Natale2 2019
DALLE NOSTRE COMUNITÀ - Borno
Quest’anno don Giuseppe Maffi, parroco di Borno dal 1990 al 2009, è andato in pensione. Ecco i ricordi di Mons Marco Busca pubblicati su “La Campana di Darfo”.
Quando incontrai per la prima volta il “don Beppe di Gorzone” ero un seminarista di quarta teologia destinato alla sua parrocchia per il servizio pastorale festivo. Fu un incontro informativo e veloce. Tornato a casa, i miei genitori mi chiesero con garbo che impressione avessi avuto del nuovo parroco. Risposi più o meno così: “Guardava fuori dalla finestra e perciò non posso dire un gran ché... però una cosa interessante me l’ha detta: Tutto quello che farai di buono per i giovani mi sta bene”. E così fu; tant'è vero che alla fine del tirocinio pastorale chiese ai superiori del Seminario di lasciarmi lì per un altro anno, ma senza successo.
Le cose gli andarono meglio una volta trasferito in quel di Borno, quando – prevedendo il cambio del curato — non ha mai fatto mistero che ottenne dal vescovo, come nuovo curato, il novello di Edolo, che poi ero io.
Gli anni trascorsi insieme sull’altopiano sono stati per entrambi un'occasione pastorale feconda.
La comunità rispondeva, c’era fermento di proposte, soprattutto gli adolescenti e i giovani si lasciavano coinvolgere in cammini formativi e di servizio. La gente diceva che eravamo un bel tandem, pur diversi per carattere e attitudini ci completavamo bene nell’intento di “dare sostanza alle cose” (l’espressione è sua).
Per me era facile collaborare con don Giuseppe: lavorava sodo, amava la gente, non aveva paura del nuovo pur conservando e favorendo il recupero delle tradizioni, sapeva reggere i conflitti (e talvolta provocarli) ma sapeva anche recuperare i rapporti e persino commuoversi! Io credevo di essergli molto obbediente (o forse mi “illudevo”) anche se quando me ne andai da Borno precisò: “E vero, è stato obbediente, ma perché non gli ho mai comandato niente!”.
Quel che ricordo è che non solo mi dava fiducia, mi faceva anche sentire la sua fiducia e, pur ribadendo che lui era il capo (cosa di cui è sempre stato significativamente consapevole), sapeva far sue anche le mie proposte e questo mi incoraggiava.
Quando venni trasferito a Roma, dopo tre anni, don Giuseppe non reagì proprio in maniera ‘‘ecumenica”, preoccupato più del futuro dei ragazzi della parrocchia che dei progetti del vescovo. Alla fine accettò le decisioni dei superiori e nella predica di saluto mi disse: “Io sarò il primo, l’unico e l’ultimo tuo parroco”. Sappiamo quanto a don Beppe piacciano i primati, ma per fortuna non fu l’ultimo parroco con cui ho collaborato. Però è stato il primo e questo è un primato assoluto, soprattutto perché la prima esperienza pastorale lascia un'impronta indelebile nella vita di un prete. La vita moltiplica le distanze geografiche, ma non vi è distanza di cuore con le persone che si sono incontrate nel Signore.
Rimane la memoria simpatica delle esperienze condivise che è creativa di pensieri belli e di progetti nuovi. Basta ricordare per tornare contenti di ciò che si è vissuto. È vero che le nostre strade si sono incrociate ancora spesse volte: da vicerettore portavo i seminaristi in vacanza a Borno, ero presente al suo ingresso come parroco di Darfo e in alcuni momenti di lutto della sua famiglia. Ma la memoria simpatica che custodisco di don Giuseppe è quella di quel “primo parroco” che mi incoraggiò a spendermi per i giovani, che trovavo puntuale in chiesa quando un po’ assonnato andavo in sagrestia a vestirmi per la Messa delle sette del mattino mentre lui aveva già finito di pregare tutto il breviario, che non improvvisava mai le prediche ma dedicava tempo a pensarle e a scriverle, che era preoccupato di trasmettere la fede alla gente, di celebrare matrimoni che “facessero bella figura” (parole sue), che pur cominciando con la voce grossa finiva spesso con le soluzioni fini.
