Pasqua 2021
Parola del parroco
Bellissimo questo modo di Gesù di rivelarsi e farsi conoscere. La citazione è tratta dal Vangelo di Giovanni dove l’evangelista parla di Nicodemo, un capo dei Giudei. Egli, di notte, va da Gesù: l’oscurità e le tenebre non sono soltanto attorno ma anche dentro al cuore di Nicodemo perché è invaso dalla paura, dal dubbio e dall’incertezza. Nel profeta di Nazareth il dottore della legge intravede la luce grazie ai miracoli che compie e al suo modo di porsi fra gli uomini. Tra i due nasce un dialogo e Gesù si fa conoscere come l’inviato del Padre, colui che dovrà essere innalzato sulla croce per la salvezza degli uomini, colui che renderà privo dell’effetto mortale il veleno del serpente del male. Gesù ancora di più rivela il grande amore di Dio che fa dono del proprio figlio per salvare l’uomo, per toglierlo dalle tenebre della paura e dell’incertezza, e portarlo alla luce della vita.
Dio si abbassa verso l’uomo, vive nella vita umana, passando attraverso la croce e la risurrezione del Figlio dimostra il suo amore disinteressato per l’umanità.
Dio ci coinvolge tutti nella sua opera di salvezza, non ci lascia semplici spettatori: se entriamo nella sua logica di amore disinteressato, crediamo, ci fidiamo di lui, Egli ci coinvolge in questa opera e fa in modo che le nostre piccole buone azioni acquisiscano forza nella storia della salvezza.
Anche lungo il cammino della croce, dove si sperimenta tanta crudeltà, si incontrano persone i cui gesti, semplici ma carichi di compassione ed amore vengono accolti e resi eterni da Gesù.
Ricordiamo tutti il toccante episodio della Veronica, di cui i Vangeli non parlano, ma che la tradizione ci consegna. Donna coraggiosa la Veronica, che sfida la folla e i soldati per asciugare il volto e alleviare la sofferenza di quel condannato. Il suo gesto d’amore non cambia l’esito delle cose, ma diventa eterno.
Così l’uomo di Cirene. Di lui i Vangeli non dicono nemmeno il nome! Torna stanco dal suo lavoro, si trova caricato di una croce non sua, alleviando così la sofferenza del Cristo.
E infine il ladrone sulla croce, che riconosce di essere stato giustamente condannato a motivo delle sue malefatte, e nello stesso tempo chiede a Gesù di ricordarsi di lui, ricevendone una promessa: “Oggi sarai con me in Paradiso” (Lc 23,43).
Anche noi in questo tempo forse ci troviamo un po’ come Nicodemo, avvolti dalle tenebre, da tante paure ed incertezze, ma desiderosi di luce e di speranza! Cerchiamola nel Dio di Gesù Cristo che ci parla sì di passione e di croce, ma ci offre un orizzonte di risurrezione e di vita eterna. Quante persone anche in questo tempo difficile continuano a seminare amore e bene, gesti che Dio valorizza e rende proficui e santi, spronandoci a non mollare
Oggi, dopo duemila anni dalla sua testimonianza sulla terra, l’augurio per tutti noi è quello di riconoscere in Gesù Colui che il miracolo più bello lo compie, non tanto sanando le pene del cieco, dello storpio o del lebbroso, bensì donandosi sulla croce rendendoci figli di Dio, aprendo le nostre azioni semplici di bene, alla bellezza dell’eternità.
“…Chiunque crede in Lui ha la vita eterna” (Gv 3,16)
Buona Pasqua!!
Vostro don Paolo
PER RIFLETTERE
La crisi creata dal Covid 19 nel mondo intero ha portato una serie di guai e di mali che hanno amareggiato i nostri giorni con tanti disagi e con sofferenze inaudite, come il non aver potuto stare vicini ai nostri cari ammalati e moribondi. Ha portato inoltre problemi sanitari, sociali ed economici non piccoli. In alcuni casi, poi, l’isolamento ha fatto nascere anche disagi psicologici.
Le esigenze di distanziamento e di isolamento per contenere la diffusione del virus hanno limitato e ostacolato perfino le celebrazioni religiose, nei momenti in cui se ne sentiva di più il bisogno perché nei cuori cresceva la spinta a ricorrere a Dio e nelle menti il pensiero del nostro destino eterno.
La Pasqua, che ci fa contemplare Cristo Risorto, è invito a ripartire col passo giusto e a guardare avanti con coraggio per costruire un futuro felice e sicuro.
A quali medicine dobbiamo ricorrere per avere le energie adeguate?
Papa Francesco, nei suoi molteplici interventi, di rimedi efficaci ne ha indicate soprattutto due: la fraternità, aiutandoci gli uni gli altri con spirito di solidarietà, e la speranza, non perdendoci d’animo per le difficoltà da affrontare, conservando nel cuore la fiducia che ce la faremo.
La fraternità sta alla base della visione cristiana della vita e della società ed è un valore fondamentale per vincere le grandi sfide che incombono su di noi a causa della pandemia del Covid 19.
Nel cammino di umanizzazione della vita e della civile convivenza, in questi anni si sono fatti grandi progressi nei campi della libertà e dell’uguaglianza nella dignità delle persone; ma la fraternità purtroppo non è cresciuta: domina nel mondo un individualismo accentuato e un grande indifferentismo verso gli altri.
Tuttavia senza la fraternità gli sforzi per un mondo più giusto hanno il fiato corto. Senza fraternità non si superano le difficoltà esistenziali soprattutto nei momenti in cui l’ansia e l’angoscia stanno dietro l’angolo. Nessuno si salva da solo. Soltanto operando insieme ci si può salvare. Come credenti, abbiamo tutti un solo Padre, che è Dio, e di conseguenza noi siamo tutti fratelli che devono impegnarsi a vicenda per assicurare ad ognuno una vita veramente umana, in piena libertà e responsabilità. La persona umana ha una nativa dimensione sociale: ognuno può dare e ricevere qualche cosa dagli altri.
I rapporti umani non possono essere regolati solo dai codici della giustizia: ci vuole anche la fraternità, che crea solidarietà ed amicizia.
La seconda medicina per guarire dalla situazione in cui ci troviamo è la speranza, cioè la fiducia che con l’impegno delle risorse dell’intelligenza e del cuore e con l’aiuto che viene da Dio ce la faremo.
La speranza è una dimensione importante dell’esistenza, perché rappresenta un necessario sostegno e un indispensabile aiuto nell’affrontare i problemi e le difficoltà della vita.
Il poeta francese Charles Péguy ha una bellissima pagina sulla speranza. Raffigura la virtù della speranza come la sorella minore delle altre due virtù teologali: la fede e la carità. Le tre sorelle camminano insieme, tenendosi per mano. La più piccola, la speranza, sta al centro; le altre due più alte ai lati. A uno sguardo superficiale sembrerebbe che siano le due grandi, la fede e la carità, a sorreggere la piccola. Invece, osservando bene, in realtà è la piccola, la speranza, a trascinare avanti le altre due. È lei che tira le due sorelle. Se si arresta la speranza, non si fanno passi in avanti, ma tutto si ferma. Per camminare nella vita sulla strada giusta è necessario alimentare la speranza.
La scienza ora ci viene in aiuto col vaccino: è un grande aiuto, ma non basta; ci vogliono anche queste due medicine dello spirito.
Come nel passato l’umanità ha potuto superare situazioni terribilmente tragiche, così, con i doni di intelligenza e di cuore di cui Dio ci ha dotati e con la fraterna collaborazione di tutti, usciremo da questo momento difficile.
È importante guardare al futuro con speranza e con fiducia, sostenendoci gli uni gli altri.
Card. Giovanni Battista Re
PER RIFLETTERE
Per tutti i cristiani (anche se non per tutti) il mercoledì delle ceneri ha segnato l’inizio di un cammino sostenuto da un gesto esterno (l’imposizione delle ceneri) e da propositi e impegni che sono la preghiera, il digiuno e l’elemosina.
È iniziato il tempo forte della Quaresima: 40 giorni di impegno e di cammino per giungere alla Pasqua, che è il traguardo da raggiungere, è la vita nuova che riceviamo da Gesù per viverla ogni giorno.
La Pasqua Cristiana è figlia della Pasqua degli ebrei, con i vari significati e segni, ma nello stesso tempo è una pasqua nuova che ci è stata donata da Gesù. Gesù ha celebrato per tanti anni della sua vita la Pasqua degli Ebrei. La Pasqua degli Ebrei faceva memoria della liberazione dalla schiavitù dell’Egitto, quando Dio con braccio potente era intervenuto sterminando i primogeniti degli egiziani. Nella Pasqua si mangiava l’agnello arrostito con erbe amare e pane non lievitato (àzzimo). Nell’Ultima Cena Gesù riempie di significato nuovo la Pasqua: è festa di liberazione, ma dal peccato e dalla morte; Gesù si offre come Agnello al Padre perché è Lui il vero Agnello che toglie il peccato dal mondo. La Pasqua è fonte di vita nuova perché Gesù affronta la morte, la vince e risorge.
La Pasqua è il mistero centrale della nostra fede, mistero di passione, morte e resurrezione di Gesù. Noi sempre lo riviviamo nella celebrazione dell’Eucarestia nella Domenica, il giorno del Signore quando diciamo “Annunciamo la tua morte Signore, proclamiamo la tua resurrezione nell’attesa della tua venuta”. La Pasqua è il mistero di Gesù che dà senso e compimento alla nostra vita: la Quaresima ti prepara alla Pasqua e la Pasqua è quello sguardo che dai all’indietro e vedi il cammino che hai fatto e ti spieghi le tante scelte fatte. La Pasqua è come il crinale del monte; dalla Pasqua dai lo sguardo a quanto è accaduto. La Pasqua illumina il cammino fatto. Ma la Pasqua ti apre anche al futuro, quello della CHIESA che con l’aiuto dello Spirito Santo Annuncia il Vangelo a tutto il mondo.
Noi celebriamo la Pasqua, mistero di Passione, Morte e Resurrezione. Se ci fosse il Venerdì Santo (Passione e Morte di Gesù) e non la Pasqua, allora saremmo nella disperazione. È come entrare in un tunnel senza uscita, senza vedere la luce. Se ci fosse la Pasqua senza il Venerdì Santo allora quanto compiuto da noi sarebbe una recita e Gesù un bravo attore Protagonista; finita la recita si toglie il trucco e ringrazia il pubblico. La Pasqua senza il Venerdì Santo è qualcosa di vuoto, fittizio. Il Venerdì Santo (la sofferenza) si apre alla luce della vita nuova della Pasqua. Leggeremo a Pasqua nella Messa l’inno alla Vittima pasquale. Morte e vita si sono affrontate in un prodigioso duello: il Signore della Vita era morto ma ora Vivo trionfa. Noi crediamo che Gesù è risorto dai morti.
La fede della Chiesa, la fede di ogni cristiano si basa sulla Resurrezione di Gesù: la nostra Professione di Fede (il CREDO) ha come punto finale di credere la Resurrezione della carne e la Vita eterna. “Credo in Dio che mi è Padre, nel suo Figlio Gesù che mi ha redento, nello Spirito Santo che giuda la Chiesa. Credo la Chiesa, i Sacramenti, professo un solo Battesimo: tutto questo in attesa della vita eterna e della resurrezione della carne. Amen.”
Pasqua, luce che illumina il nostro cammino!! Pasqua, fuoco che riscalda i nostri cuori!!
Pasqua, per vivere la vita nuova che mai tramonta. Perché Gesù è il Risorto, Lui è lo stesso ieri, oggi e sempre!!
A nome di tutti i Sacerdoti delle nostre Parrocchie auguri a tutti voi. BUONA PASQUA!!
don Raffaele Alberti
PER RIFLETTERE
Così titola il nostro vescovo la Nota pastorale per accompagnare e integrare le famiglie ferite nella comunità ecclesiale.
