore originario, cioè la comunione del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
Basta questo per non perdere l’Eucaristia domenicale e celebrarla con la dignità che merita.
Brevi considerazioni
Ringraziamo il vescovo Pierantonio per averci donato queste pagine, dalle quali traspaiono una grande fede e un grande amore verso l’Eucaristia. Personalmente ritengo che la Chiesa (che è sempre e solo di Cristo!) oggi necessiti di una seria e profonda conversione eucaristica.
C’è urgente bisogno che questo mirabile sacramento diventi il centro di tutto, sia lo stile e la forma dell’agire della Chiesa.
Se essa saprà celebrare, adorare e vivere con la dovuta fede l’Eucaristia, sarà capace anche di dire una parola di verità seria e affascinante su Dio e sull’uomo, altrimenti si ridurrà a una combriccola di assistenti sociali, preoccupata di piacere al mondo, più che di salvare le anime perché tutte possano andare in Paradiso.
È un cammino arduo, guardando il panorama ecclesiale, ma non impossibile. Allora, rimbocchiamoci le maniche!
Don Simone
PER RIFLETTERE
Il nostro vescovo scrive nella sua scelta pastorale impostata sul tema della santità, che questa parola noi la sentiamo come una realtà irraggiungibile e, a causa di questo nostro sentore, la percepiamo come un qualcosa che ci squalifica e ci fa sentire a disagio. I santi li vediamo come persone speciali, e lo sono, ma noi li riteniamo talmente speciali e dotati di una notevole perfezione tanto da farci pensare che facciano parte di una umanità stratosferica diversa da quella comune a tutti. Dunque la conclusione è che la santità è sì ammirabile e apprezzabile, anche per i non credenti, ma non è alla nostra portata. Pensandoci bene questa considerazione riguardo la santità ci potrebbe far comodo, come alibi per giustificare il nostro eventuale disimpegno nel cercare di raggiungerla.
I nostri santi patroni che festeggiamo nelle cinque parrocchie proprio nell’arco della stagione estiva, ci ricordano invece che non è così. Anche loro hanno fatto fatica a diventare santi, e ci sono riusciti ricorrendo alla fede, alla preghiera, magari contemplando la santità di altri santi, però anche consapevoli di essere poveri peccatori. Pensiamo solo a quello che diceva San Paolo: “In me c'è il desiderio del bene, ma non c'è la capacità di compierlo. Infatti io non compio il bene che voglio, ma faccio il male che non voglio”. (Rm 7,18-19)
Li abbiamo scelti come grandi padri, cioè come “patroni” per vari motivi. Un santo può essere scelto come patrono per un fatto straordinario che si è realizzato nel passato, come ad esempio un grave pericolo o una possibile sciagura per la comunità scampati per “grazia ricevuta”, oppure per la devozione che i fedeli, fin dai tempi antichi, hanno sempre nutrito per quel santo in particolare, oppure ancora per una azione missionaria che ha introdotto il culto di un santo, ma anche per eventi miracolosi legati a quel santo o anche, nel caso di Maria santissima, alle apparizioni. Al santo patrono quindi, noi attribuiamo il compito della nostra custodia da ogni pericolo. Ma ogni santo patrono, oltre a questo compito, ne ha uno ancora più impegnativo: condurci a Dio. Un santo non è lì per attirare l’attenzione su di sé, ma con la sua intercessione ottiene ogni grazia da Dio per noi, specialmente la grazia delle fede; inoltre con i suoi insegnamenti e con i suoi esempi di vita, ci guida sulla via della santità. Per questo Papa Benedetto XVI esortava tutti a leggere le vite dei santi, perché dentro la loro vita si riflette quella di Gesù, con tutte le opere di misericordia che Lui ci ha insegnato e testimoniato con queste motivazioni: “siate santi come io sono santo”, (Lv 19,2) e “così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli.” (Mt 5,16).
Quest’anno, in occasione della festa patronale a Borno, è stata allestita una meravigliosa mostra dei “Santi della porta accanto”. Un’ ottima occasione per far tesoro del consiglio di Papa Benedetto XVI e contemplare ancora la bella ed edificante vocazione alla santità. In cosa consiste, allora la nostra devozione ai santi patroni? Anzitutto nel pregarli tenendo conto che non sono loro a fare i miracoli o ad agire, ma che intercedono presso Dio per ottenere l’aiuto che ci serve; poi nello sforzo di imitarli seguendo i loro esempi e la loro obbedienza filiale a Dio, per poter essere quella luce che risplende davanti agli uomini, perché vedano le nostre opere buone e rendano gloria al nostro Padre che è nei cieli. Ci auguriamo che là dove la devozione al patrono si è affievolita, venga riscoperta, rafforzata con una forte e gioiosa convinzione, tanto che ogni celebrazione in loro memoria coinvolga tutta la comunità parrocchiale in un autentico “cammino di comunione con i santi”.
Don Mauro
S. Giovanni Battista
SS. Cosma e Damiano
SS. Nazaro e Celso
SS. Gervasio e Protasio
SS. Pietro e Paolo
PER RIFLETTERE
Tutti noi desideriamo evadere, almeno per un po' di tempo, dal solito tran tran della vita quotidiana. La vita, in generale, è bella, però quanta fatica esige da noi: concentrazione, preoccupazioni, responsabilità continue, dolori, sofferenze, monotonia, stress... Sembriamo operai alla catena di montaggio che ripetono per tutta una vita le solite cose, a tal punto da fare subentrare in noi una rassegnazione cronica.
Però, dentro di noi, ogni tanto (forse anche solo una volta all'anno) scatta una ribellione contro noi stessi, contro tutto e tutti e diciamo: basta, chiudo bottega e vado in ferie! Il sogno di un anno finalmente si tramuta in realtà!
La partenza è preceduta da giorni febbrili di meticolosa preparazione, si entra in tranche. Cosa volete, siamo fatti così!
Quando, dopo il meritato riposo, ci apprestiamo a rientrare, la sola l'idea di ricominciare tutto come prima, crea dentro di noi un’ansia almeno pari a quella che avevamo quando siamo partiti. Pensavamo, credevamo che avremmo potuto ricominciare una nuova vita, invece solito ambiente, solite persone (ma gli altri non cambiano mai?), solite faccende, solito lavoro… e via di questo passo. Si era partiti stanchi, ma carichi di speranze (anche se consapevolmente illusorie) si torna stanchi e vuoti, vuoti dentro, più di prima.
Proviamo a pensare come potremmo impostare le nostre vacanze in modo tale da renderle diverse, cioè più piene di contenuti tali da renderle efficienti, feconde, capaci di cambiare il nostro modo di vivere una volta tornati a casa.
RICOSTRUIRE UN RAPPORTO PIÙ PERSONALE CON DIO
Da cristiani domandiamoci: che valenza ha Dio nella nostra vita? Che rapporto abbiamo con Lui? Dio ci è utile o necessario? Ci accontentiamo di incontrarlo solo nella S. Messa domenicale e in qualche preghiera? Forse andiamo in ferie anche da Lui?
Abbiamo tanto tempo libero a disposizione nei giorni di vacanza: usufruiamolo per stare un po' più con Lui. Nella valigia mettiamoci anche la Bibbia e leggiamone almeno qualche paginetta al giorno. Nella Bibbia Dio parla a noi, parla di noi, parla con ognuno di noi. Quante cose possiamo imparare! Come cristiani non dobbiamo trascurare questa possibilità. Può darsi che prenderemo coscienza che Dio, per noi, è un illustre sconosciuto, e questo potrebbe farci vergognare, ma sarebbe già un passo!
Leggiamo un Salmo al giorno! Dio stesso mette sulle nostre labbra parole adatte a noi, ci insegna a pregare con sentimenti e parole che Lui stesso suggerisce. Scopriremo un modo di pregare veramente gratificante, Lui ci conosce, sa di cosa abbiamo bisogno.
Dio sarà contento nel constatare la nostra gioia nel parlare con Lui. Creare una intimità così profonda arricchisce la vita, apre la mente e il cuore per scoprire con maggior chiarezza il senso vero della stessa esistenza.
RISCOPRIRE LA NATURA E IL MONDO IN CUI VIVIAMO
Il nostro camminare nel mondo è troppo frettoloso, non ci accorgiamo quasi più di niente. Non ci rendiamo conto della bellezza della vita che abita intorno a noi. La creazione in cui viviamo pare che non ci interessi più di tanto. Conosciamo tutto, non ci stupiamo di niente.
Lo stupore non esiste più, pensiamo sia roba da bambini.
La creazione della natura che ci circonda rischia di non farci neanche solletico, ci vantiamo di essere impermeabili a certi tipi di emozioni. L'assuefazione ad una realtà percepita solo in modo epidermico, concorre ad allontanarci sempre più da Dio riversando la nostra attenzione ed interesse unicamente su noi stessi.
Durante le nostre camminate e passeggiate fermiamoci, sediamoci e guardiamoci attorno! Riflettiamo. Tutto intorno è vita: il calore del sole, il fresco all'ombra di una pineta, la distesa infinita del mare, la pace in riva ad un laghetto alpino, le stesse montagne che ci circondano, le erbe e i fiori dei campi, la volta stellata del cielo nelle serate all'aperto, l'aria salubre che respiriamo, i paesaggi dell'alta montagna, le vette e le cime dei monti, lo spettacolo dei panorami che stupiti ammiriamo... Tutto è bello, tutto è vita, tutto è dono gratuito di Dio unicamente per noi, per me.
Consideriamo la vita degli animali nei grandi oceani, nei laghi, nei fiumi… Il mondo pulsa di vita divina perché tutto ciò proviene direttamente da Dio.
Chi sono io singolarmente, che meriti ho per godere di tutta questa meraviglia del creato?
Tutto Dio ha messo a nostra disposizione per farci felice. Eppure, considerando la grandezza infinita del creato e la mia incommensurabile piccolezza e nullità, facciamo fatica ad elevare a Dio un pensiero di umile ringraziamento.
Recuperiamo questo rapporto con il Signore. Siamo un nulla, nessuno, in mezzo a queste infinite grandezze, eppure Dio ci segue passo dopo passo, prendendosi cura di noi, come se ognuno di noi fossi unico nel godere del suo amore privilegiato. Dio ci elargisce doni senza fine, Grande è il Signore, degno di ogni lode!
RISCOPRIRE UNA VERA FRATERNITÀ CON LE PERSONE
Quanta gente incontriamo durante le ferie! Quasi tutte persone sconosciute. Nella serenità delle vacanze, sforziamoci di entrare in relazione con loro in un modo più sereno, direi più cristiano. Offriamo a tutti coloro che incontriamo un sorriso ed un saluto. Potranno essere un po' diffidenti, ma non ci sono nemici, come spesso giudichiamo coloro con cui viviamo quando siamo a casa nostra. Spesso le persone sono migliori di quanto pensiamo.
A causa della nostra meschinità umana, trasmessaci dal peccato, tendiamo a vedere negli altri degli antagonisti, con cui lottare ogni giorno per non lasciarci sopraffare e schiacciare. Non vogliamo essere assoggettati da nessuno. Tutto questo permette che si crei un muro, una barriera che ci isola piano piano dagli altri a tal punto di soffrire poi una solitudine sempre più angosciante.
Il Vangelo, la nostra fede ci invitano, sull'esempio di Cristo, ad uscire dal guscio della nostra superbia per vedere e scoprire che, nella persona che incontriamo, esiste qualcosa che rende possibile l'abbattimento delle nostre barriere per costruire rapporti per noi più felici e gratificanti. Ogni persona (anche se non se ne rende conto) porta in sé un desiderio, seminato in lei da Dio, di essere amato, rispettato, accolto per come è.
Impariamo a vedere nel prossimo una mano tesa verso di noi, pur pregna di ogni debolezza umana. Purtroppo abbiamo una concezione molto laica nel giudicare il nostro interesse per i bisogni altrui. Vogliamo amare l'altro alle nostre condizioni, ai vantaggi che ne potremmo avere, alla superiorità che potremmo imporre, alla stima e ammirazione che ne deriverebbe… al nostro io.
Ma Gesù non si è comportato così!
Si è umiliato fino a spendere tutta la sua vita per gli altri, ha dato tutto sé stesso per renderci felici. Ha dato tutto senza chiedere niente. Impariamo ad accostarci agli altri senza seconde intenzioni, mettiamo sempre a proprio agio coloro che incontriamo, ascoltiamo le loro parole sempre con interesse, facciamo nostre le loro disavventure, i loro problemi, le loro sofferenze. Mettiamo sempre una buona parola, infondiamo costantemente fiducia e speranza.
Abbiamo ricevuto tanto da Dio; apriamo le mani e il cuore, ridoniamo agli altri ciò che la grazia di Dio gratuitamente ci ha elargito.
Rileggiamo attentamente queste parole, soffermiamoci un poco su di esse e proviamo a renderle operative non solo in tempo di vacanza, ma anche dopo.
Un saluto cordiale a tutti.
don Lorenzo
MISSIONE POPOLARE
“Perché la vostra gioia sia piena” (Gv 15,10)
Come annunciato sul numero precedente di Cüntòmela, le parrocchie del nostro Altopiano il prossimo anno vivranno l’esperienza intensa delle Missioni Popolari, da marzo ad ottobre.
In queste settimane si è costituita la Segreteria delle Missioni, composta da rappresentanti di ognuna delle cinque parrocchie, con il compito di definire il cammino che ci attende, il programma e individuare lo slogan, che ispiri il tempo della preparazione e la celebrazione vera e propria delle Missioni.
A tal riguardo, ci è parso bello insistere sul tema della GIOIA, perché ci piacerebbe che l’evento di grazia delle Missioni aiutasse tutti a riscoprire la gioia della fede e del camminare insieme verso il Regno di Dio.
Ecco allora il motto: CON CRISTO CAMMINIAMO NELLA GIOIA, che si rifà ad un passo del capitolo dieci del vangelo di Giovanni: “Perché la vostra gioia sia piena!” Cristo è la vera gioia dell’uomo e solo con lui è possibile camminare insieme, come comunità, come parrocchie e rendere una testimonianza che affascini.
Come accennato le Missioni Popolari si celebreranno da marzo a ottobre del 2020, in tre tappe, ognuna delle quali darà particolare importanza ad un gruppo di parrocchie.
Qui a fianco trovate il programma di massima delle Missioni, che verrà definito ulteriormente nel corso dei prossimi mesi.
A partire dal mese di ottobre, quando avremo definito tutto il necessario, inizieremo anche a pregare seriamente, perché ciascuno di noi si prepari a celebrare nella fede e nella gioia questo tempo di grazia; ciascuno si lasci visitare dal Signore, che attraverso i missionari bussa alla porta della nostra casa per prendere dimora stabile nella nostra vita e renderla “una meraviglia stupenda”.
a cura di don Simone
Innanzitutto, sabato 21 marzo presso il Santuario della Ss. Annunciata ci sarà una Messa solenne per tutte le nostre parrocchie, con la quale vogliamo iniziare insieme questo cammino, invocando la benedizione del Signore e l’assistenza particolare di Maria e del Beato Innocenzo.