Può darsi che queste righe non intercettino tutto quanto si potrebbe e si dovrebbe dire a riguardo di don Giuseppe. A dire il vero, ciò che misura il valore di un prete è la fedeltà a servire il Vangelo e questa la conosce solo il Signore. Non vorrei che i miei pensieri suonassero all'interessato quasi come un encomio funebre (gli incaricati per questo solitamente sanno fare molto meglio).
Ho semplicemente messo per iscritto quello che la memoria simpatica di don Giuseppe ha lasciato in me.
In fin dei conti, deve pur concedermi che – al momento – sono il primo e l’unico dei suoi curati che è vescovo. Vi confiderò, per finire, che non credo molto alla pensione di don Giuseppe: troppo attivo per fare il prete quiescente, troppo testone per ascoltare chi gli dice di riposare, forse anche troppo prete per stare con le mani in mano, tranne che per pregare.
Mons. Marco Busca
DALLE NOSTRE COMUNITÀ - Borno
Lassù nel più alto dei cieli c’è un posto, sì proprio in Paradiso, dove, a tarda sera, si ritrovano a conversare tutti gli angeli custodi. Alcuni se ne stanno in silenzio tristi, pensierosi e scuotono le teste ricciolute sconsolati: le persone a loro affidate a volte compiono azioni riprovevoli e terribili, perciò le lacrime scorrono dai loro occhi e non sanno più cosa escogitare per ricondurli sulla retta via.
Tanti altri sono lieti e sorridenti e ce n’è uno in particolare che se ne va in giro tutto gongolante con un grande libro sotto il braccio. A chi gli chiede il motivo di tanta felicità lui lo mostra orgoglioso e sfogliandolo con solenne pomposità rende edotti gli interlocutori sul suo contenuto: in bella calligrafia e con inchiostro d’oro zecchino vi sono elencati tutti gli atti di grande fede, di assoluta bontà, di magnanimità, di altruismo, di generosità, di infinito amore verso i suoi simili e di quanto più bello e più buono il suo umano ha compiuto.
Ci sono, in verità, anche alcune noticine che narrano di un pizzico di intemperanza e rare arrabbiature specialmente in gioventù, ma sono azioni talmente irrisorie paragonate alla grande mole di quelle positive, che l’angelo non le mostra neppure, tralasciandole volutamente: «Il mio Beppe è troppo bravo e troppo buono, è un Santo!!» dice gonfiando il petto pieno di sano orgoglio e battendo una mano sulla copertina del libro come a sancire una verità assoluta.
Chi ha avuto il dono di conoscere questo grande, santo sacerdote non può che confermare ciò che l’angelo di Don Giuseppe dice da anni. Non si può fare a meno di ringraziare Dio per aver donato al mondo tanti, tantissimi sacerdoti come lui che, con la loro santità, il loro attaccamento alla missione e la devozione infinita, superano di gran lunga quelli che, umanamente, inciampano e cadono.
Se è vero che fa più rumore un solo albero che cade di un’intera foresta che cresce, noi dovremmo cercare di dare ascolto a quella moltitudine di religiosi che continuano la loro opera con infinito altruismo e fede incrollabile e tenace.
Anche Borno vuole unirsi al coro dei ringraziamenti e felicitarsi con Don Giuseppe Maffi ora che ha raggiunto l’età della pensione, anche se siamo sicuri che questo non gli impedirà certo di continuare la sua indefessa opera di santità; così come possiamo essere altrettanto certi che il suo angelo continuerà a pavoneggiarsi per le eccezionali, edificanti azioni che il “suo Beppe” non smetterà di compiere per tanti anni ancora.
Caro Don Giuseppe, per dimostrarti la nostra riconoscenza per averci accompagnati in cammino per vent’anni ci vorrebbero regali preziosi, ci vorrebbero abbracci e ci vorrebbero sorrisi, ci vorrebbero carezze e ci vorrebbero tanti baci santi, ma, conoscendo la tua ritrosia a cotante effusioni affettuose, ci limitiamo a dirti una sola, piccola, ma col cuore grande parola: GRAZIE!!!
Dely
DALLE NOSTRE COMUNITÀ - Borno
Il Signore ha fatto un grande dono alla nostra comunità, per ben 110 anni abbiamo avuto in mezzo a noi le suore Dorotee di Cemmo. La loro presenza è stata fondamentale per la vita parrocchiale, ma non solo, basta pensare ai tanti anni di insegnamento alla scuola materna: quante generazioni sono cresciute grazie al loro impegno.
