Natale 2020
Parola del parroco
Carissimi,
il titolo in copertina “e venne ad abitare in mezzo a noi” con cui san Giovanni nel suo Vangelo parla della nascita di Gesù, potremmo altrimenti esprimerlo con queste parole: “ha posto la sua tenda in mezzo a noi”.
Nell’antichità la tenda era il riparo del pastore nomade, poi del pellegrino e del viandante. Dunque un rifugio per colui che era in cammino, non dimora definitiva e stabile, ma riparo prezioso.
Come non ripensare alle tende che il popolo di Israele, più di mille anni prima di Gesù, usava approntare durante le tappe nel lungo viaggio dall’uscita dall’Egitto verso la terra promessa. Di esse, una in particolare veniva eretta per ospitare le Tavole delle Legge contenute in una sontuosa cassa lignea: l’arca della Alleanza tra Dio e il suo popolo. In tal modo Egli stava sempre con loro, in mezzo alla loro quotidianità. Un Dio invisibile, certo, ma presente, vicino, il cui riparo era lo stesso della sua gente, affinché il suo popolo sempre potesse sentire la sua prossimità.
Con un salto di mille anni, nella “pienezza dei tempi”, Dio non lascia solo un segno della sua presenza ma si fa Lui stesso uomo, piccolo, indifeso, ultimo fra gli ultimi. Nasce in una grotta, lontano dalle comodità, lontano dai potenti e dai troni, ma vicino ai pastori, gli ultimi nella gerarchia sociale del tempo. E a loro affida il compito di riportare fra la gente l'annuncio della Sua venuta.
Quel Dio Onnipotente, che a volte la nostra umanità distratta non sente e non vede, pianta la sua tenda fra le nostre, condivide la nostra quotidianità fatta di ansie e di gioie, di momenti di scoramento e di slanci di amore. Così, la sua tenda fra le nostre diventa un forte segno di speranza per nostra umanità ferita, a volte impaurita, spesso disorientata, come lo è in questo periodo della nostra storia.
Allora carissimi, l'augurio che rivolgo a tutti voi, è di guardare alla Sua venuta fra di noi con la gioia di saperlo sempre accanto. E allora questo Natale non sarà un “Natale” minore perché mancano tante possibilità esteriori, anzi! L’essenzialità ci possa aiutare ancora di più a scoprire che Dio si è fatto fragile bambino per raggiungere tutti e per rivestirci tutti di bellezza e di vita piena!
Buon Natale!
Vostro don Paolo
PER RIFLETTERE
Il Natale ritorna con le sue luci, con le sue melodie, col suo fascino, col presepe sul sagrato della chiesa e un bel albero nella piazza di Borno. Ritorna soprattutto col suo mistero di Dio che “scende dalle stelle” per farsi uomo, per diventare uno di noi.
Quest’anno l’atmosfera di serenità, di gioia e di festa che caratterizza sempre il Natale è turbata dalla drammatica situazione creata nel mondo intero dalla pandemia del coronavirus, che ha scatenato una crisi sanitaria devastante, con gravi ripercussioni sull’economia e sul lavoro. Non pochi sono rimasti con meno lavoro e, qualcuno, addirittura senza lavoro.
Il fatto di dover restare in casa ci deve portare a valorizzare la preghiera in famiglia e a scegliere, quando siamo davanti alla TV, le trasmissioni che ci aiutano a pregare. Sono numerose le trasmissioni religiose. Molte TV, a orari differenti, trasmettono la celebrazione della Messa; la TV 2000 ogni giorno alle ore 18 trasmette il rosario in lingua italiana direttamente dalla Grotta di Lourdes.
L’isolamento deve portarci anche a riflettere e prendere coscienza di ciò che sorregge la nostra vita e dà senso e direzione al nostro impegno.
Il Figlio di Dio che si fa uomo rimane la nostra più grande speranza, anche per i problemi che dobbiamo affrontare in questo periodo difficile e travagliato.
Il Natale pone a tutti la questione del rapporto con Dio e della ricerca di Dio. Il vero problema del nostro tempo è l’attenuarsi della fede in Dio a causa dei tanti venti contrari. Ma col venir meno della luce che viene da Dio mediante la fede, l’umanità rimane senza orientamento e non riesce più a trovarsi d’accordo sui valori sui quali costruire il futuro. E staccandosi dal patrimonio cristiano l’uomo e la donna non hanno guadagnato in felicità.
Dai problemi e dai disordini che si sono creati sotto il cielo è possibile uscire soltanto se si torna a guardare al cielo. Bisogna che gli uomini e le donne tornino a trovare in Dio il riferimento della propria vita: in quel Dio che dall’alto con amore paterno segue la nostra vita e che un giorno ci giudicherà.
La celebrazione del Natale non deve fermarsi agli aspetti folkloristici; dobbiamo non perdere il senso religioso del Natale.
Natale risveglia nel cuore la nostalgia di un mondo diverso, un mondo di fraternità, di amicizia e di pace, dove siano bandite le ingiustizie, gli egoismi, i conflitti, i desideri di rivalsa, e si promuovano la riconciliazione, l’aiuto reciproco e la solidarietà.
Il Natale di quest’anno con particolare forza ci invita ad affrontare le difficoltà del momento presente in chiave positiva, guardando avanti con fiducia e facendo ognuno la propria parte dando una mano, nei limiti del possibile, agli altri. Dobbiamo aiutarci gli uni gli altri; siamo tutti nella stessa barca in un momento di burrasca. C’è bisogno di una nuova solidarietà, che non si ferma alle parole.
Il Natale ci invita non soltanto a riflettere su quanto dobbiamo fare per migliorare il nostro personale stile di vita, ma ci ricorda anche le nostre responsabilità sociali, su quanto cioè possiamo fare per aiutare chi si trova in difficoltà.
La luce del Natale dà senso e incoraggiamento agli sforzi umani per favorire il sostegno e il benessere di tutti.
Nelle nostre attività, poi, le scelte vanno fatte non soltanto con criteri economici e finanziari, ma devono essere guidate anche dai principi etici e da grande senso di solidarietà e fraternità verso chi è più svantaggiato.
Anche il dramma del coronavirus passerà, ma dobbiamo uscirne migliori e più impegnati ad aiutare quanti avranno subito gli effetti più devastanti.
Il Natale ci parla dell’amore di Dio per noi, ma anche dell’amore che ciascuno deve avere verso il prossimo.
Per tradizione vi è attorno al Natale una serie di espressioni gentili di amicizia, di attenzione e di solidarietà. Tra i doni di Natale non manchi quello di donare affetto, amicizia, attenzione.
Card. Giovanni Battista Re
Signore Gesù,
ti contempliamo nella povertà di Betlemme,
rendici testimoni del tuo amore,
di quell'amore che ti ha spinto
a spogliarti della gloria divina,
per venire a nascere fra gli uomini e a morire per noi.
Infondi in noi il tuo Spirito,
perché la grazia dell'Incarnazione susciti in ogni credente
l'impegno di una più generosa corrispondenza
alla vita nuova ricevuta nel Battesimo.
Fa' che la luce di questa notte più splendente del giorno
si proietti sul futuro
e orienti i passi dell'umanità sulla via della pace.
Tu, Principe della Pace, tu, Salvatore nato oggi per noi,
cammina con la Chiesa sulla strada che le si apre dinanzi
nel nuovo millennio. - san Giovanni Paolo II
PER RIFLETTERE
Anche se può ricordare feste e banchetti di nozze dove, di solito, si conclude brindando con le coppe di spumante, l’immagine qui proposta non di rado viene usata per evidenziare la bontà e l’efficacia del sistema capitalistico, del dogma di fede neoliberale come lo definisce Papa Francesco nella sua nuova Enciclica (n. 168). Secondo questa visione la priorità è produrre ricchezza, beni e continua compravendita di merci; poi per la magica teoria del “traboccamento” o dello “sgocciolamento”, questa ricchezza è destinata a riempire anche i bicchieri che stanno più in basso, creando benessere per tutti.
La realtà, purtroppo, ha smentito questo preteso automatismo. Come possiamo leggere nel primo capitolo dell’Enciclica, l’esasperazione del sistema capitalistico ha portando solo alla concentrazione di ricchezza e potere nelle mani di pochi, delle multinazionali che, sempre in riferimento all’immagine, tendono ad ingrandire i bicchieri che stanno al vertice, rendendoli sempre più voraci di risorse naturali, con i conseguenti problemi ambientali, e lasciando troppi bicchieri vuoti, troppe persone nella miseria, troppi scarti umani.
Il dogma del mercato globale ha favorito, inoltre, un astratto universalismo che sta sradicando culture, memorie, comunità concrete. Le persone non si sentono più fratelli che condividono una storia e lavorano insieme per un possibile bene comune. Individualismo e consumismo rendono gli uomini diffidenti, disposti al massimo ad essere soci di pochi e per ristretti interessi egoistici. Le persone sono indotte a ripiegarsi ancora più su se stesse, a vivere un’assurda competizione per avere sempre più beni e, di conseguenza ma anche come reazione, ad avvertire una continua insoddisfazione, insicurezza, sfiducia. Tutto ciò, poi, viene sfruttato a livello politico per costruire ed alimentare paure, chiusure, angusti populismi di un ristretto “noi” da contrapporre artificiosamente a vaghi e sempre nemici “loro”.
Come la “Laudato si” anche la nuova Enciclica prende spunto dal santo di Assisi sia per il titolo “Fratelli tutti”, sia ricordando l’episodio in cui San Francesco – in tempi e situazioni non certo migliori delle nostre attuali – andò incontro al sultano MalikalKamil in Egitto... col medesimo atteggia mento che esigeva dai suoi discepoli... «senza negare la propria identità, […], non facciano liti o dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio» (n. 3).
In questa Enciclica Papa Francesco invita tutte le persone di buona volontà, aldilà delle loro convinzioni religiose, a sentirsi fratelli, a costruire ponti, ad essere poeti sociali, artigiani di pace, artigiani dell’incontro fraterno senza frontiere, partendo da quelle periferie, da quei poveri che, prima ancora che dal magistero dello stesso Papa Francesco, sono amati e prediletti dal Vangelo.
Ecco allora che l’imprenditoria, definita «una nobile vocazione orientata a produrre ricchezza e a migliorare il mondo per tutti», e la proprietà privata che rimane un diritto legittimo ma non assoluto secondo l’insegnamento della Chiesa, devono essere poste sempre in funzione della fraternità, della destinazione universale dei beni.
Ecco che il dialogo non può limitarsi ad un semplice scambio di pareri e tanto meno essere una rancorosa rivendicazione, un continuo accapigliarsi per imporre i propri egocentrismi come spesso avviene sui social o durante gli ancora più deleteri talk televisivi.
Vero dialogo è cercare insieme quelle verità durevoli che danno senso, sapore e stabilità alla vita e senza le quali, scrive Papa Francesco riprendendo un tema molto caro al Papa emerito Benedetto XVI, si rischia di scadere nel relativismo, sotto il velo di una presunta tolleranza, che finisce per favorire il fatto che i valori morali siano interpretati dai potenti secondo le convenienze del momento” (n. 206). E il Papa si augura che fra queste verità, questi valori non negoziabili sia accolta da tutti – religiosi, agnostici o atei che siano –“la priorità della dignità di ogni essere umano rispetto a qualunque sua idea, sentimento, prassi e persino ai suoi peccati” (n. 191). Come si augura che la gentilezza (n. 223) ritorni a caratterizzare le relazioni umane.
Anche se probabilmente pensata prima, la nuova Enciclica è stata scritta durante la pandemia in cui, come ci ha fatto notare il Papa, stiamo sperimentato che siamo davvero tutti sulla stessa barca, apparteniamo tutti ad un unico destino, e non possiamo salvarci da soli o, peggio, ponendoci tutti contro tutti. Solo collaborando e aiutandoci reciprocamente possiamo resistere a questa tremenda tempesta.
Nel secondo capitolo viene evocata la visione del fratello e del prossimo proposti nella Bibbia. Si parte dal considerare fratelli solo chi appartiene alla propria famiglia o al proprio popolo, per giungere con la parabola del buon Samaritano a considerare prossimo chiunque incontriamo sulla strada, chiunque può aiutarci, rinnovando l’invito ad abbandonare la contrapposizione fra il “noi” e gli “altri” o fra presunti meritevoli e chi tanto è già considerato mezzo morto.
L’ultima parte sottolinea come ormai guerre e pena di morte vadano considerate sempre azioni ingiustificabili e ricorda l’incontro dello stesso Papa Francesco con l’Imam Ahmad AlTayyeb che ha ispirato l’Enciclica e dove è stato ribadito ancora una volta che “le religioni non incitano mai alla guerra e non sollecitano sentimenti di odio, ostilità, estremismo, né invitano alla violenza o allo spargimento di sangue” (n. 285).
Resa pubblica il 3 ottobre proprio ad Assisi, è una lettera abbastanza lunga (287 paragrafi suddivisi in 8 capitoli), non complessa nel linguaggio e in cui possiamo ritrovare molti spunti, pensieri e problemi già espressi da Papa Francesco in questi anni.
Alcune perplessità dei soliti siti cattofarisei in Internet parlano di un documento troppo naturalista, legato ad una dimensione puramente terrena, un’Enciclica più politica che sociale e senza un’apertura spirituale e trascendente.
Simili accuse probabilmente potrebbero essere rivolte a buona parte della Bibbia, compreso diverse parabole, che ci indicano come l’amore che Dio ci dona gratuitamente, dev’essere vissuto e speso con e per i fratelli nelle situazioni concrete di ogni giorno. «Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede», ci ricorda la prima lettera di Giovanni citata nella stessa Enciclica.
Saper scorgere in ogni persona un fratello, un altro come noi, forse è l’inizio di un’autentica spiritualità; è vivere – nei piccoli gesti quotidiani come nelle decisioni a livello mondiale – quella politica che non è una brutta parola, fonte di corruzione ed inefficienza (n. 176), ma la più alta forma di carità come diceva Papa Paolo VI, la necessità di organizzare il cammino verso quel regno promesso e donato gratuitamente a tutti noi, fratelli di un unico Padre.
Franco Peci
PER RIFLETTERE
Per una lettura sapienziale di ciò che è accaduto nei mesi cruciali della pandemia.
“Un’esigenza s’impone: raccontarci che cosa abbiamo vissuto e chiederci che cosa il Signore ci ha fatto capire. In una parola, che cosa non potremo e non dovremo dimenticare? Da questa memoria deriverà un discernimento pastorale che orienterà il nostro cammino futuro”.
Con queste parole nella lettera del 21 aprile ai fedeli della Diocesi di Brescia, il vescovo Pierantonio ci ha invitato a riflettere su quanto abbiamo sperimentato nei giorni surreali della pandemia. Ne ha fatto tesoro per stilare, con la sua saggia e paterna attenzione, la Lettera per l’anno pastorale da poco iniziato.