Questo “strumento di cura” è stato elaborato dal vescovo a beneficio di tutte le comunità cristiane e in particolare di presbiteri, diaconi, consacrati e consacrate in seguito dell'annuncio di papa Francesco di indire un anno di ripresa e approfondimento dell'Esortazione Apostolica Amoris Laetizia, nella quale in particolare "si canta la bellezza del matrimonio e della famiglia come singolare esperienza di amore.”
L’amore vissuto nelle famiglie è una forza permanente per la vita della Chiesa. «Il fine unitivo del matrimonio è un costante richiamo al crescere e all’approfondirsi di questo amore. Nella loro unione di amore gli sposi sperimentano la bellezza della paternità e della maternità; condividono i progetti e le fatiche, i desideri e le preoccupazioni; imparano la cura reciproca e il perdono vicendevole. In questo amore celebrano i loro momenti felici e si sostengono nei passaggi difficili della loro storia di vita […] La bellezza del dono reciproco e gratuito, la gioia per la vita che nasce e la cura amorevole di tutti i membri, dai piccoli agli anziani, sono alcuni dei frutti che rendono unica e insostituibile la risposta alla vocazione della famiglia», tanto per la Chiesa quanto per l’intera società. (AL 88)
Le famiglie, in quanto pilastri della società, sono da sempre fortemente condizionate dal contesto culturale e storico nel quale vivono. E oggi, dove pare che la tendenza a privilegiare la dimensione del profitto, dello sfruttamento abbia la meglio sul primato della persona e delle relazioni umane, l’effetto sui nuclei familiari è molto serio e preoccupante. È una riflessione questa, a cui il vescovo tiene particolarmente e sulla quale ha posto l’accento, come ricorderete, anche nella lettera apostolica "Non potremo dimenticare" di cui abbiamo scritto nello scorso numero di Cüntòmela. Di più: egli aggiunge che comprendere le ragioni di quanto sta accadendo alle famiglie è fondamentale per poter aggiustare la rotta della società. È un compito a cui la Chiesa tutta non può disattendere, maggiormente quando le famiglie sono in sofferenza.
In effetti, proprio nel capitolo ottavo dell’Esortazione, papa Francesco affronta il tema delle "famiglie ferite, cioè delle coppie che hanno vissuto il naufragio del loro matrimonio e hanno dato vita ad una nuova famiglia" e indica due criteri con cui suggerisce di approcciarsi: il discernimento nel valutare attentamente, con rispetto e cautela il vissuto dei casi singoli, e la misericordia di Dio che serve testimoniare sempre e a tutti, poiché dinnanzi a scelte difficili e cariche di sofferenza, ci si deve porre non come freddi giudici bensì come padri amorevoli.
Nell’illustrare le azioni e gli atteggiamenti con i quali il vescovo auspica che le comunità cristiane e i loro pastori stiano accanto alle famiglie ferite, si vede chiaramente il tratto di delicatezza, di ascolto e di confronto così lontani dal giudizio, dal puntare il dito. Accoglienza, guida, vicinanza, sono alcune delle parole che mi vengono in mente per delineare gli atteggiamenti con cui la Chiesa ha deciso di aiutare le famiglie provate dal dolore di un amore naufragato. Nelle indicazioni del vescovo si avverte con intensità la tenerezza paterna con cui ha tracciato le linee di questa Nota. E questo mi sembra molto bello!
Attenzione però! Ciò non significa che l’approccio amorevole e comprensivo disattenda il valore di un sacramento, non significa che la Chiesa si stia piegando al sentire comune per mero compiacimento, come spesso da certe parti si è sentito dire. Tutt'altro! Il vescovo a tal proposito cita nuovamente il papa: “Per evitare qualsiasi interpretazione deviata, ricordo che in nessun modo la Chiesa deve rinunciare a proporre l'ideale pieno del matrimonio, il progetto di Dio in tutta la sua grandezza. I giovani battezzati vanno incoraggiati a non esitare dinanzi alla ricchezza che ai loro progetti d’amore procura il sacramento del matrimonio, forti del sostegno che ricevono dalla grazia di Cristo e dalla possibilità di partecipare pienamente alla vita della Chiesa. La tiepidezza, qualsiasi forma di relativismo, o un eccessivo rispetto al momento di proporlo, sarebbero una mancanza di fedeltà al vangelo e anche una mancanza di amore della Chiesa verso i giovani stessi. Comprendere le situazioni eccezionali non implica mai nascondere la luce dell’ideale più pieno né proporre meno di quando Gesù offre all’essere umano, oggi, più importante di una pastorale dei fallimenti è lo sforzo pastorale per consolidare i matrimoni e prevenirne le rotture.”
Quanti stereotipi, quanti giudizi infondati, quante dita puntate si sono sgretolate nella mia mente mentre leggevo queste brevi, quanto precise e profonde indicazioni circa la "cura" di un tema tanto delicato!
Per questo mi sento di suggerire la lettura di questa Nota pastorale: essa può aiutarci a meglio comprendere il vero spirito di novità con cui il papa si è ispirato per aiutare le famiglie e i singoli ad affrontare il dolore di un progetto d’amore incrinato o inabissato, ci insegna a recuperare il significato profondo del Vangelo e la ricchezza della misericordia e ci pulisce dai tanti, troppi pregiudizi con cui affrontiamo i temi sociali.
Emilia Pennacchio
«Tuo nonno mi chiese di sposarlo con una caramella.
Non avevamo niente, si inginocchiò e mi disse: Non ho nulla ora, solo una caramella, ma se vuoi possiamo costruire tutto insieme.
E tu?
Ho aperto la caramella, l'ho divisa in due e l'abbiamo mangiata. Da quel momento abbiamo diviso e condiviso tutto. Siamo caduti, ci siamo rialzati e abbiamo costruito.
Tutto insieme. Abbiamo vissuto momenti difficili, di stanchezza, ma ci siamo sempre stati l'uno per l'altro. Fino all'ultimo.
Altri tempi nonna.
Il tempo non cambia il modo di amare.
Quello che è cambiato è che non avete più esempi belli da seguire.
Mo’ avete paura di tutto.
Non vi sposate per paura di non riuscire a costruire. Appena litigate vi lasciate perché poi pensate di trovarne uno migliore. Siete sempre alla ricerca della perfezione, come se poi esistesse.
Vi manca la percezione della realtà. Della felicità nelle piccole cose.
Fate ste’ grandi dimostrazioni, anelli da migliaia di euro, un video esagerato per le proposte di matrimonio e poi vi perdete il momento.
Quella cosa intima che custodite in due, solo in due per tutta la vita.
È questo che vi manca.
Il coraggio di vivere la vita e l'amore per quello che sono e non per come lo immaginate
Una caramella e 50 anni insieme»
Federica Picchi
L'ABC DELLA FEDE
LA QUESTIONE - Il sacramento di partenza, dal quale per il cristiano inizia un percorso preciso e articolato, è il Battesimo. Alla domanda “Ti ricordi del tuo battesimo?”, molti risponderebbero che erano molto piccoli, se non appena nati. Come potrebbero ricordarsi di quel momento, quando il sacerdote con dell’acqua fredda ha inzuppato la loro testolina mentre pronunciava la formula: “Io ti battezzo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”. Cerchiamo di capire meglio la storia di questo sacramento così importante.
ORIGINE E SIGNIFICATO DEL BATTESIMO CRISTIANO - Riguardo al Battesimo, le affermazioni più importanti di Gesù le troviamo nel Vangelo di Matteo «Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo» (Mt 8,19); «Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato» (Mt 6,16). Anche i Giudei utilizzavano alcuni segni che sembra rispecchino quelli indicati da Cristo. Infatti facevano dei bagni di riparazione, le abluzioni, lavavano di frequente oggetti e compivano immersioni per la purità rituale. In questa scia collochiamo il bagno dei proseliti, inteso come rito di ingresso nella comunità giudaica. Anche altre civiltà come gli Esseni compivano queste ritualità.
Si tratta del Battesimo di conversione per la remissione dei peccati. Certamente è un aspetto originale rispetto ad alcuni bagni riportati nell’Antico Testamento.
Il Battista annuncia un Battesimo di conversione perché ormai colui che dovrà giudicare è alle porte. Giovanni è il Battezzatore, l’uomo non può perdonarsi autonomamente, serve un ministro che compie questo gesto.
Gli aspetti che fondano e distinguono il Battesimo cristiano da quello del Battista, sono quattro:
1. Il battesimo cristiano si riceve da un ministro;
2. È unico e irripetibile;
3. L’annuncio centrale è appello alla conversione;
4. Rimette i peccati.
L’elemento nuovo e sorprendente che caratterizza il Battesimo cristiano è la Pasqua di Cristo, tant’è che il Battesimo di Giovanni trova il suo inveramento, la sua piena realizzazione nel Battesimo di Cristo.
Abbiamo testimonianza nel Vangelo di Giovanni che i discepoli di Gesù battezzavano (Gv 4,1-3). In ogni caso possiamo dire che non si trattava né di un Battesimo cristiano, né che fosse da paragonare a quello del Battista. È più facile pensare che siano stati dei gesti preparatori ad una adesione e ad una conversione per seguire Gesù.
ALCUNI CENNI STORICI - Riprendendo la questione iniziale, i primi cristiani vivevano in una società in cui l’annuncio del Vangelo avveniva con estrema semplicità attraverso incontri personali e testimonianze. Anche ai pagani veniva annunciato il Vangelo.
Nel III secolo l’ingresso di nuovi cristiani alla fede avveniva attraverso riti e istituzioni. Una figura molto antica è il padrino, cioè una persona che inserisce e accompagna in modo personale il catecumeno.
- Al catecumeno si chiede:
- Il pentimento dai peccati;
- Adesione alla professione di fede;
- La volontà di vivere secondo il Vangelo.
Si sviluppa, quindi, un processo di iniziazione. Giustino parla di un processo battesimale simile ad un’illuminazione che culmina con l’accoglienza nella Chiesa e con l’Eucaristia.
In questo periodo si battezzano principalmente gli adulti. L’autore cristiano Tertulliano attesta la prassi di conferire il battesimo anche ai bambini piccoli, pur criticandola affermando che presenta dei problemi di tipo pastorale, ma non teologico.
Il cammino impegnativo del catecumeno richiedeva diverso tempo per provare la sua volontà di ricevere il Battesimo; e durante questo tempo egli era escluso dall’Eucaristia.
Più in generale le fasi dell’iniziazione al sacramento erano:
- Catecumenato: per iniziarlo c’era un esame per valutare l’intenzione e serviva un già iniziato (padrino) che presentasse il candidato agli anziani. La valutazione spettava ai presbiteri. La positività della valutazione permetteva l’avvio del cammino che durava circa 3 anni.
- Elezione: terminato il catecumenato c’era la preparazione più diretta al battesimo guidata dal vescovo.
- Celebrazione unitaria: vissuta solitamente un sabato notte e composta da tre fasi:
1. Momento battesimale con la professione di fede e il Battistero.
2. Momento crismale con la preghiera allo Spirito Santo e l’unzione col crisma.
3. Momento della celebrazione eucaristica.
Nel VII secolo tutto questo processo tramonta per dare spazio alla prassi del pedobattesimo: battesimo dei bambini piccoli.
La figura del padrino diventa sempre più marcata. Tutti i riti richiesti agli adulti vengono concentrati sempre più vicino alla nascita del bambino con la riserva della Cresima, rimandata alla decisione del vescovo. I padrini hanno soprattutto il compito di ricordare e di accompagnare.
Nel medioevo si verifica la vera svolta storico-ecclesiale. Il cristianesimo si diffonde nelle campagne dove dimora solo il sacerdote e pertanto il momento crismale viene rimandato in un secondo momento (quando il vescovo passerà). Infatti la Chiesa romana ha questa prassi, questa particolarità: riserva al vescovo diocesano la facoltà di consegnare il sigillo della Confermazione (Cresima).
Con Lutero il Battesimo degli infatti ridiventa problematico. Pur affermando che solo la fede è fondamentale per poter accogliere la promessa di salvezza e che il Battesimo è un opera di Dio indipendente dall’uomo, ha una efficacia di per se perché Dio agisce direttamente nel cuore, ribadisce anche che nel Battesimo l’uomo confessa la sua fede, la sua volontà. Quindi al battezzando è richiesta una certa consapevolezza per poterlo accogliere.