Non si limitavano, però, alla loro missione di educatrici, partecipavano attivamente e con entusiasmo a ogni attività proposta dalla parrocchia: quanti grest e campiscuola le hanno viste protagoniste! Così come è stata una grande risorsa il loro prezioso aiuto nei catechismi e nel sostegno delle persone anziane e ammalate. Oltre a questo rimarrà nei nostri ricordi il loro esempio nella preghiera e nel coltivare sempre una fede viva e profonda, dove al centro, c’era comunque sempre il loro amore nei confronti di Dio.
Il 6 ottobre, insieme alla grande gioia di poter festeggiare i 60 anni di vita religiosa di suor Ida, che per ben quasi 45 anni abbiamo avuto nella nostra comunità, siamo stati costretti a salutarle: la Madre Generale delle Dorotee, preso atto della carenza di suore negli ultimi anni, ha dovuto a malincuore interrompere questo sodalizio.
Ma parliamo di suor Ida e di quanto stava bene a Borno. Ricordo qualche anno fa, quando su Cüntòmela, avevamo dedicato grande spazio a quello che poi, ridendo, avevamo denominato come il suo “saluto finto”; era infatti stata trasferita in una località balneare, ma non ha resistito alla nostra lontananza più di qualche mese.
Ha sempre detto, infatti, che Borno era il suo paese, e per tutti noi la sua presenza è sempre stata una sicurezza.
Personalmente sono stato uno dei suoi bambini all’asilo, perciò me la ricordo giovane, in forma e piena di entusiasmo. Il mio legame con lei è senza dubbio molto forte e credo sia così per tanti di noi. Crescendo anche nella mia esperienza di fede mi torna spesso alla mente la sua frase che per tanti anni diceva ad ogni bambino quando entrava in Chiesa “Saluta bene Gesù”, insegnamento che anch’io ora, da catechista, ripeto spesso. Una cosa che mi fa molto sorridere è che negli ultimi anni lei e suor Vincenzina andavano di frequente a trovare mia nonna e, pur avendo su per giù la stessa età, le diceva: “la mia missione è anche quella di venire a trovare le persone anziane”, non includendosi.
Nel consiglio comunale di fine ottobre è stata data una benemerenza a suor Ida a dimostrazione del grande affetto e della profonda stima che l’intera cittadinanza ha e avrà sempre nei suoi confronti, prendendola anche come rappresentante per ringraziare l’immenso lavoro di ogni suora Dorotea che ha prestato il suo prezioso servizio a Borno.
Certo, passare sotto le finestre di quella che è sempre stata la loro casa e vederle chiuse mi mette un po’ di tristezza e nostalgia, ma il bel ricordo sarà sempre vivo in me come in ogni persona del nostro paese che ha avuto la fortuna di incrociarle sul cammino della propria vita.
Luca Dalla Palma
DALLE NOSTRE COMUNITÀ - Borno
Quando si pensa al Natale, che è ormai alle porte, si pensa subito alla festa dei bambini e per i bambini, perché legato alla nascita del Bambin Gesù. Per tutti comunque è la festa della gioia, dei colori, delle luminarie, delle tavole imbandite di ogni ben di Dio, dei locali pieni di gente, di passeggiate per vetrine per fare acquisti di ogni genere; le case sono addobbate di mille colori, sono calde ed accoglienti. Non parliamo poi di regali, momento atteso dai grandi e soprattutto dai piccini.
A proposito di doni e per tornare al significato più profondo del Natale, mi piace riportare un semplice racconto che dimostra che noi da Dio abbiamo ricevuto tantissimi doni e che il modo migliore per ringraziarlo, è far germogliare e crescere tali doni ricevuti. Riporto brevemente questo racconto.
Un giorno Dio decise di aprire un negozio in terra per vendere un po’ dei suoi prodotti, quelli per arrivare alla bontà. Chiamò l’Angelo più bello e gentile e gli dette tutti i prodotti del caso.
La notizia dell’apertura del “Negozio di Dio” ben presto si sparse per la terra, e tutti accorsero a fare i loro acquisti. Entrò il primo cliente che chiese all’Angelo che cosa vendesse di particolare.