Da sabato 28 marzo a domenica 5 aprile
celebrazione delle Missioni Popolari nelle parrocchie di Villa e dei Ss. Nazaro e Celso di Lozio.
Da sabato 16 a domenica 24 maggio
celebrazione delle Missioni Popolari nelle parrocchie di Ossimo Inferiore e Ossimo Superiore.
Da sabato 26 settembre a sabato 11 ottobre
celebrazione delle Missioni Popolari nella parrocchia di Borno.
In ciascuna parrocchia, durante il tempo delle Missioni, ci saranno alcuni appuntamenti particolari:
I missionari si fermeranno nelle nostre parrocchie per tutto il tempo della celebrazione della missione (una settimana a Lozio e Ossimo e due a Borno). Chi intendesse dare ospitalità per la notte a un missionario può comunicarlo a don Paolo o agli altri sacerdoti.
MISSIONE POPOLARE
San Carlo Eugenio de Mazenod
Le Missioni Popolari vedranno coinvolte tutte le parrocchie e tutte le forze vive e i volontari che compongono le nostre comunità, ma a condurre questa esperienza, visitando le famiglie, aiutandoci a pregare e ad ascoltare la Parola di Dio, saranno i Missionari Oblati di Maria Immacolata.
Conosciamoli un po’ meglio.
Innanzitutto gli OMI (Oblati di Maria Immacolata) sono una famiglia religiosa missionaria. Il loro carisma è quello della comunione dell’evangelizzazione. Particolare attenzione viene riservata agli ultimi, ai più abbandonati, ai poveri, a tutti quei volti che chiedono speranza e salvezza.
La predicazione delle Missioni popolari fu il primo compito degli OMI e ancora oggi rimangono un pilastro della loro opera di evangelizzazione. Oltre a questo e a quanto già ricordato, particolare attenzione viene prestata all’annuncio del vangelo alle giovani generazioni.
Ad oggi gli Oblati di Maria Immacolata sono poco meno di 4000 e sono presenti in 70 nazioni del mondo.
Il fondatore è Eugenio di Mazenod. Figlio di un aristocratico francese, con l’inizio della Rivoluzione è costretto a fuggire in Italia, dove rimarrà in esilio fino all’età di vent’anni. Tornato in patria, in un momento di crisi esistenziale, durante un venerdì santo fa l’esperienza dell’amore di Dio e ritrova il senso della propria vita.
Decide di diventare sacerdote e nel 1812 chiede di potersi dedicare ai giovani, ai carcerati e alle popolazioni delle campagne. Dopo aver rischiato la morte per tifo, contratto mentre svolgeva la sua opera in carcere, comprende la necessità di radunare attorno a sé un gruppo di sacerdoti che condividano il suo ideale. Fonda così la comunità degli Oblati di Maria Immacolata, con l’obiettivo di lavorare insieme per le missioni popolari nelle campagne. Nel 1826 la Congregazione viene approvata dal papa e inizia la sua diffusione in tutto il mondo, in particolare in Canada, Oregon, Sri Lanka, Texas.
Eugenio diventa vescovo di Marsiglia nel 1832. Muore il 21 maggio 1861. Viene canonizzato da Giovanni Paolo II nel 1995.
Don Simone
MISSIONE POPOLARE
“In conclusione, si è cercato di presentare una relazione soprattutto sincera nella piena consapevolezza che nessuno di noi possiede la «chiave pastorale» per aprire la porta a tutti i problemi e, soprattutto, per la loro soluzione. Oltre la Visita Pastorale che senza dubbio darà energia nuova nel campo della fede, almeno lo si spera e per questo si è pregato il Signore, si sta pensando seriamente alla celebrazione della Missione. L’ultima volta è stata celebrata subito dopo la Visita Pastorale del 1974 e precisamente nel 1975. Sono già trascorsi sedici anni e quante cose sono cambiate. Questa proposta dovrà essere studiata e organizzata: e si prevede di realizzarla nella primavera del 1993.”
realizzato dopo le missioni del 1994
Le righe iniziali di questo articolo sono tratte dalla “Relazione per la VISITA PASTORALE” che nel 1991 il vescovo Mons. Bruno Foresti ha realizzato a Borno e nella Seconda Zona della Vallecamonica. Una visita da cui si è tratto vigore e slancio per la celebrazione delle Missioni popolari, che si sono in effetti svolte a Borno dal 2 al 15 febbraio 1994. La grazia di Dio ha fatto sì che la Missione venisse preparata con tanta preghiera e con tanta attenzione, anche ai minimi particolari. Posso dire che senz’altro la Missione del 1994 andò bene, eravamo tutti contenti: erano contenti i “missionari”, eravamo soddisfatti noi sacerdoti per la buona partecipazione dei parrocchiani.
Sono passati 25 anni e, rileggendo in questi giorni la relazione per la Visita pastorale del 1991, ho trovato descritta, nei suoi aspetti positivi e negativi, la situazione della comunità di Borno di allora. In 25 anni tante cose sono cambiate: qualche aspetto è migliorato, qualche altro magari è peggiorato, come del resto in tutte le comunità della nostra Vallecamonica.
La “Missione”, oggi come allora, deve aiutare il cristiano a risvegliarsi dal sonno spirituale che ci ha avvolto un po’ tutti: oggi siamo cristiani con una “fede fai da te”. Con il Battesimo il Signore ci ha inviato ad annunciare e a portare Gesù Cristo ai fratelli. S. Madre Teresa di Calcutta giustamente faceva notare: «Quando annunciamo il Vangelo, ricordiamoci che la nostra vita parla più forte delle nostre parole! Se la nostra vita smentisce le nostre parole, la gente guarderà la nostra vita e non ascolterà le nostre parole». Giorgio La Pira, coraggioso e coerente cristiano, fece a sé stesso questa domanda: «perché all’inizio del cristianesimo ci fu una grande e prodigiosa diffusione del Vangelo pur non avendo, i cristiani di allora, tanti mezzi di diffusione e di comunicazione?» e diede questa giusta risposta: «Allora i cristiani vivevano il Vangelo e, dovunque arrivava un cristiano, lì arrivava Gesù Cristo con la vita del cristiano. Oggi, purtroppo, abbiamo tanti mezzi per diffondere il Vangelo, ma i cristiani “non profumano più di Vangelo”: dobbiamo tutti ritrovare una fede viva, se vogliamo accendere altre persone con la fiamma della nostra fede. Con una candela spenta è impossibile accendere altre candele». Per essere chiaro: o si accetta tutto di Cristo o lo si rifiuta tutto. Il cristiano non può prendere di Cristo solo quello che gli fa comodo. Cristo come grande uomo sì, ma Dio no. Oppure Cristo sì, Chiesa no! Non possiamo fare a pezzi Cristo! Né, tantomeno, possiamo addomesticare la verità di Dio. La fede è una faccenda terribilmente pericolosa per gli smidollati (Kierkegaard).
Le Missioni popolari sono un grande dono di Dio. Auguro a tutti i Bornesi di accogliere con gratitudine verso Dio questo dono. “Timeo Dominum transeuntem” (Ho paura del Signore che passa). Sempre, ma soprattutto in una Missione, il Signore passa: spalanchiamo le porte delle nostre case, le porte del nostro cuore, permettiamo al Signore di entrare perché solo così potremo, anche in questi tempi difficili, profumare di Cristo, profumare di Vangelo. Questo è il mio augurio cari Bornesi, augurio che accompagno con la preghiera.
Buon cammino.
Don Giuseppe
MISSIONE POPOLARE
Un buon auspicio per le prossime missioni
Se non ricordo male era una nebbiosa domenica sera di novembre quando, nel salone parrocchiale, padre Ettore e padre Francesco vennero a parlarci delle Missioni Popolari che si sarebbero vissute a Borno nel febbraio 1994.
Quest’anno un incontro simile si è ripetuto presso la Sala Congressi nel primo sabato pomeriggio assolato di giugno. Gli interlocutori sono stati padre Alberto e padre Dino, sempre appartenenti ai Padri Oblati di Passirano, che ci hanno introdotto nello stesso clima delle Missioni Popolari che si terranno nel 2020 nelle nostre comunità di Villa e san Nazaro di Lozio, Ossimo Inferiore, Ossimo Superiore e Borno.
Del primo incontro, sempre se la memoria non mi inganna, ricordo soprattutto due cose: la metafora del minestrone e una canzoncina, neanche molto bella, proposta da padre Francesco.
Paragonando la comunità ad un buon minestrone, padre Ettore ci disse che con il tempo questo rischia di intiepidirsi se non addirittura di raffreddarsi, trasformandosi in un alimento insipido. La Missione Popolare sarebbe dovuta servire proprio a riaccendere quel fuoco, portato da Gesù sulla terra, che permette ai cristiani di sprigionare i sapori intensi e vigorosi dell’amore, del perdono, della gratuità, della voglia di incontrarsi e stare insieme. E con una semplice schitarrata in quella fredda domenica di novembre, padre Francesco ci trasmise un po’ di questo calore di essere e sentirci comunità.
Nel recente sabato di giugno, una delle espressioni che i due padri missionari hanno fatto risuonare con insistenza nella sala congressi è stata la parola gioia, rileggendo i fondamenti della nostra fede proprio come gioia di sentirci fratelli in Cristo venuto per donarci la vita piena.
Non molti giorni dopo questo incontro mi è capitato di parlare con una nuova amica, già nonna, che ha iniziato da poche settimane a portarmi da mangiare. Venuti sull’argomento della Messa della domenica mi diceva che ormai, a volte per il lavoro, a volte per altri impegni, spesso anche lei non ci va, concludendo con due espressioni divenute luoghi comuni: “Non rubo, non faccio del male, penso alla mia famiglia, quindi… E poi quelli che vanno in chiesa spesso sono peggio degli altri!”.
Da persona “sempre a Messa e quasi mai con la chiesa” – scusate se ho capovolto il detto popolare ma così lo preferisco – devo ammettere che in fondo anche queste due battute hanno qualcosa di vero. Soprattutto rivelano una concezione della fede, a mio avviso, troppo legata ad un moralismo di facciata, in qualche modo utile nei tempi passati per non fare brutta figura.
Caduto questo conformismo – ora per non far brutta figura sembra sia bene solo evitare di apparire bigotti, puntando quasi tutto su soldi ed efficienza psicofisica per soddisfare le proprie voglie individualistiche – è caduta pure la reale incidenza della fede nella nostra vita.
Anche solo nella preparazione in cui ci vogliono coinvolgere i padri, senz’altro le missioni popolari saranno una buona occasione per smuovere la realtà delle nostre parrocchie. Non so se queste potranno davvero essere quella miccia, di cui si parlava nel primo incontro del consiglio parrocchiale di Borno con don Paolo, per riaccendere entusiasmo e fervore.
Forse il passaggio dei missionari nelle nostre famiglie potrà essere un fuoco momentaneo. Ma chissà che qualche piccola scintilla trovi ospitalità duratura in qualche cuore. Come Pietro, Giacomo e Giovani anche noi avremo in qualche modo la possibilità di salire sul monte per riscoprire la bellezza dell'ascolto e dello stare insieme con Dio e con gli amici.
Una delle prime canzoni-bans, di solito non molto apprezzabili a livello musicale, che ho ascoltato quando sono stato coinvolto da don Giovanni e altri amici nella parrocchia e nell’oratorio costruito nel 1988 diceva: “Noi siamo gente di festa noi, siamo gente di gioia noi, e camminiamo insieme per le strade della vita”.
Dovrebbe essere questa l’esperienza che accende la vita di ogni persona: sentire quell’ardore della fede che ci spinge ad essere gente di festa, gente di gioia; persone, come diceva un altro bans insegnatoci da don Marco, che non hanno paura di navigare il mare delle difficoltà, per andare a far comunità con chiunque incontra ogni giorno.
Franco
CELEBRARE LA FEDE
Domenica 9 giugno 2019 nella Parrocchiale dei SS. Nazzaro e Celso, dopo il percorso di preparazione dei ragazzi con la catechista Alessia, il nostro Parroco don Paolo ed il delegato del Vescovo don Giuseppe Mensi hanno celebrato le Prime Comunioni e le S. Cresime dei nostri:
- ANGELICA MASSA (Sommaprada)
- CHIARA PICCINELLI (Laveno)
- DENIS MACARIO (Villa)
- GIORGIA CANOSSI (Sommaprada)
La funzione è stata emozionante e ben preparata con fiori, addobbi e con accompagnamento del gruppo "I Musicanti" che ha animato la liturgia.
Confidiamo nello Spirito Santo affinché accompagni sempre questi nostri giovani e li illumini nel loro cammino.
CELEBRARE LA FEDE
Anche quest'anno i ragazzi di Borno, Ossimo Inferiore e Ossimo Superiore, domenica 2 giugno insieme nella chiesa parrocchiale di Borno, hanno ricevuto i due sacramenti dell'Iniziazione Cristiana.
1. Aquini Thais
2. Avanzini Denis
3. Bassi Davide
4. Bertoni Kevin
5. Bettoni Giulia
6. Bocchi Matteo
7. Cotti Lorena
8. Di Maio Christian
9. Domenighini Roberta
10. Fedrighi Francesco
11. Gheza Lorenzo
12. Oliva Alessia
13. Re Anna
14. Rigali Diego
15. Rinaldi Aurora
16. Rivadossi Fabio
17. Rivadossi Martina
18. Zendra Sophie
19. Zerla Alice
20. Zerla Lorenzo
21. Zorza Gabriele
CELEBRARE LA FEDE
Nella chiesa parrocchiale di Ossimo Superiore, domenica 28 aprile i bambini di Borno, Ossimo Inferiore e Ossimo Superiore, accompagnati dalle catechiste, hanno ricevuto per la prima volta il Sacramento del Perdono.
Arici Sofia
Baisotti Dalila
Belinghieri Caterina
Bertelli Enrico
Botticchio Valerio
Cominotti Daniele
Corbelli Alice
Cottarelli Amira
Cottarelli Martina
Dabeni Mattia
Fiora Angela
Gheza Sara
Giorgi Tommy
Marioli Cristian
Marsigalia Giulia
Marsegaglia Marco
Odelli Francesca
Raffaldini Valentina
Rinaldi Ambra
Rivadossi Anna
Rivadossi Benedetta
Zendra Carlo
L'ABC DELLA FEDE
La celebrazione eucaristica è divisa in due parti principali, la Liturgia della Parola e la Liturgia Eucaristica. A queste si aggiungono alcuni riti che aprono e chiudono la celebrazione.
In questo numero approfondiremo la Liturgia della Parola e i riti che la precedono.
Riti d’introduzione
Il compito di questi riti non è soltanto quello di aprire la celebrazione, bensì di fare in modo che i fedeli radunati nella chiesa formino una comunità e si dispongano nel migliore dei modi all’ascolto della Parola di Dio e alla celebrazione dell’Eucaristia.
