Pasqua 2023
“Perché fiorire si può e si deve,
anche in mezzo al deserto”
Così scriveva Giacomo Leopardi. Con i girasoli di Van Gogh proposti in copertina pensiamo siano questi i migliori auguri che possiamo scambiarci per Pasqua.
Guerre, violenze, naufragi di umanità sono i deserti che ogni giorno ci annunciano giornali, televisioni, internet.
Anche nelle nostre famiglie forse viviamo i deserti della fatica di volersi bene, i deserti del dolore, della malattia, del sentirsi soli e con la porta di casa che non si apre mai.
Per non parlare del nostro ritrovarci come comunità cristiana: le celebrazioni e le iniziative proposte, appaiono sempre più... un deserto.
Proprio per questo Cristo è morto e risorto, per farci rifiorire, per donarci nuova vita.
Don Paolo, don Stefano
don Raffaele, don Cesare
don Angelo
Parola del parroco
che “tutto passa” sicuramente non è una grande novità. Già i filosofi dell’antica Grecia lo avevano affermato e sempre lo si è sperimentato.
La sensazione, oggi, è che in una società cosiddetta "dei consumi", questo processo sia diventato ancora più veloce.
Anche il modo di vivere sembra legato più a emozioni e sensazioni del momento piuttosto che a riflessioni e approfondimenti.
Sembra che le cose che passano quasi ci stravolgano, lasciando ben poco.
Potreste chiedervi: questo cosa c’entra con la Fede e la Pasqua ormai vicina?
Anche la fede, o meglio, il modo di vivere la fede e le feste consacrate, sembra essere entrato in questo vortice.
La Pasqua è una data scritta in rosso sul calendario a cui segue subito il Lunedì dello stesso colore, con qualche opportunità di fare un po' di vacanza.
Che c’è di male? Nulla! Ci aiuta a toglierci dal vortice delle cose che passano per dedicare più tempo alle persone care, a coltivare relazioni, ai viaggi e allo svago.
Anche le nostre comunità dell’Altopiano accolgono villeggianti che approfittano del tempo della vacanza anche per frequentare la chiesa, per vivere la confessione, per rinsaldare il rapporto con quel Dio che non passa.
Certo per noi cristiani, come ci insegna la Chiesa, la Pasqua deve diventare sempre più la fonte e il culmine di tutto l’anno liturgico con il Sacro Triduo della Passione, Morte e Risurrezione di Gesù Nostro Signore.
Non a caso, quaranta giorni di Quaresima e poi il tempo pasquale fino a Pentecoste, stanno attorno alla festa e ancora la Chiesa ci invita a vivere ogni Domenica come “la Pasqua della settimana”.
Non voglio però fare un trattato sulla Pasqua, condivido solo una riflessione su quanto Dio tocchi la vita dell’uomo, forza di eternità in mezzo alle cose che passano.
Ho trovato il tempo della Quaresima descritto come cammino dalla cenere al fuoco.
In natura prima c’è il fuoco, e la cenere è soltanto il residuo che rimane dalla combustione di una materia infiammabile.
Per la fede si parte, invece, dalla Cenere di inizio Quaresima, segno della nostra fragilità umana, per arrivare al Fuoco nuovo della Veglia Pasquale che ci ricorda che Dio è la forza d’amore capace di dare vita anche a ciò che sembra essere ormai privo di ogni possibilità.
Carissimi, nel tempo che passa diamo tempo a Colui che non passa.
Lasciamo distruggere dal fuoco dell’Amore di Dio le nostre infedeltà e miserie per lasciarci da Lui ricreare nel bene. Camminiamo nella luce della fede e il fuoco dello Spirito Santo faccia di noi testimoni autentici della Pasqua del Signore.
Buona e Santa Pasqua a tutti voi!
Vostro don Paolo
Per riflettere
Card.
Giovanni Battista Re
Ci teniamo a dirci cristiani e ci offendiamo se qualcuno osa dire che non lo siamo.
Essere cristiani non è cosa da poco: vuol dire seguire Cristo e vivere in fedeltà al Vangelo, vuol dire essere inseriti nel cammino verso la salvezza; vuol dire avere un’alta concezione della nostra esistenza e del mondo, vuol dire credere, sperare, amare e operare.
Che tipo di cristiani siamo noi? A quale della seguente categoria apparteniamo?
Cristiani “zero” cioè “cristiani di etichetta”, come dice Papa Francesco: cristiani con uno stile di vita che è in contraddizione col Vangelo e con lo spirito di chi è figlio di Dio e membro della Chiesa.
Cristiani “canne al vento”, che si piegano ad ogni soffiar di vento. Cristiani pronti a curvarsi all’opinione dominante, alla moda del momento e all’interesse. Ogni tanto c’è qualche lampo di bontà e di religiosità, ma poi ci si intruppa con chi conduce il gioco e crea la moda. Si diventa dei gregari.
Cristiani autentici, cioè cristiani veri. Sono persone, donne e uomini, che credono che, oltre le stelle, c’è un Dio che ci ama, e vivono con coerenza i principi ed i valori umani e cristiani che danno senso alla vita; sono convinti che solo in Dio trova pieno senso l’esistenza e pieno compimento la dignità di ogni essere umano. Nella vita quotidiana danno testimonianza della loro fede e la considerano un valore da trasmettere anche agli altri.
Per il buon cristiano partecipare alla Messa la domenica è cosa seria e importante, a cui cerca di essere sempre fedele. Sa anche che Dio lo attende per donargli nella confessione il pendono dei peccati, e dal Vangelo ha appreso che Dio non solo perdona sempre quando siamo pentiti, ma gioisce nel perdonare, come il padre della parabola che esulta per il ritorno del figliuol prodigo, lo abbraccia affettuosamente e invita a fare festa per quel ritorno.
Il buon cristiano apre e chiude la giornata con la chiave di una breve preghiera.
Il vero cristiano, riconoscendo Dio come Padre, considera gli altri come fratelli e cerca di far crescere nel mondo la solidarietà e la fratellanza. Ugualmente si impegna a dare il suo contributo per promuovere una società più giusta, più onesta, più umana e più buona.
La Pasqua è un invito ad una vigorosa ripresa del nostro impegno religioso; è occasione per una revisione della nostra adesione alla fede cristiana ed ai doveri del buon cristiano. Viviamo in una società che non favorisce, che non aiuta, che non facilità il vivere in coerenza col Vangelo e ci porta ad assorbire l’atmosfera del nostro tempo, per cui ci sembra che non ci sia bisogno di cercare cose invisibili che superano la scena di questo mondo.
Dobbiamo invece avere una bussola che ci orienti verso quel porto che si chiama Dio. Il dono incomparabile della fede non si esaurisce in una adesione puramente esteriore e passiva, ma richiede un continuo sforzo per una vita buona e religiosa, che non perde l’orientamento verso il cielo. Il cristiano infatti vive in questo mondo, ma non deve dimenticare che – come dice San Paolo – “la nostra patria è nei cieli”, dove potremo dare la mano a Dio nell’immensità del suo amore.
Si narra che, alcuni secoli prima di Cristo, gli Ateniesi con grande meraviglia videro il vecchio e celebre maestro Diògene aggirarsi in pieno giorno per le strade affollate della città con in mano una lucerna accesa. Un suo discepolo gli si avvicinò e gli chiese: “Maestro, che cosa cerchi?”. Diogene rispose: “Cerco un uomo retto”.
Diogene, alla luce della lanterna dell’onestà naturale, non riusciva a trovare un uomo retto.
Alla luce della lanterna della fede e del messaggio del Vangelo, noi che viviamo nel terzo millennio, possiamo dirci “cristiani autentici”? Pasqua attende la nostra personale risposta.
Per riflettere
Don
Raffaele
La Pasqua, come sappiamo, rappresenta il centro dell’Anno Liturgico e il succo della nostra fede.
La Pasqua dà senso e spessore a tutto il nostro impegno di vita cristiana, rappresenta il significato e il traguardo del nostro essere cristiani. Se non raggiungiamo il dono della Pasqua siamo degli illusi, persone che faticano nella fede senza sapere dove vanno.