Il desiderio legittimo di tornare alla normalità, rischia di impedirci di ragionare su quanto è accaduto e di accorgerci che, forse, proprio la nostra normalità racchiude in parte la causa di quel che è successo. La legge del consenso e del profitto che guida le nostre vite da troppo tempo, ci ha fatto credere di avere la meglio su tutto. Con la sua analisi il vescovo, partendo anche dalle testimonianze raccolte in diversi ambiti, ci propone una lettura sapienziale, una sorta di insegnamento, ci invita a chiederci: cosa ci ha voluto dire questa terribile prova? È venuto forse il momento di ripensare al cammino della nostra società e delle nostre comunità cristiane? Tutti, senza alcuna distinzione, abbiamo sperimentato:
Ebbene, quali inviti ci giungono da quel che abbiamo vissuto, si chiede il vescovo? Abbiamo certamente fatto esperienza dell’essenziale che basta. Lo abbiamo visto nei gesti di solidarietà che ci hanno fatto riscoprire quanto nutra il nostro essere uomini fra gli uomini il bene vicendevole. Mettere il cuore al centro di ogni nostra attività: è un primo invito che possiamo cogliere. E questo vale per tutti. Per noi cristiani in particolare, significa non cadere in una religione sterile, non vera, dove Dio viene visto come un padrone che impone la sua volontà e la rivelazione è un misero insieme di regole. Il vescovo ci sprona a mettere il cuore in ciò che facciamo! Ci ricorda che il cuore rende liberi perché le azioni autentiche nascono da ciò che sentiamo, non da ciò che ci viene imposto dall’alto. Soprattutto per le nuove generazioni, suggerisce il vescovo, serve una pastorale che tocchi il cuore.
È necessario poi tornare a dare un senso ai rapporti. La pandemia ci ha fatto scoprire chiaramente che siamo sempre più in contatto e sempre meno uniti; i rapporti sono fugaci, senza coinvolgimento, viviamo come “sospesi”. Con quale effetto? Il disorientamento, soprattutto nei giovani che hanno invece bisogno di non sentirsi abbandonati e di poter contare su relazioni vere, di sentirsi “a casa”.
La Chiesa è sintesi di questo concetto di comunità e a questo deve continuamente tendere ed essere fulgido esempio. I giorni drammatici che abbiamo vissuto, dice il vescovo, ci invitano a fare una riflessione anche su quale missione attende la Chiesa a favore del mondo. “Se non possiamo archiviare l’esperienza vissuta semplicemente come un brutto momento da dimenticare; se, al contrario, dobbiamo raccogliere con coraggio l’insegnamento che porta con sé, allora dovremo disporci a compiere una valutazione onesta dell’attuale stile di vita e chiederci se non sia necessario operare qualche significativo cambiamento.
Sono convinto che la nostra società debba impegnarsi in un coraggioso rinnovamento, cui ritengo che la Chiesa debba contribuire con lucidità e passione.” Ripartendo dai cinque momenti di cui abbiamo fatto esperienza, possiamo cogliere l’invito a promuovere coraggiosamente il rinnovamento della società auspicato dal vescovo.
Il vescovo conclude questa sua bella e illuminante Lettera pastorale invitandoci a riflettere sul verbo: VEGLIARE.
“Non assopirsi nell’inerzia degli eventi ma tendere l’orecchio e lasciarsi istruire. In ciò che accade è infatti all’opera lo Spirito santo, che è lo Spirito di Cristo vittorioso. Per quanti hanno un cuore buono e uno sguardo limpido, per quanti desiderano accogliere il dono della scienza, lo Spirito santo ha in sebo una parola di rivelazione che sorge dagli eventi stessi. Crediamo che questo sia avvenuto anche nel tempo di prova che abbiamo vissuto. Accogliendo lo spirito di vigilanza, anche noi abbiamo cercato di metterci in ascolto della Parola che nei giorni del dolore e della prova lo Spirito ci ha fatto giungere. Ne è scaturito un discernimento umile e discreto, consapevole dei suoi limiti. Possa tutto questo servire al nostro cammino di Chiesa e il Signore benedica il nostro sincero proposito di riconoscere e di attuare la sua volontà.”
Emilia Pennacchio
PER RIFLETTERE
Papa Francesco continua a sorprenderci! Recentemente lo ha fatto con la figura di San Giuseppe. Ha infatti deciso di dedicargli il prossimo anno, a centocinquant’anni dalla sua proclamazione a patrono della chiesa, nel 1870. Lo fa per farci capire che la storia del mondo è fatta non dai grandi personaggi che leggiamo nei libri, ma dalle persone semplici che in silenzio vivono la loro vita ogni giorno. Lo stiamo verificando – dice Papa Francesco – in questo tempo di pandemia in cui stiamo sperimentando, in mezzo alla crisi che ci sta colpendo, che le nostre vite sono tessute e sostenute da persone comuni, che non compaiono nei titoli dei giornali e delle riviste o nelle interviste alla tv, ma che stanno scrivendo in silenzio con senso del dovere – non ascoltando le critiche – gli avvenimenti decisivi della nostra storia: medici, infermiere, infermieri, addetti ai supermercati e alle pulizie, forze dell’ordine, volontari, sacerdoti e tanti altri che dedicano la loro vita al servizio del prossimo.
Tante persone (genitori, nonni, insegnanti…) che ogni giorno mostrano ai bambini e ai ragazzi la speranza di un mondo nuovo e tante altre persone che pregano per le necessità.
Così San Giuseppe è l’uomo che passa inosservato ma sempre presente, discreto e nascosto, vicino nei momenti di difficoltà. San Giuseppe ci dice che quelli che lavorano in seconda linea apparentemente nascosti, sono i veri protagonisti della storia della salvezza.
San Giuseppe è un Padre e uno Sposo.
Sposo di Maria, la Madre di Gesù. Padre a tutti gli effetti di Gesù: lui ha accolto nella sua vita questo bambino straordinario che lui non ha generato, ma che ha aiutato a crescere nella pienezza. San Giuseppe è l’uomo del SILENZIO! Nei Vangeli la Madonna dice poche parole, San Giuseppe non parla mai. San Giuseppe è il CUSTODE di quella famiglia che gli è stata affidata: di quella Donna, Vergine e Madre e sua Sposa, di quel Bambino che egli protegge e aiuta a crescere nella vita del tempo.
Il Papa nella sua lettera descrive alcuni aspetti particolari dello Sposo di Maria.
Nella società del nostro tempo i figli sembrano essere ORFANI di Padre: in questi anni la figura del Papà nella famiglia si è un po’ oscurata. Occorre recuperarla!!! Infatti, non si nasce Padri, occorre diventarlo.
Si diventa padri non solo mettendo al mondo un figlio, ma perché ci si prende cura di lui con responsabilità. San Giuseppe sia MODELLO ai nostri Papà, capaci di gustare un po’ di silenzio per capire la missione loro affidata da Dio, papà coraggiosi e custodi della famiglia, papà vicini ai figli per tra smettere loro le cose grandi e importanti della vita.
San Giuseppe lo sentiamo molto vicino a noi perché non è un supereroe ma una persona normale che aveva dei sogni da realizzare e ha accettato il Sogno di Dio: per questo è grande!! Lo preghiamo e lo invochiamo: ci aiuti in questo momento particolare che stiamo vivendo, ci dia speranza e fiducia nel futuro, viviamo una vita semplice ma piena di significato.
Termino con la preghiera che Papa Francesco rivolge a San Giuseppe alla fine della lettera.
Don Raffaele
Salve, custode del Redentore,
e sposo della Vergine Maria.
A te Dio affido il suo Figlio;
in te Maria ripose la sua fiducia;
con te Cristo diventò uomo.
O beato Giuseppe, mostrati padre anche per noi,
e guidaci nel cammino della vita.
Ottienici grazia, misericordia e coraggio,
e difendici da ogni male.
Amen
PER RIFLETTERE
Carissimi amici tutti dell’altopiano di Borno, Ossimo e Lozio,
è per me una grande gioia essere qui in mezzo a voi. Il vescovo ha benedetto questo terra con l’arrivo di due nuovi sacerdoti, don Raffaele e io, don Stefano, prete novello. Prego il Signore di essere per voi guida e segno del suo amore, in particolare per i bambini, ragazzi e giovani.
Mai come oggi il servizio del sacerdote è percepito dai fedeli come un grande sacrificio, a volte come un buco nell’acqua, come una vita brutta, sprecata, inutile. Ebbene non è così, almeno per me! Anzi in questi pochi mesi il Signore si è mostrato ancora più generoso con me, facendomi davvero vedere la bellezza della mia vita e delle persone che mi circondano! E così mi sento di dire “Grazie infinite Signore per tutte le grazie che ci doni ogni giorno!” Insieme alle gioie, certo, non mancano le fatiche, ma fanno parte del gioco. In questo periodo, con l’entusiasmo di chi inizia, vorrei fare molto, ma non è possibile: la situazione sanitaria non lo permette. Cerchiamo di fare il possibile, quello che si può; anche le cose piccole fanno crescere.
Vi chiedo una grande preghiera per noi sacerdoti chiamati a guidarvi nella via della santità… O forse siete voi a guidare noi? Solo Dio lo sa. Noi ci affidiamo a lui, sempre.
Non ci manca la voglia di metterci in gioco. Sono certo che le comunità dell’altopiano rispondano bene alla vita cristiana di tutti i giorni. Io farò il possibile per corrispondere al servizio da me richiesto. Essendo di Pian Camuno conosco la montagna e i nostri paesi che si contraddistinguono per le loro tradizioni e la fede millenaria. Già questa mi edifica.
Grazie, grazie di cuore a tutti voi, sento molto la vostra vicinanza, anche un semplice saluto fa miracoli.
Che il Signore benedica tutti noi, le nostre famiglie, i nostri giovani e bambini affinché possiamo camminare insieme nelle sue vie.
Abbraccio tutti
don Stefano
LA VOCE DEL CONVENTO
Pace e bene a tutti, son più di tre mesi che son giunto all’Annunciata, e ancora mi sento emozionato quando celebro in Santuario! Mi guardo intorno e tutto richiama alla bellezza dell’incontro con il Signore e alla santità.
Quando il Signore è asceso al cielo gli angeli hanno detto: “ritornerà”! Questo ci fa dire che l’Avvento è la pienezza della Pasqua e ci dà la grazia di uno sguardo di speranza di fronte a una realtà piena di paura e angoscia, per il lavoro, per la salute, per la povertà.
Uno dei luoghi più belli qui in santuario è una delle stanze del beato Innocenzo, la celletta divenuta museo con il letto pieno di foto e richieste di grazie; spiritualmente quando arrivano delle richieste di preghiere, soprattutto per dei bambini malati, le deponiamo lì.
In tanti ci manifestano il bisogno di salire le scale per raggiungere la stanza del Beato.
Anche per questo a Natale sul letto pieno di foto e lettere metterò una statua di Gesù Bambino, perché dove c’è un fratello che soffre e grida, lì c’è anche Gesù.
In questo tempo è anche bello contemplare la Vergine Maria, l’immagine della Chiesa, la Vergine incinta che genera figli alla fede e più la guardo, più nel cuore ho la certezza che non siamo chiamati a vivere nella paura, ma a vivere il nostro oggi appoggiati al Signore.
In questi giorni ho ripreso a leggere la vita del Beato. Lui da giovane sacerdote, guardando il cielo vedeva il nostro convento e desiderava farsi cappuccino; noi dalle nostre finestre del convento vediamo la Valle e ciò ci ricorda che molte persone vengono all’Annunciata per trovare pace, tanta misericordia… e perdono dei peccati! Noi Cappuccini siamo in festa, poiché la Penitenzieria Apostolica ha rinnovato l’Indulgenza Plenaria, le porte del cielo sono aperte.
Vi aspettiamo con gioia.
Fra Giuseppe
CRONACA PARROCCHIALE
Ci sono alcuni momenti o situazioni nella vita in cui non si sa se la gioia è più grande della tristezza.
È quello che è capitato a noi quando don Paolo ci ha comunicato che a don Mauro era stato proposto di fare il parroco a Corteno e Santicolo.
Da una parte una grande gioia, perché fare il Parroco vuol dire avere una propria comunità, una famiglia da guidare, vuol dire crescere in maturità nel cammino di fede e nella realizzazione della propria vocazione sacerdotale e, soprattutto, sentire la fiducia del Vescovo che affida questo incarico e fare un salto di qualità. Per noi, però, voleva dire perdere il tuo contributo di sacerdote: questo è l’aspetto che ci lascia tristi e amareggiati.
Fa parte della vita di un prete essere “pellegrino”, camminare, andare.
È indubbio, però, che non è facile lasciare un sacerdote che per otto anni ci ha servito e amato, con il quale si è stabilito un legame reale e si sono costruite relazioni profonde. Ricordiamo tutti la prima volta che abbiamo visto don Mauro.
Sono passati anni, ma tu caro Don non sei cambiato per niente: gentile, accogliente, sempre sereno, tranquillo e molto discreto.
La tua parola pacata ci ha illuminato e accompagnato nel sentiero della vita.
La tua attenzione è stata rivolta anche agli ammalati presenti nelle nostre parrocchie, tesoro da custodire gelosamente perché presenza di Cristo sofferente nella comunità.
Un grazie speciale per averci deliziato con la musica dell’organo. Dove non penetra la parola del celebrante, arriva la musica, questa si fa preghiera e la preghiera è sostenuta dalla musica. Tu suonavi non solo con la mente, ma con il cuore.
Grazie don Mauro di esserci stato, noi ti assicuriamo il nostro accompagnamento nella preghiera perché il Signore ti protegga per il tuo grande compito di pastore.
Un grande abbraccio e non un addio, ma un arrivederci.
Le comunità dell’Altopiano del Sole di Borno,
Ossimo Superiore, Ossimo Inferiore
Villa e San Nazaro di Lozio
A nome della Comunità parrocchiale di Ossimo Inferiore e interpretando i sentimenti della popolazione, è purtroppo arrivato, caro don Mauro, il momento di salutarti.
In questi anni di servizio da te svolto, abbiamo apprezzato la tua figura umana e religiosa, unita a una simpatia e ad uno humor divertente e a volte stravagante.
Sei stato una guida spirituale per i giovani del catechismo e del grest, i chierichetti, le coppie di sposi, i genitori, gli anziani e gli ammalati che tu premurosamente seguivi recandoti anche in ospedale.
Abbiamo potuto godere di tante belle innovative e realizzazioni come gli anniversari di matrimonio in occasione dei nostri Santi Patroni e il ritorno dei festeggiamenti del Carnevale, dove non dimenticheremo mai le tue doti di attore allegro e scherzoso e le imitazioni esilaranti.
Se pensiamo a questi otto anni che hai trascorso nella nostra comunità, ci vengono in mente le fun zioni allietate dal suono dell’organo che magistralmente suonavi.
E allora, nonostante il momento del distacco, manifestiamo la nostra gioia nell’essere ancora riuniti, qui intorno all’altare, per celebrare insieme l’Eucarestia.
Ti esprimiamo il nostro sincero ringraziamento per averci fatto dono della tua presenza di pastore attento, mite e umile.
Ti invitiamo a portare noi e questi luoghi nel cuore ricordandoci, attraverso la preghiera.
Da parte nostra ti assicuriamo immutato affetto e pregheremo il Signore e la Madonna che ti accompagnino nel compimento del tuo nuovo ministero sacerdotale a cui sei stato chiamato.
Un fraterno abbraccio.
La comunità di Ossimo Inferiore Ossimo,
5 settembre 2020
Caro don Mauro, ci siamo conosciuti il giorno stesso in cui sei arrivato sul nostro Altopiano, nell’estate del 2012, mentre preparavo il Grest a Ossimo Inferiore.
Mi ha sorpreso da subito la tua timida cortesia e in brevissimo tempo abbiamo potuto tutti apprezzare la tua simpatica presenza tra i bambini e i ragazzi.
A me personalmente ha fatto un gran bene conoscerti e confrontarmi con te sui piccoli temi della pastorale che allora mi agitavano, ma soprattutto poter fare esperienza della tua amicizia delicata e paterna.
Sono certo che il Signore ti ha inviato al momento giusto nella nostra Unità Pastorale, come ora ti invia nelle parrocchie di Corteno Golgi e Santicolo.
Ti accompagno con la mia preghiera e la mia vicinanza.