Questi riti introduttivi sono costituiti da diversi elementi:
La Liturgia della Parola
Terminati i riti d’introduzione con l’orazione colletta, si giunge alla prima grande parte della celebrazione eucaristica.
a cura di don Simone
L'ABC DELLA FEDE
Dopo aver presentato in maniera generale la struttura della Bibbia, cerchiamo ora di rispondere ad alcune domande che frequentemente ci si sente rivolgere a riguardo di questo libro.
In quali lingue è stata scritta la Bibbia?
La Bibbia è stata scritta in tre lingue: aramaico, ebraico e greco. L’aramaico (dal greco Aram, corrispondente all’attuale Siria) è una lingua semitica, parlata da Gesù e dai suoi discepoli. L’Antico Testamento è quasi tutto scritto in ebraico, fatta eccezione per alcuni passi in aramaico e in greco (il libro della Sapienza). Mentre il Nuovo Testamento è completamente scritto in greco.
Quando è stata scritta la Bibbia?
La composizione della Bibbia copre un arco temporale di circa mille anni: dal X sec. a. C. al I sec. d. C. All’origine del testo sacro ci sta la tradizione orale, le notizie e gli avvenimenti più importanti riguardanti i grandi personaggi del popolo eletto. Questi vengono dapprima tramandati oralmente e poi, in un secondo momento, messi per iscritto. L’ultimo libro dell’AT ad essere stato scritto è il Libro della Sapienza, mentre l’ultimo del NT è l’Apocalisse dell’apostolo san Giovanni.
Che cosa significa che la Bibbia è “un libro ispirato”?
Quando si dice che la Bibbia è ispirata, ci si sta riferendo al fatto che Dio ha influenzato divinamente gli autori umani delle Scritture, attraverso l’azione dello Spirito, in modo tale che ciò che essi hanno scritto sia la Sua stessa Parola. L’ispirazione ci comunica il fatto che la Bibbia è davvero la Parola di Dio e la rende unica rispetto a tutti gli altri libri.
Come leggere la Bibbia?
Alcuni consigli pratici:
1. La Bibbia non va letta, ma ascoltata. C’è bisogno per prima cosa di fidarsi del testo, di coloro che l’hanno scritto e dello Spirito che l’avvolge. Non si tratta di un libro antico, ma di un testo vivo che parla.
2. Va letta per capire se davvero Gesù è il Signore. Per noi cristiani è questa la prospettiva principale che ci spinge a ricercare come tutte le parole di questo testo trovino compimento e significato nella persona di Gesù.
3. Va compresa come un libro umano. È un libro scritto da uomini, che parla di uomini, cercando di comprendere le loro vicende alla luce della fede in Dio. Questa umanità trova il suo momento sorprendente e culminante proprio nella vicenda storica di Gesù.
4. Va letta ogni giorno, in piccole porzioni. Bisogna entrare in un regime di ascolto quotidiano, nel quale la costanza ceda poi il passo alla curiosità e alla passione.
5. Va letta anche insieme. La lettura personale è importante tanto quanto quella comunitaria. Il confronto e la condivisione con chi legge abi-tualmente la Bibbia ci aiuta e ci sostiene nel viaggio, e la sapienza di chi è più avanti non deve scoraggiarci ma solo ispirarci..
6. Va richiamata nel silenzio. Accade che nel silenzio della mente la frase che ci ha colpito si riaffacci nel corso delle nostre giornate, provocando conforto e sorpresa.
7. Va goduta nelle scoperte. Quando si inizia a scoprire cose sorprendenti e significati che ci meravigliano, si è pronti per capire che ciò che Dio ha seminato nell’autunno di una lettura faticosa, comincia a portare i frutti di una primavera rigogliosa.
a cura di don Simone
LA VOCE DEL CONVENTO
Spiegare e comprendere il dono dell’Indulgenza plenaria non è semplice ma cercherò di farmi aiutare utilizzando quanto il catechismo della Chiesa Cattolica esprime in tal senso.
L'indulgenza si ottiene mediante la Chiesa che, in virtù del potere di legare e di sciogliere accordatole da Gesù Cristo, interviene a favore di un cristiano e gli dischiude il tesoro dei meriti di Cristo e dei santi perché ottenga dal Padre delle misericordie la remissione delle pene temporali dovute per i suoi peccati. Così la Chiesa non vuole soltanto venire in aiuto a questo cristiano, ma anche spingerlo a compiere opere di pietà, di penitenza e di carità.
Poiché i fedeli defunti in via di purificazione sono anch'essi membri della medesima comunione dei santi, noi possiamo aiutarli, tra l'altro, ottenendo per loro indulgenze, in modo tale che siano sgravati dalle pene temporali dovute per i loro peccati.
Per comprendere questo dono che la Chiesa offre, bisogna tener presente che il peccato ha una duplice conseguenza.
Il peccato grave ci priva della comunione con Dio e perciò ci rende incapaci di conseguire la vita eterna, la cui privazione è chiamata la «pena eterna» del peccato.
D'altra parte, ogni peccato, anche veniale, provoca un attaccamento malsano alle creature, che ha bisogno di purificazione, sia quaggiù, sia dopo la morte, nello stato chiamato purgatorio. Tale purificazione libera dalla cosiddetta «pena temporale» del peccato.
Queste due pene non devono essere concepite come una specie di vendetta, che Dio infligge dall'esterno, bensì come derivanti dalla natura stessa del peccato.
In verità, una conversione, che procede da una fervente carità, può arrivare alla totale purificazione del peccatore, così che non sussista più alcuna pena.
Il perdono del peccato e la restaurazione della comunione con Dio comportano la remissione delle pene eterne del peccato. Rimangono, tuttavia, le pene temporali del peccato.
Il cristiano sopportando pazientemente le sofferenze e le prove di ogni genere e attraverso le opere di misericordia e di carità, come pure mediante la preghiera e le varie pratiche di penitenza, è chiamato a spogliarsi completamente dell’«uomo vecchio» e a rivestire «l’uomo nuovo».
In questo cammino di purificazione del suo peccato e di santificazione, mediante l’opera dello Spirito Santo, il cristiano non si trova solo. «La vita dei singoli figli di Dio in Cristo e per mezzo di Cristo viene congiunta con legame meraviglioso alla vita di tutti gli altri fratelli cristiani nella soprannaturale unità del corpo mistico di Cristo, fin quasi a formare una sola mistica persona».
Nella comunione dei santi «tra i fedeli, che già hanno raggiunto la patria celeste o che stanno espiando le loro colpe nel purgatorio, o che ancora sono pellegrini sulla terra, esiste certamente un vincolo perenne di carità ed un abbondante scambio di tutti i beni». In questo ammirabile scambio, la santità dell'uno giova agli altri, ben al di là del danno che il peccato dell'uno ha potuto causare agli altri. In tal modo, il ricorso alla comunione dei santi, permette al peccatore contrito di essere in più breve tempo e più efficacemente purificato dalle pene del peccato.
Questi beni spirituali della comunione dei santi sono anche chiamati il tesoro della Chiesa, cioè l'infinito ed inesauribile valore che le espiazioni e i meriti di Cristo hanno presso il Padre, offerti perché tutta l'umanità sia liberata dal peccato e pervenga alla comunione con il Padre; è lo stesso Cristo Redentore, in cui sono e vivono le soddisfazioni ed i meriti della sua redenzione».
Appartiene inoltre a questo tesoro il valore veramente immenso, incommensurabile e sempre nuovo che presso Dio hanno le preghiere e le buone opere della beata Vergine Maria e di tutti i santi, i quali, seguendo le orme di Cristo Signore per grazia sua, hanno santificato la loro vita e condotto a compimento la missione affidata loro dal Padre; in tal modo, realizzando la loro salvezza, hanno anche cooperato alla salvezza dei propri fratelli nell'unità del corpo mistico».
P. Piero
Piccola chiesa dedicata a S. Maria degli Angeli
Le fonti narrano che una notte dell’anno 1216, san Francesco è immerso nella preghiera presso la Porziuncola, quando improvvisamente dilaga nella chiesina una vivissima luce ed egli vede sopra l’altare il Cristo e la sua Madre Santissima, circondati da una moltitudine di Angeli.
Essi gli chiedono allora che cosa desideri per la salvezza delle anime. La risposta di Francesco è immediata: “Ti prego che tutti coloro che, pentiti e confessati, verranno a visitare questa chiesa, ottengano ampio e generoso perdono, con una completa remissione di tutte le colpe”.
“Quello che tu chiedi, o frate Francesco, è grande - gli dice il Signore -, ma di maggiori cose sei degno e di maggiori ne avrai. Accolgo quindi la tua preghiera, ma a patto che tu domandi al mio vicario in terra, da parte mia, questa indulgenza”.
Francesco si presenta subito al pontefice Onorio III che lo ascolta con attenzione e dà la sua approvazione. Alla domanda: “Francesco, per quanti anni vuoi questa indulgenza?”, il santo risponde: “Padre Santo, non domando anni, ma anime”. E felice, il 2 agosto 1216, insieme ai Vescovi dell’Umbria, annuncia al popolo convenuto alla Porziuncola: “Fratelli miei, voglio mandarvi tutti in Paradiso!”. (dal sito: porziuncola.org)
L’Indulgenza plenaria della “Porziuncola” si può ottenere:
- visitando dal mezzogiorno del 1° agosto alla mezzanotte del 2 agosto una chiesa francescana o parrocchiale.
- recitando in essa il Padre Nostro e il Credo.
Inoltre per ottenere qualunque indulgenza plenaria, oltre l’esclusione di qualsiasi affetto al peccato anche veniale, è sempre necessario compiere:
- La confessione Sacramentale
- La comunione Eucaristica
- La preghiera secondo le intenzioni del Papa (es. Padre Nostro e Ave Maria)
Queste tre condizioni possono essere adempiute parecchi giorni prima o dopo la visita alla chiesa, tuttavia è conveniente che la comunione e la preghiera secondo le intenzioni del Papa siano fatte nello stesso giorno.
I confessori possono commutare sia la visita sia le condizioni a quelli che sono legittimamente impediti dal compierle.
DALLE NOSTRE COMUNITÀ
Dall’1 all’8 luglio un gruppo di pellegrini delle nostre parrocchie ha vissuto l’esperienza bella e impegnativa del Cammino verso Santiago de Compostela, gli ultimi centoventi chilometri circa, dalla cittadina di Sarria fino appunto alla città di Santiago. Sei tappe che ci hanno ricordato come la vita di ciascuno di noi sia fondamentalmente un grande pellegrinaggio, che ha la sua conclusione non in una meta terrena, ma nel cielo.
Tante sono state le emozioni che si sono intrecciate in questi giorni di cammino: stupore, fatica, gioia, meditazione… Tanti e variegati gli incontri vissuti, perché lungo il cammino si incontra davvero il mondo (i padroni di casa spagnoli, francesi, qualche americano, gruppi di italiani, pellegrini dall’est Europa…). Ogni pellegrino si avvicina a Santiago mosso dalle più svariate motivazioni (fede, voglia di camminare, contatto con la natura, desiderio di scontare qualche peccato…).
Ad ogni tappa abbiamo avuto anche la possibilità di partecipare alla Messa del Pellegrino, celebrata quasi sempre da missionari di origine italiana, giunti in Galizia per garantire assistenza spirituale ai pellegrini. La presenza di questi missionari, ci hanno spiegato, è dovuta al fatto che in quelle zone circa l’80% dei sacerdoti diocesani ha quasi ottant’anni e chi è ancora in salute è responsabile di sei o sette parrocchie e, dunque, non ha proprio tempo per i pellegrini.
Prima dell’ultima tappa, da Arca a Santiago, abbiamo partecipato ad una catechesi tenuta da un missionario italiano, padre Fabio. È stata molto interessante, perché ci ha ricordato e chiarito il senso del cammino che avevamo intrapreso. Prima di tutto ha tenuto a chiarire che il cammino si inizia a capirlo dopo tre o quattro volte che lo si è vissuto, poi è stato molto chiaro nel dire che non si va a Santiago per risolvere i propri problemi (forse il cammino li aumenta con qualche dolore in più!!!) e nemmeno per scontare i peccati propri o di altri; non serve per mettersi alla prova fisicamente o per passare del tempo a contatto con la natura. Il cammino è un pellegrinaggio verso una tomba; la tomba di un uomo, l’Apostolo Giacomo detto il Maggiore, fratello dell’Evangelista Giovanni, uno dei pochi sulla terra ad avere avuto il privilegio di vedere Gesù Figlio di Dio vivo, in croce e risorto. Si arriva a Santiago per poter stare a tu per tu da uno dei pochi testimoni del Mistero dell’Incarnazione. Ed è ricco di significato e di emozione il gesto che si compie arrivati nella monumentale cattedrale costruita sulla tomba di Giacomo: abbracciare la sua statua e chinare il capo sulla sua spalla (magari sussurrando l’antica frase medievale: Raccomandami a Dio, amico mio), come a stringere un patto di amicizia con colui che è stato con Cristo e per lui ha dato la vita. Con la forza di questa nuova amicizia si torna alle proprie vite, impegnandosi ad evitare il peccato e ad essere testimoni della gioia di aver un nuovo amico in cielo. Il cammino si conclude davanti all’urna preziosa che raccoglie le spoglie dell’apostolo e chi ce la fa davanti a questa tomba prega per i propri nemici, per chi gli ha procurato del male.
Man mano che proseguiva il nostro cammino timbravamo la nostra credencial, con la quale si attestava la nostra condizione di pellegrini e che ci ha permesso di ottenere, una volta giunti alla meta, la compostela, un documento religioso redatto in latino rilasciato dall’autorità ecclesiastica di Santiago de Compostela, che certifica il compiuto pellegrinaggio alla tomba dell’Apostolo San Giacomo Maggiore.
“Sono sincera, ho intrapreso questo pellegrinaggio non con lo spirito religioso, come in realtà doveva essere, ma perché mi andava di farlo, per vedere finalmente come fosse questo cammino di Santiago. Ne sono uscita entusiasta e, nonostante il mio spirito poco religioso, quando ho abbracciato la statua di S. Giacomo, c’è stato qualcosa dentro di me… la stessa cosa l’ho provata alla Messa del pellegrino. Ringrazio il bel gruppo che ha condiviso con me questo cammino e spero un giorno di poterlo fare per intero”.
“Sono partita con tanti dubbi e con tante preoccupazioni, che alla fine si sono rivelate infondate. È stata una bellissima esperienza. Bella, bella, bella”.
I pellegrini di Santiago
DALLE NOSTRE COMUNITÀ - Borno
È stata accolta con entusiasmo la proposta del parroco di incontrare la comunità di Borno per parlare della delicata questione del cinema Pineta. E in effetti sabato 22 giugno la sala congressi era davvero gremita!