L‘Angelo rispose “Ogni ben di Dio”, al che il cliente incalzò:
“Ma allora lo farai pagare caro!”.
Ma l’Angelo lo rassicurò dicendo:
“Oh, no! I doni di Dio sono tutti gratuiti”.
Il cliente guardava stupito gli scaffali con scatoloni di pace, con anfore piene d’amore, con flaconi di gioia. Si fece coraggio e, poiché ne sentiva un gran bisogno, ordinò all’Angelo un sacchetto di perdono, una scatola d’amore, un cartoccio di felicità, un barattolo di pazienza, un cucchiaione di umorismo, un barile di coraggio e un sacco di speranza, quanto ne bastava.
L’Angelo andò nel retro bottega per preparare tutta la merce richiesta e poco dopo ritornò al bancone con un pacco piccolissimo, grande quanto un cuore umano. Il cliente non poté fare a meno d’esclamare:
”Possibile che tutto quello che ho chiesto stia in questo scatolino?”
L’Angelo con calma, ma con voce solenne gli spiegò:
“Eh, sì mio caro, nella bottega di Dio non si vendono frutti maturi, ma soltanto piccoli semi da coltivare.”
Il clima natalizio fa pensare e credere che tutti siano felici e spensierati, ma purtroppo, oggi più che mai, sono aumentate le persone sfortunate che non riusciranno ad avere un pasto caldo e un tetto sicuro dove riposare.
Ci sono persone sole, senza affetti, gli alluvionati, i terremotati, i poveri, gli immigrati, le famiglie infelici perché non c’è lavoro o perché i genitori sono separati, donne segnate dalla violenza.
Allora, di fronte a tanta infelicità che ci circonda, ciò che Gesù Bambino ci ricorda è di essere persone semplici e umili come lui, di liberarci dall’orgoglio per arrivare ad essere generosi, altruisti, ci invita a condividere col prossimo gioie e dolori e ci chiede la preghiera, perché essa è fonte di coraggio e forza che fa fruttificare i doni ricevuti. Ci sentiremo così più felici e più vicini al cuore del Bambin Gesù.
La sua Nascita sia quindi per noi la nascita a nuova vita con nuovi proponimenti. E allora auguri a tutti di un Santo Natale! Che si possa vivere sereni, col cuore in pace e circondati dall’affetto dei propri cari e amici.
Francesca Paradies
DALLE NOSTRE COMUNITÀ - Borno
Un giorno, girovagando tra le cascine poste sotto gli impianti di risalita, mi capitò di notare un piccolo dipinto murale. Dissi al contadino che c’era qualcosa che non mi quadrava in quell’immagine: sembrava più un san Francesco invece era dichiarato come “Sant’Antonio dei pastori”. Sant’Antonio era un abate e pertanto chiamava a raccolta i suoi fraticelli con la campanella e fin qui ci siamo. Questo santo è però il più ricco di segni di riconoscimento; oltre alla campanella, aveva il bastone ma con l’impugnatura a
Non mancava il fuocherello, in quanto guaritore di quel malanno che prende appunto il nome da lui “fuoco di s. Antonio”; ma era anche protettore degli animali piccoli, soprattutto del porcellino che spesso è raffigurato ai suoi piedi.
Inoltre, come abate, è solitamente raffigurato con una bella barba e abiti solenni. Niente a che vedere con quell’immagine murale.
Ma il contadino aggiunse che, in una cascina poco più sopra, era raffigurato il Cristo della Russia. Incuriosito, mi precipitai: era vero, sulla parete rivolta a est, c’era proprio un dipinto murale assai complesso. Come il precedente, era stato dipinto da Dante Ughetti (vedi scheda).
SCHEDA DELL’AUTORE - Dante Ughetti comparve a Borno nel 1956. Era nativo di Pisogne e, come lui affermava e scriveva, era stato prigioniero in Russia dal 1943 al 1956: ben 13 anni.
I reduci di quelle campagne però sostenevano che lui in Russia non ci fosse mai stato, nonostante citasse esattamente date e luoghi. Come mai fosse rimasto in Russia così a lungo, rimane un altro interrogativo.
A Borno si inserì perfettamente, trovando lavoro come imbianchino (chiamarlo così però lo mandava su tutte le furie!) e come decoratore di facciate, soprattutto con paesaggi alpestri ma anche con argomento religiosi. Insomma lui si qualificava come pittore.