La nostra professione di fede, il Credo, che noi in chiesa recitiamo ogni domenica, termina con due affermazioni: “aspetto la resurrezione della carne e la vita eterna. Amen!” Ritengo che la parte più importante di un discorso, di un libro, di una preghiera sia la parte finale, non l’inizio. La fine ti rivela il senso di quanto hai letto e meditato.
Per esempio il Manzoni, autore di quel romanzo intramontabile che sono “I Promessi Sposi”, termina con i protagonisti radunati in famiglia che ripensano alle avventure vissute. Renzo dice di aver imparato tante cose, Lucia saggiamente dice che non è stata lei ad andare a cercare i guai, ma loro hanno cercato lei.
Discutono e poi la conclusione: i guai vengono sempre e quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce e li rende utili per una vita migliore. “Questa conclusione – scrive il Manzoni – benché trovata da povera gente, ci è parsa così giusta che abbiamo pensato di metterla qui come il sugo di tutta la storia”. È la chiave di lettura di questo romanzo piuttosto corposo, che è incentrato sulle vicende di Renzo e Lucia, ma che coinvolge il mondo che li circonda, il potere politico, la guerra, le disgrazie, la peste, una vita fatta di difficoltà e sofferenze. Nel romanzo la Provvidenza è la linea guida di tutte le vicende e Dio è vicino alla vita dei poveri e perseguitati.
Quindi anche per la nostra professione di fede, il Credo, la parte più importante è la fine: “aspetto la resurrezione della carne e la vita eterna. Amen!” Queste due frasi danno senso e spessore a quanto proclamiamo nel Credo dove diciamo di credere in Dio che è Padre Onnipotente, nel Figlio Gesù Cristo il Salvatore, nello Spirito Santo che è amore, nella Chiesa, nel Battesimo, nella remissione dei peccati…
Tutto questo, la mia fede mi porta alla meta, al traguardo che è la resurrezione della carne e la vita eterna. Amen!!! Senza questa conclusione la nostra fede sarebbe un'illusione.
Ma è facile avere fede in Gesù? Facile è la fede che è credere nelle verità: non ti costa niente. Ma sappiamo che avere fede vuol dire fidarsi di una persona, porre in tale persona la speranza e il senso della nostra vita. Questa fede che è fidarsi a volte è difficile.
Vi racconto una piccola storia.
Negli anni passati in un paesino dell’alta Valle c’era un uomo già attempato che sentenziava che Dio non esiste, che il Parroco raccontava nelle prediche solo delle storielle, che le nonne che andavano a messa ogni giorno in fondo erano un po’ rimbambite.... E questo lo predicava e sosteneva con forza.
Un giorno andò a fare una passeggiata in montagna. Camminava su un sentiero che guardava uno strapiombo di 200 metri. A un certo punto, fatalità o distrazione, scivola e precipita nel burrone. Per fortuna dalla roccia usciva, dopo un salto di 10 metri, un bosco di rami robusti e lui andò a planare proprio sopra il bosco e si abbrancò con tutte le forze a un ramo.
Passata la paura cominciò a chiedersi: “E adesso che faccio? Chiamerò aiuto...” e cominciò a gridare con tutta la voce: “Aiuto, salvatemi!” Non una voce, non un suono: nessuno quel giorno era in montagna. Allora disse tra sé: “Proverò a chiamare Dio che mi aiuti”. E a voce altissima iniziò a gridare: “Dio, Dio aiutami, salvami!”... non una voce, non un suono. “Ho proprio ragione io – disse tra sé – Dio non esiste Lo chiamo ma non si fa sentire”.
“Cosa vuoi?”, sente dire alle spalle da una voce poderosa.
“Chi sei?”, chiede tutto impaurito.
“Sono Dio. Mi hai chiamato e sono venuto. Scusa il ritardo ma avevo da fare. Ma adesso sono qui tutto per te. Dimmi cosa vuoi, cosa ti occorre”.
“Come cosa mi occorre – dice l’uomo – sei cieco? Vedi come sono accomodato. Aiutami… salvami…”
“Ma tu non credi in me. Continui a dire che io non esisto e allora perché dovrei aiutarti?”
“No, no, mi sono sbagliato. Tu esisti, esisti. Ma adesso dammi una mano altrimenti morirò”.
“Va bene, ti darò un aiuto. Tu adesso credi che io esisto ma ti fidi di me, farai quello che ti dico di fare?”
“Sì, farò tutto quello che mi dici, ma aiutami…”
“Bene, allora se ti vuoi salvare, lascia andare il ramo”.
“Come scusa, lasciare il ramo? E poi che fine faccio? Invece di salvarmi io muoio, non lascerò mai andare il ramo!”
“Vedi che non ti fidi di me – disse Dio cominciando a ridere – e allora ti saluto e ti lascio. Ciao!”
Ridendo ancora Dio si allontanò mentre l’altro continuava a gridare. Forse ancora oggi è appeso al ramo in attesa che qualcuno lo venga a salvare.
Dalla storiella – spero vi sia piaciuta – cerchiamo qualche applicazione un po’ più seria per noi.
Il dono della Pasqua qual è?
È vedere come Dio, se hai fede in Lui, ti dà la vita nuova. Pasqua, passaggio da una vita normale non a una vita migliore, ma totalmente diversa... “Aspetto la Resurrezione della carne e la vita eterna...”
Ma occorre la fede:
- credere non tanto a delle formule (abbiamo detto che non costa molto) ma fidarsi della Persona che ti parla;
- fidarsi perché mi fido del suo Amore, perché la Pasqua è la manifestazione dell’Amore di Dio che dona a quanti si fidano di Lui, la vita eterna;
- fidarsi di Lui ciecamente, con tutto noi stessi, come il bambino che dorme fiducioso in braccio alla mamma e non ha paura, ha tutto quanto occorre perciò dorme tranquillo.
Questo – la Resurrezione della carne e la Vita eterna – è il traguardo della nostra vita cristiana.
Essere cristiani vuol dire sentirsi sempre amati da Dio, talmente amati che Lui non ci abbandona mai e ci dona la vita della Pasqua. Viviamo con impegno e speranza la Quaresima per gustare nella Pasqua l’Amore di Dio. Diciamo ogni giorno: “Signore, io credo, ma aumenta la mia fede!!!”
Per riflettere
Se in quest’ora tarda della mia vita guardo indietro ai decenni che ho percorso, per prima cosa vedo quante ragioni abbia per ringraziare. Ringrazio prima di ogni altro Dio stesso, il dispensatore di ogni buon dono, che mi ha donato la vita e mi ha guidato attraverso vari momenti di confusione; rialzandomi sempre ogni volta che incominciavo a scivolare e donandomi sempre di nuovo la luce del suo volto. Retrospettivamente vedo e capisco che anche i tratti bui e faticosi di questo cammino sono stati per la mia salvezza e che proprio in essi Egli mi ha guidato bene.
Ringrazio i miei genitori, che mi hanno donato la vita in un tempo difficile e che, a costo di grandi sacrifici, con il loro amore mi hanno preparato una magnifica dimora che, come chiara luce, illumina tutti i miei giorni fino a oggi. La lucida fede di mio padre ha insegnato a noi figli a credere, e come segnavia è stata sempre salda in mezzo a tutte le mie acquisizioni scientifiche; la profonda devozione e la grande bontà di mia madre rappresentano un’eredità per la quale non potrò mai ringraziare abbastanza. Mia sorella mi ha assistito per decenni disinteressatamente e con affettuosa premura; mio fratello, con la lucidità dei suoi giudizi, la sua vigorosa risolutezza e la serenità del cuore, mi ha sempre spianato il cammino; senza questo suo continuo precedermi e accompagnarmi non avrei potuto trovare la via giusta.
Di cuore ringrazio Dio per i tanti amici, uomini e donne, che Egli mi ha sempre posto a fianco; per i collaboratori in tutte le tappe del mio cammino; per i maestri e gli allievi che Egli mi ha dato. Tutti li affido grato alla Sua bontà. E voglio ringraziare il Signore per la mia bella patria nelle Prealpi bavaresi, nella quale sempre ho visto trasparire lo splendore del Creatore stesso. Ringrazio la gente della mia patria perché in loro ho potuto sempre di nuovo sperimentare la bellezza della fede. Prego affinché la nostra terra resti una terra di fede e vi prego, cari compatrioti: non lasciatevi distogliere dalla fede. E finalmente ringrazio Dio per tutto il bello che ho potuto sperimentare in tutte le tappe del mio cammino, specialmente però a Roma e in Italia che è diventata la mia seconda patria.