Il desiderio di don Paolo con questo incontro, è quello di condividere una riflessione preliminare sul futuro di questa struttura, che ha visto intere generazioni di bornesi – e non solo – varcare la domenica pomeriggio i suoi cancelli per assistere alle proiezioni cinematografiche, ai concerti di Viva la gente, o ai saggi dei bimbi dell’asilo organizzati dalle suore per la festa della mamma e del papà. Anche per questo – oltre naturalmente alle famose “uova” con cui don Ernesto incalzava negli anni cinquanta i parrocchiani a contribuire alla sua realizzazione – il cinema Pineta è un tema a cui tutti oggi siamo molto sensibili.
Prima di entrare nel merito della questione, don Paolo approfitta della serata per aggiornare la comunità sullo stato di avanzamento delle pratiche che riguardano l’importante intervento al tetto della chiesa e delle sue pertinenze (progetto iniziato a suo tempo da don Francesco, e illustrato con dovizia nel numero dell'Estate 2018 di Cüntomela). Un intervento necessario e urgente che, puntualizza il parroco, impegnerà la parrocchia in modo cospicuo (sono preventivati circa 400mila euro), benché ci si sia mossi per tempo per accedere ad un bando della Fondazione Cariplo che, se tutto andasse bene, porterebbe in cassa circa 150mila euro.
A questo proposito, molti si chiedono, secondo un comune quanto distorto pensiero, perché la Chiesa (intesa come ente) non provveda direttamente a sistemare i propri beni. Ci sono naturalmente dei fondi a cui è possibile attingere, ma è pur vero che la diocesi di Brescia conta circa 500 parrocchie ed è impensabile che essa possa assolvere economicamente agli innumerevoli interventi per la conservazione di tutti i patrimoni parrocchiali. Dunque, come del resto è sempre accaduto in passato, sono le comunità che mantengono, secondo le proprie possibilità e sensibilità, i beni della propria parrocchia. È dunque pacifico, precisa don Paolo, che la questione “cinema” vada affrontata tenendo conto di questo importante intervento e del fatto che la parrocchia e tanti bornesi lo stanno già da tempo sostenendo economicamente.
Chiarito questo punto, con la proiezione di alcune fotografie, don Paolo introduce il tema della serata. Di fatto oggi il cinema versa in uno stato di totale degrado. Dalla sua chiusura sul finire degli anni ’80 – dovuta all’impossibilità di affrontare le gravose spese necessarie per adeguarlo alle norme di sicurezza – non sono stati fatti interventi per conservarlo: le esigenze sul tavolo della parrocchia nel corso degli anni sono state tante e bisognava fare delle scelte. Inoltre, anche le abitudini sociali sono cambiate e la centralità di una sala cinematografica era di fatto venuta meno. Al momento, il problema maggiore è rappresentato dalle infiltrazioni di acqua dal tetto che hanno ammalorato pesantemente la zona del palco, della platea e del seminterrato. In molti punti la struttura è stata vandalizzata (porte forzate, vetri rotti), all’interno sono state divelte le poltrone, trasformando di fatto la platea in un deposito, sono state tristemente manomesse le macchine per le proiezioni. Insomma, il quadro attuale in cui versa è davvero deprimente. E la domanda che pesa come un macigno è: che fare ora?
L’idea di fondo, propone don Paolo, è provare a fare delle proposte concrete, che siano utili alla comunità di Borno, che siano realizzabili e che siano sostenibili. Nel fare questo, non vanno dimenticati anche alcuni aspetti tutt’altro che trascurabili: in parrocchia ci sono altre strutture, come la casa in via Gorizia, adiacente all’oratorio, le diverse chiesette e cappelle, la casa vecchia delle suore e molto altro. Per ciascuna di esse c’è un lavoro continuo di manutenzione, di cui non sempre si dà conto, ma che c’è e che richiede sempre un impegno economico consistente. E poi, fatto tutt’altro che secondario, ci sono le finalità della parrocchia di cui tener conto nel fare le proposte. Finalità che non sono evidentemente quelle di lucrare sui beni immobiliari di cui anzi, da sempre, essa si fa custode. Esse riguardano il bene della comunità, le sue reali esigenze pastorali, nell’ottica anche dei cambiamenti sociali oggi tanto repentini al punto che, quel che funziona ora, domani è già superato. Sempre con un occhio attento all’aspetto economico, poiché non ci si dimentica mai che le risorse della parrocchia sono frutto delle donazioni e dei sacrifici dei parrocchiani.
Da mesi, il Consiglio degli affari Economici - sollecitato da don Paolo che fin da subito si è mosso per conoscere la storia del cinema Pineta così da poter essere il più possibile “dentro” la questione – si è occupato di studiare diverse opzioni possibili sul suo futuro e dopo diversi incontri e scambi di pareri, si è giunti a metterne sul tavolo tre, quelle cioè che sono parse le più realistiche, se non proprio le più realizzabili. Eccole in sintesi.
Opzione 1
Tipologia di Intervento: sistemazione del tetto, almeno quel tanto che basta per impedire le infiltrazioni e in attesa di ragionare sul da farsi (costo dell’intervento: 60 mila euro).
Benefici: conservazione di un bene a cui la popolazione è affezionata.
Limiti: rapporto costi/benefici molto alto; bene che va a sommarsi agli altri di cui non si sta facendo uso (vedi casa via Gorizia) e che gravano sulle risorse della parrocchia; vincolo della soprintendenza che entrerà in vigore fra 5 anni.
Opzione 2
Tipologia di Intervento: abbattimento con possibilità di recupero della volumetria (costo dell’intervento: circa 150 mila euro).
Benefici: risoluzione di tutti i problemi legati alla ristrutturazione (che non sono pochi); possibilità in futuro di realizzare una sala della comunità con accessi più agevoli e soprattutto con la necessaria dotazione di parcheggi; realizzazione di un parcheggio nel centro storico che assolverebbe certamente ad una effettiva necessità; si aggira il problema del vincolo della Sovrintendenza.
Limiti: il costo notevole che andrebbe perciò valutato in relazione ad un uso redditizio dell’area una volta abbattuto il cinema; il rammarico di non aver potuto salvaguardare un bene tanto caro ai bornesi.
Opzione 3
Tipologia di Intervento: attivare una sala della comunità. Una sala cioè, che oltre alla possibilità di proiettare con le tecniche moderne film, sia anche utilizzabile come auditorium e come teatro. Spesa ipotizzata: 1 milione e mezzo di euro.
Benefici: soluzione che assolverebbe alle finalità sociali, culturali e religiose; possibilità di accedere a bandi ad hoc che contribuiscono anche fino al 40% dell’investimento totale; che si tratti di ricostruire ex novo o ristrutturare l’edificio esistente, vi sarebbe la fierezza di aver conservato un bene importante per il paese anche dal punto di vista affettivo.
Limiti: costi per avviare un’indagine strutturale al fine di verificare se sia più conveniente abbattere o ristrutturare; pur immaginando di accedere ai fondi messi a disposizione dalla Regione e da altri Enti, restano sempre da coprire i restanti 900mila euro; la parrocchia – e quindi i bornesi – sono già impegnati a sostenere l’intervento sulla parrocchiale, quindi il reperimento di fondi sul territorio è difficile se non impossibile; la parrocchia, dei costi di realizzazione della sala non rientrerà mai: essa va vista come un investimento “su e per” la comunità e per questo serve che ci sia, non solo un suo profondo interesse alla sua realizzazione, ma anche la disponibilità economica e gestionale a sostenerlo; la fruizione della struttura non potrà avvenire prima di 8/10 anni dall’inizio dei lavori: a quel punto le esigenze sociali potrebbero essere assai diverse rispetto a quelle che ne hanno determinato la realizzazione.
Alla luce di tutta questa complessità di elementi e situazioni, don Paolo apre il dibattito proponendo una serie di domande precise:
• vogliamo trasformare il cinema Pineta in una sala della comunità?
• siamo disposti a contribuire al suo rifacimento?
• c’è il desiderio di mettere in campo idee, tempo e risorse per la sua gestione?
Sono domande forti, ma del resto deve essere molto chiaro: la parrocchia non si sta prendendo a cuore il problema per sé stessa, per un suo prestigio personale o del parroco, ma per trovare una soluzione condivisa per il bene della comunità. La quale quindi deve essere protagonista di questo progetto e affermare senza se e senza ma “ci siamo, ci piace, ci lavoriamo”.
C’è però un altro elemento da tenere presente, che non dipende né dai bornesi né dalla parrocchia. Il parroco infatti non decide in autonomia sui beni che amministra, ma deve sentire il parere della diocesi che, nel caso specifico potrebbe dire: “Caro don Paolo, il tuo entusiasmo è encomiabile, ma prima sistema la chiesa poi penserai al cinema”.
Illustrato in tal modo il problema, il sindaco prende la parola sostenendo che, anche se l’impresa è complicata, a suo parere va vista come un’opportunità, come la possibile realizzazione di un sogno. Dal canto suo, non potendo mettere a disposizioni risorse economiche, garantisce però il supporto dell’Amministrazione Comunale affinché il cinema possa rinascere.
Fra i vari successivi interventi viene messa in campo l’opzione della vendita, alla quale don Paolo risponde con favore, senonché, dice, tutto dipende da che cosa viene costruito al suo posto. Non appartamenti, che a Borno proprio non mancano. Non negozi, visto che chiudono anche quelli che ci sono.
Seguono poi altri interventi che ribadiscono, da un lato la necessità del paese di dotarsi di una sala polifunzionale e proponendo dall’altro che si faccia valutare con una perizia l’idoneità statica della struttura così da orientare eventuali decisioni.
Non è mancata la provocazione di chi scrive di chiedere un impegno scritto sulla volontà di mettere denaro, testa e tempo per l’impresa. Una provocazione, appunto, comunque caduta nel vuoto.
Conclusi gli interventi e sulla base di tutte le sollecitazioni scaturite col dibattito, resta l’impegno di continuare a pensarci durante l’estate e di ritrovarsi a settembre, per fare il punto.
Don Paolo, nel ringraziare e salutare tutti i presenti, prescindendo da ciò che avverrà di questa struttura, invita a vivere quest’avventura così ricca di diverse e contrastanti opzioni in gioco, come un’occasione importante per trovarsi compatti nel fare il bene della comunità, nel rispetto del passato, ma con lo sguardo proiettato al futuro.
Emilia Pennacchio
DALLE NOSTRE COMUNITÀ - Borno
Fin dall’epoca dei nostri Fondatori, la Vita Consacrata è nata per rispondere ai bisogni emergenti dalle povertà del tempo. Le necessità delle popolazioni, non ancora sorrette dagli interventi delle strutture delle pubbliche amministrazioni, in quegli anni trovavano una risposta in persone ispirate dal messaggio cristiano, a prendersi cura della gente e dei loro bisogni con grande disponibilità, intelligenza e dedizione.
Così, ad esempio si sono affacciati alla storia religiosi come don Bosco che dedicò tutta la sua vita per la formazione spirituale e la preparazione alla vita lavorativa dei giovani; come s. Camillo che si prese cura degli ammalati, e ancora Madre Teresa che dedicò tutta la sua vita a sollevare gli abbandonati nello spirito e nel corpo; Madre Cabrini che prese a cuore gli emigranti che a milioni abbandonarono l’Italia e anche la nostra Valle; madre Cocchetti che indirizzò la sua missione alla formazione delle ragazze sia a Cemmo sia nella Valle.
Con i nostri Fondatori la Vita Consacrata è uscita dai monasteri della vita contemplativa per inserirsi tra le persone, nei paesi, nelle parrocchie, negli ospedali e nelle scuole.
Ogni Istituzione ha portato il suo carisma: il suo dono di servizio e amore per gli individui, le famiglie e la società.
In Vallecamonica, fino a pochi decenni fa, c’era la presenza di numerosi Istituti religiosi: le madri Canossiane, le Suore di Maria Bambina, della Sacra Famiglia e altre ancora.
A Borno operavano congregazioni presso “la Vetta” per le giovani disagiate e ai Sanatori di Croce di Salven, a sostegno degli ammalati di tubercolosi.
Le suore Dorotee gestivano non solo l’asilo, com’era chiamato allora, ma collaboravano con le opere parrocchiali di catechesi e formazione delle ragazze.
Tutta la vita pastorale delle nostre parrocchie era pertanto supportata da comunità di religiose che a essa si dedicavano. Col Concilio Vaticano II, anche la Vita Consacrata è stata rivisitata nella percezione corrente e riconosciuta nella Chiesa per la sua natura e funzione teologica.
Pur mantenendo l’intraprendenza per il servizio alla comunità civile e parrocchiale, è stata presentata al popolo di Dio come un segno: segno della presenza nel mondo dei beni futuri quali destino ultimo dell’umanità. Così si è cominciato a sentirla, a leggerla, a valorizzarla.
Il processo avanzato di secolarizzazione ha avuto come esito la riduzione notevole di vocazioni nella Chiesa, col conseguente invecchiamento di sacerdoti e religiosi senza possibilità alcuna di ricambio.
Anche nella nostra Valle, dove le suore Dorotee erano disseminate in tanti paesi e frazioni, lentamente ma inesorabilmente sono state chiuse molte comunità. Anche perché, soprattutto relativamente alle suore, l’ente statale si è ben organizzato e ora fornisce servizi qualificati, iniziando dalle scuole materne; ma soprattutto si è entrati in un processo di denatalità, che al momento appare irreversibile, che ha diminuito il numero dei figli nelle famiglie; un processo pluralistico, secolarizzato, omologato in tutti i settori che soffoca l’invito interiore dei giovani alla vocazione per una vita donata a Dio e spesa nel suo Regno.
Tuttavia la Vita Consacrata continua a essere richiesta e apprezzata. Nelle parrocchie i parroci insistono perché le suore rimangano, anche se non più giovani, anche se non sanno più prendersi in carico i servizi apostolici, ma perché nelle comunità cristiane rimanga la testimonianza di persone consacrate che con la sola loro presenza, con la preghiera, la vicinanza a famiglie e a storie sofferte, dicano che Dio è vicino a ogni persona e a ogni realtà con un amore certo.
A Borno le suore, momentaneamente, non sono più presenti. Poiché si sono assentate per motivi di salute, la Madre Superiora col suo Consiglio non ha chiuso definitivamente la Comunità e seriamente si sta impegnando affinché presto possano tornare.
Ma, come detto sopra, quando una Comunità chiude, non è per scelta arbitraria dei suoi superiori, bensì per l’imposizione della storia: manca il ricambio generazionale dei suoi membri.
Memori della storia della presenza delle suore a Borno, della stima vicendevole intercorsa con i numerosi sacerdoti succedutisi nel tempo, con la generazione di ragazzi e famiglie che hanno amato, affiancato, collaborato con le suore di questa Comunità parrocchiale trepidante in questo frangente della storia, auspichiamo risultati positivi: che si possa ancora camminare con le suore, anche se non più giovani ma comunque portatrici di speranza, di fraternità, di condivisione, di indicazione di qual è il senso della vita di ciascuno.
L’augurio è che il loro sorriso torni a irradiarsi nei cuori di tutti: credenti e non credenti.