Il concilio di Trento risponde a Lutero con alcune affermazioni e decreti:
- Il peccato originale è rimesso grazie ai meriti di Cristo nel Battesimo. L’inclinazione al male resta nella forma della concupiscenza, che non è vero e proprio peccato.
- C’è una novità radicale: il Battesimo opera in modo reale la giustificazione. Il battezzato diventa figlio di Dio, persona nuova, rinata a nuova vita in Cristo.
- Battesimo e Cresima sono veri e propri sacramenti e, pertanto, imprimono il carattere.
- Il Concilio Vaticano II è un momento decisivo per l’esperienza dell’Iniziazione Cristiana. Da esso scaturiscono due rituali per il Battesimo dei bambini e degli adulti.
Si tratta di un cambio significativo della celebrazione rituale, recuperando il significato del catecumenato antico, insieme alla riscoperta della dimensione rituale. Il catecumenato degli adulti non prevede solo la catechesi, ma anche un periodo di preghiera, in particolare preghiere di esorcismo e di purificazione per un tempo minimo di due anni.
Il catecumeno maturo vieni inserito al passaggio successivo, chiamato elezione. È importante tenere presente che non si tratta di un auto elezione alla vita cristiana, ma è Cristo che chiama a seguirlo, attraverso la sua Chiesa.
L’ultimo tempo è quello della mistagogia, in cui la Chiesa accompagna nei primi passi il nuovo cristiano, è un tempo di consolidamento della propria fede. Nel rito del Battesimo dei bambini è presente una specifica parte che riguardai i genitori, primi educatori dei loro figli.
PER CONCLUDERE
Come possiamo far emergere il significato teologico del Battesimo? Sono due gli assi fondamentali:
Dimensione ecclesiologica: è la comunità cristiana che inserisce nella Chiesa i nuovi cristiani. Deve risaltare il carattere comunitario del sacramento. La comunità ha una dimensione materna, è lei che annuncia e genera alla fede. La persona viene accolta nella Chiesa come nuova cellula che comunica la salvezza. È interessante come Lumen Gentium parla di questo tema, perché chi appartiene alla Chiesa è incorporato alla comunità dei credenti.
Dimensione cristologia: per quanto riguarda una valenza primaria, il segno Battesimale è il lavacro di acqua vera. Con il Battesimo il fedele si apre ad una vita nuova nello Spirito Santo e nella Trinità. In esso vengono sorpassate tutte le differenze etiche, perché in Cristo Salvatore tutti sono uguali. Infatti il “titolo” più alto della Chiesa è propro il Battesimo, incancellabile, indelebile perché in gioco non c’è solo la libertà del singolo, ma anche la grazia di Cristo.
La logica del Concilio è stata quella di privilegiare una riflessione più abbondante e significativa riguardo al Battesimo degli adulti, senza eliminare il battesimo dei bambini, che rimane il più praticato e il più in auge all’interno delle nostre comunità.
Pertanto è il medesimo sacramento, ma in due forme rituali diverse, perché sono presenti due condizioni diverse di vita. Un adulto si pone in un ottica di conversione, invece il battesimo dei bambini si riferisce ad una logica di educazione che viene richiesta alla famiglia cristiana.
Come comunità cristiane abbiamo un grande bagaglio di tradizione da conservare, è un gravoso compito che dobbiamo sostenere con la preghiera e con la testimonianza di vita.
Ci auguriamo che le nostre famiglie continuino a chiedere il Battesimo per i loro figli, e che non trovino ostacoli in questa scelta, che è risposta alla chiamata di Cristo ad essere pienamente innestati e partecipi dell’amore e della gioia del Suo regno.
don Stefano
L'ABC DELLA FEDE
Nella presentazione generale dei Libri Sapienziali dicevo che sono sette.
• il Libro di Giobbe.
• il Libro dei proverbi.
• il Qoelet.
• il Libro della Sapienza.
• il Siracide.
• i Salmi.
• il Cantico dei Cantici.
Ora proverò a dedicare un piccolo spazio ad ogni singolo libro, ricordando che il mio obiettivo con questa rubrica, è quello di dare dei piccoli spunti, per suscitare la curiosità e la voglia di leggere la Bibbia.
Libro di Giobbe - Il tema del libro è la sofferenza, ed in particolare la domanda sul perché Dio permetta le sofferenze del giusto. Giobbe è molto ricco: possiede tanto bestiame, molti servi ed ha anche una famiglia numerosa. Satana riceve da Dio il permesso di provare la sua fede. Così in un primo momento gli toglie tutti i beni, poi lo priva dei suoi figli. Non essendo ancora riuscito ad incrinare la fede di Giobbe, Satana chiede ed ottiene in seguito l’autorizzazione di colpire anche il suo corpo. Degli amici vengono a consolarlo, ma peggiorano la situazione. Infine Dio prende la parola e mostra a Giobbe che la conoscenza umana è troppo limitata per spiegare in maniera soddisfacente il mistero dei propositi divini. Giobbe e i suoi amici avevano dimenticato che Dio è il Vasaio e noi non siamo altro che creta nelle Sue mani. La fede di Giobbe trionfa su tutte le prove ed egli finisce con il recuperare la sua antica prosperità ed anche di più.
Libro dei proverbi - Questo testo è stato definito una delle migliori guide che un giovane possa seguire. È composto da 31 capitoli, se ne può dunque leggere uno per ogni giorno del mese. Io ho fatto così ed è stato proprio un bel percorso. Il re Salomone eredita da Davide, suo padre, un regno popoloso ed esteso. Riconoscendosi incapace di assumersi una tale responsabilità, prega il Signore, facendogli la richiesta di donargli un cuore intelligente. L’attualità dei proverbi è davvero sorprendente.
Qoelet - In questo libro vengono dibattuti gli interrogativi che accompagnano l’uomo da sempre, da quando si è reso conto di avere una coscienza, di poter “dialogare” con la conoscenza del mondo, con la probabile esistenza di un Dio Creatore, un mondo comunque esterno ed eterno rispetto alla breve durata della vita di ogni individuo. Ne nascono tutti i dubbi e tutti i perché. E non sono necessariamente dubbi religiosi ma fondamentalmente esistenziali. Ci troviamo davanti alla disperata constatazione di chi, pur credendo in un Dio, si rende conto che la vita terrena, rispetto a quella divina, è solo vanità.
Libro della Sapienza - Il tema comune a tutto il libro è quello della giustizia, oltre a quello della sapienza necessaria per acquisirla, che emerge come tema dominante. In ogni caso il giudizio di Dio punirà gli empi, gli idolatri in particolare, mentre apporterà salvezza ai giusti. Il cosmo è un altro tema: Dio ha creato tutto per la vita. La sapienza, artefice del mondo, è il punto di contatto tra Dio e l’uomo a motivo della sua presenza nel cosmo stesso.
Siracide - È composto da 51 capitoli con vari detti di genere sapienziale, sintesi della religione ebraica tradizionale e della sapienza comune. Benché non sia stato accolto nel canone ebraico, il Siracide è citato frequentemente negli scritti rabbinici. Nel Nuovo Testamento la lettera di Giacomo vi attinge molte espressioni e ancor oggi la liturgia si fa portavoce di questa antica tradizione di sapienza.
Come dicevo nell’articolo precedente, a questi libri se ne aggiungono altri due che sono però molto diversi, sia per genere letterario sia per quanto riguarda il contenuto.
Salmi - Il titolo ebraico di questo libro è “Tehillim”, che significa “canti di lode”. La traduzione greca “Psalmoi”, da cui deriva il nostro “Salmi”, significa letteralmente “canti da accompagnarsi con strumenti a corda” e le indicazioni iniziali riportate in molti di essi, lasciano trasparire che dovessero essere cantati con accompagnamento sono molteplici. Tutti questi canti sono stati scritti in un arco di tempo di circa nove secoli, dall'epoca di Mosè al ritorno dell'esilio babilonese. È impossibile fare un breve riassunto del libro perché ogni salmo ha una storia a sé stante.
Cantico dei Cantici - Il contenuto di questo libro è fra i più originali e, si direbbe, fra i più inaspettati della Bibbia: è composto da otto capitoli contenenti poemi d'amore (con alcune implicite allusioni erotiche) in forma dialogica tra un uomo e una donna. La ragazza è una pastorella di Gerusalemme di nome Sulammita, mentre l'identità dell'amato può essere fatta coincidere o con lo stesso re Salomone o con un pastore. Ci sono molteplici studi e svariate interpretazioni di questo testo. La tradizione cristiana lo ha interpretato in senso allegorico, vedendolo in particolare come simbolo dell'amore tra Cristo e la Chiesa.
Luca Dalla Palma
ORATORI DELL'ALTOPIANO
I ragazzi di prima media del VI anno di catechesi e i ragazzi del V anno di quinta elementare hanno condiviso con le comunità parrocchiali dell’altopiano il loro impegno a continuare il loro cammino di fede e di iniziazione cristiana, accedendo così ai sacramenti della prima Santa Comunione e alla Santa Confermazione. A tutti noi come comunità il compito di accompagnarli con la preghiera e spronarli con l’entusiasmo della fede, della speranza e della carità, proprie del cristiano.
ORATORI DELL'ALTOPIANO
In diversi in questo periodo mi hanno confidato questo desiderio. Sembra una richiesta banale, ma invece non lo è affatto. Il chierichetto o ministrante è uno stile di vita, è un impegno spesso anche gravoso, perché richiede una presenza particolare alla vita della comunità cristiana. Non si tratta solo di ritrovarsi insieme, di condividere la merenda al bar dopo i funerali, ma è un servizio all’intera comunità.
“I chierichetti ci sono sempre stati!”, potrebbe dire qualcuno, certo! Tanti ricordano con tenerezza le moltitudini di ragazzi che servivano all’altare negli anni di parrocchiato di don Giuseppe Maffi, insieme ai diversi curati che si sono succeduti. Come è gradita dalla popolazione la presenza dei nostri ragazzi alle funzioni solenni, come ad esempio quelle del triduo, o alle più tristi dei funerali. Speriamo di poter vedere più chierichetti anche alla messa feriale, durante la settimana. Non offendo nessuno dicendo che abbassano la media dell’età in chiesa! Alla domenica mattina non manca mai un numeroso gruppo alla messa delle famiglie delle ore 10,30 a Borno. Anche a Ossimo Superiore e Inferiore non manca chi serve all’altare. Speriamo che anche qui il numero cresca, ma soprattutto cresca l’amore a Gesù, a servirlo al suo altare, aiutando anche i fedeli ad essere il più possibile partecipi alla liturgia.
Il Covid ha limitato le nostre iniziative, ma cercheremo di riprenderci il prima possibile, quando sarà concesso, soprattutto per poterci incontrare e stare insieme con Gesù all’altare del Signore. Lo faremo già per le feste di Pasqua e per le prossime celebrazioni che sono programmate. Aspettiamo anche altri che vogliono iniziare questa avventura con il Signore.
Don Stefano
ORATORI DELL'ALTOPIANO
Come è possibile costruire relazioni positive nel contesto dell’oratorio, se l’oratorio è chiuso a causa della pandemia?
È una domanda che mi sono posto spesso in questo periodo, ma non so se ho trovato la soluzione, forse non c’è, forse è troppo complicato trovare una strada secondaria che ci porta a coltivare relazioni autentiche e costruttive.
In realtà l’oratorio di Borno non si è fermato, con alcuni ragazzi abbiamo cercato di rinnovare la stanza del camino con la zona di ingresso, pitturando e cambiando alcuni elementi. Ringrazio tutti quelli che si sono adoperati per rendere questo luogo più accogliente possibile, per quando riapriremo per le varie attività, sperando che sia al più presto.
L’oratorio è un luogo di grande importanza per la comunità, specialmente per tutte le famiglie con i loro bambini e i ragazzi, è il luogo dell’amicizia, ma anche dell’educazione e della crescita interiore, per aiutare a scoprire sempre di più l’amore che dovrebbe contraddistinguere l’essere cristiani.