Mi spiace proprio non poter essere presente oggi, ma ti abbraccio tramite chi legge le mie parole.
Coraggio!
Don Alex
Carissimi don Raffaele e don Stefano, avevamo pensato di regalarvi dei mezzi di trasporto veloci per raggiungere le varie Parrocchie.
In questo modo, però, non avreste potuto apprezzare, durante il vostro percorso, le nostre bellezze naturali.
Così siamo arrivati alla determinazione di donarvi un solido bastone e uno zaino capiente. Il bastone vuole rappresentare lo strumento che percorre con i giovani le varie esperienze della vita.
Nel contempo vuole essere un sostegno ai non più giovani per affrontare i traguardi più ardui. Lo zaino invece è un raccoglitore di incontri, di ricordi e di esperienze che vivremo insieme.
Avevamo pensato poi di regalarvi un dipinto del Caravaggio, ma questo non sarebbe stato all’altezza della raccolta di immagini meravigliose delle nostre chiese che rappresentano le nostre cinque comunità.
Il nostro augurio è che le vostre mani possano essere sempre unite per lavorare insieme e creare un clima di collaborazione per il raggiungimento dei medesimi obiettivi.
Le chiavi della vostra dimora vi saranno già state consegnate; noi vogliamo farvi dono delle chiavi degli oratori dove incontrerete giovani e famiglie, vivendo insieme esperienze di fraternità cristiana.
Grazie di cuore da parte di tutti noi e buon cammino.
I catechisti
Sabato 17 ottobre la comunità di Ossimo Superiore ha accolto don Raffaele.
Domenica 25 ottobre la comunità di Ossimo Inferiore ha accolto don Stefano.
Domenica 18 e domenica 25 ottobre anche le comunità di S. Nazaro e Villa di Lozio si sono vestite a festa per accogliere don Raffaele e don Stefano.
A conclusione della Settimana Mariana – che in anni normali prepara al nuovo anno pastorale e alle diverse attività ad esso legate – domenica 18 Ottobre abbiamo vissuto un momento grande e significativo: due comunità, quella di Borno e quella di Ardesio, si sono incontrate e hanno condiviso una bella e partecipata funzione dedicata alla devozione per Maria. Borno ha, infatti, accolto la riproduzione della statua della Madonna delle Grazie di Ardesio donata dalla comunità ardesiana.
È cosa nota la consuetudine oramai trentennale che vede tanti bornesi organizzarsi – chi a piedi, chi in bicicletta – per il pellegrinaggio ad Ardesio nel mese di maggio. E questa è storia recente.
In verità la devozione dei Bornesi per la Madonna della Grazie affonda le radici nel passato. Durante la sistemazione dell’archivio parrocchiale abbiamo trovato tracce di un pellegrinaggio avvenuto il 30 luglio del 1877 con ben 108 partecipanti! È molto bello quando le comunità sentono il bisogno di conservare un profondo legame con la devozione mariana, tenendola viva con gesti tanto significativi. Non si tratta evidentemente solo di semplici tradizioni, ma di momenti che attestano il senso delle fede, del nostro essere cristiani nella storia! La Parola del Signore ci sprona sempre a verificare il nostro rapporto con Dio e con il mondo. Davanti all’altare, in quella domenica 18 ottobre, queste due realtà si sono incontrate con un gesto di comunione.
Il cristiano non contrappone i due mondi: egli sa di essere al tempo stesso autentico cittadino del mondo e del Regno, testimoniando Dio come l’unico Signore della sua vita.
La redazione
In questa domenica abbiamo ricordato il 50° di consacrazione di Giacomina, Pierina, Antonietta e il 25° di suor Ester. Di seguito un pensiero di don Giuseppe per le nostre sacriste, mentre nella rubrica dei missionari troviamo la trascrizione dell'audio messaggio inviato da suor Ester.
“Uno sculture stava lavorando alacremente col suo martello e il suo scalpello su un grande blocco di marmo. Un ragazzino che passeggiava leccando il gelato si fermò davanti alla porta spalancata del laboratorio. Il ragazzino fissò affascinato la pioggia di polvere bianca, di schegge di pietra piccole e grandi che ricadevano a destra e a sinistra. Non aveva idea di ciò che stava accadendo: quell'uomo che picchiava come un forsennato la grande pietra gli sembrava un po' strano. Qualche settimana dopo, il ragazzino ripassò davanti allo studio e con sua grande sorpresa vide un grande e possente leone nel posto dove prima c'era il blocco di marmo. Tutto eccitato, il bambino corse dallo scultore e gli disse: “Signore, dimmi, come hai fatto a sapere che c'era un leone nella pietra?.” (Bruno Ferrero)
Suona il telefono: Pronto! Sono don Stefano, il nuovo curato di Borno. Ti chiedo un favore, e credo proprio che non mi dirai di no: scriveresti per Cüntòmela un articolo su due persone che conosci molto bene? Chi sono? Giacomina e Pierina! Per Borno Giacomina e Pierina sono un’istituzione, sono dei pilastri per la loro rettitudine, per il loro comportamento, per il loro esempio, per la loro testimonianza, per la loro fede, per il loro amore, per la loro bontà e semplicità. Sono sicuro che quando leggeranno queste righe mi vorranno tirare le orecchie, perché a loro non piace apparire, preferiscono alle parole i fatti, al palco il silenzio, alla piazza la chiesa e la loro casa.
Spesso sentiamo dire queste parole: “ho fatto un grande investimento”. Anche Dio fa i suoi investimenti. L'uomo è un investimento dell'amore di Dio, l'uomo è il capitale prezioso di Dio. E quando un uomo fa un investimento sogna naturalmente che il capitale investito vada a buon fine! Anche Dio fa lo stesso: sogna che si realizzi per ogni persona il buon fine della santità. Nessun uomo, anche se lo vuole lo desidera con tutto sé stesso, riesce a raddoppiare il capitale che Dio ha investito su di lui, questo il Signore lo sa bene; ma è contento quando l'uomo vuole e desidera la santità! Nella solennità di Cristo Re dell'universo, il Vangelo mette in evidenza quale è la materia del nostro ultimo esame con Dio: l'amore. Opzioni: avete fatto/non avete fatto; avete amato/non avete amato.
Giacomina e Pierina, insieme ad Antonietta, sono laiche consacrate (Angeline) e per loro al primo posto c'era e c'è l'amore di Dio. Penso alla loro abbondante preghiera, penso alle tante sante messe alle quali hanno partecipato, a quanto hanno pregato con i salmi della liturgia delle ore! E cosa dire della loro devozione alla Madonna e al culto verso i morti.
San Giacomo apostolo, nella sua unica ma profonda lettera, ha scritto: “La fede, se non è seguita dalle opere, è morta.” Giacomina e Pierina hanno voluto bene a tutti e se qualcuno aveva bisogno di loro non si tiravano mai indietro. Hanno voluto bene ai sacerdoti incontrati nella loro vita, a quelli che ancora vivono, ma anche a quelli che, come dicono gli Alpini, sono andati avanti e li ricordano sempre con la celebrazione di sante messe di suffragio. Hanno voluto e vogliono bene alla chiesa parrocchiale e alle chiese sussidiarie, garantendo sempre decoro, ordine e pulizia degli ambienti, degli indumenti per le varie celebrazioni, dei paramenti sacri e degli arredi.
Sono certamente convinto che non sono io che mando o non mando in Paradiso le persone, ma sono altrettanto convinto che queste nostre due sorelle sono sulla strada giusta: il traguardo fra almeno cinquant'anni! Il breve brano iniziale ci racconta di un blocco di marmo dal quale lo scultore realizza un’opera d'arte.
Anche Dio ha saputo scolpire da Giacomina, Pierina e Antonietta, l’opera più bella: la santità. Ed è questo l'augurio che faccio a Giacomina e Pierina: con Dio continuate a camminare verso la santità! A nome di tutta la comunità di Borno e mio personale, un grande GRAZIE per tutto quello che siete e fate e per tutto quello che continuerete a fare!
Grazie e auguri di santità!
don Giuseppe Maffi
don CESARE ISONNI 7 giugno 1975
don LINO ZANI 8 dicembre 1975
L'ABC DELLA FEDE
Trittico “I sette sacramenti” - Rogier van der Weyden
LA QUESTIONE Cosa sono i sacramenti? Quanti sono i sacramenti? A cosa servono? Come si ricevono? Sono alcune delle molte domande che tanti oggi più che mai si pongono. È interessante notare come questi riti sacri siano sconosciuti, in parte, anche dai fedeli delle nostre comunità. Ad esempio quanti sanno che l’Unzione degli Infermi è un sacramento molto importante per la fase finale della vita terrena e che si può ricevere più volte? O che la santa Cresima è strettamente legata al Battesimo? A queste e altre domande cerchiamo di dare una risposta, senza utilizzare un linguaggio troppo noioso e tecnico.
I sacramenti della fede cristiana sono sette e si articolano come una scala a pioli. Partendo dal basso, il primo gradino per salire in sicurezza verso la metà dalla vita eterna è il Battesimo, detto anche porta dei sacramenti. È molto importante perché con esso si entra a far parte della Chiesa a tutti gli effetti.
Parlando del Battesimo, affrontiamo un tema importante per comprendere l’efficacia dei sacramenti: la fede. Senza la fede non è possibile capire e vivere a pieno il significato e il senso del gesto sacro che i sacramenti offrono alla vita dell’uomo.
Il battesimo dei bambini, in particolare, tende ad evidenziare la fede professata dai genitori e dai famigliari dei battezzandi stessi. I genitori sono chiamati, davanti alla Chiesa, ad educare e far crescere i loro bambino nella fede che tutti professiamo in Cristo risorto, soprattutto mediante una testimonianza concreta e quotidiana. È evidente come tale compito sia impegnativo, complesso e vincolante.
Fin dalle sue radici nell’Antico Testamento la dimensione del “sacro” si presenta importante e fondamentale per la storia della salvezza. Da sempre questa dimensione colma il vissuto umano con l’utilizzo di ritualità e di gesti che collegano al divino. La religione cristiana da sempre ha curato il rito sacro riempiendolo di significati. Un documento esemplare della fine del I secolo, la Didaché, ci offre elementi importanti per capire e ricostruire dalla loro nascita germinale i sacramenti della fede cristiana.
Essa parla in modo efficace di due sacramenti in particolare: il Battesimo e l’Eucarestia. Pertanto la Didaché attesta indirettamente la presenza nella primissima comunità cristiana di alcuni riti abbastanza strutturati, con formule rituali (come quella trinitaria utilizzata per il battesimo) e tempi precisi in cui questi possono essere celebrati.
LA STORIA La storia dei sacramenti è molto complessa e si articola in diversi momenti della vita della Chiesa. È certo che i sacramenti, nel corso del tempo, abbiano subito alcune modifiche in maniera consistente nella forma rituale, ma non nella sostanza che, fin dall’inizio delle comunità cristiane, non è mai mutata nella sua struttura.
I Padri della Chiesa non hanno mai smesso di affrontare il tema sacramentario, arricchendolo di nuovi studi e nuove proposte per far sempre meglio percepire l’aiuto che il sacramento dona ai fedeli che lo ricevono.
A loro si deve la comprensione che la dimensione sacramentaria è sempre in rapporto alla fede della persona e che è proprio questa fede lo spazio in cui in qualche modo si realizza la valenza oggettiva del gesto della Chiesa. La stessa Chiesa per S. Ambrogio è: «lo spazio dentro il quale soltanto è possibile far convergere, in modo armonico le due possibilità dei sacramenti rendendoli un unico viaggio di salvezza».
Il fatto che i sacramenti siano sette come li conosciamo noi oggi, è da attribuire a Pietro Lombardo e, in modo ufficiale e definitivo, al concilio di Lione del 1274. I motivi che hanno spinto tale concilio a definirne sette sono da condurre alla mentalità del tempo che faceva frequenti riferimenti alla simbologia legata ai numeri. Alberto Magno propose il settenario all’interno di una visione di pienezza e di totalità. È il numero che ritorna spesso nella Bibbia e nella tradizione cristiana: sette giorni della creazione, sette doni dello Spirito Santo e cosi via.
Il conflitto polemico con la riforma protestante spinse la Chiesa tridentina a un’assolutizzazione dei sette sacramenti, dichiarando eretico chiunque ne aggiunga o tolga qualcuno. Sempre il concilio tridentino stabilì che i sacramenti permettono un’autocoscienza cristiana e la loro efficacia, che si estende ad ogni momento della vita, non è legata alla statura morale di chi li amministra. Essi non sono solo la prova più sicura e completa della presenza salvifica di Cristo, ma anche la garanzia che Egli è realmente in mezzo a noi ogni volta che ci riuniamo nel suo nome e compiamo questi gesti in memoria di Lui.
Riassumendo i sette sacramenti istituiti da Cristo, che illustreremo nei prossimi numeri di Cüntòmela, si dividono in tre gruppi:
1 sacramenti dell’iniziazione: Battesimo, Eucarestia e Confermazione;
2 sacramenti della guarigione: Riconciliazione e Unzione degli Infermi;
3 sacramenti del servizio: Matrimonio e Ordine Sacro.
Ma come ricorda il Catechismo della Chiesa Cattolica tutti «i sacramenti formano un organismo nel quale ciascuno di essi ha il suo ruolo vitale. In questo organismo l’Eucarestia occupa un posto unico in quanto è il “sacramento dei sacramenti”».
Don Stefano
L'ABC DELLA FEDE
Dopo aver presentato il Pentateuco e i Libri Storici in questo articolo e nel prossimo, cercheremo di addentrarci un po’ nella terza grande sezione dell’Antico Testamento, quella dei Libri Sapienziali. La maggior parte di questi testi sono in forma poetica e esprimono la sapienza del popolo d’Israele.
Possiamo considerare sapienziali in senso stretto cinque libri:
A questi se ne aggiungono altri due che sono però molto diversi, sia per genere letterario sia per quanto riguarda il contenuto:
È interessante soffermarci brevemente sul genere letterario sapienziale che è caratterizzato da un tipo di espressione ben preciso, che si sviluppa attraverso frasi brevi, che richiama tantissimo i nostri proverbi.
Possiamo riconoscere un obiettivo specifico: quello dell’insegnamento.
L'autore è un saggio che intende insegnare agli altri, e specialmente ai giovani, l'arte del vivere. Ha davanti a sé la sua società, con strutture che ritiene più o meno immutabili, e guida gli uomini ad adeguarsi a queste strutture allo scopo di ottenere il massimo successo possibile. Gli scritti sapienziali sono pertanto raccolte che hanno per oggetto l'operare bene in funzione del vivere bene.
L'intonazione delle opere è in genere ottimista. Si fondano sul presupposto che chi mette in pratica i consigli da esse impartiti giungerà sicuramente al successo a cui aspira. In realtà non tutte sono così semplicistiche. Non sfuggiva ai saggi che il successo e la felicità non sempre si potevano e si possono costruire con l'applicazione di certe regole; anzi spesso il successo e la felicità erano ben lonta ni, nonostante la buona volontà e la corretta applicazione dei precetti. Ciò portò a una meditazione più profonda e meno pretenziosa. Nacquero opere che ponevano il problema dell’ingiustizia.
Questo tipo di meditazione, caratterizzata dal fatto di concentrarsi sull'uomo e sul suo destino, trascende il genere letterario sapienziale vero e proprio, tanto che sarebbe errato definire i libri sapienziali solo in base al genere letterario. A titolo di esempio, il Libro di Giobbe rientra malamente nello schema classico della letteratura sapienziale.