Suor Silvana Gheza
DALLE NOSTRE COMUNITÀ - Borno
Affresco interno alla chiesetta: opera di Giuseppe Rivadossi.
In una giornata piena di sole, domenica 14 luglio, si è rinnovato il pellegrinaggio alla chiesetta degli alpini, edificata su una dorsale della val Moren, a Borno.
È un pellegrinaggio ormai tradizionale per molti che amano partecipare al rito della Messa in un ambiente naturale, dove tutto invita a guardarsi attorno, a elevare lo sguardo al cielo; dove scambiarsi il segno della pace sembra assumere un significato più pregnante perché la montagna affratella, perché andarci a piedi è faticoso e quindi arrivarci è un premio che consola e allarga il cuore.
Siamo ormai al quattordicesimo appuntamento dal non troppo lontano 2005 quando la chiesetta fu inaugurata e benedetta da S.E. Card. Giovanni Battista Re. Interamente edificata in sassi, essa fa bella mostra di sé col piccolo campanile svettante e l’ampia arcata che invita a entrare e pregare. Pensare alle fatiche che è costata, costruita a quell’altitudine, lavorata alla perfezione in ogni sua pietra, chiusa da cancellate di grande artigianato…
Issata la bandiera che testimonia della presenza degli alpini, al suono argentino della campanella, tutti si sono raccolti davanti alla facciata: sotto il grande arco era stato sistemato l’altare ben visibile a tutti.
Era la prima volta per il nuovo parroco don Paolo e immaginiamo sia stata una bellissima esperienza.
Ora è in progetto la sistemazione della piccola capanna retrostante la chiesetta: in autunno dovrebbero iniziare i lavori. Già il piccolo ricettacolo attuale è un sicuro punto di approdo per gli escursionisti perché è sempre aperto, con la dotazione di acqua potabile, del fornello a gas e della caffettiera e relativo caffè. Nella speranza che anche il nuovo possa essere utile a molti e rispettato da tutti.
F. Inversini
DALLE NOSTRE COMUNITÀ - Ossimo Sup.
Sabato 13 Aprile si è svolta a Ossimo la decima raccolta del ferro “pro restauro Organo”. Purtroppo, in questa occasione il tempo non ha assistito i volontari, che hanno effettuato il recupero a domicilio e per le varie vie del paesello all’interno di un paesaggio più simile ad una giornata autunnale, sotto una pioggerella battente e “nuvole basse”!
Nonostante le condizione avverse, anche in questa occasione il servizio di ritiro del rottame a domicilio è stato apprezzato, ed ha potuto raggiungere un discreto controvalore.
Dalla raccolta del ferro, svolta grazie principalmente ai volontari della PRO LOCO “Per Osem”, un prezioso contributo per la copertura delle spese inerenti il restauro del nostro Organo a canne! Con la decima raccolta si è potuto contare su un ulteriore contributo di 1.256 Euro!
Avendo curato e seguito dall'inizio il progetto di restauro dell'Organo, ho coinvolto fin da subito l'Associazione “PROLOCO Per Osèm” alla quale nuovamente rinnovo personalmente ed a nome della Parrocchia un particolare ringraziamento per la collaborazione ed il supporto concreto: sia in termini di mezzi e di volontari. ma soprattutto per la generosità dimostrata destinando sempre l’intero ricavato delle singole raccolte! L’importo elargito, pur diluito negli anni in cui è stato realizzato, ha raggiunto una considerevole valore.
Pertanto dopo la DECIMA ed ultima fruttuosa “raccolta del ferro”, la nostra Parrocchia ha potuto ricevere complessivamente Euro 12.768,8 ed il nostro paese è stato “ripulito” dalla quantità complessiva di 92.120 Kg di materiale ferroso… una vera “fabbrica del rottame”!
Luca Bardoni
PS: Il trattore di Giuliano l’abbiamo tenuto!!!
La sintesi di quanto fatto insieme è così riassumibile:
Aprile 2012 Kg 7.880 .... € 1.418,40
Agosto 2012 Kg 4.320 .... € 691,20
Giugno 2013 Kg 7.760 .... € 1086,40
Aprile 2014 Kg 5.820 .... € 914,80
Novembre 2014 Kg 6.780 .... € 949,20
Giugno 2015 Kg 4.320 .... € 604,80
Luglio 2016 Kg 4.360 .... € 436,00
Giugno 2017 Kg 13.320 .... € 1.332,00
Giugno 2018 Kg (13.140 + 13.950) .... € 1.708 + 2.372
Aprile 2019 kg (2.800 + 4.600 + 3.070) .... € 1.256
DALLE NOSTRE COMUNITÀ - Ossimo Inf.
Nell’elenco delle feste celebrate in passato durante l’anno con speciale intensità nella chiesa dei Santi Cosma e Damiano di Ossimo Inferiore è segnalata nelle fonti quella dedicata a Sant’Antonio di Padova: “nel giorno di S. Antonio di Padova si canta la messa per la comunità” recita, infatti, una lapidaria postilla contenuta in un registro dell’Archivio Parrocchiale intitolato Memoria de legati, censi, messe, ed altre cose, che fanno o entrata al reverendo curato de’ Santi Cosmo, e Damiano in Ossimo Inferiore, o aggravio al medesimo, compilato nel 1755 dal curato don Antonio Maria Franzoni (Ossimo Inferiore 1730-1802), più precisamente nel capitoletto “qualità e quantità dell’incerte del rev. curato di S. Damiano ed obblighi del medesimo secondo l’uso antichissimo”.
Una statistica risalente al 1775 conferma che nella giurisdizione parrocchiale ossimese si commemorava il santo patavino nella sua ricorrenza tradizionale (13 giugno), accanto alla menzione di altre festività onorate nell’ambito della parrocchia, ovvero il 20 gennaio (Santi Fabiano e Sebastiano), il 19 giugno (Titolari della comunità Superiore Gervasio e Protasio), il 15 luglio (martire Santa Giusta, a motivo della gelosa custodia di insigne reliquia), il 16 agosto (San Rocco), il 27 settembre (Patroni della contrada Inferiore Cosma e Damiano), il 2 novembre (giorno dei Morti) e il 4 novembre (San Carlo Borromeo)1.
Echi del culto straordinario tributato in loco al santo lusitano risuonano nel lacerto di una predica disegnata agli inizi dell'Ottocento dal parroco di Borno don Gregorio Valgolio (Cortenedolo 1772-Cemmo 1855), intitolata Aggionta per S. Antonio di Padova facendo il discorso delle meraviglie della Divina Presenza in Ossimo Inferiore solennizando S. Antonio sudetto2, “santo questo, che voi oggi onorate con sagra pompa, santo a cui avete tante obbligazioni per aver ascoltati i vostri ricorsi, ed avervi prestato assistenza avanti il trono della Divina Maestà, santo detto il taumaturgo, il santo dei miracoli per i multiplici miracoli da esso operati, e che va operando a favore del popolo cristiano, santo che si è reso così distinto nella santità, e nel zelo per la salute delle anime”.
Ai tempi nostri la festa è caduta in disuso, nonostante la devozione verso il popolarissimo francescano portoghese appaia custodita in modo ancora vivo e genuino nel cuore di non pochi parrocchiani.
Di più, in chiesa si conserva – presso uno degli altari laterali – una preziosa statua lignea tutta ritorta che riproduce le sembianze del venerato frate minore (raffigurato in abito nero da conventuale), scolpita dal noto artista Beniamino Simoni (Brescia 1712 c.-1787) mentre risiedeva nel borgo di Cerveno dove – tra il 1752 e il 1760 – eseguì il grandioso complesso statuario delle stazioni della Via Crucis nell’omonimo santuario eretto nel primo Settecento in unione alla chiesa parrocchiale di san Martino.
La dettagliata Memoria degli autori delle opere che sono nella chiesa dei Ss. Cosma e Damiano fatta per me Antonio Maria Franzoni curato adì 20 marzo 1757, inserita nel Libro maestro della chiesa intitolato A (1608-1782) della cura ossimese, ricorda infatti che “la statua di s. Antonio fu fatta dal signor Beniamino Simoni bresciano scultore eccellente nel 1752, mentre era a Cerveno a fare la via crucis, costata lire 127”3.
Le partite contabili del registro dell’Archivio Parrocchiale chiamato Scoderolo n° 27 (secc. XVIII-XIX) somministrano qualche notiziola in ordine all’insigne manufatto. L’operazione venne gestita sotto la regia dei presidenti della fabbrica della chiesa Damiano Franzoni (Ossimo Inferiore 1682-1766) e Giovanni Zani (Ossimo Inferiore 1707-1762), eletti dalla locale vicinia il 25 marzo 1752. All’epoca svolgeva le mansioni di curato don Giovanni Squaratti (Paspardo 1717-1770), in sede dal 1744 al 1754.
Tra aprile e settembre 1753 la committenza effettuò tre pagamenti in denaro nelle mani dell’autore, montanti a un totale di 137 lire e 10 soldi4. Contestualmente al saldo dell’opera, il 16 settembre 1753, la statua venne finalmente licenziata dalla bottega e portata a Ossimo, con l’impiego di un piccolo esborso per fornire una buona merenda ai vetturali e ai servienti incaricati di compiere con attenzione il delicato trasferimento5.
Negli anni immediatamente seguenti si procedette ad abbellire l’altare ove l’opera aveva trovato degna collocazione. La “bradella di s. Antonio”, ovvero la pedana di legno su cui ancora oggi poggia il simulacro, venne realizzata nel 1752 dal “marengone” Pietro Rivadossi (Borno 1714-1772), soprannominato Zuccone, che tra il 1752 e il 1756 costruì anche “le catedre, o siano banchi sul coro, li altri banchi nella chiesa, la catedra per la dottrina, i vestarj alla Beata Vergine”.
Il 9 agosto 1753 il pittore Carlo Cogi di Palazzolo ricevette 240 lire in contanti “per aver fatta la pittura a chiaro ed oscuro all’altar di S. Antonio” e 17 lire e 10 soldi “per aver fatto di più il miracolo di S. Antonio”, affreschi eseguiti a decorazione dell’altare antoniano6. Sotto la data del 15 dicembre 1754 è registrato il pagamento di 30 lire a favore di mastro Battista Medico “per aver fata la cornis a S. Antonio”, mentre l’8 gennaio 1756 i presidenti Franzoni e Zani versarono al “signor Bernardino Albrici di Vilminore di Scalve pittore” la somma di 18 lire “per aver piturata la cornice di S. Antonio”. Infine, il 18 febbraio 1756 il vetraio mastro Carlo Arigo ricevette il compenso di 21 lire “per la vedreada per S. Antonio”, una lastra collocata a decente protezione del manufatto.
Con quest’ultimo intervento l’allestimento dell’altare ossimese dedicato al santo padovano poteva dirsi terminato: il tutto, attuato grazie a consistenti elemosine raccolte presso la devota popolazione, attingendo anche al contenuto di una cassetta comperata appositamente.
Beniamino Simoni, nato probabilmente a Brescia intorno al 1712, si fece apprezzare per alcuni lavori eseguiti in chiese cittadine (Sant’Alessandro, Santa Maria della Pace), ricevendo in seguito numerose commissioni in Valle Camonica dove operò con riconosciuta competenza nell’ammirata produzione di statue, formelle e oggetti lignei per le chiese di una decina di località (Artogne, Breno, Cividate, Esine, Fraine, Gianico, Malegno, Pescarzo di Cemmo, Ponte di Legno).
Tornato definitivamente a Brescia nel 1760 si impiegò per il decoro di edifici di culto, collaborando alla fabbricazione di apparati effimeri innalzati per solennizzare eventi di particolare rilievo, tra cui la concessione nel 1762 della berretta cardinalizia al vescovo diocesano Giovanni Molin.
L’opera che ne ha consacrato il nome è senza dubbio la Via Crucis di Cerveno, composta da 198 “statue al naturale, alcune in legno, altre di stucco, altre in basso rilievo”, a grandezza naturale, di eccezionale valore artistico e di possente impatto emotivo. Chiamato nel 1752 dal parroco don Giovanni Gualeni (Lovere 1720 c.-Edolo 1765), il Simoni si occupò del cantiere fino al 1760, terminando dieci stazioni (dalla I alla VII compresa, la XI, la XII e la XIII) ed avviando la lavorazione di alcune statue per le rimanenti; l’VIII, la IX e la X vennero compiute nel 1764 dai bergamaschi Francesco Donato e Grazioso Fantoni di Rovetta, mentre la XIV cappella fu realizzata solo nel 1869 dal milanese Giovanni Selleroni.
Nel laboratorio cervenese il Simoni si rivela maestro di livello superiore, capace di portare a termine con straordinario successo un programma di notevole impegno. Lungo lo snodarsi delle scene si svolge – con plastico vigore – il racconto del drammatico epilogo della vicenda terrena di Cristo.
Nella dura ascesa al Calvario Gesù porta consapevolmente a termine la scelta di concretizzare la propria promessa, vivendo il doloroso sacrificio di Sé stesso, immolandosi per la redenzione dell’umanità, scacciata dal Cielo a causa del peccato originale. Abile nella manipolazione del materiale scultoreo, l’artista rende con guizzi di larga suggestione e di aspro realismo i personaggi che popolano le stazioni, ispirati in presa diretta dalla vivida fisiognomica degli abitanti del luogo, caratterizzandone con mano sapiente le fattezze e le espressioni, soffermandosi a descrivere con perizia gli atteggiamenti di chi accompagna e sostiene Gesù e di chi invece lo considera un ciarlatano e si lascia accecare dal furore dell’odio e della violenza.
Con rara efficacia lo scultore coglie ogni sfumatura del volto del Salvatore, mostrandolo paziente, mite e cosciente dell’ora suprema, riuscendo a graduarne gli sguardi, ora di sofferenza, ora più distesi e illuminati.
Oliviero Franzoni
DALLE NOSTRE COMUNITÀ - Lozio
Quest’anno le mamme di Lozio ci hanno proposto la seguente iniziativa: organizzare per i bambini dai 3 ai 7 anni un mini grest in modo che anche loro, tre pomeriggi alla settimana possano ritrovarsi con altri bambini della loro età per giocare e fare lavoretti tutti assieme.
Noi abbiamo colto la proposta con spirito positivo, vogliose di metterci in gioco e affrontare anche questa nuova avventura assieme, anche se dobbiamo ammetterlo un pochino eravamo spaventate dal dover gestire dei bambini così piccoli.
Il periodo da noi scelto è stato dal nove di luglio fino al sette di agosto, durante queste prime due settimane oramai giunte al fine, ci siamo ricredute e i nostri timori sono svaniti lasciando così spazio alla gioia di aver accettato la seguente proposta.
Camilla e Francesca
DALLE NOSTRE COMUNITÀ - Lozio
Domenica 23-6-2019 nella piccola chiesetta di S. Giovanni Battista a Sommaprada di Lozio si è svolta come ogni anno la S. Messa in ricorrenza del patrono. La novità quest’anno è stata l’accavallarsi della festa patronale con un’altra delle principali solennità dell'anno liturgico della Chiesa cattolica: il Corpus Domini.