A tutti quelli a cui abbia in qualche modo fatto torto, chiedo di cuore perdono.
Quello che prima ho detto ai miei compatrioti, lo dico ora a tutti quelli che nella Chiesa sono stati affidati al mio servizio: rimanete saldi nella fede! Non lasciatevi confondere! Spesso sembra che la scienza — le scienze naturali da un lato e la ricerca storica (in particolare l’esegesi della Sacra Scrittura) dall’altro — siano in grado di offrire risultati inconfutabili in contrasto con la fede cattolica.
Ho vissuto le trasformazioni delle scienze naturali sin da tempi lontani e ho potuto constatare come, al contrario, siano svanite apparenti certezze contro la fede, dimostrandosi essere non scienza, ma interpretazioni filosofiche solo apparentemente spettanti alla scienza; così come, d’altronde, è nel dialogo con le scienze naturali che anche la fede ha imparato a comprendere meglio il limite della portata delle sue affermazioni, e dunque la sua specificità.
Sono ormai sessant’anni che accompagno il cammino della Teologia, in particolare delle Scienze bibliche, e con il susseguirsi delle diverse generazioni ho visto crollare tesi che sembravano incrollabili, dimostrandosi essere semplici ipotesi: la generazione liberale (Harnack, Jülicher ecc.), la generazione esistenzialista (Bultmann ecc.), la generazione marxista. Ho visto e vedo come dal groviglio delle ipotesi sia emersa ed emerga nuovamente la ragionevolezza della fede. Gesù Cristo è veramente la via, la verità e la vita — e la Chiesa, con tutte le sue insufficienze, è veramente il Suo corpo.
Infine, chiedo umilmente: pregate per me, così che il Signore, nonostante tutti i miei peccati e insufficienze, mi accolga nelle dimore eterne. A tutti quelli che mi sono affidati, giorno per giorno va di cuore la mia preghiera.
Benedictus PP XVI
Don
Cesare
Queste semplici righe non vogliono essere un commento al testamento di Papa Benedetto, scritto nel 2006, un anno dopo l’elezione al soglio pontificio, ma una semplice riflessione personale su questa bellissima testimonianza di un grande uomo di fede e di scienza.
Lo stesso schema dello scritto rivela una lucida scala di valori. Il grazie a Dio che lo ha guidato anche nei momenti bui verso la sua salvezza.
In secondo luogo gli affetti, i genitori: il padre per la “lucida fede”, la madre per “profonda devozione e grande bontà”, la sorella che lo ha assistito per decenni disinteressatamente ed il fratello “con la lucidità dei suoi giudizi… mi ha spianato il cammino…”
A seguire gli amici, i collaboratori, i maestri e gli allievi.
Da ultimo un affettuoso ringraziamento alla sua terra e alla sua gente “...in loro ho potuto sempre di nuovo sperimentare la bellezza della fede”.
A conclusione di questa prima parte di ringraziamenti troviamo una preghiera “... rimanete saldi nella fede! Non lasciatevi confondere! Spesso sembra che la scienza sia in grado di offrire risultati inconfutabili in contrasto con la fede cattolica”.
Questa preghiera introduce il pensiero finale sulla certezza della fede.
Nella parte conclusiva infatti ritroviamo l’uomo di cultura che testimonia: “Ho vissuto le trasformazioni delle scienze naturali sin dai tempi lontani e ho potuto constatare come, al contrario, siano svanite apparenti certezze contro la fede…”.
“Sono ormai sessant’anni che accompagno il cammino della teologia… ho visto crollare tesi che sembravano incrollabili…”.
“Ho visto e vedo come dal groviglio delle ipotesi sia emersa ed emerga nuovamente la ragionevolezza della fede. Gesù Cristo è veramente la via, la verità e la vita”.
Un breve testo da leggere e rileggere come gran bella testimonianza di fede.
Per riflettere
Emilia
Pennacchio
Leggevo, qualche giorno fa, un articolo del teologo don Armando Matteo in ordine alla crisi profonda dei riferimenti religiosi, delle chiese sempre più vuote e l’invito alla Chiesa ad “immaginare oggi i cristiani di domani”.
Le persone della mia generazione e, ancor di più, quelli delle generazioni precedenti, non smettono di interrogarsi su questa, oramai conclamata, “crisi del cristianesimo”.
Una crisi innegabile a cui la Chiesa sta cercando di dare risposte e possibili soluzioni. Tutti sono d’accordo, però, nel dire che alla sua base c’è quella rottura presente in maniera inequivocabile nella trasmissione generazionale della fede, dalla quale probabilmente è necessario ripartire.
Quando io ero una bambina, tra la fine degli anni ’60 e i primi anni ’70, la vita sociale era permeata dei valori della fede. Il segno della croce sin dall’asilo, le “feste comandate” - san Giuseppe, l’Ascensione, il Corpus Domini, i santi Pietro e Paolo - per cui si stava a casa da scuola e la messa era “di precetto” come quella della domenica. La parrocchia – come la scuola - allora avevano un ruolo educativo fondamentale. Non c’erano grandi progetti educativi studiati a tavolino, ma le suore per le bambine e il curato per i maschietti che insegnavano principalmente i valori dell’amicizia, del rispetto, della condivisone attraverso il gioco e i lavori manuali. Il catechismo a Borno era la domenica per tutti e a carnevale il paese era coinvolto con spiegamento di forze e fantasia davvero incredibili, per la realizzazione dei carri in vista della tradizionale sfilata. E poi la festa del papà a marzo e quella della mamma a maggio: qui le suore davano il meglio di loro stesse!
Erano questi i capisaldi del “fare insieme per la gioia di tutti”: ci si ritrovava al cinema per applaudire i bambini che recitavano, cantavano e ballavano e per ascoltare il coro. Cose semplici che avevano però un gran potere legante e di appartenenza.
Il cambiamento d’epoca ha scardinato questo ordine delle cose. E per certi versi è stato un bene, meno per altri. Eh sì, perché se da un lato è venuta alla luce una certa incongruità di alcuni precetti che non venivano spiegati ma ordinati, imposti dalla tradizione del “si è sempre fatto così”, dall’altro si è andato sempre più perdendo quel senso di appartenenza, di aiuto reciproco, di attenzione per l’altro. E così, coll’andare del tempo, le antiche pratiche di avvicinamento alla fede e della fede stessa sono divenute inefficaci. Sempre più inefficaci. La frattura tra chiesa e società è divenuta sempre più grande e allo stesso tempo, all’interno delle comunità, si è aperta una voragine piena di egoismi, di orticelli ben curati che poco condividono con i vicini. Anzi, in realtà noi oggi condividiamo moltissimo, ma attraverso uno schermo e senza fare un briciolo di fatica, illudendoci di riempire così vuoti sempre più profondi. Col risultato, invece, di sentirci sempre più svuotati e alla perenne ricerca di qualcosa con cui “colmarci”. E intanto gli algoritmi sui social sciorinano metodi infallibili per ritrovare l’equilibrio interiore, per non soffrire, per essere sempre felici. Aumentano le pratiche legate al benessere, alla ricerca della pace interiore nei modi più svariati. Che in sé non sono certo un male! Ma, ci smuovono davvero nel profondo? Ci interrogano davvero sui nostri disagi, sulla nostra continua ricerca di pace? E, soprattutto, rispondono davvero alle nostre domande, alle nostre inquietudini?
Se le vendite di psicofarmaci sono in costante, drammatico aumento (anche fra i più giovani), forse le risposte stanno altrove?
Fortunatamente, la necessità atavica di cercare risposte ai bisogni spirituali dell’esistenza non è mai venuta meno nell’uomo, nemmeno in questa società permeata di edonismo e di ricchezza fine a sé stessa. Forse questa ricerca è scritta nel suo DNA… Allora forse è da qui che si potrebbe ripartire, sia come Chiesa che come società.