Le singole opere sapienziali sono difficilmente riconducibili a schemi fissi: ognuna ha la sua individualità. Ogni autore ha la sua personalità e scrive in base ad essa, oltre che in base al luogo e al tempo in cui vive. È quindi necessario distinguere accuratamente il genere letterario, cioè lo stile, e le conclusioni a cui ogni autore giunge. Certe idee, poi, sono tipiche di luoghi ed epoche particolari, e solo conoscendo l'ambiente vitale in cui l'opera nasce si possono trarre conclusioni precise.
Cronologicamente i libri sapienziali sono tutti stati scritti dopo l’esilio, tranne il Libro dei Proverbi, che contiene parti molto antiche, e quello di Giobbe.
Una curiosità: il Siracide e il Libro della Sapienza, rispettivamente nati nel II e nel I secolo a.C., non appartengono al canone palestinese dell'Antico Testamento; il Concilio di Trento li pone tra i canonici, quindi sono accolti dalla Chiesa Cattolica, ma tale riconoscimento non è generale tra le altre confessioni cristiane che comunque li considerano utili per l’edificazione personale. Per questo motivo dal XVI secolo in poi sono detti deuterocanonici, cioè del secondo canone.
Nel prossimo numero cercheremo di proporre una presentazione dei singoli libri di questa sezione.
Luca Dalla Palma
ORATORI DELL'ALTOPIANO
L’oratorio è da sempre per me, come per tanti di noi, un luogo di fraternità, di comunione, di bellezza, vissute accanto alle persone, alle famiglie, ai giovani e ai bambini. È bello vedere un centro giovanile vivo, perché se l’oratorio è vivo, tutta la comunità è viva. È uno scherzo del demonio cadere nelle sue trappole come, ad esempio, avere un atteggiamento di spensieratezza, di rilassamento rispetto a questo importante punto d’incontro per tutti noi.
In questo tempo di pandemia non si è potuto utilizzare l’oratorio per i suoi innumerevoli servizi, incontri; nemmeno il catechismo, importante momento per la vita cristiana, si è potuto svolgere come da programma. È inevitabile domandarsi che cosa possiamo fare per tenere vivo il ricordo e il progetto dell’oratorio all’interno delle nostre famiglie e delle nostre comunità.
L’estate è stata all’insegna di alcuni momenti animati dai nostri ragazzi e giovani e, anche se non è stato il tradizionale Grest, il risultato sentendo alcuni educatori è stato molto positivo. Con il nuovo anno pastorale stiamo cercando di ripartire con il catechismo e con alcune piccole attività che possono essere svolte in sicurezza e con le dovute misure di tutela per la salute.
Ripartiamo da qui per non correre il rischio, alla fine di questo tempo molto impegnativo e che paradossalmente ha fatto consumare molte energie a tutti noi, di imboccare una strada differente da quella della nostra fede cattolica: potremmo, infatti, scadere nella pigrizia e nella logica del già fatto, senza metterci in gioco.
Sarà importante, dunque, in questi mesi progettare e tenerci in contatto costantemente per sentirci sempre più comunità viva. I nostri ragazzi e giovani sono il futuro vivo della Chiesa di Borno, Ossimo e Lozio.
Camminiamo senza mai fermarci verso la meta e anche se abbiamo paura non scoraggiamoci: il Signore ci guiderà per strade a noi per ora sconosciute, che ci aiuteranno a focalizzare i principali compiti, i carismi particolari di ciascuno di noi all’interno della comunità.
Forza e coraggio! I nostri oratori non si fermano, ma continuano a vivere nelle persone che credono nella Chiesa viva, come Cristo Risorto è vivo.
A tutti noi tanti auguri per i nostri oratori, vivi, attivi e uniti! Un forte abbraccio
don Stefano
DALLE COMUNITÀ Borno
Con queste due parole possiamo riassumere il significato della celebrazione Eucaristica con la quale ufficialmente benediciamo i lavori di restauro della chiesa parrocchiale.
Impegno ce né voluto parecchio sia in termini di tempo, che di risorse materiali ed economiche. Certo è che questo impegno a più livelli nasce non solo da un buon cuore e dalla buona volontà, ma credo soprattutto dall’amore e dalla fede e devozione nei confronti di Dio che si manifesta nell’avere un luogo privilegiato in cui incontrare il Signore, ascoltarlo, pregarlo e vivere insieme questo incontro.
Senza questa fede e amore la chiesa sarebbe bella ma spenta, fredda, non avrebbe vita. Per questo la chiesa parrocchiale rimessa in ordine diventa espressione della comunità e della vita comunitaria.
Come cristiani siamo chiamati a vivere la nostra vita umana e di fede non in solitaria, ma camminando insieme. Vivere da cristiani non è una gara a chi è più bravo o a chi arriva per primo ad un traguardo spirituale. Vuol dire, invece, accogliere chi non ha le mie stesse idee, chi fa più fatica, chi non ha una sensibilità come la mia… l’essere in tanti è più difficile da gestire, ma è più arricchente. La comunità si apre a ciò che va oltre il proprio campanile e per fare questo ha bisogno che i protagonisti siano i cristiani autentici, pur nelle miserie con cui conviviamo ogni giorno.
Riassumerei questo concetto con questo proverbio africano che papa Francesco ha usato “da soli si corre veloce, insieme si va lontano”.
Gratitudine per chi ha contribuito con le idee, il lavoro, il sostegno economico per far sì che il sogno di avere una “chiesa apposto e bella” diventasse realtà.
Dire grazie è segno che non tutto nella vita è dovuto, non dobbiamo solo pretendere, ma è aver capito che ciò che siamo e abbiamo è un dono ricevuto, al quale abbiamo corrisposto con il nostro impegno quotidiano onesto e generoso. Ciò che siamo e abbiamo è dono di Dio, quindi abbiamo il “dovere” di restituire una parte di questo dono.
Dire grazie significa anche essere capaci di stupirci e meravigliarci, non dare tutto per scontato, tutto per abitudine. La vita di ogni giorno se la cogliamo come dono ci stupisce, è l’occasione per meravigliarci e dire semplicemente GRAZIE.
Allora mentre celebriamo l’Eucarestia ammirando i lavori e la bellezza della chiesa, ricordiamoci di coltivare la gratitudine per essere capaci di stupirci per il dono che ogni giorno il Signore ci fa.
Continuiamo il nostro cammino umano e cristiano non da solitari come se fossimo partecipi di una gara, ma insieme, in cordata. Sarà più faticoso aspettarsi, ma se ne saremo capaci la gioia per la condivisione del cammino ci renderà più comunità, saremo chiesa viva, che spera e ama.
Don Giuseppe Stefini
parroco di Malegno e Cividate
DALLE COMUNITÀ Borno
Nel 2018 abbiamo celebrato in svariati modi i mille anni di presenza di un edificio sacro sul nostro sagrato, partendo da un documento antico che riportava la data dell’11 novembre dell’anno del Signore 1018 allorché “ante hostium basilicae sancti Martini” si incontrarono i vescovi di Brescia e Bergamo per dirimere l’annosa questione del monte Negrino.
Ed è proprio partendo da questo evento che sono nati i primi ragionamenti sugli improrogabili interventi alla chiesa parrocchiale che versava in condizioni preoccupanti sotto l’aspetto conservativo, e pericolose sotto l’aspetto strutturale.
Don Francesco ha dato il la all’avvio dei sopralluoghi, delle analisi, dei progetti e don Paolo ha raccolto il testimone dando il via ai lavori.
Gli interventi sono stati numerosi e impegnativi. Molti di essi, in particolare quelli alle capriate, non visibili per evidenti motivi. Anche quelli di restauro delle parti in pietra ai vari fregi e capitelli o agli orologi o al campanile sono stati estremamente delicati e non direttamente visibili.
Il Gruppo Comunicazione nato per divulgare il progetto di restauro, grazie alla collaborazione delle maestranze e dell'impresa, ha in questi mesi raccolto tanto materiale fotografico, interviste, approntato video affinché tutti potessero essere al corrente del grande lavoro fatto. Per questo ha pensato di predisporre una pubblicazione (che uscirà probabilmente in occasione del Triduo dei morti 2021) dove, grazie anche alla penna di Oliviero Franzoni e dell’architetto Pietro Castelnovi si racconterà la storia di questi imponenti interventi alla nostra chiesa.
Insieme al parroco si è anche pensato ad altre iniziative divulgative, ma la pandemia ancora in atto non permette di muoversi in tal senso. Confidiamo nella primavera, quando anche i lavori alla chiesetta dei Disciplini saranno ultimati.
Emilia Pennacchio
DALLE COMUNITÀ Borno
sant’Angela Merici
Agli inizi dell’Ottocento si stabilirono in Valle Camonica alcuni membri della famiglia Rabaglietti (citata anche nelle versioni Rabbaglietti, Rebbaglietti, Rebaglietti, Rebalietti), originaria di Vanzone, in Valle Anzasca, nell’alto novarese, dove nei secoli XVII-XVIII godette la titolarità di concessioni riguardanti lo sfruttamento di miniere aurifere e lungo i cui rami si contano don Giuseppe, vicario generale della diocesi di Novara sul finire del Settecento, e l’intagliatore Giuseppe, vissuto nei primi anni del XIX secolo. Abitò a Esine nel 1806 mastro Giambattista del fu Domenico, mentre nel 1834 un Francesco, dimorante in Darfo, curò la fornitura e la collocazione di vetrate nella nuova sacristia della parrocchiale di Esine.
A Borno prese domicilio mastro Battista (viv. 1819-1824), “invetriaro” e “piltraio”, pagato nel 1821 per l’approntamento di “bussoli di latta per le candele” e nel 1824 per la posa di lastre alle finestre della parrocchiale. Sempre a Borno, in un alloggio ubicato in via Sottopiazza, trasportò definitivamente la residenza mastro Giacomo (Vanzone 9 ottobre 1783 - Borno 29 dicembre 1866) del fu Giacomo e della fu Maria Bozzi, estrattore di trementina dalle pinacee, “pistore” (fornaio) e artigiano vetraio, artefice di interventi nella locale chiesa parrocchiale: nel 1824 “sei lastroni posti sulle nuove fenestre della bussola”, nel 1828 “un’invetriata” e nel 1840 il “ristauro dell’antello del fenestrone rotto dal vento”.
Dal matrimonio (contratto il 23 novembre 1818) di Giacomo con la giovane Marta Pina (Borno 4 giugno 1796 - ivi 4 aprile 1875), figlia di Bartolomeo (Borno 1759 - ivi 1822) e della fu Maria Elisabetta Franzoni (Ossimo 1756 - Borno 1814), nacquero, oltre a quattro infanti deceduti in tenera età, tre figli: Giovanni Giuseppe (Borno 29 luglio 1825 - ivi 15 maggio 1910), tenutario di negozio da pizzicagnolo, morto nelle funzioni di sindaco del paese, sposato nel 1878 con Barbara Cattoni di Dimaro in Val di Sole, da cui non ebbe discendenza; Maria Elisabetta (Borno 4 settembre 1827 - ivi 13 ottobre 1865), convolata a nozze il 28 gennaio 1862 con l’oste Andrea Bertelli (Borno 25 dicembre 1826 - ivi 21 marzo 1898); Maria Angela (Borno 10 marzo 1821 - ivi 6 agosto 1903), rimasta nubile, morta “munita di tutti i conforti della religione e di papale benedizione”, il cui nome è indicato, come destinatario, sul retro di due fascicoletti privi di data, compilati in chiara e minuta grafia.
Nel primo, costituito da undici pagine, trova registrazione un articolato “Metodo di vita”, organizzato in cinque capitoli sotto la dizione di “Ogni giorno” (con 12 paragrafi), “Ogni settimana” (6 paragrafi), “Ogni mese” (4 paragrafi), “Ogni anno” (4 paragrafi) e “Ogni tempo” (33 paragrafi); il secondo incartamento presenta, disteso in sette pagine, un “Metodo di orazioni vocali”, diviso in due sezioni (per un totale di 12 paragrafi), una “per la mattina” e l’altra “per la sera”, con l’aggiunta di un manipolo (in 5 punti) di “Brevi ricordi”.
Il contenuto di questi manoscritti rimanda alla ridondante pubblicistica a carattere devozionale comunemente diffusa nel primo Ottocento (da cui fu probabilmente estratto o comunque mutuato nello spirito e nella forma), con edizioni destinate a riscuotere largo gradimento da parte del pubblico dei fedeli, molte delle quali uscite dalle numerose stamperie attive nella città di Brescia. I due libricini destinati alla zitella bornese mostrano in maniera esemplare un denso e stringente fascio di pensieri contenenti pressanti consigli e pervasivi precetti di ordine formativo e devozionale, dettati da qualche direttore spirituale, verosimilmente un frate o un religioso, anche se non si può escludere un sacerdote secolare.
Questi esercizi di pietà spicciola e alla portata di tutti vennero scritti, attraverso l’uso di un linguaggio piano e comprensibile, a beneficio di un’anima semplice e devota alla Chiesa e alla religione, una delle tante che allora decoravano la bella terra di Borno. Erano destinati a scandire le ore e a contrassegnare il passare del tempo durante il dipanarsi della tranquilla giornata di una donna di buona famiglia, forse aggregata stabilmente a qualche pia confraternita o iscritta alla popolare compagnia delle vergini dimesse di sant’Orsola cosiddette angeline, fondata nel primo Cinquecento dalla bresciana sant’Angela Merici. Questo pugno di regole di vita costituisce una piccola guida volta a indirizzare più adeguatamente la preghiera quotidiana e a stimolare la santificazione personale, a richiamare alla mente i doveri del buon cristiano e a conservarsi in uno stato di virtù, a veicolare meglio le pratiche di pietà inserendole dentro uno schema di facile adozione, modulato sui piatti ritmi del giorno.
san Filippo Neri
Nei due opuscoli compare spesso, come fonte inesauribile e modello di riferimento, il richiamo a san Francesco di Sales, vescovo di Ginevra e dottore della Chiesa, noto come il santo della dolcezza, applaudito autore di fortunatissimi manuali redatti a servizio delle anime quali la Filotea o Introduzione alla vita devota (1609) e il Teotimo o Trattato dell’amor di Dio (1616); non mancano rimandi ai santi Filippo Neri, Bonaventura, Bernardo.
Il “Metodo di vita” esordisce con “al primo svegliarsi la mattina donare a Dio il primo pensiero, e levarsi dopo sette o otto ore di riposo”, continua con “nel vestirsi, ciò che farete con tutta modestia, pregarete in cuor vostro il Signore Iddio che si degni vestire colla sua santa grazia l’anima vostra delle sante virtù”, raccomanda di far seguire la recita di Angelus Domini, Pater, Ave, Credo, Salve Regina, Angele Dei, litanie della Beata Vergine (anche la sera, prima di andare a letto) e di aggiungere “la santa meditazione di mezz’ora” e “un po’ di lezione spirituale”, nonché “tre atti di virtù, o di mortificazione in onor di Maria”.
Vengono snocciolati poi altri comandi: “ascoltate ogni mattina la messa con molta divozione, detta da San Francesco di Sales Sole degli esercizi spirituali, cuore della divozione, anima della pietà”, usando “una particolare attenzione alle sue due parti principali consecrazione e comunione”; durante il giorno “avvezzatevi ad alzare spesso la mente a Dio con brevi ma ferventi giaculatorie”. Per la sera il direttore consiglia – prima dell’esame di coscienza e del conseguente atto di contrizione – di rinnovare la recita delle orazioni quotidiane, pregando altresì la Vergine “ad assistervi nella notte tenendo da voi lontani i sogni importuni, ed ogni altra cattiva immaginazione”.