Si adoperò per riattivare il locale Gruppo A.N.A. e, come ricordano gli anziani, le prime tessere furono da lui firmate.
Il Cristo è crocifisso in modo assai originale, sul braccio orizzontale della croce posto all’altezza del ventre; attorno, gli strumenti della sua passione: flagello, spugna, lance. Il perché dell’originale raffigurazione è chiarito sul braccio orizzontale, posto in alto sotto il tradizionale INRI, con la scritta: “PER I SEPOLTI SENZA CROCE”: il riferimento ai dispersi in Russia la cui sepoltura, se mai ci fu, fu sicuramente caratterizzata dall’assenza della croce, è lampante.
Attorno alla scritta, le quattro nappe distintive delle divisioni, con la stella alpina. Tutto parla di quella tragedia e del teatro ove si svolse. Benché molto sfumato, è ancora possibile leggere anche il paesaggio, con pianure, leggeri rilievi, conifere e nubi minacciose.
Sono presenti tre stemmi che richiamano le divisioni coinvolte: Tridentina, Cuneense e Julia: purtroppo dei tre, è possibile leggere, anche se con estrema difficoltà, solo quello della seconda.
Solo la Tridentina riuscì a sfondare l’accerchiamento russo nella battaglia di Nikolajewka, cui seguì una tragica ritirata. Le altre due furono accerchiate e costrette alla resa.
L’ultimo stemma è dedicato alla divisione Aqui, che però non partecipò a quella spedizione, ma fu sterminata a Cefalonia; il suo stemma è ancora leggibile.
Francesco Inversini
DALLE NOSTRE COMUNITÀ - Borno
Il progetto di restauro della chiesa di San Giovanni Battista è ormai alla fine del percorso di approvazione presso la Curia Diocesana di Brescia. Approvato sotto il profilo economico, necessita ora di un’ultima analisi tecnica da parte dell’Ufficio Beni Culturali Ecclesiastici, per essere inoltrato alla Soprintendenza di Brescia.
L’aspettativa di ottenimento dell’autorizzazione e il conseguente inizio dei lavori è quindi entro Marzo 2020.
La progettazione già illustrata ormai più di un anno fa ha necessitato di un approfondimento essenzialmente diagnostico richiesto dal bando di finanziamento “Beni al Sicuro 2019” di Fondazione Cariplo. La fondazione infatti nel Maggio 2019 ha reso possibile l’invio di candidature su questa linea di finanziamento, aperta a beni o complessi di beni culturali che avessero problematiche legate alla sicurezza sia intesa per gli aspetti della conservazione, sia sul piano del rischio per le persone che frequentano e utilizzano i beni.
Il complesso della Parrocchiale di Borno risponde, secondo noi tecnici, ad una delle casistiche che il bando “Beni al Sicuro” intende intercettare e portare ad una risoluzione duratura e condivisa dalla comunità. Lo stato di conservazione delle strutture portanti del tetto infatti è tale da mettere in pericolo la sicurezza delle persone e dei beni artistici e culturali, nel caso di sollecitazioni particolari come nevicate di una certa intensità o terremoto. Inoltre le facciate stesse potrebbero presentare tra non molto tempo distacchi di porzioni di intonaco, mettendo a rischio l’integrità dell’apparato decorativo esterno, ma soprattutto delle persone che frequentano gli spazi in prossimità della chiesa.
La partecipazione a questo bando ha previsto l’ampliamento delle figure professionali coinvolte nel progetto, individuando tecnici specializzati nell’esecuzione e interpretazione di indagini diagnostiche e restauratori, oltre agli ingegneri e architetti già incaricati e specializzati nel calcolo e nella conservazione delle strutture storiche. Inoltre è stata richiesta la designazione di un professionista della comunicazione che avrà il compito di coinvolgere la comunità nella comprensione del bene, del progetto e dei futuri piani di manutenzione. La fondazione Cariplo intende infatti stimolare le comunità ad avvicinarsi ai propri beni culturali sia per comprenderne l’importanza, sia per capire quali siano le necessità di controllo, accertamento e cura che questi beni manifestano.
La progettazione è quindi stata arricchita di un piano di indagini conoscitive approfondite sullo stato di conservazione del bene e di un piano di manutenzione successivo alla realizzazione degli interventi principali.