Come Chiesa, oramai da tanti ambiti, viene rilevata la necessità di un cambiamento radicale della mentalità pastorale e ancor di più, una nuova immaginazione del cristianesimo del futuro.
E chi, se non i credenti possono essere portatori di questo nuovo slancio?
Già, noi credenti, che però soffriamo di alcune “patologie religiose”. Una fra queste, è quella che papa Francesco ha definito “indietrismo”. Troppo bello questo neologismo!
La sindrome dell’indietrismo colpisce moltissimo quelli della mia generazione e naturalmente quelli più attempati. Consiste nel ritenere che la soluzione a questa crisi dei riferimenti religiosi sia quella di restare tenacemente legati alla tradizione che ha funzionato per tanto tempo, perseverando in quello stesso sistema di trasmissione, auspicando che prima o poi…. Ma le chiese vuote, i seminari vuoti, i monasteri vuoti, i sacramenti che sono divenuti più un’occasione di festa familiare che non di reale crescita cristiana, non sono forse lì a rammentarci che guardare indietro non è la sola strada percorribile?
“La tradizione o cresce o muore!” scrive don Armando.
Abbiamo dunque il dovere di provarci!
La Chiesa per prima! Che deve essere guida, deve fornirci una nuova chiave di lettura, interpretare quel che la tradizione ci ha consegnato, non più come un mero atto tenacemente moralistico che oggi non funziona più, ma come qualcosa di più profondo. Ma come?
Durante la Quaresima mi è capitato di ascoltare un contributo di don Luigi Epicoco sulla pratica religiosa relativamente alle opere quaresimali. Condivido brevemente alcuni passaggi dell’intervento, (il video è disponibile su You tube), perché forse questa chiave di lettura potrebbe rappresentare una sorta di matrice applicabile in modo più generale anche agli altri temi della spiritualità, nel trovare una possibile via d’uscita alla crisi.
Don Luigi afferma che tutti abbiamo un problema molto serio quando pensiamo alla pratica religiosa così come la tradizione ce l’ha consegnata. In effetti, la lettura che solitamente ne diamo è fondamentalmente moralistica. Abbiamo cioè sempre ritenuto che elemosina, digiuno e penitenza, (per fare un esempio) siano dei gesti che riguardano la nostra morale, per cui basta fare qualcosa per ottenere un risultato. Quindi, banalmente, metto una busta di denaro nella cassetta delle offerte e sono a posto con la mia coscienza; non mangio la carne come prescritto così ho fatto il mio dovere di bravo cristiano e sono a posto. E via dicendo.
Queste credenze, cioè pensare che la vita cristiana si possa ridurre ad una tecnica con le sue regole e chi più le segue più è bravo, hanno contribuito nel tempo a far ammalare il cristianesimo. In realtà, i gesti che noi compiamo nella nostra vita cristiana, cioè la nostra pratica religiosa, sono sempre simbolici, cioè indicano qualcosa di più profondo. Se, ad esempio, proviamo un sentimento nei confronti di qualcuno, lo simbolizziamo con un gesto, magari un abbraccio. Ma questo abbraccio non è solo un gesto fisico, esso trasmette evidentemente qualcosa di più profondo: affetto, amore, riconoscenza, gioia … Dunque, tutta la pratica cristiana, o indica qualcosa di profondo o è semplicemente moralismo. È quello che costantemente Gesù cerca di affermare nel Vangelo quando corregge la mentalità degli scribi e dei farisei e, alcune volte, anche dei discepoli di Giovanni.
Dunque è evidente che la pratica cristiana ha senso unicamente dentro una relazione. Se rimangono solo il precetto, la regola, la tecnica come accaduto nel passato, il cristianesimo diventa una gara in cui dobbiamo dimostrare qualcosa entrando in competizione con noi stessi. La vita spirituale invece non è mai una gara con noi stessi: è sempre l’incontro con qualcuno che rende significativi i nostri gesti e quindi la nostra vita.
E che cosa è la relazione se non avere uno sguardo di misericordia, di attenzione che ci metta in contatto gli uni con gli altri?
Vivere la nostra vita cristiana senza moralismi, senza sovrastrutture, senza diktat ci può portare, dice Epicoco “ad un tempo in cui capiremo che la parte più interessante di noi non è in noi, ma nell’altro. Che il volto dell’altro è ciò che più ci fa capire noi stessi. Scopriremo la relazione come il luogo teologico più interessante della nostra vita.
L’esperienza della Pasqua è l’esperienza di questo passaggio, di questo cambiamento, che segna in maniera indelebile la nostra esistenza”.
È bello immaginare se noi cristiani, cominciando dai piccoli gesti quotidiani, potessimo essere i fautori della fine di questa crisi. In fondo non servono grandi rivoluzioni, ma una Chiesa rinnovata, guarita dalla sindrome dell’indietrismo che guidi il popolo di Dio a tornare ad avere uno sguardo attento e misericordioso verso l’uomo e verso il creato.
Per riflettere
Franco
Peci
Caro Gesù,
come ci raccontano i Vangeli ad un certo punto del cammino anche tu hai voluto fare un sondaggio. Prima hai chiesto ai tuoi discepoli cosa pensasse la gente di te, e, come spesso accade nei sondaggi, sono saltati fuori i soliti luoghi comuni, quelli che tutti sentiamo e sovente ripetiamo senza chiederci se siano veri o abbiano perlomeno un minimo di buon senso. Poi ti sei rivolto a loro con una domanda diretta: “Ma voi chi dite che io sia?”. E qui il solito Pietro ha dato la risposta che farebbe entusiasmare i teologi e le brave catechiste. Tu, invece, pur riconoscendo che tale risposta veniva dallo Spirito, poco dopo, quando lo stesso Pietro ti ha rimproverato perché spiegavi ai discepoli che la tua missione avrebbe comportato anche la sofferenza e la croce, lo hai ripreso dandogli del satana.
Ho provato anch’io a pormi questa domanda e devo confessarti che l’idea (scusami per questa brutta parola) che avevo su di te e su tuo e nostro Padre è continuamente cambiata nel corso della mia vita. Da piccolo, come penso sia capitato a molti, ho assorbito la fede, robusta e a suo modo genuina, delle nostre mamme, zie e nonne; una fede che forse si esprimeva più in termini di morale (spesso degradata a moralismo) che come amore e fiducia in Te e nel prossimo.
Negli anni ‘80, quando io sono stato giovane, anche se in declino era ancora in voga la figura di Ernesto “Che” Guevara: il rivoluzionario dell’America Latina, miticizzato come difensore dei poveri e della giustizia sociale forse più per quel profilo nero del suo volto stampato su sfondo rosso che per le sue reali imprese e azioni politiche. E anch’io ho fatto un po’ mia quest’idea (ancora questa parola) di giustizia sociale a cui anche tu eri associato. Fabrizio De André, un cantautore che ho sempre ascoltato molto volentieri, in varie interviste Ti definiva il più grande rivoluzionario.
Nei miei ardori giovanili l’idea di giustizia tendeva spesso a sconfinare nella vendetta. Spesso tuttora ho l’impressione che quando noi uomini pensiamo alla giustizia anche in astratto, purtroppo, tendiamo più a voler punire il colpevole (presunto o reale) che a risollevare la vittima. Solo leggendo le beatitudini che hai proclamato su quel monte, un brano del Vangelo che mi è rimasto nella mente e nel cuore, capivo che tu non potevi essere un giustiziere della notte, un rivoluzionario intento a far fuori ricchi e prepotenti più che ad aiutare e servire poveri e bisognosi.
Dopo tanti anni passati in compagnia di amici e famigliari, in compagnia dei preti che sono passati nella nostra comunità aiutandoci a camminare nel Tuo nome, in compagnia della Bibbia, continuo anche adesso a pensare che sei stato e sempre sarai l’unico ed autentico rivoluzionario.