La penitente bornese era invitata ad accostarsi ogni settimana ai sacramenti della confessione e dell’eucarestia, praticando la domenica la “Via Crucis figurandovi di accompagnare Gesù Cristo al calvario”. Mensilmente doveva scegliere un giorno “per il ritiro della buona morte”, affidarsi a “un santo avvocato d’ogni mese a cui ricorrere ogni giorno nei bisogni particolari”, individuare di volta in volta una virtù specifica, esprimendo il proposito di attendere “con distinta diligenza alla pratica di quella”.
Nel corso dell’anno bisognava fissare “alcuni giorni di ritiro per fare gli esercizj spirituali”, impegnarsi a compiere le novene, almeno quelle principali, e a “santificare il tempo di carnovale”, un dannato periodo assai pericoloso a causa dell’aumento delle occasioni di immoralità e del generalizzato, momentaneo rilassamento dei costumi. Sotto il profilo degli atteggiamenti da assumere nei rapporti sociali e con sé stessa, il direttore d’anime forniva alcuni suggerimenti improntati a buon senso, serenità, comprensione dell’animo umano e indulgenza: conservatevi “sempre allegra”, mantenete “lontano dal vostro cuore ogni pensiero di malinconia, amate le società oneste, ed analoghe al vostro stato”; lasciate che negli incontri e nelle conversazioni predomini “una graziosa e moderata giocondità, e santa libertà”, astenendovi “dal dire diffetti occulti e gravi del vostro prossimo e del resto discorrete pure di cose piacevoli e facete, e non temiate che ogni parola sia peccato”; “quando sentite ad entrar nel vostro cuore la malinconia distraetevi in altro, cercate la compagnia se non altro dei vostri domestici, soprattutto guardatevi dal ritirarvi a machinare, o a piangere da sola in camera”; “abbiate gran premura di conservar la sanità, e le forze del vostro corpo”, poiché sono “un dono di Dio, di cui siete depositaria non padrona”; “procurate in voi stessa lo spirito di umiltà, ma di una umiltà allegra, coraggiosa e confidente, fate un gran conto di alcune piccole virtù, quali sono la pazienza, la sofferenza dei prossimi, l’umiltà, la dolcezza d’animo, l’affabilità”; ricercate e sforzatevi di conservare “la pace del cuore, e il demonio resterà confuso, accostatevi alla confessione con animo lieto e pieno di fiducia, perché questo è un sacramento di misericordia, andate all’orazione con raccoglimento, e con la pace del cuore. E se orando sentite lo spirito annojato, o stanco allora è meglio interrompere l’orazione e sollevarvi alcun poco, con qualche onesto divertimento, cercando compagnia; praticate questi esercizi senza anzietà e senza angustia, ma con spirito di dolcezza e di amore”.
Il “Metodo di orazioni vocali” si apre, al mattino, con: “subito vestita inginocchiatevi e recitate l’Agimus tibi gratias in ringraziamento per la notte passata, e poi mettetevi nelle mani del Signore e fate l’offerta di ciò che penserete, direte, farete, e patirete quel giorno”, accompagnandola con la recita di orazioni quali “l’Actiones nostras, e poi un Pater, Ave e Gloria, l’Angelus Domini, oppure tre Ave Maria, un’Angele Dei, un Pater, Ave e Gloria a tutti i Santi” e alla Madonna; “entrata in chiesa farete l’adorazione del Santissimo Sacramento e reciterete un Pater, Ave e Gloria mettendo avanti queste parole: ‘Vi adoro ogni momento, o vivo Pan del Ciel, o gran sacramento’, il Pange lingua, e il da tutti amato, ma di vero cuore e con molto desiderio”, e poi ancora la recita di Ave Maria, Angele Dei, Pater, Ave, Gloria ai santi “più divoti del Santissimo Sacramento”, alla Santissima Trinità, all’arcangelo Michele e ai cori degli angeli, ai santi Giuseppe, Luigi (“per il quale avrete una tenera divozione”) e Teresa, al “protettore del mese” e a “tutti i santi della vostra chiesa”, seguiti dal Credo e dalla Salve Regina, con l’aggiunta di un Pater, Ave, Gloria “al Sacro Cuor coll’aspirazione avanti: Dolce cuor del mio Gesù, fa ch’io t’ami sempre più”, e altre Ave Maria munite di invocazioni “in onore della purità di Maria”, ovvero “Regina de’ Vergini, pregate per me, Vergine Santissima a voi consacro la mia mente, ed il mio cuore, e propongo di non voler mai nutrire, né pensieri, né affetti contro la purità, a voi consacro i miei occhi, le mie orecchie, la mia lingua, e propongo di non voler mai guardare, né ascoltare, né dire cose contro la santa purità, a voi consacro tutta me stessa, e propongo di non voler mai fare, né permettere cosa alcuna contro la santa purità”.
Ancora, doveva recitare l’“Angelus Domini del mezzo giorno e della sera” e - “in quell’ora che volete fra il giorno, quando fate la visita al dopo pranzo se vi è comodo” - una sfilza di Pater, Ave, Gloria, “coll’inno Veni Creator”, allo Spirito Santo “Sede della Sapienza”, a Gesù Bambino, all’Immacolata Concezione, “in adorazione delle Sante Piaghe”, sette Ave Maria “in memoria dei dolori di Maria replicando ad una per una con gran desiderio quelle parole: Santa Madre deh voi fate che le Piaghe del Signore siano impresse nel mio cuore e lo Stabat mater tutti i venerdì”.
Il direttore consigliava a Maria Angela di recitare le preci “in diversi e separati intervalli, nella quale maniera vi riuscirà più facile anche l’attenzione, il raccoglimento, e la divozione che deve essere l’anima delle vostre orazioni”; in tal modo resterà “più tempo per la meditazione, per la lettura spirituale delle vite de’ Santi, o di qualche altro buon libro di pietà, e per esercitarvi in atti di fede, di speranza, di amore, di umiltà, di pentimento, di rassegnazione”. Alla sera si dovevano reiterare le preghiere mattutine, con l’inserimento di Pater, Ave, Gloria ai santi Francesco di Sales, Anna e Andrea Avellino, “giaculatorie” alla Vergine, “un De profundis, un Miserere, la terza parte del Rosario, il vespro e la compieta della Beata Vergine”; le domeniche e le feste, “secondo il tempo che avete in libertà, potrete recitare le litanie de Santi, così pure una volta al mese come sarebbe nel giorno di ritiro approverei la recita divota de’ 7 Salmi Penitenziali” e “di tanto in tanto secondo il tempo che si ha” anche la “recita di qualche parte dell’ufficio de’ morti a loro suffragio”.
La ripartizione “Brevi ricordi” offre un florilegio di spunti di riflessione, introdotti paragonando l’anima a “un giardinetto che dovete coltivare colle attenzioni di un diligente giardiniere. La prima fatica che fa il giardiniere nel suo giardino è quella di levare i sassi, di togliere le spine, le ortiche, e radici infette, rivoltare sottosopra il terreno. La prima cura di un’anima che vuol darsi alla pietà è quella di togliere dall’anima il peccato col mezzo di una buona confessione. La seconda opera è quella di seminarlo e piantarlo con regola. Dopo tolto dall’anima il peccato, la prima cosa bisogna stabilire un metodo di vita facile, di poche cose, ma stabile ed invariabile. Se la semenza stesse sempre nel terreno non produrebbe mai nulla, bisogna che esca dal terreno, che s’innalzi, che mandi fiori per poter poi produr frutti. Se un’anima vuol avvansarsi nella pietà bisogna che lo desideri ardentemente, e spinga i suoi desiderj molto alti, desiderando ogni giorno, ogni ora, ogni momento di esser tutta di Gesù e di volersi far santa. Quando le piante cominciano a produr frutti, l’attento giardiniere le circonda tutte di siepi, affinchè né le bestie venenose, né i ladri le abbiano a guastare, o rubare. L’anima che desidera conservarsi fedele a Dio bisogna che si guardi da suoi nemici e specialmente dalle passioni, le quali rodono ogni frutto più bello, quindi custodia de’ sentimenti massime degli occhi, delle orecchie e della lingua, fuga delle compagne dissipate, e specialmente gran premura per domar la passione predominante ed i difetti abituali. Dopo tante fatiche e diligenze il giardiniere ha la consolazione di raccogliere dalle sue piante frutti abbondanti. Non bisogna che l’anima si contenti di desiderj santi, convien che produca dei frutti di virtù, cioè carità, umiltà, obbedienza ed opere di pietà, e per tutto questo un’occhiata al paradiso. Là sarà premiato tutto, là si godrà sempre immensamente, e fortunata si chiamerà quell’anima che avrà fatto ogni sforzo per arrivarvi”.
Il contenuto dei due taccuini appartenuti alla Rabaglietti, vissuta nel nascondimento delle umili cure domestiche e nell’assidua frequenza alle funzioni di culto e ai sacramenti, testimonia come fosse uno stato abituale per il cristiano dell’epoca lasciarsi prendere e avvolgere da una fede semplice, limpida e genuina, alimentata da profonda adesione agli insegnamenti della Chiesa, permeata da indistruttibile e dolce devozione mariana e sostenuta dai luminosi esempi dei santi, mantenuta incessantemente viva mediante un sistema di intense preghiere, strutturate secondo formule ripetute e ritmi incalzanti (caratteristici anche del mondo ortodosso). Questo “stato” di permanente orazione quasi ininterrotta, capace di stimolare e di nutrire una palpitante vena di soda spiritualità proveniente dal cuore, appare ormai desueto e incomprensibile ai nostri tempi, a volte così vuoti, insulsi e marcescenti da renderci interdetti e malinconici nella presa di coscienza di essere lontani anni luce da quell’antica, lieve quotidianità (non certo priva di dolori, fatiche e inenarrabili difficoltà di ogni genere) fortemente intrisa di soprannaturale, adagiata nella contemplazione del mistero divino, improntata a fidente abbandono nelle piegature dell’amore e dell’infinita misericordia del Signore.
Oliviero Franzoni
DALLE COMUNITÀ Borno
Come tutti sappiamo, stiamo attraversando un momento difficile, dove gli affetti e i rapporti sono molto differenti dal solito. Qui in RSA l’animatrice cerca di allietare le giornate con un po’ di allegria e, per far pesare meno la lontananza, quotidianamente vengono organizzate le videochiamate con i famigliari.
Quando il Natale arriverà non vogliamo che sia troppo diverso da quelli passati: gli addobbi ci saranno, le feste tra noi le riproporremo, anche se necessariamente in modo diverso così come l’arrivo di Santa Lucia e poi di Babbo Natale.
Purtroppo non potremo avere la visita dei bambini, nemmeno le nostre volontarie potranno venire a farci visita per tenere compagnia agli ospiti. Neppure la Santa messa è più possibile celebrarla e questi cambiamenti sono poco favorevoli ai nostri ospiti che si sentono sempre più soli.
Ma una cosa la possiamo fare e non ci costa nulla: stare vicini ai nostri ospiti facendo sentire loro che anche noi operatori possiamo essere un loro punto di riferimento mostrando l’affetto e la vicinanza di cui ora hanno ancora più bisogno.
Abbiamo infatti pensato di realizzare, con l’aiuto di infermiere, ASA e OSS, un piccolo video natalizio con gli ospiti che poi verrà distribuito ai famigliari per augurare loro un Natale alternativo.
Il natale non è solo ciò che è visibile ai nostri occhi; natale sono i sorrisi, i gesti affettuosi e le attenzioni che noi tutti dobbiamo essere in grado di dare per far trascorrere ai nostri ospiti questi giorni gioiosi di festa in modo che sia il più sereno possibile.
Gli ospiti, il personale e l’amministrazione augurano a tutti un sereno Natale!
Fiorella
Carissimi ospiti di Casa Albergo, dopo tanti mesi di isolamento dai vostri affetti, dai vostri familiari e dalle vostre volontarie, sembrava non ci fosse più l’emergenza legata alla pandemia e le nuove disposizioni ci permettevano delle visite non superiori ai 30 minuti, una volta a settimana, con mascherina e quindi con grande difficoltà nel conversare, ma comunque momenti positivi. Era già qualcosa.
Ora anche quel poco che potevamo fare, ci è stato vietato. Ne soffriamo, non vi abbiamo dimenticati, ora non ci è proprio più consentito. Abbiamo dovuto purtroppo interrompere anche queste nostre brevi visite. Gli operatori sono degli angeli, ma non possono sostituire i vostri familiari, costretti a starvi lontani.
Siete ospiti ben assistiti e al sicuro, però siamo certe che vi manca qualcosa di importante: la nostra carezza, il nostro abbraccio e il nostro sorriso per farvi sentire molto amati. Era troppo bello trascorrere un poco del nostro tempo in vostra compagnia.
Ma bisognava continuare ad osservare con rigore le indicazioni igieniche e sanitarie, mantenere le distanze, essere prudenti: precauzioni necessarie per non correre il rischio di contagiarvi.
Non dovete però lasciarvi andare. Dovete mantenervi attivi mentalmente e fisicamente, avere ancora interessi, accettando anche i nuovi limiti dovuti alla vostra età che avanza. Non rassegnatevi mai! Voi, carissimi, siete il patrimonio vivente di esperienze vissute, di saggezza, di valori.
Sicuramente supereremo questi tristi mo menti e torneremo da voi con tanta voglia di ascoltarvi e di partecipare alle vostre attività ludiche e ricreative. Ci mancano i vostri compleanni, le merende, le uscite, la musica e i balli.
Per dimostrarvi che continuate a essere nei nostri pensieri e nei nostri cuori, vogliamo che S. Lucia anche quest’anno passi da voi da parte nostra, I nostri sono piccoli gesti, ma dati con il cuore.
Con l'assicurarvi un ARRIVEDERCI, anticipiamo pure gli auguri di un Santo Natale. Vogliateci sempre bene, come noi lo assicuriamo a tutti voi.
Con tanto affetto!
Le volontarie
DALLE COMUNITÀ Borno
Nel primo anniversario della morte, ecco come viene ricordato su "La Voce di Borno" don Domenico Moreschi che, come possiamo leggere, passò a Borno 48 anni di vita sacerdotale.
DALLE COMUNITÀ Ossimo Inf.
La comunità di Ossimo Inferiore è da secoli legata a questa chiesa ove storia, ricordi ed arte si fondono in una secolare devozione a San Rocco.
Ecco alcuni ricordi e memorie:
– Fu costruita intorno all’anno 1504 dalla comunità per tener fede ad un voto in seguito ad una pestilenza che aveva flagellato il paese.
– Il primo documento che la nomina è la revisione dei confini comunali risalenti al 1511.
– Nel 1515 un legato di frate Martino Becconi disponeva un lascito a favore della chiesetta, obbligando gli eredi a destinare ogni anno il ricavato di di una congrua quantità di granaglie per consentire la recita dei divini offici, la manutenzione e l’illuminazione della cappelletta.
– Un altro legato della Famiglia Fostinoni, risulta in essere fin dalla metà del Cinquecento: un discendente della famiglia, vendendo un terreno fa presente che è gravato del tributo di una certa quantità di cereali per consentire la messa in S.Rocco in occasione della festa del Santo.
– Anticamente la struttura si presentava come una grande santella, aperta sul davanti, con un porticato atto ad accogliere i pellegrini e i devoti e quanti venivano sorpresi da calamità naturali. Una cancellata impediva l’accesso al presbiterio.
– Nel 1567 il vescovo Bollani ordinò che fosse tenuta chiusa per realizzare il pavimento, opera che però non venne eseguita. San Carlo Borromeo nel 1580 dispose nuovamente la chiusura affinché la chiesa venisse allungata e chiusa con una facciata che doveva avere una porta e un “occhio” e dotata di pavimentazione.
– Nel 1658 Bernardino Faino ricorda che tal chiesa ospitava i “Disciplini”.