L’aggiudicazione del finanziamento previsto dal bando, qualora la commissione di tecnici consulenti della Fondazione Cariplo valuti il progetto proposto meritevole più degli altri casi candidati, sarà comunicata alla Parrocchia entro il mese di Dicembre 2019; al momento ci è stato comunicato che la documentazione inviata ha superato la prima verifica di completezza formale. Il contributo Cariplo richiesto è di 150'000,00 euro e coprirebbe quasi la metà delle somme necessarie. In ogni caso gli interventi di restauro non potranno essere rimandati per ragioni di sicurezza, oltre l’inizio della primavera.
Sperando che il lavoro fatto sin ora, porti all’ottenimento di un utile sostegno economico, oltre che ad un innalzamento della precisione e qualità del progetto, ci prepariamo ad iniziare un importante lavoro di restauro che permetterà alla comunità di Borno di conservare ancora a lungo uno dei suoi beni più importanti; i lavori vorranno essere anche una preziosa occasione per scoprire aspetti nuovi su questa interessante chiesa, di origine molto antica, e per avvicinare ancora di più e ancora a lungo la comunità alle necessarie attività di cura, valorizzazione e controllo del proprio patrimonio culturale, storico e artistico.
Pietro Castelnovi
DALLE NOSTRE COMUNITÀ - Ossimo Inf.
Nell’ambito della Festa Patronale dei SS. Cosma e Damiano, abbiamo ricordato Suor Damiana Vivenzi. La Santa messa è stata presieduta da don Cesare Isonni, che nell’omelia ha attualizzato la figura dei Santi Patroni. A concelebrare era presente don Franco Zanotti che al termine della messa ha ricordato la figura di Suor Damiana e le date della sua presenza viva qui a Ossimo che abbiamo riportato nell’articolo. Alla Santa Messa erano presenti anche un gruppo di Suore Dorotee di Cemmo.
SUOR DAMIANA VIVENZI al Battesimo GIULIA
Nasce a Marmentino (Bs) il 21-3-1926
Entra a Cemmo il 29-12-1943
Veste l’abito religioso il 9-10-1944
Emette la Prima Professione in Casa Madre
a Cemmo il 10-10-1946 e la Professione Perpetua in Casa Madre a Cemmo il 18-9-1952.
Svolge il suo apostolato nella comunità
di Ossimo Inferiore:
dall’1 ottobre 1947 all’1 ottobre 1949
dall’1 ottobre 1976 al 30 settembre 1978
dall’1 ottobre 1979 all’1 settembre 1992.
Le condizioni di salute si aggravano progressivamente, fino alla morte, avvenuta verso le ore 5 di giovedi 13 giugno 2019.
Il funerale, presieduto da don Pierangelo Pedersoli, viene celebrato nella parrocchia di Cemmo, venerdi 14 giugno 2019 ore 17.00.
“Ti farò mia Sposa, per sempre” (Osea 2,2)
Brescia, 13 giugno 2019
Carissime sorelle,
in Casa angeli abbiamo appena terminato la Veglia per suor Damiana, una bella tradizione con cui da tempo, la sera che precede il funerale, accompagniamo in preghiera ogni nostra sorella che torna alla Casa del Padre.
Anche questa sera eravamo riunite in tante sorelle di casa Angeli, della comunità Nazareth e del Mater Divinae Gratiae. Con noi c’erano alcuni nipoti di suor Damiana, un suo nipote e anche un sacerdote, nativo come lei di Marmentino: Don Martino.
Una orazione della veglia diceva cosi: “ Padre di carità e di gloria, ti raccomandiamo la tua serva, che ha risposto alla tua chiamata e a te si è consacrata interamente, perché tu l’accolga donandole la grazia di vedere Cristo, suo Sposo, e di godere della sua presenza per l’eternità.”
Queste parole parlano proprio di suor Damiana. Per quanto tempo, e quante volte, lei ha ripetuto questo suo grande desiderio di vedere Cristo, suo Sposo, e di godere della sua presenza per l’eternità! Lo diceva a tutti, con tanta gioia e serenità, con voce alta, con quello slancio e passione che tutte abbiamo conosciuto come sua caratteristica. Non aveva di certo paura della morte: per lei era possibilità di incontrare finalmente l’amato del suo cuore!