La Santa Messa è stata allietata dalle canzoni dei Musicanti di Lozio e da una folta presenza di chierichetti della frazione. Al termine della stessa si è svolta la processione per le vie del paese in cui si è portata la statua di S. Giovanni Battista e, racchiusa in un ostensorio sottostante un prezioso baldacchino (rispolverato dagli armadi della Parrocchia di S. Nazzaro e Celso dopo circa 50 anni che non si usava), un’ostia consacrata ed esposta alla pubblica adorazione: viene adorato Gesù vivo e vero, presente nel Santissimo Sacramento.
E così anche nella piccola frazione loziese si è sentito nelle anime della gente quanto ricordato dal Papa nell’ultima udienza generale auspicando che «la celebrazione della Santa Messa, l’adorazione eucaristica e le processioni per le strade delle città e dei paesi siano la testimonianza della nostra venerazione e dell’adesione a Cristo che ci dà il suo corpo e il suo sangue, per nutrirci del suo amore e renderci partecipi della sua vita nella gloria del Padre».
La festa è stata veramente molto sentita dalla comunità in quanto tutti hanno contribuito con le proprie capacità e disponibilità a rendersi utili per abbellire la Chiesa e addobbare il paese già da diversi giorni precedenti alla domenica. C’è chi ha pulito, chi ha procurato fiori, chi ha preparato i chierichetti, chi ha cantato e chi ha semplicemente partecipato alla solennità. La comunità si è poi ritrovata in un piccolo momento conviviale sul sagrato della chiesa per poi terminare con un pranzo in compagnia per le vie del paese.
La giornata ha visto la partecipazione non solo della piccola comunità di Sommaprada, ma una folta presenza anche dalle frazioni vicine e dal fondovalle.
L’intera comunità di Sommaprada ringrazia il Parroco che ha concesso nella processione la presenza della statua di S. Giovanni insieme al Santissimo Sacramento, e tutti coloro che hanno partecipato alla bella giornata trascorsa in compagnia.
La comunità di Sommaprada
DALLE NOSTRE COMUNITÀ - Lozio
Prima camminata di sabatando: Pizzo dei Soldati - Monti di Cerveno
SABATANDO E CENTRO DI AGGREGAZIONE
Continuano per tutto il periodo estivo i nostri appuntamenti del sabato presso il Centro a Laveno. Quest’anno abbiamo voluto allargare i nostri orizzonti, organizzando serate a tema, mini corsi di cucina, tornei di freccette e biliardino, presso le frazioni di Sucinva e Villa e proporre la 1° edizione della CANTA LOZIO, presso l’abitato di Sommaprada. Inoltre abbiamo calendarizzato nei mesi di luglio ed agosto, delle camminate per tutta la famiglia, alla scoperta di sentieri e posti incantati nella Valle di Lozio. Quindi, avanti tutta!!!! Gli amici del Sabatando e non solo, vi terranno compagnia per tutta l’Estate!
GITA SOCIALE A ROVERETO E DINTORNI
Eccoci come ogni anno a proporre la nostra gita sociale, organizzata dal Centro Anziani di LOZIO, ma rivolta a tutto l’Altopiano del sole. Ogni volta, cerchiamo di trovare un angolo di paradiso che possa incantarci e regalarci emozioni speciali.
Ecco perché è di rito, un passaggio in un Eremo, un Monastero o una piccola chiesa, che sia suggestiva. L’anno scorso è stata la volta del Santuario di S. Romedio in provincia di Trento. Quest’anno la nostra ricerca si è fermata all’eremo di san Colombiano, sempre in trentino, nella bellissima Vallarsa.
Là faremo tappa e celebreremo la S. Messa poi, un pranzo tipico nei pressi di Rovereto, poi visita guidata alla Campana dei caduti e, sempre nella cittadina trentina, al suo leggendario Castello. La gita si terrà Domenica 22 settembre. Seguiranno tutti i dettagli nelle prossime settimane. Voi nel frattempo, state pronti!
Cristian Ballerini
DALLE NOSTRE COMUNITÀ - Lozio
Come tutti gli anni, ma questa volta con il nuovo Parroco don Paolo, il 14 luglio abbiamo festeggiato i nostri preziosi anziani.
Dopo la S. Messa molto partecipata nella Parrocchiale dei SS. Nazzaro e Celso, la festa si è spostata al Centro Anziani a Laveno dove le brave cuoche volontarie hanno preparato un ricco e gustoso pranzo.
Mascia con la sua fisarmonica ha poi allietato il pomeriggio divertendo i nostri anziani e gli ospiti di Villa Mozart contenti di questa uscita. Al termine le Parrocchie, l'Amministrazione e la Pro Loco hanno offerto un piccolo dono a tutti gli ospiti come riconoscenza del grande valore che rappresentano per tutti noi e un augurio di arrivederci all'anno prossimo.
Cristian Ballerini
DALLE NOSTRE COMUNITÀ - Lozio
Nella mattinata di sabato 13 settembre 2014 ci arrivò la notizia della scomparsa prematura del nostro don Giulio. Lo ricordiamo perché tra qualche giorno ricorre il quinto anniversario da quando lo trovarono disteso supino lungo un sentiero che si inerpica verso la chiesetta di Santa Cristina. Al fianco del vicino spuntone di roccia, dove forse si era fermato per riprendersi dall'improvviso malore era ancora adagiata la sacca di tela contenente il necessario per un'uscita a cercar funghi.
Per tutti i fedeli che lo avevano conosciuto nelle valli dove svolse la sua missione era il “prete della montagna”. Un affettuoso appellativo guadagnatosi per l'amore e la dedizione rivolta alle comunità più isolate.
Don Giulio Corini nacque a Concesio, ma la sua casa fu la Valcamonica dove approdò in due riprese. Ordinato nel 1971, dal 1981 al 1993 guidò le parrocchie di San Nazaro e di Villa di Lozio. Poi, al termine della parentesi a Poncarale, assunse l'incarico di guida spirituale di Cimbergo e Paspardo.
Il profondo legame di don Giulio con la gente camuna emerse anche dalla lettera inviata ai fedeli alla vigilia del trasferimento ai vertici dell'unità pastorale del Savallese, che unisce le parrocchie di Casto, Comero e Mura: “Pensavo proprio di continuare a svolgere il mio ministero sacerdotale qui da voi fino alla pensione”, aveva scritto fra l'altro con un pizzico di malinconia don Giulio rivolgendosi alle famiglie di Cimbergo e Paspardo, “ma il Signore ha voluto diversamente. Tramite il vescovo monsignor Luciano Monari, il Signore mi ha chiamato a donare gli ultimi anni del mio servizio sacerdotale ad altre comunità parrocchiali della Valsabbia”.
Ma come era nel suo stile e nel suo temperamento, appena arrivò a Mura nell'aprile del 2011, don Giulio dedicò tutto sé stesso al nuovo incarico. E la notizia della sua morte fu come un pugno nello stomaco per i fedeli valsabbini che avevano imparato ad apprezzarlo nella sua opera, col sostegno del curato don Marco Iacomino. La sua forte fede ben percepita dai parrocchiani di ogni destinazione, si era manifestata molto presto.
Don Giulio era entrato in seminario sulla spinta della vocazione già a partire dalla quinta elementare nel 1957, mentre già il fratello Giuseppe, classe '39, che fu in passato parroco a Comero, stava già studiando da pastore di anime nella stessa struttura.
Don Giulio era un uomo di fede:e non diceva mai di no, non si tirava indietro di fronte al bisogno e alle difficoltà. Amante del canto e in particolare della musica, la sua voce non aveva bisogno di microfono, arrivava possente fino all'ultimo banco; e poi tutti gli riconoscevano un carattere molto aperto e gioviale con un'anima genuina e trasparente.
Qui a Laveno ci resta il ricordo di una bravissima persona. Tra gli anni '80 e '90 ha aiutato a crescere i nostri figli. I nostri bambini e ragazzini avevano creato in modo spontaneo e naturale una bella compagnia attorno al loro amico parroco che dispensava grandi sorrisi e belle parole, aiutandoli di conseguenza nella loro crescita. Lo seguivano volentieri quando si organizzavano escursioni varie ed anche gite in montagna.
Per qualche anno lo abbiamo ricordato con la celebrazione di una santa Messa presso una santella con una targa a lui dedicata, sulla strada della sella vicina al luogo del suo ritrovamento.
Nell'agosto 2017 è stato inaugurato un nuovo bivacco sui monti di Lozio, posizionato sul sentiero numero 6 nel tratto tra Valli Piane e Cima Bagozza, al passo del Valzellazzo a circa 2000 metri. È stato intitolato a suo nome e qui, dal momento dell'inaugurazione avvenuta a settembre, ogni anno ci si ritrova per una santa messa in suo ricordo.
Circa due mesi fa sul giornale c'era la notizia che anche suo fratello, sacerdote anche lui, è tornato alla casa del Padre.
Riposa in pace, don, sei stato anche tu un buon pastore; se puoi, poggia la tua mano sul capo delle persone che hai conosciuto: guidale sulla buona strada e allontanale dalle tentazioni del male.
Laveno di Lozio 26 giugno 2019
Fortunato
SPORT SULL'ALTOPIANO
La serie A vi aveva stancato? Eravate delusi dai brutti risultati delle squadre italiane in Europa? Non avevate ancora digerito la sconfitta dell'Italia ai Mondiali di volley?
Come ogni estate, ecco a voi la soluzione: IL TORNEO DELL'ALTOPIANO!
6 squadre di calcio e 5 di pallavolo pronte a duellare sul campo e darsi da fare. Per portare a casa la coppa? Beh, anche per quello. Ma quest'anno, forse più di ogni altra edizione, per purissima voglia di divertirsi, di stare assieme, di vivere con gioia e leggerezza un evento che è ormai parte della tradizione dell'Altopiano.
Questo torneo ci lascerà un sacco di bellissimi ricordi. A partire dall'esordio di una nuova squadra di calcio, Lè Stess, che, ultima classificata, ha comunque festeggiato alzando il "cucchiaio di legno" come fosse la coppa dalle grandi orecchie. Come, d'altro canto, è accaduto nel torneo di pallavolo: la nuova squadra iscritta, la squadra dei "Baghèr", ha ricordato a tutti qual è il vero obbiettivo di questa manifestazione, ovvero far giocare e divertire chiunque lo voglia. Una squadra di più di 20 persone, di cui una buona parte una partita a pallavolo non l'aveva mai fatta o non la faceva da parecchio tempo. Non hanno ottenuto grandi risultati sportivi, visto che non hanno vinto nemmeno una partita, ma hanno vinto il premio più importante: 20 persone che probabilmente non avrebbero giocato, hanno invece partecipato, si sono divertite, hanno festeggiato, ci hanno fatto sorridere e indubbiamente tutti, ma proprio tutti, abbiamo tifato, sotto sotto, per loro.
Ma le sorprese non finiscono qui. Come ormai consuetudine, vengono assegnati dei premi individuali. Quest'anno sono stati insigniti del premio "miglior giocatore", rispettivamente di calcio e pallavolo, Mirco Arici e Michela Rivadossi: due giovanissimi che, anche se con le loro squadre non hanno vinto, sono stati due emblemi di sportività, di impegno, di amore per la squadra e per questo torneo!
I premi alla carriera sono stati assegnati a Osvaldo Zambotti per la pallavolo e a Guido Ferrari per il calcio. Ma che nessuno pensi che è un invito a farsi da parte per fare largo ai giovani, anche e soprattutto perché hanno in più occasioni dimostrato di poter dire la loro, stregando il pubblico con fortissime schiacciate e con goal mozzafiato.
Una novità di quest'anno è stata l'introduzione del "Premio Figù", per il quale abbiamo fatto affidamento alla nostra pagina Instagram (che ovviamente vi invitiamo a seguire se ancora non lo fate). Ogni giornata il nostro pubblico ha votato il best player, partita per partita, e i nostri osservatori hanno voluto premiare due storici giocatori che per questo torneo si impegnano da tempo: Diego Baisotti detto Burney per il calcio e Giordano Rivadossi per la pallavolo. Anche qui i nostri osservatori hanno deciso di premiare soprattutto la sportività e la passione, che per noi contano molto di più della tecnica.
In mezzo a tante novità, ci sono anche le cose che non cambiano mai, e tra queste non possiamo non citare lo spirito di squadra dei ragazzi del Cantiní, ma questa volta, portando in campo pane e salame, formaggio e anguria per loro ed i loro avversari, si sono davvero superati.
Vanno certamente fatti i complimenti ai giocatori del Bar Sport, la compagine ossimese che si è aggiudicata la vittoria a calcio, e quelli del Go-In Work-Out, la squadra delle sorprese, quella che sembrava la cenerentola del torneo di pallavolo, e invece, ripresa in mano la fiducia, ha ribadito tutte le aspettative aggiudicandosi il torneo di pallavolo.
Ma non solo loro, tutti si meritano i complimenti, dalle giovani ragazze di Safim e del San Fermo, ai vecchi campioni del PizzCamì, dagli intramontabili calciatori del Ghebel e del Bosco Cristallo Blu, alle stelle nascenti del Rock and Blues. Vanno fatti i complimenti a tutti perché ognuno di voi è stato fondamentale per la buona riuscita di questa splendida manifestazione, perché ogni volta che uno di voi ha toccato un pallone, ha gridato un consiglio dalla panchina, ha incitato l'amico dagli spalti, il nostro altopiano è diventato un po' più unito.
Vogliamo riservarci un ultimo ringraziamento, e questo ringraziamento ce lo teniamo per noi dello staff. Siamo ragazzi di tutte le età, con tanti impegni, passioni, esperienze differenti. Eppure, ognuno come può, ogni anno, davanti alla chiamata del Torneo dell'altopiano, c'è una sola unanime risposta: presente. Il lavoro da fare, tra partite e serate finali di festa, è veramente tantissimo. C'è chi per venire ad aiutare prende ferie dal lavoro, chi rimanda gli impegni scolastici, chi semplicemente rinuncia a un po' di tempo libero. E sapete perché lo facciamo? Non ve lo diciamo! Lo dovete provare voi, l'anno prossimo, partecipando con noi. Perché possiamo raccontarvi i dettagli di tutte le partite, ma la magia del Torneo dell'Altopiano non si può raccontare, si deve vivere. Perché, come traspare dal nostro slogan "soci, bira e balù", non c'è nulla che crea così tante amicizie come stare in compagnia dopo una bella partita a pallone.
Ci si rivede tra un anno, ancora più carichi, ancora più invogliati. Che abbia di nuovo inizio la caccia a nuovi talenti!
Davide
SPAZIO CULTURA
In questo numero presentiamo i libri di due bornesi: Luca Dalla Palma, alla sua terza opera, e Leone Benyacar, bornese d'adozione e anche lui firma già conosciuta dai lettori di Cüntòmela.