Un oratorio solo di muri è uno stabile come ce ne sono altri. Il vero oratorio è, invece, quello reso vivo dalle persone che credono e che mettono in pratica il progetto di Gesù. In esso si comunica la fede a partire da semplici incontri, che sfociano in relazioni autentiche che cambiano il nostro modo di approcciarci l'un l’altro.
Vivere l'oratorio è un cammino importante per la crescita e la formazione dei ragazzi e non può essere trascurato. Allora cominciamo a pensarci fin da ora, così, quando torneremo a poter vivere le relazioni nella nostra comunità senza le distanze fisiche imposte dalla pandemia, lo faremo non solo come semplice socializzazione, ma in un clima di alterità, di vera attenzione e condivisione che sono, di fatto, i pilastri di un oratorio vivo.
Don Stefano
LA VOCE DEL CONVENTO
Nei Promessi Sposi il Manzoni attraverso il dialogo di fra Galdino dice dei cappuccini: “Perché noi siam come il mare, che riceve acqua da tutte le parti, e la torna a distribuire a tutti i fiumi”.
Con questa definizione, posta in bocca all'umile fraticello, Manzoni ci presenta la vita della Chiesa che, come tenera madre, è ricettiva di tutto e distributrice di tutto; anzi potremmo dire che è aperta ad accogliere Tutto, il Tutto che riceve dalle mani di Dio Padre e poi, con generosità, ridistribuisce ai suoi figli.
Per la celebrazione di quest’anno la Congregazione per gli Istituti di vita consacrata ha indirizzato una Lettera a tutti i consacrati, esortandoci, in questo tempo ancora segnato dalla pandemia, ad essere "capaci di passare dall’ “io” al “noi”, consapevoli di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme” (Papa Francesco, venerdì 27 marzo 2020).
Con semplicità potremmo dire che nessuno si salva da solo dal dramma della pandemia oppure, con papa Francesco, dire “nessuno si salva da solo, ci si può salvare solo insieme”, opponendoci a una visione complottista e apocalittica della realtà; anzi, siamo chiamati dal Signore a portare semi di speranza e solidarietà fraterna.
Un mio confratello recentemente mi diceva “Sei ciò che dai”. Brevi parole che rispecchiano la bellezza del nostro abito fatto a forma di croce, semplici parole che annunciano che noi frati dell’Annunciata abbiamo la vocazione fraterna d’essere vicino agli altri, fratelli di tutti.
La nostra forza viene anche dalla fraternità, come luogo dove si condivide lavoro, tempi di preghiera e anche momenti ricreativi. Quando si condivide un ideale di vita, anche nella tempesta ci si sente a casa. L’ho sperimentato più di una volta! Non c’è identità senza appartenenza. Se c’è un senso di appartenenza allora si può costruire insieme un’identità, si può fare insieme un cammino, basato su regole ma soprattutto valori condivisi: come credere che la bontà è un cemento che attira e costruisce tutto. Il Signore ci aiuti a risorgere e a vivere nella luce la gioia del tempo pasquale. Alleluia
Pace e bene
Frate Giuseppe
DALLE COMUNITÀ - Borno
Insieme al sempre molto documentato Oliviero Franzoni, Francesco Inversini ricostruisce l’albero genealogico della propria famiglia originaria di Mazzunno, trasferitasi poi a Borno, con ramificazioni a Darfo Boario Terme.
È sorprendente che uno dei primi cenni documentati del cognome Inversini agli inizi del XVI secolo, sia in relazione alla famosa diatriba fra Borno e la Val di Scalve per l’uso di pascoli e malghe del monte Negrino, oltre che per altre beghe di confine tra lo stesso Borno e l’abitato di Mazzunno.
La ricostruzione della storia della famiglia, offre agli autori l’occasione per ripercorrere alcune attività e tradizioni dei nostri paesi. La disponibilità di molti boschi in Valle Camonica ha dato vita a molti lavori legati agli alberi, fra i quali diverse botteghe di artigiani falegnami. Gli avi di Francesco Inversini svilupparono notevoli capacità artistiche in questo settore e molti manufatti in legno delle chiese parrocchiali di Borno, Ossimo Inferiore ed Esine testimoniano tale abilità. Nel libro vengono accennate anche ad alcune committenze a privati realizzate sempre dagli Inversini, come la “stüa” di Casa Franzoni (ex Albergo) e probabilmente la stanza tutta foderata in legno della Casa delle Suore, di cui in appendice si riportano alcune ipotesi a sostegno dell’attribuzione alla bottega degli Inversini.
Ma tema centrale della pubblicazione, composta da molte immagini con generose didascalie, è la “Machina del tridio” realizzata nel 1855 da “Ghirardì” Inversini che, successivamente, costruì un altro apparato simile per la chiesa di Darfo andato disperso perché ritenuto troppo ingombrante, difficile e costoso nel montaggio.
Ecco che vengono descritte e illustrate le varie parti di questo manufatto artistico caro alla tradizione bornese, le fasi di montaggio e la struttura che sostiene l’imponente scenografia. Completano il libro brevi appendici sulla tradizione dei Tridui in Valle Camonica, l’Oltretomba nell’arte camuna e sul concetto di Purgatorio che ha motivato nascita e sviluppo di queste tradizioni, compreso quella popolare delle “anime confinate”.
“La storia siamo noi... nessuno si senta escluso”, diceva De Gregori in una delle sue molte belle canzoni. Questa pubblicazione di Francesco Inversini conferma che spesso le vicende e le tradizioni familiari si intrecciano con quelle della più ampia comunità formando davvero un’unica storia.
La redazione
DALLE COMUNITÀ - Borno
È chiamato Triduo dei Morti; nelle nostre parrocchie soprattutto bresciane e bergamasche capiscono tutti che cosa è, altrove non c’è nemmeno l’idea. È concentrare in tre giornate preghiere, celebrazioni di s. Messe e ore di adorazione all’Eucaristia, per la quale si prepara uno scenario eccezionale dove nel punto centrale, ben visibile e adornato da luci e candele, si colloca un ostensorio che, come dice la parola, ha il compito di far vedere per adorare la SS. Eucaristia.
Ostensione è il termine tecnico che si usa per esempio anche per la Sacra Sindone di Torino, il lenzuolo – con la chiarissima, misteriosa impronta di un corpo straziato da flagellazione, crocifissione e violenza crudele e gratuita – che ha custodito il corpo di Gesù nei suoi tre giorni di sepoltura nel sepolcro. Questo scenario, che si chiama anche “machina del triduo” varia da parrocchia a parrocchia e in alcune parrocchie è assolutamente un’opera pregiata e artistica.
Quella di Borno è tra le più belle che io ho visto, dopo quella di Castenedolo, famosa per le sue candele (alcune centinaia) ancora di cera da accendere tutte le volte che si espone il SS Sacramento.
Anche nella vicina Schilpario ce n‘è una bella. Quella di Borno ha un taglio classico, solenne, ben distribuito e ampio, ben collocata nella architettura della chiesa, che è già bella da sola. Ha cambiato quasi tutte le candele in luci elettriche favorendo una maggior sicurezza, evitando annerimento di pareti nocive alla decorazione della chiesa e all’ossigenazione dell’ambiente.
Mi ha ben impressionato la partecipazione attenta della popolazione alle celebrazioni delle sante Messe, alle adorazioni e alla meditazione della sera. Sarebbe stata anche maggiore se non fosse per quella giusta decisione del governo di ridurre le presenze in chiesa per mantenere le distanze necessarie contro la pandemia. Da parte dei presbiteri è stata importante, oltre alla loro partecipazione corale, anche l’attenzione a non esasperare l’aspetto scenografico a danno del significato dell’Eucarestia. Per noi, il luogo dell’Eucarestia è l’altare dove si celebra la Messa e dove viene consacrato, con le parole di Gesù all’ultima cena, il pane e il vino in corpo e sangue di Cristo. Infatti alla fine delle giornate o delle adorazioni il corpo di Cristo, l’ostensorio con l’ostia consacrata, veniva sempre portato sulla mensa dell’altare, senza piedestalli o rialzi, per la benedizione.
Non so se si è badato a un particolare, per me importante: ogni esposizione del Santissimo Sacramento, nella bella sede in alto al culmine della “machina del triduo”, avveniva con l’ostia consacrata durante la Messa, che la precedeva, per significare che l’adorazione non è una pia pratica devozionale, ma la continuazione della Messa stessa, del dono dell’Eucaristia, dell’ultima cena di Gesù, con tutto il significato di passione morte e risurrezione di Gesù. Fare in sua memoria questi gesti non significa per noi solo e soprattutto ricordare, ma rivivere in noi tutta la passione di Gesù, ridire a Lui la nostra riconoscenza per la sua morte per ciascuno di noi per amore, decidere di spezzare, come quel pane divenuto suo corpo, anche le nostre vite per i fratelli, trasformare la celebrazione in opere di carità e di solidarietà con i poveri e i deboli.
Bella e commovente, e credo coinvolgente, la lettura dei nomi e cognomi di tutti i defunti dell’anno appena passato, per ciascuno dei quali abbiamo implorato la pace eterna nelle braccia di Dio Padre.
Ancora mi ha colpito la presenza dei bambini e dei ragazzi alla loro adorazione e celebrazione della confessione: attenti, curiosi, semplici e coinvolti. In conclusione mi posso permettere un invito per gli anni a venire. Sarebbe bello che una giornata del triduo o almeno mezza, fosse di adorazione continua, che cioè la “machina” sia usata proprio di più con il SS. Sacramento esposto là in quella cornice che avete voluto bella, solenne, faticosa anche da montare e conservare. Dalla mattina alla sera. Non credo sia difficile trovare volontari che facciano un’ora o mezza, dietro registrazione, prenotazione, impegnati, scambiati senza lasciare in nessun momento il Santissimo senza qualcuno. In molte parrocchie si fanno giornate di adorazione così fino a notte inoltrata durante l’anno. Una chiesa sempre in adorazione si converte e annuncia meglio la fede a tutta la comunità. Leggendo poi il libro degli Inversini ho notato che, parlando della tradizione dei tridui in valle Camonica, tornava sempre la nota della presenza di “rinomati predicatori forestieri”, “adesione di predicatori di grido”, “celebri predicatori arruolati tra il clero secolare e regolare” … qui forse non è che ci si è impegnati troppo!
+ Domenico Sigalini
DALLE COMUNITÀ - Borno
A margine dell'incontro pubblico del 22 giugno 2019 organizzato dalla parrocchia sul destino del nostro cinema Pineta, nel numero estivo di Cüntòmela di quello stesso anno avevamo presentato tre strade potenzialmente percorribili per risolvere la questione: la sistemazione sommaria del tetto, con l'unico risultato di procrastinare il problema a data da destinarsi; la ristrutturazione per realizzare una sala della comunità, previa indagine strutturale; l'abbattimento.
Dopo mesi di incontri, di ragionamenti, di valutazioni al momento questa è la situazione.
- Il documento di inagibilità vieta di fatto qualsiasi intervento sulla struttura per ragioni di sicurezza. Inoltre lasciare in essere per chissà quanto tempo ancora un edificio fatiscente in mezzo al paese con tutti i rischi strutturali annessi, sarebbe di fatto una "non scelta" e una mancanza di attenzione nei confronti della comunità.
- L'indagine strutturale commissionata dalla parrocchia ha evidenziato che il degrado dei muri e delle fondazioni è tale da non consentirne la ristrutturazione. A questo vanno aggiunte le restrizioni previste dalle normative sulla sicurezza degli edifici pubblici di nuova realizzazione.
L'abbattimento del cinema resta evidentemente l'unica strada percorribile: permetterebbe in prima battuta di bonificare e mettere in sicurezza l’area, lasciando però aperta la questione di “cosa farne”.
Sempre sulla base delle riflessioni e dei confronti avuti nei mesi passati, due ci paiono le opzioni sul tavolo:
1. la vendita dell’intera area edificabile o della volumetria ai singoli privati o aziende;
2. la realizzazione di un parcheggio e/o di box, oppure di uno spazio ludico/ricreativo a beneficio della comunità.