Non aveva paura della morte e fino all’ultimo ha amato molto la vita, la vicinanza degli altri e di noi sorelle, la possibilità di comunicare vitalità, di lanciare messaggi di bene… Lo faceva a volte con modalità un po’ eccessive, con baci e strette di mano esagerate, da cui non si riusciva a liberarsi, chi non lo ricorda? Suscitava però in tutti una grande simpatia, e anche chi la vedeva per la prima volta non poteva dimenticare la sua particolarità.
Amava ricordare a tutti “la mia mamma mi diceva: prega, perdona sempre e fatti santa.” E alcune volte, per giustificare la sua effusione, cambiava un po’ le parole: “Il mio papà mi diceva: sii serena, perdona sempre e fatti santa.” Aldilà delle parole più o meno precise, questa frase di famiglia l’ha accompagnata per tutta la vita. Gioia, slancio e passione apostolica non l’hanno mai abbandonata dalla giovinezza in poi. Si è consacrata al Signore tra le suore Dorotee di Cemmo a diciassette anni e ha espresso queste sue caratteristiche nei numerosissimi e spesso brevi passaggi nelle varie comunità attorno a Brescia o nella Valle.
Il suo spirito missionario e l’adesione alla volontà di Dio l’hanno portata a La Plata, in Argentina, dal 1967 al 1970: un periodo della sua lunga vita che ricordava volentieri e che aveva marcato ancora di più quella sua necessità profonda di essere allegra, di perdonare sempre e ricominciare, di pregare per tutti e farsi santa! Anche le nostre sorelle dell’America Latina la ricordano così.
Rientrando in Italia ha ripreso la sua peregrinazione con serena disponibilità e servizio, nelle varie comunità dove l’obbedienza la portava.
Nell’apostolato, nella giovinezza, nella vecchiaia o nella malattia, suor Damiana ha avuto la grazia di essere sempre gioiosa dalla vocazione e di desiderare che tante giovani potessero scoprire la gioia di seguire Gesù. Tutte siamo state piacevolmente sorprese, quando un giorno, una delle ultime volte che ancora riusciva a scappare, quasi novantenne, per andare al mercato, sapendo che al Mater c’era una giornata per le giovani, ha proposto a due ragazze incontrate casualmente per strada, di suonare al campanello del numero 30 perché c’era un bell’incontro con loro. Le giovani l’hanno ascoltata e hanno partecipato all’incontro raccontando di essere state invitate cosi. Sicuramente qualcosa di bene è stato seminato nella loro vita per il loro cammino, le affidiamo a Dio.
Il mercato era il suo abituale luogo di incontro del giovedì. Suor Damiana salutava, faceva festa a tutte le persone, diceva una parola buona. Era anche particolarmente attratta dalla bancarella dei dolci, si avvicinava, prendeva una manciata di caramelle e le regalava ai bambini che passavano. Era diventato un rito. Questa cosa un po’ strana e divertente aveva colpito Enrico proprietario della bancarella accanto.
Quando questo appuntamento era venuto a mancare, lui era venuto a cercarla… e da allora veniva regolarmente in Casa Angeli tutti i giovedì mattina a farle visita. Era simpaticissimo vedere la scena. Lui le faceva fare un giretto in giardino spingendo la sua carrozzella, se c’era brutto tempo la portava invece in chiesa per dire insieme una preghiera.
A coronamento della giornata dedicata ai Santi Patroni, il coro gospel “Hope Singer” ci ha intrattenuti piacevolmente con un meraviglioso concerto.
Cosi è stato questa mattina, il suo amico Enrico, davanti alla salma ha dato il suo ultimo saluto con devozione e riconoscenza, chissà quale tocco di Dio era arrivato al suo cuore attraverso quelle manciate di caramelle!
Prendiamo da suor Damiana l’esempio di semplicità gioiosa. Le chiediamo che dal cielo continui la sua preghiera e la sua opera per il dono di nuove vocazioni nella Chiesa e nel nostro Istituto.
Lei, come era solito fare, dal cielo continuerà a dire anche il suo grazie per ogni cura ricevuta da tutte noi sorelle, dal personale di Casa Angeli, e dai suoi parenti che molto ha amato.