Lo so che Tu probabilmente non ami questa definizione. Nel Vangelo affermi che non sei venuto ad abolire… ma a dare compimento, non sei venuto a rivoluzionare la società, ma a convertire i cuori. Eppure quel “avete inteso… ma io vi dico”, l’ascolto appunto di quei libri che parlano di noi, di Te e del tuo e nostro Padre, hanno rivoluzionato l’immagine che avevo di Dio, della religione, della fede.
Forse sarò anch’io un satana, uno che vuol dividere, ma mi sembra che il Dio giudice in base a poche, chiare ed immutabili leggi, in fondo era ed è un Dio più comodo e funzionale. Perdonami le grossolane semplificazioni, ma forse è più facile immaginare un Dio che se fai il bravo vai in paradiso e se sgarri fili giù all’inferno. Era ed è più semplice, più comodo considerare tutta l’economia umana, ed anche quella divina, come un dare per avere in cambio una contropartita. Mi sembra che la stessa Chiesa che vogliamo far risalire a Te e ai tuoi apostoli, per molto tempo abbia annunciato e fondato il suo potere – ops scusa, volevo dire il suo servizio – più sul Dio dei precetti e delle punizioni, che non sul volto del Padre buono che Tu ci hai fatto conoscere.
È vero che già nell’Antico Testamento si parlava di misericordia, di Dio lento all’ira e grande nell’amore, di Dio che si pente e perdona. Ma, sempre con grossolane semplificazioni, ho l’impressione che in certe nostre mentalità tradizionali, la generosità di Dio corrispondeva un po’ alla filantropia di chi è talmente ricco che non gli costa poi molto dare qualche spicciolo ai poveri per pietismo più che per autentica pietà. Seguendo questa prospettiva, questa mentalità, si ritiene giusto, ad esempio, dare una mano agli infermi perché non possono partecipare alla vita vera, quella in cui ognuno si procura quanto occorre con le proprie mani. I disabili mentali, perciò, sempre secondo un certo modo di pensare, possono anche arrangiarsi da soli.
Poi sei arrivato Tu e ci hai detto e testimoniato che il dare per avere non basta, che osservare i comandamenti solo per sentirci a posto non basta, che amare solo coloro che ci contraccambiano non basta. Ci hai rivelato che la vita vera contempla la gratuità, l’amore incondizionato, il perdono che per sua natura è quasi sempre... immeritato. Ci hai rivelato che Dio ci ama non tanto perché facciamo i bravi, perché siamo ligi ai suoi precetti, ma allungandoci sottobanco il suo aiuto, la sua provvidenza, il suo amore appunto, ci attende continuamente sulla soglia della nostra libertà affinché, pur con i nostri peccati e i nostri egoismi, possiamo incamminarci nella logica del Suo regno.
Sai, prima ho accennato agli infermi, ai disabili, perché anch’io faccio parte della categoria. Per compiere gli atti quotidiani della vita ho sempre avuto e continuo a poter contare sull’aiuto gratuito degli altri. Forse per le persone che non vivono particolari limitazioni, è più facile pensare l’esistenza come dicevamo prima, ripiegata principalmente sul contraccambio: io ti do, tu poi mi dai e così, in qualche modo, siamo pari; preferiscono ritenere che ciò che sono, ciò che hanno se lo sono guadagnati. Non è bello indugiare troppo su se stessi, ma ti confesso che anch’io, non di rado e a volte con rabbia, ho vissuto come un peso il dover sempre dipendere dagli altri.
Tuttavia probabilmente anche tale peso mi ha aiutato non ad offrire a Dio dolori e sofferenze in sconto dei peccati (questa mi sembra di nuovo uno scambio troppo commerciale, una logica più pagana che cristiana), bensì ad accogliere la Tua rivoluzione, mi ha aiutato davvero a sperimentare che senza il Tuo amore (che si manifesta e coincide di solito con quello del prossimo) non posso fare nulla. Tu hai detto ai tuoi discepoli che non li chiamavi più servi, ma amici. Se è palese che la convivenza umana non può andare avanti senza norme, leggi e punizioni, l’amore e l’amicizia vanno oltre, profumano sempre di gratuità, grazia, per-dono.
Anch’io faccio molta fatica a guardare, a vivere tutto in termini di gratuità. Quelle poche volte che vado a confessarmi, provo sempre un certo pudore pronunciando quel “… perché ti amo sopra ogni cosa!”. Se rifletto sulla mia quotidianità, questa dichiarazione traballa molto. Ma so che Tu non sei un’idea, so che Tu ci sei davvero, mi ami e hai donato la Tua vita… anche per me.
Grazie!
La Voce del Convento
Dall'omelia di p. Giuseppe Panetta, guardiano del convento della Ss. Annunciata.
Sabato 25 febbraio 2023
In questi giorni mi sono chiesto quale poteva essere lo spunto da offrire ai fedeli pellegrini riuniti davanti all'Eucarestia, prima della fiaccolata in onore del Beato Innocenzo da Berzo.
In un tempo così difficile, con una guerra alle porte, con le tensioni che spesso ci accompagnano nelle nostre giornate, con le difficoltà che tante famiglie si trovano a dover affrontare, abbiamo certamente bisogno dello Spirito Santo che invita a guardarci con purezza dentro noi stessi. Per porci nel migliore dei modi ad accogliere i Suoi benefici, dobbiamo in questo tempo di Quaresima provare a fare un po’ di pulizia dentro noi stessi facendoci aiutare dal Beato.
Uno degli aspetti più belli della sua spiritualità che può aiutarci in questo cammino e che dobbiamo provare a ricercare, è senza dubbio l'umiltà.
Il Beato ne era come vestito, possiamo dire che l’umiltà trasudava dal suo essere, era davvero un tutt’uno con lui.
Ma quanta fatica facciamo oggi a praticare l’umiltà! Il mondo ci invita senza soluzione di continuità a mettere i nostri bisogni al centro della vita, ci chiede, in modo subdolo, di essere egoisti per esempio facendoci associare l’umiltà alla mediocrità dei falliti, dei poveri cristi. Guardando al Beato possiamo provare ad uscire da questa visione distorta e sperimentare la bellezza che potremmo vivere allorché, pulendo i nostri occhi e la nostra anima con il sapone dell’umiltà, impariamo a vedere Cristo nei nostri fratelli.
Spostando lo sguardo da noi verso l’altro non solo scopriamo ma sperimentiamo la pace dell’anima e l’incontro vero con il Signore.
Il cammino della Quaresima che inizia con le Ceneri e culmina nel Giovedì Santo - che è l'esperienza per eccellenza dell'umiltà perché lì Cristo si fa servo chinandosi su di noi e sanando le nostre ferite – è un’occasione proficua dove praticare l’umiltà è meno complicato.
È nel contempo questa un'occasione per riconoscerci peccatori e da lì ripartire con le idee più chiare.
Umiltà non vuole dire infatti “io non valgo niente”, ma vuol dire “Dio mi guarda, Dio mi custodisce, Dio non mi abbandona”. Cosa c'è di più confortante di questa certezza per affrontare il bello e il brutto dell'esistenza?
Papa Paolo VI, quando era ancora cardinale, definì il Beato Innocenzo “umile seguace di San Francesco, dalla vita semplicissima, senza avventure, senza cose grandi, senza vicende rumorose”.
Non a caso l’iconografia classica lo ritrae tutto chinato su se stesso: un'immagine che rimanda alla sua consapevolezza di essere tutto nelle mani del Signore, dove il suo essere, la sua persona contano davvero poco. Ciò che conta è Lui, il Cristo. Egli, in effetti, ha fatto dell’adorazione il centro della sua quotidianità, certo com’era che questo suo mettersi umilmente in ginocchio non fosse tempo sprecato e che da quel tabernacolo davvero usciva tutta la grazia di cui aveva bisogno per affrontare le sfide che anche nella sua epoca non mancavano.
Qui nel santuario dove lui ha vissuto a lungo, si isolava spesso anche dai confratelli per pregare in perfetta solitudine e in condizioni di profonda essenzialità: è tutt'oggi visitabile una piccola nicchia ricavata nel muro dove lui, esile e minuto di costituzione, si inginocchiava di notte per pregare mettendo davanti a Cristo i dolori e le difficoltà di tutti coloro che incontrava e che gli portavano le loro pene.