Anche su queste opzioni la parrocchia si è interrogata, domandandosi prima di tutto se sia corretto vendere, visto che l’intento è conservare la valenza sia sociale che pubblica che il cinema Pineta ha assolto egregiamente per più di trent'anni per tutta la comunità bornese e che, probabilmente, andrebbe persa con la vendita. Se questo è vero, la via della realizzazione di un bene che sia nella disponibilità di tutta la comunità resta al momento l’opzione più realistica che la parrocchia perseguirebbe, accollandosi la spesa dell’abbattimento.
È però chiaro che, se a muovere le scelte è l'attenzione alla comunità e al suo benessere sociale, ciò non può essere unico appannaggio del "sagrato". Anche il "municipio" è di fatto parte attiva del progetto, motivo per cui gli è stato chiesto di affrontare insieme la questione. Ci sono stati più tavoli di confronto, nei quali ci pare sia emerso che l'Amministrazione abbia in programma altri progetti, legati primariamente al rilancio turistico/economico di Borno, dichiarando di non essere al momento nelle condizioni di mettere in campo progetti e risorse su quest'area, rimanendo comunque disponibile al supporto amministrativo, laddove necessario.
L'esito di tutta questa disamina porta alla conclusione che la demolizione sia un passo doveroso e che la parrocchia se ne debba accollare l'onere.
In seguito potrebbero prendere corpo varie idee:
- dare vita ad un'area ludico/ricreativa e cioè quel che potremmo chiamare il Cortile dell’oratorio. Un cortile che possa accogliere, non solo le attività dei ragazzi, ma anche delle associazioni che necessitano di uno spazio per le loro manifestazioni...
- uno spazio per le famiglie che vogliono incontrarsi nei momenti di svago o per godersi la proiezione di film in estate…
- un posto per tirare due calci al pallone senza rischiare di infastidire gli anziani seduti a godersi la bellezza della nostra piazza...
Dopo gli interventi alla chiesa parrocchiale (peraltro non ancora conclusi), vale la pena progettare un altro cantiere? Sia chiaro che se si perseguisse questa strada, la parrocchia lo fa non certo per dimostrare di saper “fare cose”! Il suo scopo è piuttosto la realizzazione di qualcosa di buono per e con i suoi parrocchiani.
Un sogno? Forse. Un sogno che, se venisse condiviso dai bornesi come avvenne per il cinema negli anni 50 ai tempi di don Ernesto, o per l’oratorio Arcobaleno ai tempi di don Giovanni, trasformerebbe il cinema Pineta da spinoso problema come lo si è visto fino ad oggi, in una bella realtà, una nuova occasione per sentirsi comunità.
E quanto sarebbe significativo farlo ora, in questi tempi così difficili, ma in cui abbiamo sperimentato, ancora una volta, come prossimità, fraternità, bene comune possano davvero fare la differenza, far rinascere fiducia e speranza in ognuno di noi, nelle nostre famiglie e nelle nostre comunità.
Emilia Pennacchio
per il Cons. Parr. Affari Economici
DALLE COMUNITÀ - Borno
Alcune cose bisogna dirle, ridirle e poi ancora ricordarle altre, che solleticano di più la curiosità, si diffondono molto velocemente, a volte però a scapito della verità.
Il famoso gioco del telefono senza fili ci ha insegnato che una notizia parte in un modo e, a forza di fare passaggi, per fraintendimenti o arricchimenti, viene in seguito trasmessa in modo non troppo fedele e attendibile.
Qui di seguito pubblico il testamento olografo di Baisini Graziolo.
Ad accompagnare questo scritto c’era un secondo foglio con alcune disposizioni più specifiche e alla fine anche l’indicazione del senso di questo gesto.
“La mia decisione è maturata grazie al rinvenimento di un manoscritto (successivo al decesso di mio fratello) scritto personalmente dalla mia povera mamma, che suggeriva un indirizzo per eventuali lasciti dopo la mia morte, anche in considerazione del fatto che io non ho né ascendenti né discendenti in linea retta di primo grado.
Stabilito questo, facendomi interprete dell’intento di mia madre, credo che in sintesi la sua volontà fosse quella di avere opere di bene, da parte sia della Parrocchia di Borno che di tutta la chiesa, in primis per se stessa ma anche per tutta la sua famiglia, antenati compresi.
I parenti non me ne vogliano ma ho cercato di rispettare unicamente quella sacrosanta volontà di mia mamma che tanto ha sofferto e tribolato in vita per far crescere me e il mio povero fratello il quale, nonostante fosse più giovane di me, mi ha preceduto nell’aldilà ma ne sono certo sarebbe stato senz’altro concorde con me per questa decisione.”
Permettetemi, a questo punto, alcune doverose considerazioni.
Non posso che accogliere questo gesto con riconoscenza e gratitudine. Lo ritengo un atto bello e prezioso perché nell’azione di donare, Graziolo ha messo i suoi beni a disposizione della comunità pensando soprattutto ai più deboli e bisognosi.
Dobbiamo avere grande senso di responsabilità nel gestire ciò che abbiamo ricevuto, con il desiderio di "essere" e di "fare" comunità.
Detto questo, ci terrei a precisare che ci sono alcune regole sia civili che ecclesiali da rispettare e che, pertanto, al momento il patrimonio di Graziolo non è nelle disponibilità della parrocchia.
Con la collaborazione del Consiglio Pastorale Parrocchiale e del Consiglio per gli Affari Economici ci stiamo attivando per compiere i vari passaggi necessari, che richiedono tempi lunghi e impegno.
Ringrazio pertanto tutti coloro che vorranno aiutare la comunità e me parroco, nel ruolo di legale rappresentante, affinché le volontà espresse da Graziolo possano andare a buon fine nel rispetto di tutte le parti.
Il Parroco don Paolo Gregorini
DALLE COMUNITÀ - Ossimo Inf.
Venti anni fa, l’8 marzo 2001, si spegneva – al termine di una lunga giornata terrena vissuta intensamente – il sacerdote don Giovan Maria Spiranti. Il sereno trapasso avveniva a Ossimo Inferiore, nella casa che – in accordo con i superiori – aveva scelto di abitare dopo la rinuncia, per raggiunti limiti di età, alla parrocchia del luogo, assistito fino agli ultimi respiri dalla fedele collaboratrice Giovannina Zani (Ossimo 1933–2009). Molti, in paese e fuori, lo ricordano ancora con affetto, gratitudine e stima, anche se parecchi amici e testimoni del suo virtuoso e vulcanico dinamismo l’hanno, nel frattempo, raggiunto nella vita eterna. Dotato di temperamento adamantino, poco amante delle costrizioni e delle formalità, egli fu una personalità a tutto tondo, di schietto sentire, poliedrica e complessa: uomo concreto e prete di grande cuore, dimostrò sempre di prediligere il fare, l’azione, senza mai risparmiarsi quando si trattava di spendere energie e intelligenza per il bene della comunità.
Don Spiranti nacque a Mù (all’epoca comune autonomo, soppresso nel 1927 e aggregato a Edolo) il 4 marzo 1915, da famiglia di umili origini, figlio di Francesco e di Maria Dufreni. Durante la fanciullezza risiedette con i congiunti nel milanese, tra Casalpusterlengo e Codogno, dove frequentò le scuole primarie e il ginnasio. Ebbe modo di entrare in contatto con il laico paolino Gesualdo Nosengo (San Damiano d’Asti 1906 – Roma 1968), fine pedagogista laureato all’Università Cattolica di Milano, esponente del “personalismo cristiano”, promotore di iniziative tese a perseguire un pressante rapporto tra la pedagogia e l’istruzione religiosa. Giovan Maria venne coinvolto nell’organizzazione giovanile denominata “banda del Grappolo”, fondata dal professor Nosengo, che – per il nome e i simboli utilizzati – generò diffidenze e controlli da parte delle autorità fasciste, portate di continuo a vedere attorno alle attività non strettamente organiche al partito lo svilupparsi di trame eversive. Risale agli anni giovanili la maturazione in lui di uno spiccato sentimento antifascista e il primo germe di quella notevole sensibilità dimostrata più tardi verso le problematiche e le istanze della scuola, della formazione e dell’educazione, anche con il proprio diretto coinvolgimento – in veste di insegnante di religione – nelle scuole medie di Borno. Intanto, si impegnò – accanto al padre – in una precoce esperienza lavorativa (durante la quale subì un grave infortunio alle mani) presso la ditta Brichetti, rilevante azienda di lavorazione e commercio di legnami, sorta in Alta Valle Camonica, con filiali nell’Italia del Nord, a Roma, in Sardegna e in Austria.
Durante la visita del papa Giovanni Paolo II Borno 19 luglio 1998
Abbracciata la vocazione sacerdotale ed entrato nel seminario di Brescia, Giovan Maria ricevette la prima tonsura il 2 aprile 1938, il suddiaconato nel seminario Santangelo l’1 dicembre 1940 e il diaconato nel duomo cittadino il 21 dicembre 1940. Mentre andava completando gli studi, si avvicinò all’Oratorio dei padri filippini della Pace, fucina di intelligenze e cenacolo di pietà cristiana, fornendo aiuto nelle sessioni di catechismo e intessendo cordiali rapporti con alcuni allievi e religiosi, tra cui il più giovane Luigi Rinaldini (Brescia 1920–2001), destinato a ricoprire un ruolo importante nella Resistenza camuna. Ultimato l’itinerario di preparazione, venne ordinato sacerdote nella cattedrale di Brescia dal vescovo diocesano monsignor Giacinto Tredici (Milano 1880–Brescia 1964) il 7 giugno 1941; l’indomani celebrò la sua prima messa nella parrocchiale di Edolo e il 12 giugno seguente a Codogno. Dopo l’ordinazione fu inviato, in veste di curato coadiutore, dapprima a Corteno (1941–1944), poi a Edolo (1944–1946). Negli ultimi anni di guerra partecipò al movimento resistenziale, accanto ad altri sacerdoti quasi suoi coetanei, quali i curati di Ponte di Legno don Giovanni Antonioli (Monno 1917–Esine 1992) e di Vezza d’Oglio don Antonio Mario Marniga (Corteno 1916–Edolo 1985), a fianco della struttura di ispirazione cattolica “Fiamme Verdi”, in contiguità con i gruppi operativi che agivano nell’area del Mortirolo, svolgendo una capillare e rischiosa attività di sostegno spirituale e di collegamento tra le varie formazioni partigiane e il comando “Fiamme Verdi” di Valle Camonica, insediato presso la canonica dell’arciprete di Cividate don Carlo Comensoli (Bienno 1894–Breno 1976). Durante quel drammatico periodo strinse amicizia fraterna con il professor Vittorino Chizzolini (Brescia 1907–1984), insigne figura di educatore, cristiano esemplare di cui è stata introdotta la causa di canonizzazione. Tra i due si cementò, con il passare del tempo, una solida intesa spirituale e una consonanza intorno ai temi della scuola, dell’educazione cattolica, della cooperazione con i paesi in via di sviluppo; li univa, altresì, la memoria del comune amico Emiliano Rinaldini (Brescia 1922–S. Bernardo Belprato 1945), caduto nel corso della lotta partigiana.
Terminate le operazioni belliche, don Spiranti si spese per la pacificazione nazionale e nel recupero delle salme dei morti (di entrambe le parti), al fine di dare loro dignitosa sepoltura. Da convinto assertore della libertà quale marca profondamente cristiana, fu poi diligente e obiettivo custode della memoria resistenziale, partecipando a incontri, seminari di studio e manifestazioni rievocative. Fu autentico amante della montagna camuna, alla cui conoscenza dedicò molto del tempo libero in gioventù e alla soluzione dei cui problemi diede un apporto costante e creativo.
Nel 1946, a seguito della rinuncia di don Raffaele Giudici (Clusone 1878–Malegno 1962), don Spiranti venne nominato rettore del beneficio curaziale dei santi Cosma e Damiano di Ossimo Inferiore. Due anni dopo, elevata al rango di parrocchia questa chiesa per decreto emesso dalla curia vescovile il 30 aprile 1948, grazie soprattutto alle pratiche da lui caparbiamente intraprese e seguite con applicazione, ne divenne vicario economo, mantenendo l’incarico fino al 1955, allorchè, perfezionate le intricate procedure relative all’istituzione del nuovo ente, fu nominato a capo della parrocchia, nella cui titolarità rimase fino al 1991.