– Nel 1716 il parroco di Ossimo chiede al vescovo Bardarigo di poter riparare l’oratorio per celebrarvi le messe. Ma nel 1736 essa era ancora in cattive condizioni e cosi anche nel 1777.
– Nel 1817 viene usata per riunirvi i malati del tifo petecchiale.
– Pur essendo usata dalle “Giovani di Maria Santissima della Purità”, nel 1837 era ancora in pessime condizioni per l’umidità.
– Nel 1876 viene restaurata e munita d’un campanile. La campana che ancora oggi è sul campanile porta la data 1805 come attestato dalla frase incisa VOX IVA DULCIS SONET IN AVRIBUS MEIS MDCCCV “. La suddetta campana faceva parte del concerto preesistente sul campanile della Chiesa Parrocchiale dei Ss. Cosma e Damiano.
– Sabato 7 Aprile 1945 alle ore 15 una bomba la distrugge parzialmente.
– Nel 1953 per volere della comunità e dell’allora Parroco Don Giovan Maria Spiranti fu ricostruita.
Oltre ai sopra indicati interventi eseguiti durante i secoli, negli ultimi decenni subì altri interventi: – 2002 ristrutturazione esterna.
– Dicembre 2004 rifacimento del sagrato.
– 2010/2011 realizzazione impianto di riscaldamento.
– 2020 restauro e tinteggiatura dell’interno che ha reso questo luogo sacro ancora più speciale ed unico.
Un’ultima notazione. La statua di ottima fattura che fa da pala all’altare Maggiore è opera dello scultore Tirolese Luigi Kosternella e risale alla fine del XIX secolo.
In questo periodo di pandemia il nostro cuore e la nostra preghiera si è rivolta molte volte al Santo taumaturgo Rocco perché, attraverso la sua protezione, vegli e protegga la nostra contrada.
Omar Zani
DALLE COMUNITÀ Ossimo Sup.
È il 30 Novembre… e tutto va bene! Nonostante la pandemia, l’insicurezza e le paure sono passati tre mesi dalla ripresa dell’asilo e almeno i bambini sono tornati un po’ alla normalità, hanno ritrovato i vecchi compagni e ne hanno conosciuti di nuovi, sono tornati a giocare insieme e hanno ripreso l’attività didattica.
I bimbi hanno saputo adattarsi rapidamente alla situazione: infatti, misurare la temperatura, seguire le nuove procedure anticovid, igienizzarsi le mani ecc. sono ormai diventate abitudini quotidiane.
Vedere i bambini felici e sorridenti quando entrano in asilo è una gioia; sapere che si sentono sereni nonostante il periodo difficile, è un incentivo per noi a continuare ad andare avanti con entusiasmo ed allegria.
Tra le novità di quest'anno la scuola Sacro Cuore ha deciso di accogliere due bambini piccolissimi (di due anni) che finora si sono inseriti al meglio e che sono coccolati dai compagni più grandi e dalle maestre.
Inoltre ogni settimana l’asilo accoglie Don Stefano che con il suo entusiasmo anima e coinvolge i bimbi con racconti e canzoncine su Gesù e sulla religione cattolica.
In questi tre mesi di inizio anno scolastico i cambiamenti non sono mancati. Tra questi, il cambio di insegnante: la nostra cara Maria ha cambiato lavoro e la neolaureata Cristina ha preso il suo posto.
Un ringraziamento di cuore a Maria è d’obbligo per la sua gentilezza, disponibilità e il suo supporto. Grazie! Non ci resta che sperare in un’ottima prosecuzione e che il 2021 ci riservi la spensieratezza che forse è mancata in quest’ultimo anno.
maestra Daniela
DALLE COMUNITÀ Ossimo Sup.
Con il sopraggiungere dell’autunno e prima dell’inizio dell’anno liturgico le parrocchie dell’Altopiano hanno potuto festeggiare l’ingresso dei loro nuovi sacerdoti. In queste occasioni di rinnovato entusiasmo la comunità, oltre alla dimensione soprattutto spirituale dell’accoglienza, si è anche impegnata al fine di rendere ancora più belli i luoghi che ospitano la liturgia.
Così, un piccolo pezzo per volta, si aggiungono al mosaico delle manutenzioni ordinarie anche lavori che contribuiscono a mantenere belle e durature nel tempo le nostre Chiese.
In questo intrecciarsi tra incarichi ad artigiani e volontariato, dal mese di ottobre passando davanti al nostro sagrato si possono ben notare gli interventi presso i due portali in pietra di Sarnico ed alle porte laterali della parrocchiale di Ossimo Superiore.
Un particolare ringraziamento lo recapitiamo per tanto dal nostro Cüntòmela al Gruppo Alpini e ai suoi volontari che, nonostante le giornate ormai “freschine”, si sono prodigati per recuperare in particolare alcuni elementi della facciata dell’Oratorium pro Disciplinis (ora dedicato all’Addolorata): oltre alla spazzolatura del portone dell’ingresso, si sono presi cura della finestra e della riparazione delle fessure generate dalle infiltrazioni di acqua che stavano creando seri problemi.
Prima o poi, riusciremo a sistemare interamente anche le facciate!!! Restando sempre in tema di ringraziamenti (visto che non avevo ancora avuto occasione), ringraziamo chi ci aveva aiutato tempo fa, in occasione della festa dei Patroni.
Con le foto di alcuni documenti storici rappresentativi e recuperati dall’archivio parrocchiale, sono stati realizzati due pannelli didattici inerenti la storia ed i principali accadimenti del concerto di campane della nostra Chiesa. Essi vanno dal 1877, anno della loro fusione, fino ad arrivare al 1955, anno in cui la vecchia inceppatura in legno veniva sostituita dall’attuale castello in ghisa. Ora questi due pannelli sono stati inseriti in una cornice di legno e si trovano appesi alla parete destra del locale adiacente all’ingresso del campanile, in attesa che si possa integrare la loro storia magari inserendo un terzo pannello con le immagini degli interventi più recenti, oppure nella previsione di un interessamento straordinario di cui necessiterebbero i bronzi.
Restando in tema di manutenzioni, ricordiamo in particolare la prima e più pesante campana del concerto: dopo molti anni di utilizzo la superficie di contatto tra il battaglio e la campana stessa è molto estesa, come si vede bene nella foto qui sotto. La situazione di elevata usura grava seriamente sulla salvaguardia della campana, speriamo possa essere presto oggetto di nostra attenzione.
Luca Bardoni
DALLE COMUNITÀ Lozio
Carissimi lettori,
anche quest’anno noi, ospiti della residenza Villa Mozart di Lozio, avremmo tanto voluto preparare la festività del Santo Natale come lo scorso anno, con la presenza e l’aiuto dei bambini delle scuole, dei volontari e dei nostri amici e famigliari.
Purtroppo a causa della grande pandemia non sarà possibile godere della loro preziosa compagnia (non è detta però l’ultima parola…).
Noi comunque non rimaniamo inattivi e prepariamo ugualmente la nostra festa, anche se con difficoltà non avendo aiuti. Stiamo preparando biglietti augurali e lavoretti per tutti i nostri amici, addobbi per abbellire la nostra casa e, inoltre, ci accingiamo a preparare la nostra cerimonia religiosa con canti, riflessioni e letture, nella speranza che Gesù bambino, in occasione del Santo Natale, metta fine a questo maledetto virus e ci riporti, oltre la salute e la pace, anche il sacerdote.
Per noi anziani è stato un anno terribile, dal mese di marzo siamo isolati per ragioni di sicurezza. Solo alcuni, durante l’estate, sono riusciti a vedere i familiari, sempre a distanza e con la mascherina, per qualche breve momento. Non abbiamo potuto nemmeno godere della compagnia e del conforto dei nostri amici del paese e neanche del prete.
Quelli che possono, sono spesso alla finestra o sul terrazzo per vedere se passa qualcuno anche solo per un saluto. Ora che semplicemente vi abbiamo dato nostre notizie, ci rivolgiamo ai sacerdoti della nostra parrocchia.
Anzitutto ringraziamo don Paolo per esserci sempre vicino moralmente, ricordandoci nelle sue preghiere e in alcune messe a noi dedicate. Diamo il benvenuto ai nuovi sacerdoti: don Stefano e don Raffaele non abbiamo ancora potuto conoscerli personalmente, ma speriamo di poterlo fare presto.
A loro va il nostro augurio di trovarsi bene nelle nostre comunità e che il loro lavoro sia proficuo.
Ricordiamo tutti nelle nostre preghiere.
Con la speranza di ritrovarci quanto prima, vi auguriamo un sereno Natale e un anno nuovo più tranquillo.
Per gli anziani di Villa Mozart
Antonietta Picinelli
classe 1927
RIFLESSIONI SUL NATALE di Antonietta Picinelli
Natale notte mistica, Natale notte silente, Natale notte d’amore!
In questa notte santa il Figlio di Dio, Gesù,
si è fatto uomo per essere più vicino a noi.
Ha preso le nostre sofferenze su di Lui per farci comprendere che,
per avere la vita eterna, non servono le ricchezze, il potere, la superiorità,
ma serve accettare con fede le prove e le difficoltà
che incombono sulle nostre vite in remissione dei nostri peccati.
Senza di Lui non c’è salvezza.
Egli ci ha lasciato un esempio affinché camminiamo sulle Sue tracce.
“Sono nato nella tua vita, dice Gesù, per portare tutti alla Casa del Padre”.
Chi si fida ciecamente di Dio e ripone in Lui la sua sicurezza,
affronta le difficoltà, le prove, gli insuccessi con serenità e fiducia
perché sa che il Signore sarà sempre comprensivo e misericordioso con lui.
Gesù si è incarnato nel seno della Vergine Maria che,
davanti all’annuncio dell’Angelo,
non nasconde la sua meraviglia e il Suo stupore
nel sentire che Dio, per farsi uomo, ha scelto proprio Lei,
una semplice ragazza di Nazareth che,
aperta a Dio e piena di fiducia in Lui, risponde all’angelo dicendo:
”Ecco, sono la serva del Signore, avvenga di me secondo la sua parola”.
La Vergine Maria davanti all’azione meravigliosa di Dio nella sua vita,
non pensa all’onore, al prestigio, non si chiude in se stessa.
Dopo l’annuncio dell’Angelo si mette in viaggio per aiutare Elisabetta,
l’anziana parente anch’essa incinta.
Anche noi, come Maria, rispondiamo SÌ
con fede alla chiamata del Signore
e incamminiamoci con fiducia e speranza sulla strada della fraternità.
DALLE COMUNITÀ Lozio
Il 2020 verrà ricordato come l’anno della pandemia, ma spesso e volentieri nei periodi bui emergono anche delle opere buone, fatte col cuore. E così un benefattore anonimo ha contattato i Musicanti di Lozio (associazione culturale molto attiva sul territorio), donando una somma in denaro da utilizzare per esprimere un ringraziamento agli operatori della Rsa Villa Mozart di Lozio.
L’Associazione ha da subito sposato la meravigliosa idea e si è mossa per realizzare l’intento, collaborando e coinvolgendo persone del paese oltre che un’artista contattata appositamente. Visto il periodo non si è potuta organizzare una festa e la consegna è avvenuta nel rispetto delle regole vigenti nell’ultima domenica di ottobre. È stato un piacevole momento trascorso con chi è maggiormente a contatto con la pandemia.
Qui di seguito la lettera con cui l’Associazione ha voluto ringraziare gli operatori.
IL 2020 è stato per tutti noi un anno particolare, siamo stato tutti alle prese con un nemico terribile e invisibile che ci sta mettendo a dura prova. Ogni settore lavorativo ha dovuto affrontare impegni imprevisti, quello sanitario è stato ed è attualmente quello sotto pressione più di tutti. Spesso e volentieri, purtroppo dimenticati dalle istituzioni preposte ad intervenire in un periodo d’emergenza, vi siete trovati soli ma sappiamo che con tenacia, passione e professionalità avete superato il peggio con le vostre uniche forze. Dal primo all’ultimo operatore senza alcuna distinzione.
L’Associazione “I Musicanti di Lozio” vuole esprimere la propria vicinanza ai collaboratori della RSA Villa Mozart omaggiandovi con un’opera dall’artista Chiara Bigatti, che vedrete ogni giorno in struttura, e con un piccolo pensiero rappresentato dai prodotti della nostra splendida Valle di Lozio.
Vogliamo esprimervi il nostro ringraziamento per quanto avete fatto, state facendo e quanto siamo sicuri farete per svolgere al meglio quello che per voi sappiamo non essere solo un lavoro.
Gli ospiti di una Rsa rappresentano la storia di un’intera generazione, la nostra storia, e nessuna cultura civile può permettersi di dimenticare le proprie origini, il proprio passato. Pertanto noi vi ringraziamo e confidiamo in voi anche in questo particolare momento perché possiate dare il meglio di voi stessi ogni giorno.
Ci auguriamo tutti che la pandemia ci abbandoni il prima possibile e si possa tornare alla normalità. Non vediamo l’ora di poter venir a salutare i vostri amati ospiti con i nostri canti e la nostra musica.
I Musicanti di Lozio
DALLE COMUNITÀ Lozio
1. Benvenuta Gennaro (1948)
2. Savina Ballarini (1949)
3. Agnese Ballarini (1948)
4. Caterina Medici (1949)
5. Angela Canossi (?) figlia di Canusì
6. Caterina Giorgi degli Odèle (1947)
7. Anna Mora (1949)
8. Roberta Ballarini (1949)
9. Giulia Cristina Mora (1948)
10. Giuseppe Mora (?)
11. Marino Vanoli (1946)
12. Gioachino Pennacchio (1948)
13. Donato Vanoli (1946) gemello di Marino
14. Don Giacomo Albertoni (?) parroco di San Nazaro dal 1954 al ‘64
15. Roberto Bonariva (1946)
16. Franco Ballarini (?)
17. Arduino Canossi degli Scalvi (1947-2002)
18. Antonio Giorgi, Peo (1947)
19. Pietro Piccinelli (1948)
20. Franco Giorgi (1949)
21. Gian Paolo Vanoli, Centene (1948)
22. Giacomo Pedrinetti (1948-1999)
23. Giovan Maria Canossi, Mario quaranta (1947)
24. Pierfranco Medici (?) figlio di Paulì de Cini
25. Francesco Pennacchio, Finchì, dei Sache (1948)
26. Celestina Medici (1890-1966)
27. Pennacchio ?, dei Bebe
28. Cristina Piccinelli (?) mamma di Mingo
29. Pennacchio (?) dei Luche
30. Mario Canossi, Canusì (1948)
31. Natalina Pennacchio, dei Sache (1952), sorella di Finchì
a cura di Fortunato
SPAZIO CULTURA
È tempo che le famiglie si diano una "regolata".
Nel senso di darsi una Regola, proprio una simile a quella degli ordini monastici. Può sembrare una "boutade", ma solo prima di addentrarsi in un saggio interessante e controcorrente, Il chiostro e il focolare. La Regola di San Benedetto: una traccia di vita familiare (Fede & Cultura, pagine 294, euro 22).
Chi pensa che tra l’organizzazione della vita monastica e la struttura di una famiglia non ci sia nessuna affinità avrà certo da ricredersi. Tanto più che si tratta di un’analogia suggestiva e preziosa di questi tempi. Perché se la quarantena imposta dalla pandemia ha messo a dura prova la tenuta dei legami familiari non c’è opportunità migliore che imboccare una strada nuova se pur tracciata quasi 1500 anni fa dal grande Benedetto da Norcia (480547). Fu il santo patrono d’Europa a codificare uno stile di vita che ha fatto dei monasteri non solo dei centri culturali ed economici decisivi per il Vecchio Continente. Ma ancora oggi dei baluardi dell’anima in un tempo di crisi e smarrimento.