AMACORD... Scomodo il Maestro Federico Fellini non a caso per parlare di questo libro di casa, che più di casa non si può. Se un Ricordo… del nostro prolifico Luca Dalla Palma è stato presentato nella serata di sabato 29 giugno in Sala Congressi. Come ogni volta, quando si tratta del nostro scrittore nostrano, amici, parenti, e appassionati si sono ritrovati numerosi per lasciarsi incuriosire da Luca a leggere il suo nuovo racconto. E come ogni volta, Luca, visibilmente emozionato, ha raccontato le sue sensazioni, le ansie vissute insieme ai suoi personaggi e la gioia di vedere questo lavoro pubblicato, come papà Maurizio aveva tanto auspicato. Sì, perché questo libro sembra davvero essere qualcosa di speciale, per Luca. Qualcosa di diverso.
Se il primo romanzo era autobiografico e il secondo un racconto dallo sfondo miracoloso, infatti, Se un ricordo… presenta la figura inaspettata di Irene, alla ricerca di se stessa, che lotta per riappacificarsi con un doloroso passato che la perseguita e la spinge a lasciare la sua famiglia e quella che sembra una vita perfetta per ritrovarsi e poter essere una madre e una moglie migliore.
Romanzo innovativo e presentazione innovativa, guidata stavolta da fotografie e musica.
Ogni capitolo viene preceduto da una canzone ad hoc che in qualche modo ci lascia intravedere cosa sta per succedere e poi, il mare, la montagna, il vecchio col bastone e il cappello e la cameretta: immagini di alcuni momenti e personaggi significativi che si incontrano, scontrano e supportano durante la storia.
E quando quel ricordo maledetto porta la tormentata Irene laddove tutto è iniziato, a Cesenatico, tutti i nodi vengono al pettine e i fili, che sembravano semplicemente rifiutarsi di collaborare, si intrecciano fino a costringere la protagonista ad andare avanti, senza più avere paura però di guardarsi indietro.
Insomma, con ottimi ingredienti non si può che ottenere un ottimo risultato.
Già dai brevi stralci letti durante la serata di presentazione viene voglia di gustarsi del tutto questa nuova chicca.
Non vi resta che provare per credere, non vi resta che tuffarvi in un ricordo…
Annalisa Baisotti
L’autore, 89 anni, di origine ebrea e da alcuni anni residente a Borno, è difficile definirlo. Sicuramente è un uomo illuminato dallo Spirito Santo, di grande fede.
Nella sua vita, come si legge nel libro, c’è stato un preciso disegno di Dio, realizzato e accompagnato dall’intervento della nostra e soprattutto sua Madre, la Vergine Maria.
Leone racconta la sua conversione, il mancato miracolo per il quale gli amici lo avevano condotto a Ghiaie di Bonate ma, come si legge in copertina, proprio in quel luogo ha capito che la vista, persa da bambino, “non mi serviva più, ho ricevuto da Maria doni ben superiori”.
Da quell’episodio, con gli alti e bassi di ogni giorno, afferma di aver vissuto sempre nella luce divina, quella luce che scalda il cuore, dona pace e forza anche nelle grandi difficoltà.
L’amore è la parola chiave per Leone, come del resto lo dovrebbe essere per ognuno di noi.
Negli articoli pubblicati in questo libro, lo declina in modo semplice e diretto, ricordando i punti focali del Vangelo e di quella fede cattolica che ha abbracciato come compimento di quella ebraica da cui proviene: l’amore verso Dio e verso il prossimo, la preghiera, il perdono, la famiglia. Più volte afferma che la fede, l’amore devono diventare vita concreta. Pensando alla lettera di Giacomo scrive che “sono le opere che contano, non le chiacchiere!”.
In questi scritti – frutto non di letteratura ma solo di vita vissuta come ci tiene a specificare – emerge la sua assoluta certezza che Dio c’è e ci ama così come siamo, nell’umiltà e nella semplicità delle piccole cose: sono proprio queste che fanno la differenza cristiana.
Ribadisce più volte anche che l’inferno esiste, ma non è Dio che lo riempie, sono gli uomini che liberamente possono scegliere di andarci, rifiutando l’amore e la misericordia che il Padre offre a tutti. Scrive che “Dio è amore e crea l’uomo libero, ma da infinite possibilità di salvezza”.
Il libro termina con un bel articolo tratto da “Avvenire” sempre sulla straordinaria avventura di Leone e un’integrazione sulle origini della sua famiglia partita dalla Turchia e approdata qui in Italia, tra Brescia e Milano, proprio durante il fascismo e le successive persecuzioni degli ebrei.
In ogni pagina degli scritti raccolti in questo piccolo volume, Leone esprime la sua straordinaria devozione a Maria, che sente sempre accanto a sé, ma invita tutti a leggere e vivere quel Vangelo che parla del Suo Figlio nato, morto e risorto per la nostra felicità.
Marilisa e Franco
SPAZIO CULTURA
Imprevedibilmente 30 anni fa crollava il muro di Berlino; con esso cadde un sistema politico, che nel nome di Marx e di Lenin, era diventato una super-potenza mondiale, che con un regime poliziesco aveva violato la dignità e la libertà umane di tante persone e sostenuto energicamente l'ateismo.
Per capire l'importanza del crollo dell'impero sovietico, di cui la caduta del muro di Berlino è l'evento simbolo, dobbiamo ritornare col pensiero alla situazione europea a partire dal 1945 in poi.
L'Europa era uscita dalla tremenda avventura della seconda Guerra mondiale stremata e lacerata da orrori e gigantesche distruzioni. In seguito agli Accordi di Yalta, essa risultava divisa in due blocchi politicamente, militarmente e ideologicamente contrapposti. Questa spaccatura dell’Europa significò di fatto anche una divisione del mondo in due blocchi, l'uno contro l'altro armato e ambedue in possesso della bomba atomica; anzi in possesso di sempre più potenti bombe atomiche, allo scopo - si diceva - non di usarle, ma di dissuadere l'altro blocco dal far ricorso ad esse. Furono gli anni della cosiddetta "guerra fredda" e dell’”equilibrio del terrore".
L'impero sovietico (URSS ed i Paesi satelliti) sembrava solidamente installato, con apparati di partito ben strutturati e col sostegno di una efficiente Polizia Statale, oltre che di un imponente esercito militare.
Molti prevedevano che quel sistema politico sarebbe durato a lungo. Qualcuno diceva "per secoli". Sembrava un colosso intramontabile. In Italia, per accennare ad un dato concreto, l'On. Moro ed altri ad un certo punto si pronunciarono a favore del "compromesso storico" perché erano convinti che il comunismo sarebbe durato a lungo e, pertanto, ritenevano che, invece di combatterlo, poteva giovare di più venire a patti con esso e cercare di trovare punti di collaborazione.
Ebbene quel sistema politico nel 1989 crollò inaspettatamente, con sorprendenti esplosioni di esultanza che accompagnarono il rapido incalzare di quegli eventi, tanto che qualcuno parlò di miracolo (basti pensare alle parole del Presidente Havel). Era infatti umanamente imprevedibile quel crollo, e l'aspetto più sorprendente fu che esso avvenne senza una guerra, ma pacificamente, senza spargimento di sangue (eccetto i tristi episodi accaduti in Romania).
La Chiesa è molto cauta nel riconoscere l'avverarsi di un miracolo, anche se la fede cristiana crede nella possibilità dei miracoli e crede nella Provvidenza Divina, la quale, pur rispettando la libertà e la responsabilità umana, tiene nelle sue mani le sorti di questo mondo e veglia sulla storia. Chi crede sa che Dio opera invisibilmente nei cuori umani e nella storia e che la mano di Dio ha tanti modi per intervenire sia nei cuori che nel groviglio delle circostanze e delle coincidenze.
Non possiamo entrare nei misteri che solo Dio conosce, anche se è logico pensare che Dio non può essere rimasto insensibile di fronte alle intense preghiere e alle immani sofferenze dei moltissimi cristiani che furono messi a morte o perseguitati dal quel regime totalitario.
A noi mortali è dato soltanto di cercare spiegazioni razionali di quanto accadde 30 anni fa in Europa.
Gli elementi che influirono furono certamente molti. Ragionando dai tetti in giù possiamo dire che furono certamente decisive la presenza e l'azione nello stesso momento storico di:
- Papa Giovanni Paolo II, che veniva da un Paese satellite dell'Unione Sovietica e che con una forza incontenibile difese e proclamò il rispetto dei diritti umani e denunciò i mali e le ingiustizie;
- Gorbaciov, che nato ed educato nel comunismo e fatto carriera nel comunismo, quando giunse al vertice di quel regime, seppe riconoscere che nell'impero sovietico vi era qualche cosa che non andava e che doveva essere cambiato. Incominciò così a parlare di "perestroika": egli desiderava che il comunismo continuasse, ma per garantirne il futuro riteneva giusto fare delle riforme e apportare al regime qualche correzione e innovazione e lasciare più autonomia ai paesi satelliti;
- Solidamosc, il sindacato degli operai polacchi che diede la prima spallata contro il regime sovietico;
- Reagan, Presidente degli Stati Uniti, che attuò una politica forte e dura contro l'impero sovietico.
Se non si fossero trovati insieme questi 4 elementi fondamentali, difficilmente avremmo assistito agli avvenimenti del 1989, che trovarono nella caduta del muro di Berlino il loro evento simbolico.
Possiamo dire che i menzionati tre personaggi, più Solidarnosc, furono protagonisti di quel crollo, sia pure in modi e in misure differenti.
A preparare quel crollo contribuirono anche altri importanti fattori. Un elemento, che silenziosamente ma efficacemente influì nel creare le condizioni del crollo del sistema sovietico, va ricercato nei principi affermati nell'Atto Finale della Conferenza di Helsinki (1975).
Il colmo è che fu l'URSS, in nome anche dei Paesi del Patto di Varsavia, a prendere l'iniziativa di tale Conferenza, dedicata alla Cooperazione e alla Sicurezza Europea. La finalità a cui mirava il mondo sovietico con tale Conferenza era di consolidare il proprio dominio in Europa. Invece i principi affermati operarono in senso contrario e manifestarono così che le idee hanno una propria forza che alla lunga vince. Nel corso della Conferenza tutte le Delegazioni misero nei famosi "tre cesti" le loro proposte da discutere.
L'Italia e la Svizzera, a cui poi si unirono i Rappresentanti degli altri Paesi presenti, proposero che nell'Atto Finale di tale Conferenza fossero inclusi il riconoscimento dei diritti umani e delle libertà fondamentali e l'impegno alloro rispetto.
Per intervento della Delegazione della Santa Sede fu inclusa anche la libertà dell'individuo di professare e praticare la propria religione, agendo secondo i dettami della coscienza personale.
Le Delegazioni orientali non si opposero e si limitarono a chiedere che non si parlasse solo di "religione", ma anche di "credo", cioè di convinzioni personali anche laiche.
Così nell'Atto Finale di Helsinki, gli Stati partecipanti si impegnarono solennemente a rispettare alcuni grandi principi e valori fondamentali: i diritti umani e le libertà fondamentali compresa quella di religione.
In quel momento i rappresentanti del Blocco Sovietico forse non si resero pienamente conto dell'influsso che di fatto quei principi avrebbero avuto, penetrando progressivamente nella mentalità delle persone e nella sensibilità dell’opinione pubblica con sviluppi imprevisti.
Quelle decisioni furono un atto di fondamentale e innovativa importanza.
Furono un passo verso un mondo più civile.
* * *
Papa Giovanni Paolo II che cosa disse in merito alla caduta del muro di Berlino? Egli ne parlò soprattutto nell'Enciclica "Centesimus annus”, che pubblicò in occasione del centenario dell’Enciclica Rerum novarum.
In tale documento il Papa afferma che "Il fattore decisivo, che ha avviato i cambiamenti" avvenuti in Europa nel 1989, è certamente la reazione alla "violazione dei diritti del lavoro”. Furono proprio gli operai ad iniziare, con i grandi moti avvenuti in Polonia in nome della solidarietà, l'attacco che portò alla caduta del sistema. Furono le folle dei lavoratori a delegittimare l'ideologia che pretendeva di parlare in loro nome.
Davvero curioso sbocco per un sistema che pretendeva di sostenere gli operai e di venire incontro alle loro aspirazioni!!!
Papa Giovanni Paolo II rilevava poi in tale Enciclica che alla caduta del blocco sovietico si arrivò mediante una lotta pacifica, portata avanti facendo uso delle sole armi della giustizia e della verità, e cercando di risvegliare nella coscienza anche dell'avversario il senso della comune dignità umana (Cfr. Centesimus annus n. 23).
Un altro fattore decisivo - diceva ancora Papa Giovanni Paolo II - fu l'inefficiente efficacia del sistema economico posto fino allora in atto. Tale inefficienza non si doveva tanto agli aspetti tecnici, ma piuttosto al non pieno riconoscimento del diritto all'iniziativa, del diritto alla proprietà e alla libertà nel settore dell’economia.
La lotta per la difesa del lavoro si collegò poi con quella per la cultura, per i diritti nazionali e per la vita morale delle Nazioni (Centesimus Annus n. 24).
Scavando ancora più a fondo nelle varie ragioni che influirono sui cambiamenti avvenuti nel 1989, Giovanni Paolo II affermava che la vera causa delle carenze del sistema era dovuta al vuoto spirituale provocato dall'ateismo, il quale aveva lasciato prive di fondamento le nuove generazioni e in non rari casi le aveva indotte, nell’insopprimibile ricerca della propria identità e del senso della vita, a riscoprire le radici religiose della propria nazione… Questa ricerca della propria identità rimase sempre viva nei cuori perché fu sostenuta dalla testimonianza di quanti, nella persecuzione e in circostanze difficili, erano rimasti fedeli a Dio. Il marxismo-bolscevico aveva cercato di sradicare Dio dal cuore umano, ma i risultati hanno dimostrato che non è possibile sradicare Dio dal cuore umano senza sconvolgerlo.
La conclusione del ragionamento del Papa in detta Enciclica è che, quando una società si organizza riducendo o addirittura sopprimendo la legittima sfera della libertà, il risultato è che la vita sociale progressivamente si disorganizza e decade (cfr. Centesimus annus n. 24).
Nell'elenco delle molte cause non va poi dimenticato che ci furono nel mondo sovietico anche episodi di cedimento all'interesse privato, conflitti di potere, incompetenze professionali, ingiustizie sia all'interno dell'URSS sia all'interno dei Paesi satelliti, la cui radice ultima era da cercarsi nell'abbandono dei valori umani, morali e spirituali.
La caduta del muro di Berlino rappresentò la fine di una notte. Una pagina di storia di rilievo mondiale era stata definitivamente chiusa.
Card. Giovanni Battista Re
CON I MISSIONARI
Per caso abbiamo trovato in rete (www.comboni.org) una bella biografia di p. Pierino. Nel venticinquesimo della sua morte ve la proponiamo, divisa in due parti. In essa molti potranno ritrovare il volto e il ricordo di un amico.