Guida zelante, rigorosa, energica e illuminata, in 45 anni di governo pastorale ha accompagnato la crescita e l’evoluzione della comunità, sollecitando il mantenimento della fede, la diffusione di una sana moralità, l’esercizio della devozione popolare, la formazione catechetica, l’attuazione di importanti opere materiali, il restauro dei beni artistici e culturali. Promosse campagne di abbellimento e di sistemazione della chiesa parrocchiale, lavorò alla ricostruzione della chiesetta sussidiaria di san Rocco, atterrata dallo sganciamento di alcune bombe, e al riattamento dell’edificio della cappellania, realizzò la costruzione di un nuovo e spazioso fabbricato per le opere parrocchiali, si impegnò con ardore straordinario nella gestione dell’asilo infantile san Giuseppe.
A Ossimo, oltre che prete di larga carità, egli è stato infermiere, consulente del lavoro, aiutante per il buon esito delle pratiche a sfondo pensionistico e sociale, maestro, promotore di iniziative a favore degli emigranti, procacciatore di viveri e arredi per l’asilo e le colonie estive. Segnato da una contagiosa passione per il prossimo, si è adoperato per il riscatto sociale, culturale e economico della povera gente che una volta costituiva la stragrande maggioranza della popolazione locale, si è battuto per la conservazione di funzioni fondamentali quali la scuola materna, la scuola elementare, il patronato scolastico, ha stimolato l’innalzamento del grado di istruzione e l’inserimento nel mondo lavorativo, ha sostenuto i giovani e le famiglie. Ha assecondato l’opera dei missionari ossimesi, imbastendo e mantenendo rapporti diretti con le realtà del terzo mondo, ospitando a Ossimo in visita monsignor Caesar Gatimu († 1987), primo vescovo africano (dal 1964 alla scomparsa) della diocesi di Nyeri, in Kenia, già suffraganea di Nairobi, dove prestavano servizio due religiosi della Consolata, padre Pietro Pezzoni (Ossimo 1906–Nyeri 1976) e suor Gerarda Maggiori (Ossimo 1912–Riara Ridge 1997).
Don Spiranti si è distinto in numerose opere di assistenza sociale, non solo nell’ambito della parrocchia, animando benemerite associazioni: ha collaborato con i patronati delle ACLI aperti sul territorio, si è fatto portavoce e interprete dei problemi di migliaia di emigranti valligiani, si è accostato al dolente universo degli invalidi del lavoro, particolarmente a quelli colpiti da malattie professionali, assai diffuse tra i minatori camuni. Il suo avveduto incoraggiamento e la competenza acquisita in questi settori sono stati alla base della fondazione, nei primi anni Sessanta, dell’Associazione dei Silicotici di Valle Camonica e dell’Associazione degli Emigranti “Gente Camuna”, di cui ha poi accompagnato l’attività partecipando a progetti e convegni programmati in Italia e all’estero. Nel 1983 gli è stato conferito l’incarico di cappellano nazionale dell’Associazione Nazionale Mutilati ed Invalidi del Lavoro; inoltre, è stato assistente spirituale e presidente onorario del sodalizio “Gente Camuna”, vice presidente e consigliere della sezione AVIS Malegno–Ossimo–Borno–Lozio, consulente ecclesiastico e consigliere del Centro Sportivo Italiano di Valle Camonica, membro del Consiglio Provinciale dei Patronati Scolastici. Ha manifestato interesse, improntato a robusto pragmatismo, verso le istituzioni valligiane di ispirazione cattolica, quali la Tipografia Camuna (di cui fu consigliere), l’Eremo dei santi Pietro e Paolo di Bienno, la Fondazione Camunitas di Breno, di cui fu socio onorario, condividendone gli ideali indirizzati a contribuire alla crescita della Valle, in sostanziale coerenza ai valori che ancora ne caratterizzano il tessuto sociale.
Oliviero Franzoni
Sulla limpida figura di don Spiranti:
- Una parrocchia e un prete. Ossimo Inferiore 18 aprile 1971. Artogne 1971;
- Nel ricordo di Don Giovan Maria Spiranti (1915–2001), a cura di O. FRANZONI e G. MORELLI. Breno 2002;
- G.M. MARTINAZZOLI, Ossimo. La scuola elementare intitolata a don Spiranti?, in “La voce del popolo”, n° 10, 8 marzo 2002;
- L’ora viene. Memoria dei sacerdoti bresciani defunti negli anni 1996–2006. Brescia 2007, pp. 230–232.
DALLE COMUNITÀ - Ossimo Sup.
don FRANCESCO NABONI
nato a Pisogne l'8-2-1934 - ord. sac. a Brescia il 29-6-1963
parroco a Ossimo Sup. dal 1967 al 1990
morto a Fraine il 27-12-2020
Da giovane religioso ho conosciuto don Francesco Naboni, da pochissimo tempo parroco di Ossimo Superiore: mi ha confermato sempre più nella vocazione con il suo stile di vita e il suo modo di vivere.
Cosa dire di don Francesco?
Era giovane quando è arrivato a Ossimo Superiore, è stato ben accolto e subito si è dato da fare raggruppando chierichetti per il servizio all’altare e cercando di rendere indipendente economicamente l’Asilo con castagnate e feste parrocchiali.
In qualunque necessità, sia individuale che delle famiglie, era presente.
Tutte le domeniche in parrocchia prestavano servizio dei Frati Cappuccini dell’Annunciata per le confessioni e le celebrazioni dell’Eucarestia e la predicazione della parola di Dio (chi non ricorda Padre Pancrazio con il suo motorino, il mitico direttore del coro dei bambini).
Ma su don Francesco vorrei ricordare alcune cose:
- LA GRANDE GENEROSITÀ E CARITÀ: la sua casa era sempre aperta e la tavola sempre imbandita per tutti; dopo le sante Messe domenicali accompagnava tutti i chierichetti al bar della piazza per offrirgli il gelato e agli adulti presenti offriva un bicchiere di vino.
- AMMALATI: si recava sempre a visitarli nelle famiglie e, se ricoverati in ospedale, si faceva premura di andare più volte a trovarli e a confortarli con una buona parola cristiana.
- DEFUNTI: se vi era un defunto del paese all’estero subito partiva con la sua macchinina caricando i familiari e aiutandoli a sbrigare le pratiche per il rientro della salma nel suo paese.
- CURA DELLA CHIESA: chi di noi non ricorda l’altare maggiore addobbato con gusto di fiori sempre freschi.
Un ricordo personale a me ancora vivo nella memoria e nel cuore è la mia prima santa Messa celebrata a Ossimo Superiore e da don Francesco preparata in ogni piccolo particolare.
Per questo lo devo ringraziare e il grazie diventa preghiera perché il Signore nella sua grande misericordia accolga la sua anima nella luce del paradiso.
Mons. Angelo Bassi
DALLE COMUNITÀ - Ossimo Sup.
Don Francesco Naboni, originario di Grignaghe frazione di Pisogne, arrivò a Ossimo Superiore nel 1967, giovane sacerdote di 33 anni, rimase con noi fino al 1990, per ben 23 anni. Il Vescovo lo inviò successivamente a Fraine dove è rimasto fino a pochi mesi prima di volare in cielo il 27-12-2020.
Al suo arrivo a Ossimo Io ero molto piccola, avevo 4 anni e don Francesco è stato per me il Don della mia infanzia e giovinezza, mi ha vista crescere e mi ha accompagnata in tutti i momenti più belli e significativi dall’età dell’asilo fino al matrimonio.
Non è facile esprimere in poche righe le grandi qualità di don Francesco.
Per chi l’ha conosciuto è scontato ricordare il suo animo umile e generoso: era un sacerdote semplice ed accogliente verso tutti, sempre pronto ad ascoltare i bisogni dei suoi parrocchiani e a trovare insieme le soluzioni, talvolta aiutandoli anche economicamente di tasca sua.
All’epoca non tutte le famiglie avevano un automobile e lui era sempre pronto ad accompagnare chiunque ne avesse bisogno anche all’estero. Molti Ossimesi, infatti, erano emigrati per lavoro soprattutto in Svizzera, e capitava che per motivi di salute o per i funerali ci fosse urgenza di accompagnare un familiare.
Trascorreva molto tempo tra di noi: conosceva tutti, anche chi frequentava meno la parrocchia. Era infatti consueto vederlo nelle vie del paese contornato da bambini e adulti, seduto a cena in qualche casa o far festa con i giovani alle sagre del paese.
Don Francesco era riuscito a farci considerare la chiesa come la nostra seconda casa. Non solo spiritualmente, ma anche concretamente.
Le porte della parrocchia erano sempre aperte e ogni parrocchiano si sentiva a proprio agio ad utilizzarla per le necessità sociali legate alla vita della comunità cristiana. Al suo interno si svolgevano prove del coro, recite e incontri. Abbiamo imparato a prenderci cura della nostra seconda casa, ad amarla e rispettarla rendendola viva con la nostra presenza sia durante le celebrazioni che in altri momenti della giornata.
Con lui sono nate molte iniziative volte a creare unione e amicizia nella parrocchia. Ricordo con nostalgia il coro diretto da Padre Pancrazio del convento dell’Annunciata. Era un coro misto di bambini e giovani ed ero sempre felice di farvi parte.
Con i ragazzi più grandi aveva dato vita al Gruppo Giovanile. Il gruppo animava e rendeva davvero belle le feste e le celebrazioni della Parrocchia.
Una festa davvero attesa era la Castagnata. Don Francesco noleggiava un pullman e ci portava nei boschi di Pisogne a raccogliere le castagne. Se ci penso, sento ancora l’emozione di quando, seppur bambina e con mansioni semplici (durante la festa lavai montagne di tazzine per il caffè), mi permisero di mettere al collo il foulard azzurro del gruppo, pazientemente ricamato dalle ragazze del paese.
Anche la Festa in memoria di Sant’Antonio Abate fu voluta dal don: dopo la celebrazione della Messa si percorrevano le vie del paese in processione con la reliquia del santo e tantissimi animali, mucche, cavalli, pecore, trattori e carri che trasportavano galline, conigli, maialini. Allora in paese c’erano parecchie stalle e il parroco le benediva.
Naturalmente non si facevano solo feste. Don Francesco seguiva personalmente anche il catechismo in preparazione della Prima Comunione e della Cresima.
Ci riuniva nel salone dell’asilo, eravamo tanti bambini allora, ci insegnava le preghiere, ci confessava e sempre con tanta dolcezza e sorrisi ci faceva conoscere Gesù.
Uno dei momenti più sentiti e vivi nella mia memoria è la messa di mezzanotte a Natale che attirava in chiesa tutta la popolazione e non mancavano nemmeno i più piccini che, seppur combattuti dal sonno, non potevano certo perdersi l'originalissimo presepio vivente. Dominava sull’altare un’imponente capanna di frasche che perdevano montagne di aghi, ma emanavano un profumo di bosco che ben si prestava ad accogliere Maria e Giuseppe con un vero bambino nella mangiatoia. Di fianco all’altare, insieme ai pastori, una schiera di piccoli angioletti che di anno in anno aumentavano di numero perché era sempre un’emozione per i bambini partecipare a questo evento.
Sicuramente nessuno ha dimenticato anche la trionfale entrata a cavallo dei Re Magi che risalivano il sagrato per omaggiare il bambino Gesù nel giorno dell’Epifania.
Anche la toccante rappresentazione della Via Crucis che culminava con la crocifissione sul colle di San Carlo, e' stata per noi importante occasione per comprendere meglio il mistero della Passione e Resurrezione di Gesù.
Per noi ragazzi rappresentare personalmente i fatti salienti della vita del Signore è valso più di tante ore di catechesi tra i banchi.