Le operatrici presenti per il turno di notte, mentre le prestavano le cure nell’ultima notte di vita, commentavano: “Non si è mai lamentata, amava molto cantare, parlare allegramente, non ha mai detto una parola offensiva, è sempre stata gioiosa…voleva sempre pregare il Rosario attorcigliato alla sua mano, amava dirci che lei pregava per tutti almeno cinque rosari ogni giorno…”
Con affetto la accompagniamo oggi alla Cappella del Cimitero di Cemmo, dove riposerà insieme alle tante sorelle che l’hanno preceduta in Paradiso e con cui ha condiviso un pezzetto di vita terrena.
A tutte e a ciascuno un abbraccio fraterno con la serenità regalata da questa sorella, che ora ci ha lasciato andando incontro allo Sposo!
Suor Vincenzina Zagon
Superiora Generale
DALLE NOSTRE COMUNITÀ - Ossimo Inf.
Sembrava una normale serata in oratorio, quando a don Paolo si è accesa una lampadina e, felice, ci ha proposto:”Che ne dite ragazzi se organizzassimo delle settimane di lavoro?”
Al momento siamo rimasti un po’ perplessi, ma quando il don ha spiegato il suo progetto l’idea è subito piaciuta a tutti. Dal dire al fare è passato davvero poco tempo e infatti ci siamo subito messi all’opera per aprire i nostri primi due cantieri!
Grazie all’aiuto di un cortese agricoltore, abbiamo piantato in un campo della parrocchia, incolto da decenni, patate e fagioli: a settembre li abbiamo venduti tutti!
E poi, avete notato che belle le ante nuove della canonica? Ah sì? In verità al primo piano sono quelle vecchie! È stato merito nostro e della maestria di un esperto falegname se sono tornate al loro splendore originario.
Che dire, oltre ad aver imparato tanto, aver conosciuto nuove persone, aver aiutato la comunità e aver approfondito le nostre amicizie ci siamo divertiti tantissimo!
Faremo in modo che anche l’anno prossimo esperienze così si ripetano: siete tutti invitati a venire a lavorare con noi, nessuno escluso!
Un grazie particolare a don Paolo, don Mauro, Antonio, Clara, Michele, Fabrizio e Simone che ci hanno supportato e sopportato.
Andrea Anja Gabriele Lorenzo
Sabrina Chiara Francesca Riccardo
DALLE NOSTRE COMUNITÀ - Ossimo Sup.
Durante la scorsa estate, genitori e ragazzi di Ossimo Superiore hanno preso l’impegno di tenere aperto l’oratorio quattro volte a settimana, con la speranza di poter offrire un momento di svago per tutti i ragazzi dell’altopiano. Ogni giovedì i volontari hanno proposto una serata a tema ottenendo un grande riscontro: bambini e ragazzi si sono ritrovati in oratorio per passare una serata insieme.
Le attività proposte sono state diverse, a partire dal “cinema sotto le stelle”, passando per il “Nutella party” e il torneo di ping pong.
Non solo è stata un’occasione per radunare più persone nel corso di un’unica serata, ma è anche stato utile al nostro oratorio per raccogliere fondi, utili per le future ristrutturazioni del vicino parco giochi.
Possiamo parlare di un successone: dopo alcuni anni di stallo per il nostro oratorio, quest’anno abbiamo visto ragazzi provenienti dai comuni adiacenti e numerosi villeggianti divertirsi insieme.
Abbiamo deciso di estendere l’iniziativa dell’apertura degli oratori dell’Altopiano del sole anche durante l’inverno, per stare in compagnia anche nei mesi più freddi.
Ad accrescere l’affluenza di bambini e ragazzi è stato senza dubbio anche il grest, svoltosi per una settimana anche a Ossimo Superiore.
I volontari, e in generale tutti i ragazzi, hanno apprezzato l'organizzazione, tanto da coinvolgere ogni volta altri amici, aumentando così il numero dei presenti.
È stato bello vedere quante persone si sono dichiarate disponibili e propense ad ogni tipo di attività.
È importante, per un paese piccolo come il nostro, riuscire a trascinare i giovani in progetti come questi, per tenere vivo Ossimo, per vederlo vivace e allegro. È tutto un po’ più bello.
I nostri più sentiti ringraziamenti a tutti coloro che hanno voluto portare avanti questa bella e nuova aggregante iniziativa.
Giulia Maggiori
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