Umiltà che ha tante sfaccettature nel Beato. Ad esempio si fa dottrina. Vi è traccia di una sua predicazione del 1878 tenuta a Malegno, dove egli recupera dai Vangeli l'umiltà di Gesù Cristo, invitando i fedeli ad esserlo parimenti. Lo fa raccontando del Figlio di Dio che nell’umiltà è nato, nell’umiltà è cresciuto all’ombra del padre terreno Giuseppe, nell’umiltà si è incamminato verso il Padre celeste subendo la passione e nel portare la croce. È molto toccante e profonda la descrizione dell'umiltà di Cristo che condivide con i fedeli, quando afferma che “nelle mani del sacerdote Egli si fa pane per l’uomo permettendogli così l’incontro con Dio e con il prossimo”. Davvero bellissima!
Vi è un'altra immagine a me molto cara ed è quella di lui che accoglie i peccatori in confessionale dove egli si mostra davvero uomo di umiltà e uomo di misericordia. Per questo in ogni confessionale del santuario abbiamo posto un'immagine di lui con la stola sacerdotale nell’atto di confessare.
Come riusciva ad unire umiltà e misericordia? Con la preghiera. Qui nel santuario è conservato un piccolo Gesù Bambino di terracotta, tutto fasciato come si usava fare coi neonati nel passato, proveniente dalla Terra Santa. Si narra che il Beato Innocenzo lo tenesse tra le mani e pregasse contemplandolo: una preghiera che si faceva sguardo!
Allora l'invito che faccio a tutti oggi è di porci sotto lo sguardo umile e misericordioso del Beato, per vestirci di quegli stessi abiti di cui lui si è vestito e, con l’aiuto della preghiera, vivere questo tempo di grazia che ci viene offerto dalla Chiesa, per uscire dalla nostra ordinarietà e andare con gioia e il cuore rinnovato verso il Signore Risorto.
La nostra fede
Don
Stefano
La predisposizione a sperare in un mondo migliore fa parte del dinamismo della vita di ogni uomo, la speranza appartiene al vivere quotidiano di uomini e donne, capaci di interagire con il mondo presente e futuro. Per questo ogni anno, il 31 dicembre con lo scoccare della mezzanotte, tutti si scambiano gli auguri, sperando in un anno migliore rispetto al precedente, oppure uno studente al termine di una prova di verifica, spera che quest’ultima ottenga il risultato sperato.
La speranza cristiana si suggella con lo stile di vita di Cristo; Lui che per primo ha sperato, mettendosi nelle mani del Padre che è nei cieli e che porta speranza a chi si fida di Lui e delle sue Parole. I cristiani sono un popolo che per fede e tradizione spera nella vita eterna, quella che verrà nel giorno ultimo del giudizio divino, nella quale tutti saremo chiamati a consegnare la nostra speranza vissuta con assiduità o con tentennamenti. Ogni figlio di Dio è certo: “La speranza è l’ultima a morire”.
La vita dei Maria è stata una attenta azione di speranza verso il suo figlio Gesù, Lei che ha partecipato alla vita di colui che ha sperato più di tutti sulla croce, insieme alla sofferenza e alla gloria della resurrezione; Maria ci è di esempio.
Come ci sono di esempio i numerosi santi che interagiscono con quella speranza che appartiene al premio della corona del martirio e della santità raggiunta al termine di una vita tutta dedita all’attività di apostolato intenso e curato per i propri fratelli. È significativo riconoscere in questi uomini e donne, un amore autentico e distinto per le “cose eterne” che, in altro termine, si riferiscono alle cose di Dio e perciò hanno imparato a vivere nell’attesa.
Papa Francesco sottolinea esemplificando cosa significa sperare: “Una donna si accorge di essere incinta, impara a vivere ogni giorno nell’attesa di vedere quello sguardo del bambino che verrà e anche noi dobbiamo imparare da queste attese umane e vivere nell’attesa di guardare il Signore. Questo non è facile, ma si impara”.
La speranza della salvezza è una speranza che è “come un elmo”, soprattutto nelle prove e nei momenti più difficili della nostra vita. In questi momenti l’uomo è chiamato a viverne in abbondanza, ma anche nei momenti che richiamano la gioia dell’incontro con Dio e con il prossimo. È questo stile di gioia che si realizza nella speranza cristiana.
Il termine speranza deriva da elpis che fa riferimento alla ricerca e all’attesa “buona” rivolta a Gesù Cristo. Per questo diventa una delle caratteristiche principali e fondamentali della vita cristiana. San Paolo nelle sue lettere sottolinea questo termine come accezione di uno stile di vita del cristiano; sperare e continuare a sperare significa all’indomani nella Pasqua aspettare il ritorno imminente del figlio risorto e assiso alla destra del Padre. La Pasqua si configura come attesa fedele e vigilante.
La speranza in questa accezione è collegata alla fede. In molte chiese questa particolare virtù è rappresentata con una donna che sorregge un àncora. Si tratta di un simbolo nautico e marittimo, legata a doppio filo al mare, dove esprime la sua compiuta funzione: l’àncora rappresenta ciò che lega e fissa; è il mezzo con il quale la nave ottiene stabilità e fermezza, sia in un porto sicuro, così nel mare tempestoso; è solo essa, fallita la buona navigazione, oscurato il cielo di nubi e tra i marosi, l’ultima speranza del marinaio sull’imbarcazione in balia dei flutti capricciosi e crudeli. Per sintetizzare l’àncora simboleggia, la fermezza, la sicurezza e la fedeltà proprie di Cristo e della sua Chiesa.
Giustino (sec II) aveva affermato: “La nostra speranza è appesa a Cristo Crocifisso”. A esprimere questa consolante certezza ecco, perciò, l’iscrizione con l’ancora e i due pesci nella Catacomba di Domitilla: i cristiani stanno appesi alla speranza della croce di Cristo.
Accanto alla figura allegorica del Buon pastore che porta sulle spalle un agnello, l’àncora esprime l’augurio che lo spirito del defunto sia annoverato tra le schiere degli eletti. Questo sino al sec. IV-V, quando l’immagine dell’ancora scompare dall’epigrafia cristiana per lasciare il posto alla rappresentazione della raffigurazione del Cristo crocifisso e risorto.
La simbologia paleocristiana ci suggerisce la fede di un popolo che ha camminato in quella speranza viva che chiediamo, come cristiani, ogni giorno a Dio per essere conformi alla sua immagine di uomini e donne nuovi, che sappiano di Vangelo e di vita evangelica, quella di Gesù Cristo.
Per concludere proponiamo la definizione di speranza presentata dal catechismo della Chiesa Cattolica: “la speranza è la virtù teologale per la quale desideriamo il regno dei cieli e la vita eterna come notte felicità, riponendo la nostra fiducia nella promesse di Cristo e appoggiandoci non sulle nostre forze, ma sull’aiuto della grazia dello Spirito Santo”.
Impariamo a sperare nella salvezza. È questo che chiediamo in questo tempo storico, a volte scioccante, ma anche fecondo e ricco di nuove idee e testimonianza che arricchiscono il nostro vivere da figli nel Figlio amato. Possiamo dunque sperare sempre anche quando le forze vacillano, anche quando la giornata non è positiva o in cui la volontà spinge verso azioni e sentimenti che avvertiamo non provenienti dal nostro cuore di carne che chiede di essere curato e custodito. Perseveriamo fino alla fine per ottenere gioia del cielo, quale eterna ricompensa di Dio per le buone opere che possiamo con la grazia di Cristo.
“Spera anima mia, spera.
Tu non conosci il giorno ne l’ora.
Veglia premurosamente,
tutto passa in un soffio,
sebbene la tua impazienza
possa rendere incerto ciò che è certo,
e lungo un tempo molto breve”
(Santa Teresa di Gesù Bambino)
La nostra fede
Dopo la presentazione, se pur molto sintetica, dei Libri dell’Antico Testamento, cominciamo a addentrarci nella seconda parte della Bibbia.
Il Nuovo Testamento è la raccolta di 27 libri canonici: comincia con il racconto, contenuto nei vangeli, della venuta di Gesù, della sua opera, della sua morte e resurrezione per poi continuare con gli Atti degli Apostoli, le lettere indirizzate a diverse Chiese e singoli cristiani, e si conclude infine con l'Apocalisse, ovvero la rivelazione delle cose future.