Quando Benedetto intuì che fama, carriera e onori lo avrebbero distolto dalla verità sull’uomo, la fugacità dell’esistenza, si ritirò in un luogo isolato nei pressi di Subiaco. Per coloro che volevano seguire il suo esempio e intraprendere la via monastica scrisse la Regola, un testo che però si rivela scrigno sorprendente anche per chi sceglie la vita matrimoniale e familiare.
Avranno molto da attingere per esempio i papà che sulla falsariga dell’abate (che deriva proprio dall’aramaico abbà, padre) costituiscono «il principio di unità della famiglia» sia naturale che monastica. In tempi così scarsamente virili, in cui la figura paterna è stata svilita ed estromessa dal compito educativo, è importante riscoprire quell’autorità che nell’ottica cristiana non è mai dominio, ma servizio. Custodire i beni più preziosi, moglie e figli, per guidarli verso una felicità senza fine è un compito da brividi.
E che dire della vocazione al servizio delle madri, protese più alla felicità altrui che alla propria, da cui dipende tutta l’organizzazione della casa? Un compito simile in monastero è ricoperto dal "cellerario", il coadiutore dell’abate, a cui è affidato il buon andamento del l’amministrazione, dal cibo al vestiario, dalla pulizia all’ordine della casa. Ma nell’epoca della connessione perpetua in cui si vive con lo smartphone in mano, è la grande intuizione benedettina a fare buon uso del "tempo" a costringere genitori ed educatori a riflettere sulle proprie abitudini.
Scandire e organizzare ogni singola ora della giornata dei monaci, deriva dalla convinzione che «il tempo è sacro, è l’unico spazio dato all’uomo dove questi può incontrare l’Eterno». E quindi nello svolgimento delle mansioni quotidiane si gioca la partita della salvezza. Stare con i figli senza guardare l’orologio dovrebbe essere la prassi nel gerarchizzare il proprio tempo. Dando a ciascun’attività il giusto peso. Come al lavoro.
Troppo spesso “ora et labora” è diventato uno slogan fuorviante. Tanto più che san Benedetto dedica al lavoro quotidiano dei monaci appena un capitoletto. Non perché consideri il lavoro poco importante, tutt’altro. Però è sempre finalizzato alla preghiera, il vertice di ogni attività. Così come il compito più alto dei genitori è l’educazione cristiana dei figli. «L’ozio è il nemico dell’anima» scrive il santo, ma il lavoro va inquadrato sempre nell’opera più grande di servizio a Dio.
E se la buona riuscita di una famiglia è un’impresa eroica la Regola è prodiga di consigli: al pari di un abate, i genitori devono saper correggere ed educare i propri figli innanzitutto con il proprio esempio «alternando i rimproveri agli incoraggiamenti», la fermezza alla tenerezza. Badando più di essere amati che temuti, consapevoli, suggerisce il saggio, che anche «il capriccio esprime il bisogno vitale di una regola di vita». Quando la fatica si fa sentire, ricordarsi della via crucis di Cristo, sempre carichi per la missione grande a cui si è stati chiamati. Testimoniare anche ai più piccoli che si è sempre di fronte a una scelta tra bene o male, virtù e viltà, vita o morte.
È un libro, avverte padre Cassian Folsom nella prefazione «per il cattolico debole che vuole essere forte». Ma la sfida è impagabile, fare della famiglia «una piccola fortezza dello spirito in cui la poesia trasfigura il dramma dell’esistenza per slanciarlo nelle altezze dell’intima comunione con Dio».
Antonio Giuliano
“Avvenire” 22 agosto 2020
SPAZIO CULTURA
Accogliamo volentieri l’invito di Rita Calcati, zia di questa giovane bornese provata dalla leucemia, di pubblicare la sua testimonianza raccolta da Costanza Zanardini, che nell’opuscolo Da donna a donna riporta le storie coraggiose, autentiche, spontanee e toccanti di 22 donne che hanno sconfitto il cancro.
Voglio raccontarvi la mia storia perché, anche se fa paura è possibile uscirne più forti di prima. Quando avevo 14 anni ho iniziato a stare male. Da giorni respiravo con affanno e per questo mi sono fatta portare dal medico di base per capire cosa avessi. Il dottore mi disse di fare con urgenza una lastra all'addome.
Questa frase mi spaventò ed iniziai a sentire preoccupazione e paura.
Il giorno successivo andai in ospedale e dalle lastre emerse che l'80% del mio polmone destro era pieno di liquido: avevo un versamento polmonare. Inizialmente, pensando fosse un tumore, mi hanno trasferito in ambulanza a Milano al “centro dei tumori”, dove mi hanno messo un drenaggio per eliminare il liquido all'interno del polmone e, insieme all’intervento, mi hanno inserito all'interno del braccio un PICC che serviva per prelevare il sangue senza dover ogni volta bucherellare il braccio e ciò mi ha tranquillizzata (fino ad allora non sapevo di avere paura degli aghi).
Dopo dieci giorni i medici capiscono che si tratta di leucemia e mi trasferiscono nel migliore ospedale italiano per la cura delle leucemie: il Maria Letizia Verga di Monza.
Ricordo che mi hanno portata a letto con la flebo ed era tutto così caotico, non riuscivo a capire cosa stesse succedendo ed ero nel panico: medici che andavano e venivano dalla mia stanza ed io ero maledettamente terrorizzata.
Dopo un mese di chemioterapia endovena e per bocca ho iniziato a perdere i capelli e sono esplosa in un dolore mai provato prima.
Non riuscivo più a guardarmi allo specchio per questo. Mi sentivo così triste sfortunata, nonostante avessi accanto molte persone che cercavano di darmi conforto in ogni modo: le mie famiglie, le mie amiche e una persona molto speciale che se non fosse stato per lei non sarei mai riuscita a trovare la forza per rialzarmi. Anche i professori dell'ospedale mi hanno aiutata, riuscendo a non farmi perder degli anni scolastici. Lo studio, tra l'altro, mi è servito per poter trascorrere qualche ora senza pensare a quello che mi stava succedendo.
Ne ho passate tante, non potete immaginare quante disgrazie mi sono successe in 20 mesi e il solo ricordo mi fa gelare il sangue nelle vene. Ero così sensibile ad ogni virus, che avevo spesso la febbre ed ogni volta dovevo correre in ospedale perché non avevo le difese immunitarie.
Sono cambiata molto da quei mesi: sono diventata molto più espansiva e più empatica, caratteristiche che prima non mi appartenevano. I capelli sono ricresciuti dopo qualche mese dalla guarigione e sono diventati ricci. All'inizio li detestavo ma più sono cresciuti più sono diventati carini! Ho sofferto davvero tanto, ma tutto questo mi è servito a capire che la mia guarigione è riuscita e questo mi ha spinto a ricominciare da capo la mia impervia vita e a capire che ce n’è stata data una sola e non dev'essere mai sprecata.
Vorrei cercare di farvi capire che al giorno d'oggi crediamo di avere un sacco di problemi, anche se insignificanti, e per questo ci demoralizziamo e perdiamo la forza di combattere.
Proviamo invece a pensare a chi sta peggio ed è incurabile o malato cronico: allora sì che ci sentiremo molto fortunati, ve lo assicuro. Amate la vita perché non ci è concessa un'altra possibilità e siate forti, combattete con le unghie e con i denti se necessario.
Il benessere psichico in qualche modo influenza sempre il benessere fisico, per cui cercate sempre di vedere il lato positivo di ogni situazione e divertitevi, divertitevi più che potete!
Cristina Calcati
SPAZIO CULTURA
A novembre è giunta fresca di stampa in parrocchia la fatica editoriale del nostro cardinale Giovanni Battista Re.
Scrive: «Ringrazio di vero cuore Dio per aver vissuto una grande stagione della Chiesa e per aver avuto la possibilità di conoscere da vicino la bontà paterna di San Giovanni XXIII, l'incontenibile ansia apostolica di san Paolo VI e l'intensità della preghiera di san Giovanni Paolo II».
In queste righe si racchiude il senso del volume che si legge con grande piacere. Ricco di riferimenti alla nostra storia recente, di aneddoti curiosi, l’autore disegna sapientemente i tratti di questi tre grandi papi che hanno indiscutibilmente segnato la storia del mondo dal dopo guerra ad oggi.
Con grande sensibilità egli non tralascia di raccontare il breve ma profondo segno lasciato da papa Luciani, vedendo nel suo breve pontificato il gancio per l'entrata nella storia della Chiesa di papa Wojtyla.
In questo quadro mi sembra bello sottolineare una coincidenza del tutto speciale. La comunità di Borno è entrata in contatto con due di questi tre santi papi: Montini, che con la sua famiglia da giovane veniva in vacanza sulle nostre montagne e Woytjla che, grazie al legame proprio con sua Eminenza, è salito a Borno per la recita dell'Angelus nel 1998.
La fede semplice ma tenace della gente di montagna – quella fede che proprio San Giovanni Paolo II dal sagrato ci ha raccomandato di continuare ad amare – è stata toccata e ravvivata dalla santità di queste tre straordinarie persone! Ecco quindi che in questo bel libro del Card. Re, possiamo ritrovare non solo la storia recente della Chiesa e dei protagonisti che l’hanno animata, ma anche qualche piccolo intreccio con la vita delle nostre piccole comunità.
Emilia Pennacchio
COMUNITÀ IN VIAGGIO
Nonostante i problemi legati al Covid19, il nostro parroco Don Paolo è riuscito ad organizzare, in sicurezza, il tour dell’Umbria dal 24 al 29 agosto con l’agenzia viaggi Adamello Express.
Il nostro accompagnatore Cicci, dopo le debite raccomandazioni legate alla pandemia, ci è stato di grande aiuto e disponibilità durante tutta la visita alle città legate ai santi.
Un grazie va pure al nostro autista Denis che ha guidato con abilità e competenza, mettendoci sempre a nostro agio per cui tutto si è svolto senza intoppi e in sicurezza.
Eravamo un discreto numero di pellegrini, non solo di Borno, ma anche di altri paesi, saliti lungo il viaggio, con i quali abbiamo famigliarizzato subito.
La prima tappa è stata a La Verna, provincia di Arezzo, in Toscana. Qui abbiamo visitato il santuario francescano dei frati minori (sul monte Verna S.
Francesco avrebbe ricevuto le stimmate come dono della passione di Cristo) e ammirato le terracotte invetriate di Andrea Della Robbia: Madonna del Rifugio, Altare di S. Francesco, la Natività, l’Ascensione, l’Annunciazione.
Dopo il pranzo all’Ostello dei pellegrini, il viaggio è proseguito per Assisi, dove ci siamo sistemati presso l’hotel Domus Pacis, vicinissimo alla Basilica di Santa Maria degli Angeli che racchiude al suo interno la Porziuncola, la chiesetta dove S.
Francesco ricevette il Perdono di Assisi e dove sempre il santo accolse S. Chiara e i primi frati.
Nella bellissima basilica tutte le mattine potevamo assistere alla Santa Messa.
Il giorno seguente, 25 agosto, siamo partiti per Perugia dove ad attenderci c’era la guida che ci avrebbe seguito per tutto il tour.
Città meravigliosa! Abbiamo visitato il Palazzo dei Priori che sorge nella centrale Piazza IV Novembre; ha una scalinata a ventaglio, mentre in alto, sulle mensole, posano le copie del Grifo perugino e del leone guelfo, i due simboli della città. Poi abbiamo visto la Cattedrale di S. Lorenzo con i preziosi marmi dorati e il portale in travertino, la Fontana Maggiore al centro della piazza con due vasche poligonali concentriche, il Palazzo del Capitano in piazza Giacomo Matteotti, sede della Corte d’Appello e della Procura Generale della città.
Nel pomeriggio visita ad Assisi di cui in particolare abbiamo ammirato: il Duomo cattedrale di S.
Ruffino con 3 portali, fiancheggiati da leoni e grifi scolpiti. Il rosone centrale arricchisce la facciata; sotto l’altare centrale è conservato il corpo del Santo; Santa Chiara che è una basilica con architettura gotica; il Palazzo del Popolo, accanto al Tempio di Minerva, dotato di merlatura con vicino la Torre del Popolo alta 47metri.
Quindi visita al centro storico e ritorno in hotel.
Il 26 agosto eccoci all’incantevole città di Todi, situata su una collina.
Sulla Piazza del Popolo sorgono i principali monumenti cittadini: il Palazzo dei Priori sede della Pretura, il Palazzo del Podestà in pietra bianca, il Palazzo del Popolo che è il Municipio cittadino, in stile lombardogotico.
Splendido il Duomo, sempre in Piazza del Popolo, che si trova in cima ad una scalinata ed ha un pregevole rosone centrale.
Dentro la chiesa di S. Fortunato, nel centro storico della città, nei pressi della Piazza del Popolo, è sepolto Jacopone da Todi.
La cupola a tamburo della Chiesa di S. Maria della Consolazione, all’esterno delle mura duecentesche della città, ricorda la Basilica di S. Pietro a Roma.
Dopo pranzo, proprio non ci si ferma, ci si trasferisce a Spoleto, una cittadina circondata da colline, uliveti e vigneti. Qui non abbiamo potuto visitare il Duomo perché vi era sul piazzale l’allestimento del Festival dei Due Mondi. Dopo la foto ricordo davanti alla Fontana del Mascherone stanchi, ma pienamente soddisfatti, siamo ritornati da Assisi in hotel.
Il 27 agosto trasferimento a Cascia, in provincia di Perugia. Qui il territorio è ad un alto livello di sismicità, per cui alcune visite erano sospese perché i locali erano inagibili. Caratteristico il Viale dei Pellegrini con le rose.
La Basilica di S. Rita è posizionata sulla sommità del colle; l’accesso al sagrato è permesso da una breve scalinata; la facciata è ricoperta in travertino bianco di Tivoli ed è incastonata tra due guglie che terminano con due piccole celle campanarie, sormontate da croci in ferro.
Nel monastero la santa ha vissuto per 40 anni; è un monastero di clausura agostiniano. Il chiostro è uno dei luoghi dove è vissuta e sul muro, accanto alla scala, abitano le api murarie.
Prima di arrivare a Cascia un regalo di Cicci: abbiamo fatto sosta a Roccaporena, paese di nascita di S. Rita.
Nel pomeriggio eccoci a Norcia, la patria di S. Benedetto. Città famosa per i suoi salumi, per il tartufo nero, i “coglioni di mulo” (un tipo di salame), il ciauscolo (un salame spalmabile) e la salsa tartufata. Qui abbiamo fatto i nostri acquisti per dimostrare solidarietà agli abitanti colpiti dal terremoto del 2016/2017: una vera tragedia! Passeggiare per le vie e osservare gli edifici ancora ingabbiati, causa terremoto, ci faceva meditare e pensare alla disperazione di quella popolazione.
Il 28 agosto siamo ripartiti per Spello, uno dei borghi più belli d’Italia con i suoi 2 km di mura. Caratteristica la Porta Consolare, ingresso principale della città romana. Ha una torre quadrata medievale con tre statue marmoree repubblicane.
La Collegiata di S. Maria Maggiore ospita nella Cappella Baglioni affreschi del Pinturicchio ed un pregevole pavimento di maioliche di Deruta, il “frate”. La Chiesa di S. Andrea custodisce la Madonna in Trono e Santi, sempre del Pinturicchio.