Tutti lo amavamo e provavano affetto per Ninì, sua sorella, preziosa e discreta collaboratrice che gli è sempre restata accanto. Nella Canonica Ninì ci accoglieva per due chiacchiere, un caffè e tante caramelle. Con semplicità trascorrevamo momenti di autentica vita comunitaria.
Oggi purtroppo Don Francesco non è più tra noi come lo era allora, ma vogliamo continuare a ricordarlo con il suo caloroso sorriso, un pastore a braccia aperte, sempre pronto a condividere con le sue pecorelle l’amore per la vita, per il Signore e per il prossimo.
Roberta Bottichio
DALLE COMUNITÀ - Ossimo Sup.
Nel mese di gennaio, a causa di una scarica elettrica, il computer che consente il suono delle cinque campane della chiesa parrocchiale si è danneggiato in modo irreparabile.
È stato necessario provvedere alla sostituzione di un nuovo impianto di automazione e del quadro elettrico con annesse lavorazioni elettromeccaniche, affidando i lavori alla Ditta Festoni s.n.c.
Nel complesso i lavori eseguiti per le cinque campane sono stati i seguenti:
- quadro di comando campane con programmatore dei suoni, posizionato in sacrestia, per la gestione dei suoni a distesa ed a concerto di tipo ambrosiano, per l’esecuzione di carillon e melodie, e per la gestione del battito di ore e mezzore;
- quadro di potenza comando-campane, posizionato sotto la cella campanaria, dotato di blocco porta, cablato e completo di trasformatore, teleruttori, relè, fusibili di protezione, morsettiere e dotato di opzione per frenatura suoni funebri;
- riduttore inversore a camme CR per motori per la regolazione dell’inversione e dei gradi di oscillazione delle campane a distesa o a concerto, dotati di dispositivo di sicurezza e composti da riduttore di giri, camme di registrazione e finecorsa a micro;
- smontaggio dei battagli per la sistemazione e il ripristino della boccia di battimento, pulizia, trattamento con antiruggine protettivo e smalto di finitura; il montaggio alla corretta altezza di battuta con nuove legature in cuoio trattato al cromo e nuove funi di sicurezza anticaduta con cavo in acciaio e morsetti di fissaggio;
- installazione e posa in opera di tutti gli apparati elettromeccanici citati, collegamento elettrico e taratura dei dispositivi con regolazione oscillazioni delle campane a distesa e a concerto. Composizione e memorizzazione nel programmatore di melodie e carillon, suoni, concerti funebri e festivi e suoni su indicazione del committente. Sostituzione motore 3^ campana. Spostamento dei denti di arresto sulle ruote per idoneo fermo delle campane in posizione “in piedi” o a concerto. Regolazione della tensione delle catene di traino con ingrassaggio delle stesse. Controllo e tiraggio bulloneria d’inceppamento campane.
Il nuovo impianto è costato poco più di ottomila euro.
Dal sopralluogo e verifica del sistema campanario si ritiene necessario intervenire anche per la messa in sicurezza dell’intero complesso campanario. Le cinque campane sono tutte bisognose di un intervento straordinario.
Nel complesso gli interventi per ogni campana consisterebbero in questo:
- sostituzione delle maniglie di sostegno con nuove in acciaio ed applicazione di un isolatore in legno duro stagionato, tra ceppo e maniglie della campana;
- sostituzione della ferramenta di sostegno;
- nuova inceppatura della campana con rotazione di 60° sul proprio asse per consentire un nuovo punto di battuta del battaglio esistente e fissaggio alla contro-maniglia con le relative legature di sostegno e sicurezza;
- apertura della cassa di contrappeso del ceppo con relativa pulitura, riordino o rifacimento zavorre di contrappeso da fissare internamente con idonea calibrazione del peso e conseguente bilanciatura; sostituzione dei tiranti e della bulloneria di fissaggio di piastre e dei pomoli; trattamento con vernice protettiva;
- rimontaggio, applicazione di fune d’acciaio e corda per la movimentazione manuale, ingrassaggio dei cuscinetti, ricollegamento all’impianto di automazione con prove di funzionamento e tarature;
- fornitura di tastiera manuale tradizionale con cinque tasti in legno completa di tutti gli accessori e restauro dei leveraggi del “Gioco a festa”.
La spesa da sostenere è piuttosto consistente e visto che la Parrocchia al momento non dispone di tale somma, si è pensato di intervenire su una campana alla volta, dando la priorità dalla più urgente fino ai lavori di completamento.
Per sostenere i costi di questa onerosa manutenzione si è pensato quanto segue:
- inoltrare domande a fondazioni;
- proporre ai parrocchiani di adottare una campana, a livello personale o famigliare, riservando il “campanone” in qualità di “campana del popolo” per le offerte libere dell’intera parrocchia.
L'auspicio è che la comunità intera continui a sostenere, come nel passato, la cura della nostra chiesa parrocchiale.
La redazione
DALLE COMUNITÀ - Lozio
Dalla morte alla vita...
Dalla croce alla Risurrezione!
DALLE COMUNITÀ - Lozio
In origine un’antica Cappella fu costruita al Ponte del Ferro nel 1662 e fu poi restaurata nell’anno 1792. Era dedicata alla Madonna del Carmine ed anche a San Marco per cui il 25 aprile si andava lì a celebrare la santa Messa. Fu anche pellegrinaggio di molti devoti non solo di Villa ma anche delle altre frazioni del comune.
Nel restauro del 1792 le pitture furono eseguite da Canossi Pietro di Sommaprada che nell’anno seguente fece le pitture anche nella chiesa di San Valentino in Breno. La vecchia Cappella al Ponte del Ferro era un po’ più grande della nuova, con un portico davanti e con le seguenti pitture: Madonna del Carmine, Santa Lucia, San Marco, San Giovanni Evangelista, San Pietro, Santa Caterina, San Giacomo, La Strage degli Innocenti e i quattro Evangelisti. Venne demolita dal comune nell’anno 1904 perché pericolante essendo diroccata e in stato di abbandono. Si decise di erigerne una nuova, ma quel posto venne giudicato non più idoneo.
Si discusse molto per erigere la nuova Cappella. Chi la voleva a fianco del Valzello della Merza, chi al bivio delle strade del Resone e chi la voleva in Aradone. Fu nominata una commissione per la scelta del posto che era composta nelle persone del Reverendo Recaldini don Giovan Maria parroco, Massa Giovan Maria, Massa Luca e Magri Bortolo. Si recarono sul posto il giorno di Pasqua 4 aprile 1926 e all’unanimità scelsero il posto in Contrada Aradone nel prato offerto gratis da Bonariva Giuseppe fu Antonio.
L’inizio dei lavori con lo scavo delle fondamenta avvenne la domenica 9 maggio 1926 e ci lavorarono i muratori del paese Magri Bortolo, Tilola Lodovico, Rizzieri Filippo assistiti dal capo muratore di Ossimo Franzoni Angelo. Dopo avere eretto i muri e sistemato il tetto i lavori furono sospesi per otto mesi, poi si lavorò sull’involto e l’intonaco aiutati dal muratore Sainini di Bienno. Poi ancora sospensione per un anno e lavori di rifinitura di Massa Giovan Battista. Per le pitture fu chiamato il pittore di Lovere Giussani Angelo.
La Cappella nella sua costruzione e lavorazione di pittura ebbe una spesa di Lire 7.200.
Le pitture esistenti sono: la statua della Madonna della Pace, San Marco, Santa Lucia, Santa Barbara, sant’Antonio Abate, San Pancrazio, San Giacomo, San Giulio, San Rocco, San Giorgio, Sant’Aniceto, il Sacro Cuore e un quadro raffigurante il paese sormontato da una Croce. Con diversi emblemi a ricordo della grande guerra e rifinito di pittura, tutto il lavoro terminò nell’autunno del 1929.
La festa d’inaugurazione e benedizione della cappella venne fatta il giorno di lunedì 19 maggio 1930. Era presente tutto il popolo di Villa ad ascoltare l’omelia del parroco don Giovan Maria che rievocando tutta la storia dell’antica cappella e del voto per la sua costruzione, lasciò un ricordo incancellabile in tutti i presenti. Con l’esposizione nella chiesa della statua e la benedizione, il canto della messa e dei vespri, la sera al rosario la processione solenne percorse le vie verso Sommico, tutto parato a festa fino alla Cappella tra il suono delle campane e lo sparo dei mortaretti. Con atto rogato dal segretario del Comitato la Cappella venne consegnata in custodia alla Parrocchia dei Santi Pietro e Paolo di Villa. Il 25 maggio 2003 vi fu una nuova inaugurazione dopo ulteriori lavori di restauro cui hanno contribuito il comune e diversi volontari.
Fortunato
Al popolo di Villa di Lozio
Il vostro voto è compiuto, fate che sia mantenuta questa pia e devota Cappella, dedicata alla Regina della Pace. Ai nostri posteri lasciamo un ricordo e fate anche voi che il voto dei vostri padri sia mantenuto, voto che fu fatto dopo una grande Guerra, che Villa di Lozio aveva dato 43 combattenti di cui 11 lasciarono la loro giovane vita sui campi di battaglia. Poi la grande epidemia, la Spagnola, che portò alla morte 12 persone in pochi giorni.
RICORDATEVI guardando questa cappella abbiate il ricordo anche di quella antica che esisteva al Ponte del ferro di cui ho parlato all’inizio.
RICORDATEVI anche che noi abbiamo fatto dei sacrifici nelle nostre offerte per costruire questa Cappella, che i nostri sacrifici furono compiuti per soddisfare un nostro voto e anche per il voto fatto dai nostri avi.
FATE che questo ricordo resti perenne anche alle future generazioni.
DI TUTTO UN PO'
Questa frase a molti riporterà alla memoria la pagina del Vangelo in cui si narra della guarigione del paralitico di Cafarnao. Nel libro scritto da don Luigi Guerini, parroco di Passirano, Monterotondo e Camignone, sono invece le parole pronunciate da Angelo, il suo fisioterapista, e sono diventate il titolo del libro nel quale don Gigi, in una sorta di diario di viaggio, racconta la sua battaglia per sconfiggere il Covid.
La sua è stata una prova particolarmente dura: per ben cinque volte la battaglia contro la malattia ha rischiato di concludersi con una sconfitta. Nelle pagine di questo diario il sacerdote ha alternato brani dedicati al decorso della malattia, ad altri nei quali annotava l'importanza della vicinanza di molte persone amiche e della preghiera, grazie alle quali è riuscito a superare i tanti momenti di angoscia e di sconforto. Particolarmente sentito da don Gigi è l'affetto manifestatogli dal Vescovo Mons. Tremolada che in più occasioni e in vari modi è riuscito a far arrivare al Don il calore dell'affetto suo e di tutte le comunità della diocesi.
Un altro aspetto che l'autore del libro ha voluto evidenziare nel suo scritto è il momento della rinascita: fatto di stupore, meraviglia e riconoscenza per la nuova occasione che gli veniva concessa. Iniziato con le parole del suo fisioterapista che lo esorta a muovere qualche passo dopo mesi di immobilità, questo momento prosegue con la conquista di un'autonomia e una quotidianità che sembravano perdute, per arrivare al momento nel quale, giunto finalmente a casa, urla "Voglio la pizzaaa!".
La sua storia è simile a quella di migliaia di altre persone su cui il virus, che ha messo e tuttora tiene in ginocchio il mondo intero, si è accanito in modo particolarmente violento.
La malattia ci mette a dura prova e ci rende consapevoli che la nostra vita è mortale. Immortali sono invece i sentimenti come l'amore e l'amicizia. L'amore e l'amicizia di Gesù si sperimentano con la preghiera perché, come ci insegna Papa Francesco, Gesù stesso, maestro di preghiera, dice : "Bussate, bussate, bussate!"
Vorrei concludere queste semplici riflessioni con le due ultime strofe della bellissima poesia "Orme sulla sabbia" (anonimo brasiliano):
Andrea P.
...Ho domandato allora: “Signore, Tu avevi detto che saresti stato con me in tutti giorni della mia vita, ed io ho accettato di vivere con te, perché mi hai lasciato solo proprio nei momenti più difficili?”.