Fra la fine dell'Antico Testamento e il Nuovo intercorrono circa quattrocento anni, periodo durante il quale politicamente si susseguirono l'egemonia persiana, quella macedone ed infine quella romana.
Prima di entrare nel merito di ciascun Libro, in questo articolo vorrei soffermarmi su una caratteristica particolare dei primi tre vangeli.
I vangeli di Matteo, Marco e Luca sono detti sinottici in quanto, per le analogie dei loro contenuti, permetterebbero, se allineati su colonne parallele, una “visione d'insieme” (in greco syn, "insieme", e opsis, “li vedo con un occhio”): dei 661 versetti di cui è composto il testo di Marco, 600 ritornano in Matteo e 350 in Luca.
Dagli studi sulle possibili fasi della redazione e sulle reciproche interrelazioni dei Sinottici, è emerso che il vangelo più antico è quello di Marco, da cui sembrano discendere Matteo e Luca, anche se questi ultimi presentano molti passi in comune tra loro e che non si riscontrano in Marco.
Se ne desume che essi presuppongano (per tali parti) un'altra fonte, una più antica redazione di Matteo o un altro documento che avrebbe raccolto le parole di Gesù. Resta comunque assodato che la composizione di tutti i vangeli dovette appoggiarsi anche a una tradizione orale, fortemente radicata nella prima comunità cristiana.
Un problema essenziale, per altro di difficilissima soluzione, è la datazione dei Sinottici. Gli studiosi cattolici ritengono di poterli collocare attorno all'anno 70, mentre quelli protestanti posticipano la datazione di qualche decennio.
Altri studiosi hanno postulato, sulla base del ritrovamento in una grotta di Qumram di un frammento di papiro, identificato con due versetti del vangelo di Marco, la possibilità di retrodatare questo vangelo a un periodo precedente la caduta di Gerusalemme, forse addirittura attorno al 50 d.C.
I vangeli riflettono in modo rilevante la personalità differente dei loro autori, oltre che le diverse finalità per cui furono composti, in relazione agli ambienti culturali cui si rivolgono.
Evidenti, però, sono pure le analogie, a partire dal fatto che tutti gli evangelisti non sono letterati né uomini di cultura e sono addirittura estranei al mondo greco: tuttavia la loro lingua è semplice ed efficace, una lingua nuova si direbbe – come nuovo è il contenuto della predicazione di Gesù – intessuta di ebraismi e di espressioni vive del parlato.
Se nei vangeli sinottici si notano, da una parte, ampie convergenze tra i racconti, spesso formati da identiche parole e frasi, si colgono, dall’altra, notevoli divergenze e a volte contraddizioni. Già sant'Agostino († 430), parlava di una «concordantia discors» fra i vangeli sinottici.
Andando via di là, Gesù vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì. - Matteo 9,9
Uscì di nuovo lungo il mare; tutta la folla veniva a lui ed egli li ammaestrava. Nel passare, vide Levi, il figlio di Alfeo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì. - Marco 2,13-14
Dopo ciò egli uscì e vide un pubblicano di nome Levi seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi!». Egli, lasciando tutto, si alzò e lo seguì. - Luca 5,27-28
Qui sopra vi propongo un esempio di sinossi (visione d’insieme) su tre brani in cui possiamo notare molte somiglianze.
Dal numero estivo (a Dio piacendo), vedremo più nel dettaglio caratteristiche e contenuti di ciascun Libro, cominciando dal vangelo di Matteo, ma credo che questo articolo introduttivo, possa essere utile per affrontare con più chiarezza il proseguo del nostro percorso.
La nostra fede
Nella traduzione di p. D. M. Turoldo questo, come ricorda il card. Ravasi, è uno dei salmi più conosciuti. Lo troviamo ogni venerdì nelle Lodi e anche quest’anno ci ha accompagnato durante la Quaresima. Ai commenti tratti dal volume “I canti nuovi” aggiungiamo uno spunto di Papa Benedetto che sembra essere un eco a quanto affermato dallo stesso Ravasi.
Salmo 51 (50)
3 Pietà di me, o Dio, pietà
secondo la tua infinita tenerezza,
per quanto le viscere hai ricolme d’amore
cancella le mie infedeltà,
4 lavami e raschia via la mia colpa,
fammi mondo dal mio peccato.
5 Le mie trasgressioni io le riconosco,
il mio peccato mi sta sempre davanti.
6 Contro te, contro te solo ho peccato,
quanto è male ai tuoi occhi ho commesso:
tu, sempre giusto nelle tue sentenze,
lascia parlare la tua pietà.
7 Ecco, nella colpa sono stato generato,
peccatore mi concepì mia madre;
8 ecco, è la sincerità del cuore che tu ami,
per cui fino all’intimo
sono da te ammaestrato.
9 Purificami con l’issopo e sarò mondato,
lavami e sarò più bianco della neve.
10 Ridammi ancora gioia e letizia,
esultino le ossa che hai frantumate.
11 Distogli il tuo volto dal mio delitto,
dalle radici estirpa ogni colpa.
12 Crea in me, o Dio, un cuore puro,
rinnova in me uno spirito forte.
13 Non cacciarmi dalla tua presenza,
non privarmi del tuo santo spirito.
14 Ridammi la gioia di essere salvo,
mi regga ancora uno spirito grande.
15 Insegnerò le tue vie ai ribelli
e i peccatori a te torneranno.
16 Liberami dalla sentenza di morte,
Dio, o Dio mio salvatore,
e griderà la mia lingua
alla tua giustizia.
17 Signore, apri tu le mie labbra,
la mia bocca acclamerà la tua lode.
18 Poiché le vittime tu non gradisci,
né vuoi in dono alcun sacrificio:
19 uno spirito pentito
è il sacrificio perfetto,
un cuore contrito e umiliato, o Dio,
questa l'offerta che tu non rifiuti.
20 Nel tuo amore fa’ grazia per Sion,
le mura rialza di Gerusalemme.
21 Le giuste offerte allor gradirai,
olocausto e la totale oblazione
allora sante saranno le vittime
sacrificate sul tuo altare.
«Grazie, o Dio, per averci dato questa divina preghiera del Miserere, questo Miserere che è la nostra preghiera quotidiana... compendio di ogni nostra preghiera» (C. de Foucould)
«Il Miserere... silenzioso compagno di lacrime di tanti peccatori pentiti... la segreta biografia di anime sensibili, lo specchio della coscienza vivissima e lacerata di uomini come Dostoevskij... atto d’accusa contro ogni forma di fariseismo ipocrita» (G. Revasi)
«Infatti... più la colpa si aggrava, più essa si cela agli occhi del peccatore; ma più cresce l'umiltà, più si diventa sensibili alla minima mancanza» (Max Scheber)
Il Miserere è, forse, il Salmo più celebre, meditato interpretato, musicato, persino dipinto (dall’artista francese Georges Rouault) da una schiera immensa di uomini pentiti e convertiti. La cellula poetica e spirituale di questa supplica è, infatti, tutta in quell’appassionato «Contro te, contro te solo ho peccato!» (v. 6).
La tradizione giudaica, proprio sulla base di questa confessione, ha attribuito il Salmo a Davide adultero con Bersabea e assassino del marito della donna, Urìa (vedi 2Samuele 10-12). In realtà lo stile, il tema profetico dello «spirito» e del «cuore» come sacrificio perfetto (v. 19), l’implorazione per la ricostruzione delle mura di Gerusalemme dopo l'esilio babilonese del VI sec. (vv. 20-21), fanno pensare a un'epoca posteriore.