Padre PIERINO ATANASIO RE
nato a Borno il 29-9-1944
morto in Togo il 7-11-1994
Papà Battista faceva lo stradino comunale e possedeva una piccola proprietà in montagna. Mamma, Poma Bernardina, era casalinga ed esperta nell'arte del ricamo dal quale ricavava quel tanto per arrotondare lo stipendio del marito. Aveva imparato quest'arte presso l'Istituto Girelli di Marone, diretto dalle figlie di Sant'Angela Merici, dove era stata messa all'età di cinque anni perché orfana. Tre delle sue sorelle più grandi erano diventate "angeline" e un fratello, Atanasio, divenne cappuccino. Questi morì a 47 anni causa una malattia contratta in un campo di concentramento durante la guerra 1915-18. Il nostro padre Pierino, terzo di 9 fratelli nacque pochi giorni dopo la morte dello zio per cui fu chiamato Pietro Atanasio.
È superfluo parlare della religiosità della famiglia Re dove la fede era vissuta all'antica, senza tentennamenti e senza compromessi.
Il papà aveva insegnato ai suoi figli che senza fatica non si ottiene nulla dalla vita per cui, dopo la scuola, anche Pierino doveva andare nel bosco con i fratellini a raccogliere legna che il papà legava in fascine e vendeva, o si prestava per la raccolta delle patate, delle noci, del fieno, del frumento...
Papà Battista non conosceva la strada che porta all'osteria. Per lui la giornata trascorreva letteralmente tra chiesa, casa e lavoro. E, alla sera, radunava tutti i suoi figli attorno alla tavola per il rosario e le preghiere.
A quattro anni Pierino era già chierichetto. E guai se il papà non lo svegliava col fratello più grande per la prima messa e per cantare l'ufficio dei defunti! Come vivacità e inventiva nel combinare marachelle, batteva tutti.
Al tempo delle elementari era curato don Ernesto, che poi divenne parroco, molto dinamico, animatore instancabile , pieno di iniziative per i ragazzi e per i giovani.
Vicino a casa c'era un fabbro che ferrava i cavalli e aveva il brutto vezzo di bestemmiare, specie quando i cavalli gli mollavano qualche calcio negli stinchi o un po' più in su. Pierino, che si stava preparando alla prima comunione, prese la scatola delle scarpe nuove e, sul coperchio scrisse: "Non si bestemmia" e mise la scritta sulla finestra del fabbro. La zia assicura che un po' di effetto c'è stato, se non altro perché il fabbro ha lasciato quella scritta al suo posto per lungo tempo.
La vocazione
Un giorno padre Berto Zeziola andò a Borno per una conferenza missionaria. Tra i tanti ragazzi che lo ascoltavano, c'era anche Pierino che lo seguiva con particolare attenzione. Dopo la conferenza e le proiezioni il ragazzino espresse al missionario il desiderio di seguirlo in Africa.
Dopo aver parlato col parroco, e aver avuto buone informazioni, p. Berto andò dai genitori per combinare la partenza per il "mese di prova". Il papà era abbastanza favorevole, la mamma, invece, si mostrò contraria sia perché giudicava il figlio troppo birichino per diventare missionario, sia perché era gracile di salute.
Dopo la quinta elementare, p. Zeziola tornò all'attacco e questa volta con esito positivo. Portò Pierino ad Angolo Terme per il "mese" dove fu trovato idoneo perché "docile, sensibile, di pietà, anche se alquanto vivace". Una buona madrina del paese si prestò a contribuire alla retta del seminario.
Nella lettera di accompagnamento il parroco scrisse: "Reverendo padre superiore, le mando il mio piccolo caro amico Pierino Re, il quale è un po' brigante ma, in fondo, promette bene. Quando io ero bambino, ero più brigante di lui. Veda lei. Con tanta stima"(26 novembre 1955).
"Appena partito per il seminario missionario - dice la sorella Margherita - la famiglia si è fatta un impegno di pregare tutti i giorni per Pierino. La preghiera aveva questo duplice scopo: che tornasse indietro se non fosse la sua strada; che diventasse un santo missionario se il Signore lo chiamava da quella parte". Con la famiglia, anche altre persone del paese pregavano per quel futuro missionario. Insomma, gli abitanti di Borno, ben guidati dal loro parroco, avevano capito che la vocazione di un loro compaesano coinvolgeva tutta la comunità.
Seminarista
Il primo ottobre 1955 Pierino entrò nella scuola apostolica di Rebbio per la prima media. Scrisse padre Figin nel settembre del 1956: "Buon soggetto anche se sembra che sia stato un po' viziato in famiglia forse per le eccessive cure della mamma che lo giudicava gracile di salute. Guidato con polso fermo, diventerà un bravo missionario".
Pierino in seminario si trovava bene e anche la salute reggeva. Tutte le volte che andava al paese in vacanza, non vedeva l'ora di tornare tra i suoi compagni. Ciò contribuì a rasserenare la mamma. Papà Battista gli diceva: "Ricorda, Pierino, o santo prete o niente, perché è meglio un bravo uomo che un cattivo prete".
Nel 1956 Pierino passò alla scuola apostolica di Brescia e qui completò le medie e il ginnasio. Purtroppo agli esami di stato presso l'Istituto Arici fu respinto. Ma fu un incidente giocatogli dall'emozione perché la pagella interna era buona.
Nel 1961 andò a Carraia per il liceo e vi rimase fino al 1964.
Novizio
Il 12 settembre 1964 il "brigantello", ossia colui che la mamma giudicava "troppo birichino" per diventare missionario, entrò nel noviziato di Gozzano.
Padre Antonio Zagotto, maestro dei novizi, si armò di pazienza e di buona volontà per lavorarlo in modo da cavarne un bravo missionario.
Le prime note non sono lusinghiere, segno che il giovanotto aveva un buon cammino da percorrere. Ma dopo due anni di intenso lavoro, pur essendo ancora: "un po' superficiale, rozzo, disordinato, facilone e impulsivo" era: "leale e generoso, uomo di pietà, zelo e laboriosità, portato al ministero specie tra i ragazzi e alla propaganda missionaria. Probabilità di riuscita al 90 per cento" per cui il 9 settembre 1966 emise la prima professione nelle mani di mons. Placido Maria Cambiaghi, delegato del padre Generale.
Vittima del '68
Dopo i Voti Pierino passò a Venegono per la teologia (1966-1970). Lo studio era serio e impegnativo, ma il nostro giovanotto aveva sempre tante cose da fare per cui alle volte arrivava a scuola senza aver aperto il libro... Tanto, erano i tempi del 6 politico, quindi... Se questa regola valeva per le università statali italiane, non altrettanto si poteva dire dello scolasticato di Venegono. Nelle sue vulcaniche iniziative qualche volta agiva indipendentemente dai superiori, e questo faceva mandar giù amaro ai medesimi.
Quando veniva corretto, chiedeva scusa e prometteva di emendarsi. E per un po' si emendava davvero. Insomma l'aria del 1968 con la contestazione globale aleggiava anche sopra lo scolasticato di Venegono e qualcuno ne fece le spese.
Il colmo per Pierino si verificò il giorno in cui, senza dire niente a nessuno, andò al suo paese a visitare i parenti. Il suo stesso parroco sbarrò tanto d'occhi e gli fece una buona ramanzina.
"Ai miei tempi, se avessimo fatto una cosa simile, al ritorno in seminario avremmo trovato la porta chiusa per sempre. Torna a Venegono e chiedi scusa. Forse ti perdoneranno.
Dopo due giorni Pierino era nuovamente in scolasticato. La marachella era stata grossa e si parlò addirittura di non ammissione ai Voti perpetui."Ma perché l'hai fatto, benedetto figliolo!" lo rimproverò il p. Provinciale. "Non so neanch'io perché; so solo che ho sbagliato e chiedo perdono".
"Vedi, forse tu ti trovi meglio a fare il sacerdote diocesano che il religioso obbligato a vivere in comunità con determinate regole"."Non mi parli di abbandonare la vocazione missionaria. Ne morirei dal dispiacere... E' quella maledetta superficialità, che mi hanno sempre rimproverata, che mi gioca questi brutti scherzi". La storia si protrasse a lungo tra alterne vicende e in una lotta serrata tra falchi e colombe. Finalmente queste ultime ebbero la meglio e Pierino fu ammesso ai Voti che pronunciò il 7 dicembre 1969, vigilia dell'Immacolata.
Se nella sua vita c'erano queste ombre, esistevano pure brillanti fasci di luce. Alla domenica andava a fare catechismo in una parrocchia e coi ragazzi ci sapeva proprio fare. Li elettrizzava, li entusiasmava, e quando parlava delle missioni e della vocazione missionaria si trasformava.
Si prestò anche a fare l'assistente durante il mese di orientamento per giovani a Vigo Rendena dimostrando ottime capacità organizzative, equilibrio e spirito di sacrificio.
In casa, quando c'era da sgobbare, non si tirava mai indietro e con i compagni era di una cordialità contagiosa. Insomma, proprio un bel tipo col quale ci si trovava bene.
Il 30 marzo 1970 fu ordinato sacerdote a Borno da mons. Almici, vescovo ausiliare di Brescia.
P. Lorenzo Gaiga
CON I MISSIONARI
Manila: 17-7-2019
Carissimi Amici di Borno,
questa mia vuole portarvi i miei più cordiali saluti e gli auguri di buone vacanze estive.
Non è che abbia molte cose nuove da raccontarvi, perché la mia vita ora è di essere “missionario d’emergenza” e quindi “in chiamata”. Vivo nella comunità di studenti di teologia che mi accolgono come loro “nonno”, mi vogliono bene e hanno tanta pazienza con me. Anch’io devo un po’ adattarmi insieme a loro; sono infatti provenienti da otto nazionalità diverse: Indonesia, Bangladesh, Congo, Burundi, Sierra Leone, Mozambico, Brasile e Messico. Il parroco ed io siamo i soli due italiani!
Come vedete la missione del futuro sta cambiando. Gli italiani non ci saranno quasi più. La missione in Asia sarà fatta da africani e indonesiani. Noi, incaricati della loro preparazione, cerchiamo di condividere con loro il nostro cuore missionario, ma ci rendiamo conto bene che il futuro è nelle loro mani. Possiamo solo impegnarci a pregare per loro perché il Signore sia la loro guida e la loro forza.
La casa in cui vivo è all’interno della grande parrocchia che stiamo servendo da molti anni: il parroco attuale è stato mio studente quando sono arrivato qui più di vent’anni fa.
Ora è lui il grande capo che mi chiama a dargli una mano ogni volta che ne ha bisogno.
Siccome quasi attaccate alla nostra casa di teologia ci sono due enormi supermercati, mi sono trovato ad essere il prete dei due supermercati! Tra mercoledì, venerdì, sabato pomeriggio e la domenica vi si celebrano tredici messe: in uno quattro messe in una sala cinematografica, nell’altro nove messe nella grande cappella interna al supermercato, con gente ammassata anche nei corridoi circostanti. Al sabato sera e domenica ci possono essere anche quasi mille persone ad ogni celebrazione!
Quello che mi colpisce è la presenza e il servizio dei ministri laici, uomini e donne, presenti ad ogni celebrazione, specialmente al sabato sera e la domenica: un coro per i canti, cinque/sei ministri della comunione, lettori, commentatori, servienti, responsabili della organizzazione e della segreteria… insomma una ventina/trentina di laici coinvolti in ogni celebrazione. Se moltiplichiamo il tutto per le tredici messe ci si rende conto che ogni fine settimana 200/300 persone prendono una parte importante nell’animazione della comunità che si trova per incontrarsi con Dio. E’ veramente bello!
Evidentemente non sono solo, anche gli altri due padri della comunità e i sedici studenti di teologia sono coinvolti e creano connessioni e iniziative sempre nuove. C’è spazio di azione e di creatività per tutti. Mi coinvolgono e io mi ci trovo di mezzo e ne godo.
Come vedete le sorprese non finiscono mai.
Buone vacanze! Un abbraccio cordiale!
Vostro, P. Giacomo
NOMI E VOLTI
Mattia Gheza
di Roberto e Cristina Baccanelli
Borno 21 ottobre 2018
Matilda Magnini
di Pietro Luigi e Cristina Leandri
Borno 28 aprile 2019
Simone Ermannno Zorzi
di Gianluca e Laura Richini
Borno 5 maggio 2019
Alice Bellicini
di Emilio e Nicoletta Pelamatti
Borno 12 maggio 2019
Cristiano Rivadossi
di Maffeo e Maddalena Andreoli
Borno 26 maggio 2019
Arianna Rivadossi
di Valentino e Daniela Galli
Borno 9 giugno 2019
Cesare Cottarelli
di Fabrizio e Raffaella Ducoli
Borno 9 giugno 2019
Angelica Arici
di Augusto e Pamela Miorini
Borno 16 giugno 2019
Adele Mendeni
di Giorgio e Cristina Gheza
Ossimo Inferiore 5 maggio 2019
Leonardo Poma
di Marco e Valentina Chiudinelli
Ossimo Superiore 23 giugno 2019
Alma Gennaro
di Ettore e Maria Antonietta Coschignano
Laveno di Lozio 18 maggio 2019
Federico Rivadossi
di Nicola e Lara Salvatoni
Villa di Lozio 1 giugno 2019
FESTEGGIAMO LA VITA
Quando nasce un bambino o una bambina sarebbe bello far festa e condividere insieme la gioia di genitori e familiari per il lieto evento. Avvisate in parrocchia e suoneremo le campane.
NOMI E VOLTI
Maria Corbelli
9-4-1942 + 18-12-2018
(Varese)
Pietro Cottarelli
2-4-1941 + 12-4-2019
(Mezzarro di Breno)
Giovanni Franzoni
28-6-1934 + 10-5-2019
Agnese Caterina Mensi
30-4-1930 + 7-6-2019
Carlina Rosa Chierolini
18-6-1928 + 15-6-2019
Fiorina Andreoli
16-7-1952 + 1-7-2019
Bortolo Avanzini
30-11-1937 + 19-7-2019
(Francia)
Giovanni Archetti
24-9-1942 + 16-5-2019
Elisabetta Franzoni
21-11-1947 + 21-5-2019
Angelo Isonni
24-4-1939 + 10-7-2019
Giuseppina Vielmi
1-12-1930 + 12-7-2019
Bruno Meneghello
21-4-1943 + 22-7-2019
Gabriele Isonni
6-6-1968 + 23-7-2019
Edoardo Zerla
27-2-1943 + 27-5-2019
Caterina Bettineschi
31-1-1921 + 29-6-2019
Giacomina Zanaglio
4-5-1930 + 21-7-2019
NOMI E VOLTI
Marianna Arici con Claudio Ponzoni
Borno 29 giugno 2019
Maria Richini con Antonio Sessa
Ossimo Inferiore 13 luglio 2019
Dai 3 figli e i 7 nipoti
tanti auguri a
nonna Emma
che l' 11 aprile 2019 ha festeggiato gli 80 anni!!!
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