Nel pomeriggio trasferimento a Trevi, la regina degli ulivi, anch’essa uno tra i borghi più beli d’Ita lia. Il Duomo di S. Emiliano è il santuario della Madonna delle Lacrime; la cattedrale è intitolata al primo vescovo di Trevi, patrono della città. Il Palazzo Comunale ha un robusto torrione e un portico con tozzi pilastri.
Al termine della visita, spostamento a Foligno. In Piazza della Repubblica c’è il Palazzo Trinci che è un edificio patrizio. Il Duomo di S. Felicitano è il principale luogo di culto, sede vescovile, attualmente chiusa.
Il 29 agosto, giorno del rientro in Vallecamonica, abbiamo visitato la cittadina medievale di Gubbio.
Il Duomo vanta dipinti del XVI secolo e una cappella barocca. La Piazza della Signoria è una piazza pensile, sostenuta, sul fianco del Monte Igino, da un alto muro aperto da colossali arcate. Qui ci sono il Palazzo Pretorio e il Palazzo dei Consoli.
È stata una vacanza intensa ma istruttiva. Pure il tempo è stato a nostro favore: giornate soleggiate sempre.
Ci sarà ancora un prossimo tour?
Carla Odelli
CON I MISSIONARI
Carissimi amici di Borno,
ancora una volta sono in ritardo con i miei saluti. Grazie alla spinta di don Paolo, eccomi a voi dopo due anni di silenzio, interrotto solo da qualche messaggio al gruppo missionario, ma ora che la bocca è aperta e la parola di nuovo si fa sentire, voglio innanzitutto dirvi quanto mi mancate.
Sono quasi due anni che non ci si vede, e con qualcuno pure di più. Mi mancate tanto e ricordo le buone pizze insieme, le belle passeggiate nel verde, l'aria frizzantina della sera, le visite in famiglia, i giri al mercato, ma anche all'ospedale, ecc.
Spero che siate tutti in buona salute e che il covid non vi abbia così impauriti da rendervi insensibili e indifferenti ai mali altrui. Temo, infatti, che la conseguenza più grave di questa malattia sia proprio quella di lasciarci indifferenti alle sventure altrui; cosa successa ad una cara amica che, dopo aver molto lavorato per la missione, tornando a casa è caduta rompendosi un braccio. Ha chiesto inutilmente aiuto ai passanti, ma nessuno si è fermato ad aiutarla. Quando finalmente è riuscita a rialzarsi, da sola si è recata da chi ha potuto avvertire i suoi figli di venire in suo soccorso.
Qui da noi il clima è tale da rendere la vita difficile a noi ma anche al coronavirus: la situazione non è troppo grave e quasi non se ne parla. Tante cose sono successe in questi due anni, cerco di aggiornarvi sui nostri movimenti.
Grazia ed io siamo divise tra il Centro “I Danse” che è in città e “CASA SARA” che è in campagna ad una quarantina di km. Al Centro di accoglienza continuano i diversi progetti di aiuto per mandare a scuola i bambini poveri, per nutrire i bambini rimasti orfani alla nascita ed i gemelli che qui sono tanti e diventano un pesante carico per le mamme che non riescono da sole a sfamarli. Anche col progetto “aiuto ai malati” riusciamo a curare molti, pagando loro le medicine e anche le operazioni chirurgiche se sono necessarie.
A “CASA SARA” abbiamo ancora 12 bambini orfani che stanno crescendo, ne abbiamo diversi alla scuola media. Anche loro sono indietro con gli studi perché l'anno scorso hanno fatto solo il primo trimestre. Rifanno anche l'anno di catechesi perché la parrocchia ha scelto di rinviare tutti i sacramentali dei bambini. Quest'anno alcuni riceveranno la Prima Comunione ed altri la Cresima.
Nella nostra casa imparano a prendersi cura degli animali: chi aiuta per i cani, chi per le scimmie, chi per i pulcini o per le galline, per le oche. “CASA SARA” è per loro una scuola di vita. “CASA SARA” è inserita nella fattoria dove le attività, man mano, sono aumentate e in questi ultimi due anni ci siamo concentrate sulle galline ovaiole. Abbiamo degli operai per questo lavoro che ci permette di vendere le uova e guadagnare qualcosa per la casa.
I due centri di animazione per i bambini dai 3 ai 5 anni sono diventati delle scuole materne a tutti gli effetti, con 3 monitrici per le 3 sezioni e 2 cuoche che ogni giorno preparano loro un ricco pasto caldo, sapendo che per qualcuno d loro sarà l'unico pasto della giornata. Soprattutto a “CASA SARA” è una meraviglia vedere ogni mattina arrivare questa folla di piccoli con il POUSSINS BUS che li prende e li accompagna nei diversi villaggi vicini.
Ringraziamo il Buon Dio che ci dà ancora la forza e la salute per continuare a fare del bene. Come ogni anno a Natale saremo assai numerosi a festeggiare insieme, offrendo il pranzo. L’anno scorso eravamo più di 200, per la maggior parte bambini.
Con tutti loro vogliamo augurarvi di trascorrere un Natale più sereno, ricco di buoni sentimenti e di ritorno all'essenziale, vicino agli affetti familiari, imitando Gesù Bambino nella sua umiltà e semplicità.
Abbraccio ciascuno con affetto e spero di potervi ritrovare l'anno prossimo. So che padre Giacomo è riuscito a rientrare in Italia. A lui invio un caro saluto e con abbraccio fraterno gli auguro un buon soggiorno in quei di Borno.
Patrizia Zerla
CON I MISSIONARI
Carissimo don Paolo,
carissimi amici tutti di Borno, una buona domenica per voi e una buona festa. Ringrazio don Paolo che ha voluto invitarmi, anche se virtualmente e per pochi minuti a questa grande festa per la chiesa di Borno che voi oggi celebrate ricordando i cinquant'anni di consacrazione di Giacomina, Pierina e Antonietta e volendo ricordare anche il mio venticinquesimo anno di vita religiosa: le mie nozze d'argento! Avrei tanto desiderato festeggiarle con voi quest'anno... speriamo che il Signore lo permetta l'anno prossimo.
Ci tengo poter venire a festeggiare nella mia chiesa natale dove sono stata battezzata, dove ho ricevuto il dono della fede e dove voi mi avete educato e fatto crescere nella fraternità, nell'amore a Dio e al prossimo. Quindi ho il cuore pieno di riconoscenza per questo e per questo desidero tornare l'anno prossimo, a Dio piacendo, a festeggiare questi 25 anni di amore di Dio per me e per l'umanità. Ma anche per raccontarvi un po' della mia missione in Brasile.
Voi sapete che sono stata 8 anni in Burundi, altri anni in Italia e adesso sono già cinque anni e più che sono qui in Brasile. E son qui a nome vostro, voi lo sapete! Come sapete che ogni missionario non parte da solo: parte perché chiamato dal Signore e inviato dalla chiesa locale che siete voi.
La missione che svolgo è possibile grazie a Dio e anche grazie alla vostra preghiera, al vostro sostegno fraterno e anche al vostro aiuto concreto.
Quindi quello che io riesco a fare è a nome vostro.
Per cui voglio ringraziare ciascuno di voi, voglio dire che vi porto sempre nelle mie preghiere e nel mio cuore e che sono lì con voi oggi, con tutto il mio cuore, a festeggiare e a ringraziare il Signore.
Spero proprio che l'anno prossimo Dio ci permetta di incontrarci, abbracciarci fisicamente e poter vivere un po' insieme. Sento abbastanza nostalgia, quella che in portoghese si dice “saudade”: dopo tre anni si desidera tornare.
Un grande abbraccio a tutti e una grande buona festa. Sentitemi vicino a voi tutti.
Ciao! A presto!
Sr Ester Zerla
DAL WEB
Non tutto ciò che può essere contato conta, e non tutto ciò che conta può essere contato.
Può, dunque, la fede appartenere alla conta della numerazione, alla stregua di tutto il resto? Un interrogativo che mi è nato leggendo il titolo di un articolo apparso giorni fa, in occasione della Giornata Missionaria Mondiale di oggi: «Cresce il numero dei cattolici nel mondo, sono 1,32 miliardi». Essere cattolico, a rigor di logica, è la maniera più completa di obbedire al mandato di Cristo: essere suoi discepoli e portare Cristo a tutti. Cattolico, dunque, è essere totalmente discepolo, totalmente missionario, totalmente cristiano. Il cuore della fede, che è sempre un intreccio di luce e di tenebra, di abbastanza splendore e abbastanza oscurità. Da quest'angolatura, la vita è il dono che Dio ci ha fatto, il modo in cui la viviamo è il dono che noi facciamo a Dio. Vivere è rispondere.
Si può, dunque, metter un numero a tale processo, senza tradire l'assurdo di credere «che il deserto può fiorir in una notte» (P. Mazzolari)? Non solo: c'è anche chi, senza per questo sentirsi inadatto, eredita la fede come ha ereditato un terreno, un casato, un titolo nobiliare, una casa. Una sorte di fede ereditata, per censo. Nessuna eredità, però, puoi dire di possedere davvero se non rischi di rimetterla in gioco: quel rischio, ch'è necessario, mette in palio la proprietà di un'eredità che, altrimenti, resterebbe naturamorta.
Và, dunque, anche costui “conteggiato” come cattolico sapendo che la sua fede è ereditata, non scelta? E di chi dice d'essere “cattolico ma non praticante” – un nonsenso, ma c'è chi di se stesso afferma questo – quale sarà la casella: cattolico oppure no? «Il fatto di credere in Dio e di adorarlo non garantisce di vivere come a Dio piace» scrive Papa Francesco nella sua enciclica Fratelli tutti, ovviamente contestata per quel suo anelito alla fratellanza universale. Cioè ci si calcola cattolici, ma poi si rifiuta il concetto di universalità dell'umano, ch'è il basamento di quella cattolicità che diventa “stelletta” da appuntarsi nei giorni di commemorazione. Il numero è bellissimo: è un racconto, una proiezione, una sinfonia. Il numero è un pericolo, anche: a forza di sommarci per ingrandire il risultato, ci siamo scordati che, in materia di fede, il numero più grande non è 1,32 miliardi ma è sempre il solito numero: il due.
Come in ogni storia d'amore, anche nella fede il contrario di uno non è zero, centomila: è due. Numero che racconta della compagnia, di intimità, di scelta: “Tra tutti/e, io scelgo te. E con te (in due) partiamo!” Il due di un uomo e una donna, di una creatura con il Creatore, di un cuore col suo giusto mezzo: due è il principio di ogni somma infinitamente grande, il contrario di star da soli al mondo.
Senza il due, di me con Dio, 1,32 miliardi è un numero vuoto.
Di chi non appartiene alla numerazione cattolica, dobbiamo dunque dirgli che è senza fede? Eppure la fede non si perde mai: il massimo che la si potrà costringere a fare è che essa cessi di plasmare la vita. Che diventi arredamento o bigiotteria. È dai tempi della Scrittura che cercare di censire le operazioni del Signore è uno dei rischi più avventati: per aver tentato il censimento, Davide pagò uno scotto pachidermico. Erode visse la beffa di essere riuscito a censire tutti, eccetto Uno: quel Bambino che gli rovesciò tutto il pallottoliere. “Un titolo è solo un titolo, non darci tutta questa importanza!” dirà qualcuno. Eppure, dietro ogni titolo, sta nascosta una possibile lettura del mondo: “Stiamo aumentando, dai: siamo di più degli altri. Li abbiamo superati”. Ed essere cattolici rischia di diventare dirsi cattolici pur di salire nel carro del vincitore. L'unica numerazione possibile però, nel caso ci sia di mezzo Cristo, è una sola: intuire se 1+1 – se io e la mia fede – siamo capaci di mettere incinta il cuore di qualcun altro, per riuscire a generare vita. Se no rimarremo 1+1: somma, non comunità. Quella che, certe volte, ha bisogno dei numeri per sentirsi distesa. E non ricordare che la fede, certe volte, si spegne anche per (solo) apparente buona educazione.
don Marco Pozza Domenica, 18 Ottobre 2020
Nomi e Volti
Cristina Pedersoli con Francesco Gheza
Borno 29 agosto 2020 (Chiesetta degli Alpini)
Elena Fedriga con Emanuele Miorini
Borno 12 settembre 20200
Nives Baisotti con Giuliano Belingheri
Dosso (Azzone) 26 settembre 20200
Claudia Richini con Paolo Rivadossi
Borno 10 ottobre 2020
Nomi e Volti
Pietro Stefanini
di Andrea e Laura Archetti
Borno 16 agosto 2020
Gaia Martinelli
di Gabriele e Elena Zandonà
Borno 6 settembre 2020
Elia Gheza
di Luca e Daniela Bottichio
Borno 6 settembre 2020
Mattia Martinelli
di Marco e Simona Gheza
Borno 6 settembre 2020
Elia Miorini
di Emanuele e Elena Fedriga
Borno 12 settembre 2020
Elena Alborghetti
di Mattia e Moira Magnolini
Borno 13 settembre 2020
Nicole Franzoni
di Filippo e Delia Sanzogni
Borno 13 settembre 2020
Bianca Melucci
di Cristian e Roberta Beretta
Borno 18 settembre 2020
Allyson Artusi
di Dennis e Angela Andreoli
Borno 20 settembre 2020
Sveva Padovani
di Stefano e Elena Pernici
Borno 27 settembre 2020
Miriam Belingheri
di Giuliano e Nives Baisotti
Dosso (Azzone) 26 settembre 2020
Kevin Furloni
di Christian e Elda Gadioli
Borno 4 ottobre 2020
Zoe Andreoli
di Mario e Laura Zanaglio
Borno 4 ottobre 2020
Emma Elsa Nidasio Baietta
di Giorgio Nidasio e Laura Baietta
Borno 25 ottobre 2020
Federico Desiderati
di Gino e Daniela Gerardini
Ossimo Inf. 11 settembre 2020
Iside Zerla
di Renato e Elena Maiocchi Viani
Ossimo Sup. 4 ottobre 2020
Lorenzo Castagna (con nonna bis)
di Leonardo e Monica Morelli
Verona 22 settembre 202
Nomi e Volti
Fausto Rivadossi
16-1-1938 + 10-8-2020
Roberto Luigi Malnati
20-2-1947 + 14-8-2020
Graziolo Tilola
20-4-1940 + 16-8-2020
Alberto Calcati
22-11-1923 + 2-10-2020
Francesca Corbelli
3-9-1937 + 6-10-2020
(abitava ad Angolo)
Giulia Franca Genziani
10-7-1939 + 27-10-2020
Giovanna Miorini
3-11-1933 + 27-10-2020
Sabina Lafiandra
23-1-1947 + 1-11-2020
(originaria e sepolta a Borno)
Orsola Rivadossi
10-9-1947 + 19-11-2020
Martino Gheza
20-9-1960 + 21-11-2020
Jole Marsigalia
1-5-1938 + 41-2-2020
Marianna Fiora
30-1-1949 + 5-12-2020
(residente a Novara)
Clementina Zanaglio
1-7-1952 + 17-3-2020
Claire J. C. Despierres
14-9-1955 + 21-9-2020
Bruna Andreoli
16-12-1950 + 26-10-2020
Antonia Caterina Girelli
26-10-1926 + 8-11-2020
Cesare Saviori
29-6-1944 + 16-11-2020
G. M. Amabile Franzoni
25-9-1937 + 17-11-2020
Giovanna Franzoni
29-1-1946 + 11-10-2020
Edoardo Franzoni
8-5-1946 + 13-10-2020
Maria Barbara Pezzoni
28-8-1954 + 18-11-2020
Giovanna Ger. Andreoli
25-2-1933 + 13-12-2020
Carmela Manganello
13-7-1934 + 10-9-2020
Giovanni Batt. Ballarini
25-5-1929 + 19-9-2020
×