Ed il Signore rispose: “Figlio mio, Io ti amo e ti dissi che sarei stato con te e che non ti avrei lasciato solo neppure per un attimo: i giorni in cui tu hai visto solo un'orma sulla sabbia, sono stati i giorni in cui ti ho portato in braccio”.
DI TUTTO UN PO'
Anche se non è uno dei cantautori che amo e ascolto di più, alcune canzoni di Franco Battiato sono molto apprezzabili, sia nella musica e sia nei testi. In esse possiamo cogliere il desiderio di comunicare qualcosa di profondo, di cercare perlomeno “un centro di gravità permanente che non mi faccia mai cambiare idea sulle cose e sulla gente”, come diceva in una delle sue canzoni più famose.
In brani come questo, “Bandiera bianca” ed altri ancora Battiato dichiara la sua avversione per i film dell’orrore, i “figli delle stelle e pronipoti di sua maestà il denaro”. Afferma di non sopportare “i cori russi, la musica finto rock, la new wave italiana, il free jazz punk inglese, neanche la nera africana” e si permette anche di confessare con ironia che a “Beethoven e Sinatra preferisco l’insalata, a Vivaldi l’uva passa che mi dà più calorie”.
Giocando sulla retorica di film, libri e musica ritenuta colta, il cantautore siciliano sembra voglia mettere in discussione e in ridicolo i falsi miti e le mode culturali degli anni ‘70 e ‘80 del secolo scorso.
In diverse occasioni, però, è lui stesso che ricorre a certe mode orientali, filosofie, spiritualità e storie di altre civiltà (dalla “dinastia dei Ming” all’ “Era del cinghiale bianco” per citare altre sue canzoni) per infarcire alcuni suoi testi di riferimenti un po’ troppo colti, un po’ troppo da intellettualoidi, almeno per me.
Se è fuori di dubbio che oggi più che mai avvertiamo davvero il bisogno di “un centro di gravità permanente” che ci aiuti a trovare un senso in questa società in cui tutto appare provvisorio e in cui ci sentiamo condannati a continui cambiamenti, a continui aggiornamenti come le app dei cellulari e dei computer, è anche vero che schemi troppo fissi, visioni e fedi troppo semplificate e poco disponibili a saper “cambiare idea sulle cose e sulla gente”, possono impedirci di cogliere la ricchezza di chi vive altre esperienze e tutte le nuove sfumature che la vita può offrirci.
Forse il centro verso il quale tutti possiamo convergere, con serenità e impegno, è quello indicato da una delle sue canzoni più belle e più reinterpretate anche da altri artisti (su Youtube possiamo trovarne una splendida versione di Fiorella Mannoia, oltre che una dello stesso Battiato accompagnato da un’orchestra diretta da Ennio Morricone). In essa il cantautore esprime tutto l’amore per la sua donna ma, a differenza delle infinite canzoni sul tema che tendono spesso a sconfinare in un sentimentalismo melenso e patetico, qui l’amore diventa intenzione e attenzione concreta verso l’altro.
Con una musica sempre in tonalità minore, ma dolce e aperta a quella speranza che sembra davvero voler superare “le correnti gravitazionali, lo spazio e la luce per non farti invecchiare...”, ne “La cura” Battiato desidera proteggere la donna amata dalle paure, dagli inganni, dai suoi sbalzi d’umore e dalle ossessioni delle sue manie. Non la idealizza, ma si prende cura dei suoi bisogni e dei suoi difetti.
Sarà scontata retorica ma da quel “I Care” che secondo alcune cronache storiche don Lorenzo Milani contrappose al rozzo e triste “Me ne frego” del regime fascista, dagli appelli del Papa che più volte in questo difficile anno ci ha ricordato che non possiamo salvarci da soli, per giungere ancora una volta a quel buon Samaritano che anche mons Domenico Segalini ha citato nelle sue ricche e sorprendenti omelie durante il Triduo dei defunti, dovremmo essere almeno più consapevoli che per vivere sul serio la grazia e l’amore che Dio ha riversato nel cuore di ogni persona, l’unico modo è proprio quello di prenderci cura gli uni degli altri, di mostrare che il bene degli altri ci riguarda, ci sta a cuore.
Da handicappato cronico, come mi definiva un vecchio amico parroco, tutti i giorni sperimento le attenzioni e le cure che tante persone mi donano. A livello emotivo, forse, è più spontaneo vivere la solidarietà in situazioni di emergenza come un terremoto o questa sciagurata pandemia, dare una mano a chi mostra più bisogno. Sono le priorità verso gli ultimi suggerite dal Vangelo.
Ma penso che tali priorità siano soprattutto per ricordarci che l’uomo, qualsiasi persona, non può vivere di solo pane, di solo mercato, delle sole sue forze. Riprendendo la bella canzone di Battiato, sani o malati, ricchi o poveri, buoni o meno buoni, tutti siamo esseri speciali, tutti abbiamo bisogno di sentirci dire: “Ed io avrò cura di te”.
Franco Peci
CON I MISSIONARI
Mazagão 13-3-2021
Prezados amigos
delle Parrocchie dell’Altopiano del Sole!
Verso la fine di febbraio ricevo una e-mail in cui mi si chiede gentilmente di scrivere due righe per Cüntòmela.
Mi son detto: “Te don Lino, ghet miga rüspet! Sei uno dei pochi missionari dell’Altopiano ancora in giro e non ti fai mai sentire!!!”
Anche se, grazie a Dio, il Coronavirus non ha ancora incoronato i miei folti capelli, ha incasinato un po’ tutto. Del resto ha fatto come in Italia, forse qui un po’ peggio perché il Presidente è un negazionista! Meglio non commentare… Bertoldo almeno faceva ridere con gusto.
Il Covid19 ci ha costretti (o almeno avrebbe dovuto farlo) a vedere la vita non in maniera superficiale come la presentano i mass media (il paese del bengodi!) ma come è, come la vive la gente che lavora e si guadagna la pagnotta con il sudore della fronte.
Dalla fine degli anni ‘80, sempre mi è piaciuta una canzone di Almir Sater, cantautore brasiliano. Ultimamente, spesso e volentieri, mi ritorna alla mente:
“Ando devagar, porque já tive pressa e levo esse sorriso, porque chorei demais…” (cammino lentamente perché ho già avuto troppa fretta e porto con me questo sorriso, perché ho già pianto troppo…).
Perché non proviamo, personalmente, a trasformarla in una domanda davanti al Coronavirus?
- Ora mi sento forte, felice magari perché porto con me la certezza che so molto poco, non so nulla!
-Voglia il cielo che riuscissimo a rendercene conto: l’uomo onnipotente ha fallito!
Dice ancora la canzone:
- È preciso (necessario) amar para poder pulsar!
- È preciso paz para poder sorrir!
- È preciso chuva (pioggia) paara poder florir ! (fiorire)
Son le cose semplici che spingono la barca della vita e fanno vivere! Le abbiamo riscoperte?
Quanta sofferenza – sicuramente non castigo di Dio - ma frutto della pazzia umana. Volendo essere Dio e mettendosi al posto di Dio.. .quante ne combiniamo! E la natura (che non è capace di perdonare), violentata, distrutta, sfruttata dall’egoismo di pochi, ora ci presenta il conto. Purtroppo, ancora una volta, salatissimo per chi compie onestamente il proprio dovere. Ma stavolta anche per gli altri!
In Amapà – e il centro è qui in parrocchia – il deforestamento continua imperterrito con “a bênção”, la benedizione non del Padre Eterno, ma del Presidente, Governatore e Sindaco! Ecco perché Golia è imbattibile e la fionda di Davide non lo becca in fronte. Non passeranno molti anni e, continuando così, questa regione diventerà una boscaglia o poco più.
La vita continua. All’interno non si muore di fame… i fiumi sono fonte di vita e pure la foresta. Nelle città, dove le piccole imprese hanno chiuso, è quasi impossibile vivere (idem in Italia). Aumentano la violenza, i furti, i suicidi, la droga… e la fame.
La Caritas Diocesana con l’aiuto delle parrocchie sta distribuendo ceste di alimenti base, la maggior parte acquistate con le multe che le imprese di minerarie hanno dovuto pagare: una volta pagata la multa, irrisoria, continuano imperterrite nella devastazione. E visto che la giustizia non ha fiducia nelle autorità locali, ha chiesto la collaborazione della Caritas e delle parrocchie…
È la vecchia madre Chiesa Cattolica, con le rughe e magari anche abbruttita, ma sempre madre!
Quasi mi dimenticavo che in parrocchia abbiamo la Fazenda da Esperança, centro di recupero drogati: bella entità diffusa un po’ ovunque (in Italia a Lamezia Terme, e Conflenti CZ e Monopoli BA).
Anche se il Coronavirus ci ha limitato, le attività normali della parrocchia le abbiamo sempre portate avanti. La difficoltà maggiore è la catechesi. Sono riusciti a convincere che il Coronavirus ti becca soprattutto in chiesa e a scuola!!! (idem in Italia?).
Io continuo i miei viaggi visitando le comunità con la barca, la canoa, la macchina e tante buche e fango adesso che piove. La testa è pelata, ma un briciolo di cervello ancora c’è e con le precauzioni si va… Già ricevuta la prima dose di vaccino! Vedremo se migliora, per ora la situazione sta peggiorando alla grande.
Per terminare, riprendo Almir Sater:
Todo mundo (ognuno, tutti) ama, um dia (giorno) Todo mundo chora (piange)… un giorno arrivi e l’altro parti, ognuno è artefice della propria storia!
Bella la speranza! Bella la fiducia! Queste si ingigantiscono se riacquistiamo l’incantamento per Dio che, risuscitando Gesù dai morti, rifirma la fiducia che ha in ogni donna e in ogni uomo.
Qualcuno scrisse: “Non sono io a fare l’esperienza di Dio. È Dio che fa la sua esperienza in me!”. Me ne convinco ogni giorno che passa!
Buona Pasqua a tutti!
Arrivederci… quando arriverà il salvacondotto dell’Italia.
Don Lino Zani
NOMI E VOLTI
Auguri e felicitazioni
a
Margherita Sanzogni
e
Mario Peci
Con questa foto storica ricordano il loro matrimonio celebrato
l'8 aprile 1961
Nomi e Volti
Pietro Fedrighi (Cino Bechi)
1-10-1931 + 9-9-2020
Sergio Gualdi
7-11-1947 + 20-12-2021
(Lora - CO)
Amedeo Baisotti
3-2-1941 + 8-1-2021
Guido Sarna
13-7-1951 + 13-1-2021
Domenica Anna Gheza
3-1-1944 + 18-1-2021
Graziolo Baisini
9-12-1947 + 27-1-2021
Mario Fedrighi 27-9-1950 + 20-1-2021
Graziella Scilipo 31-1-1957 + 21-1-2021
(Johannesburg - Sudafrica)
Carlo Re
7-11-1950 + 7-2-2021
Clementino Pietro Gheza
26-1-1952 + 3-2-2021
Pierina Scalvinoni
7-1-1933 + 23-2-2021
Caterina Re
13-7-1931 + 18-2-2021
Riccardo Poma
21-9-1947 + 5-3-2021
Pietro Franzoni
18-12-1942 + 22-3-2021
Caterina (Rina) Ballarini
5-3-1933 + 10-4-2020
(Lomello PA)
Pierina Titola
18-2-1929 + 21-12-2020
Celestino Medici
23-1-1937 + 11-2-2021
Anselmo Ballarini
3-8-1950 + 22-2-2021
Serafina Zerla
18-12-1934 + 23-1-2021
Alfio Damiano Zanaglio
29-8-1937 + 6-2-2021
Felice Andreoli
13-1-1935 + 8-2-2021
Milena Francesetti
31-3-1939 + 15-2-2021
(Piancogno)
Pierina Agnese Andreoli
11-2-1942 + 24-2-2021
Oreste Rognoni
18-1-1943 + 3-12-2020
Andrea Zendra
15-6-1938 + 18-12-2020
Gelinda Franzoni
21-7-1924 + 19-12-2020
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