Resta comunque intatta la potenza interiore di questa preghiera che è simile a un terreno ricoperto per metà dalla tenebra (la regione oscura del peccato nei vv. 3-11) e per l’altra metà dalla luce (la regione luminosa della grazia nei vv. 12-19). Se il senso della colpa è vivissimo, più intensa è, però, l’esperienza del perdono, della novità dello spirito, della gioia che il Misericordioso, Dio, effonde sul peccatore pentito. Perciò più che un canto penitenziale, il Salmo 51 è la celebrazione della risurrezione alla vita nello spirito della parabola del figlio prodigo di Luca 15. (G. Revasi)
Lo stesso Spirito che ha risuscitato Gesù dai morti può trasformare i nostri cuori da cuori di pietra in cuori di carne (cfr Ez 36,26). Lo abbiamo invocato poco fa con il Salmo Miserere:
«Crea in me, o Dio, un cuore puro,
rinnova in me uno spirito saldo.
Non scacciarmi dalla tua presenza
e non privarmi del tuo santo spirito»
Quel Dio che scacciò i progenitori dall’Eden, ha mandato il proprio Figlio nella nostra terra devastata dal peccato, non lo ha risparmiato, affinché noi, figli prodighi, possiamo ritornare, pentiti e redenti dalla sua misericordia, nella nostra vera patria. (Papa Benedetto XVI, omelia del Mercoledì delle Ceneri 2012)
Preghiera
Signore, donaci sempre la grazia del rimorso;
Signore, non abbandonarci mai<
qualunque sia il nostro peccato;
Signore, tu sei più grande
di tutti i peccati del mondo;
Signore fa’ di ognuno di noi e di tutti insieme
una società di peccatori coscienti:
allora saremo salvi, Signore,
perché tu non vedi l’ora di poterci perdonare!
Giorni della comunità
Abbiamo vissuto e celebrato
Venerdì 23 dicembre
PRESEPE VIVENTE a Borno
Sabato 24 dicembre
PRESEPE VIVENTE itinerante a Ossimo Inferiore
Giovedì 6 gennaio
“Epifania del Signore” - Preghiera e bacio a Gesù Bambino, premiazione del concorso presepi. Presepio vivente a Sucinva di Lozio.
Domenica 8 gennaio
“Battesimo del Signore” - Giornata Mondiale dell’infanzia missionaria.
Martedì 17 gennaio
Giornata Nazionale per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo fra Cattolici ed Ebrei.
dal 18 al 25 gennaio
Settimana di preghiera per l’Unità dei Cristiani
Domenica 22 gennaio
FESTA DI SANT’ANTONIO a Ossimo Superiore - S. Messa, benedizione degli animali e del sale sul sagrato.
Domenica 29 gennaio
“San Giovanni Bosco” - S. Messa solenne a Borno.
Giovedì 2 febbraio
“Presentazione del Signore” Candelora - Giornata mondiale della vita consacrata
Domenica 5 febbraio
Giornata nazionale per la vita - Santa Messa solenne per le famiglie dei bambini nati nel 2022 a Borno, a Ossimo Inferiore e a Ossimo Superiore.
Quest'anno il lancio dei palloncini con i messaggi per la vita, è avvenuto alla Dassa.
Mercoledì 8 febbraio
Incontro per tutti con il “Pro Familia” di Breno e il “Progetto Cicogna”.
Sabato 11 febbraio
“Beata Vergine Maria di Lourdes” - Giornata mondiale del malato.
Domenica 12 febbraio
S. Messa solenne presso l'altare di “Nostra Signora di Lourdes” a Sommaprada di Lozio.
19 – 20 – 21 febbraio
TRIDUO DEI DEFUNTI a Borno - Ha celebrato e dettato le meditazioni il vescovo Mons. Carlo Mazza.
Sabato 25 febbraio
Fiaccolata e S. Messa per il BEATO INNOCENZO Ss. Annunciata - Berzo inferiore.
3 – 4 – 5 marzo
TRIDUO DEI DEFUNTI a Ossimo Inferiore - Ha celebrato e dettato le meditazioni Padre Cesario frate cappuccino dell’Annunciata.
4 – 5 – 6 marzo
TRIDUO DEI DEFUNTI a Ossimo Superiore - Ha celebrato e dettato le meditazioni Padre Roberto frate cappuccino dell’Annunciata.
INCONTRI QUARESIMALI
PER GLI ADULTI Centro di Ascolto presso le case in Borno e nel centro anziani di Laveno.
PER I RAGAZZI Buongiorno Gesù la mattina in chiesa a Borno e davanti alla scuola elementare a Ossimo Inferiore.
PER LE FAMIGLIE Preghiera in famiglia in diretta Facebook (parrocchiaborno) e Instagram (“oratorio_altopiano_del_sole”).
Lunedì 20 marzo
FESTA DEL PAPÀ - S. Messa a Borno con i ragazzi che accompagnano i propri papà
Venerdì 24 marzo
Liturgia della VIA CRUCIS per le strade del paese di Ossimo Inferiore animata dai ragazzi del catechismo.
Oratori dell'Altopiano
L’oratorio che vorrei… è come quello di stasera.
Nel salone ci sono molti genitori, volontari della parrocchia, qualche ragazzo e i nostri Don.
A condividere la propria esperienza sul tema dell’oratorio ci sono tre giovani curati della nostra diocesi: Don Federico, originario di un piccolo paese di montagna come il nostro e che ora gestisce una realtà grande e complessa come quella di Ospitaletto; Don Claudio, valligiano, dal 2017 curato delle parrocchie di Breno, Astrio e Pescarzo; e don Federico che dopo l’ordinazione è stato accolto nella comunità di Flero.
Guidati dalle domande mirate di Michele e Nicolò, i tre don hanno condiviso con noi molti aneddoti, spesso arricchiti da dettagli buffi e divertenti, che raccontano la quotidianità dei loro oratori: il rapporto con bambini, ragazzi e giovani e i loro diversi bisogni, il confronto con le famiglie, la collaborazione con i volontari ma anche gli aspetti pratici che si affrontano nella gestione di una struttura articolata come quella dell’oratorio.
Vengono da realtà diverse per zona, dimensioni e problematiche ma i loro racconti ci conducono verso la stessa riflessione: l’oratorio è la casa di tutta la comunità e per poter essere una casa accogliente, viva e funzionante ha bisogno della partecipazione e del contributo di tutti i suoi membri.
Una serata piacevole e, grazie alla simpatia dei tre relatori, anche molto allegra ma che ci lascia con un messaggio forte, che è al contempo un invito: l’oratorio esiste solo se viene vissuto da tutti noi.
Un genitore
Oratori dell'Altopiano
Marta Arici
Chiara Maggiori
Il 27-28-29 dicembre noi adolescenti delle parrocchie dell’Altopiano del Sole siamo partiti, con altre parrocchie della Valle Camonica, per il viaggio con destinazione Innsbruck, Monaco e Bolzano.
Nonostante le parecchie ore di viaggio e la sveglia molto presto, sono stati tre giorni pieni di emozioni.
Il primo giorno ci siamo diretti a Innsbruck, abbiamo visitato la città liberamente, camminando per le vie del centro, costeggiando anche il fiume, e ammirato il famoso tettuccio d’oro. Dopo pranzo siamo partiti per arrivare al nostro ostello a Monaco di Baviera.
Il giorno seguente, dopo una sveglia faticosa data la stanchezza, ci siamo diretti con il pullman al campo di concentramento di Dachau, dove, durante la seconda guerra mondiale, sono morte migliaia di persone vittime dell’odio nazista. Questa esperienza ci ha davvero segnati perché vedere con i nostri occhi realtà cosi dure è stato toccante. Il pomeriggio, dopo aver visitato il centro storico della città di Monaco, tutte le parrocchie si sono riunite nella chiesa di san Michele per partecipare alla santa messa.
Per concludere al meglio questa esperienza l’ultimo giorno abbiamo visitato le vie di Bolzano dove si svolgono i famosi mercatini di Natale.
Questi tre giorni, pieni di emozioni, ci hanno permesso di visitare luoghi nuovi e di passare del tempo insieme, cosa che senza questo viaggio non avremmo potuto fare.
Oratori dell'Altopiano
Chiara Corbella riceve in famiglia un'educazione cattolica e con la madre inizia a frequentare una comunità del Rinnovamento nello Spirito. Nell'estate del 2002, mentre si trova a Mediugorie con la sorella maggiore Elisa, incontra Enrico Petrillo, che si trova in pellegrinaggio con la comunità del Rinnovamento Carismatico.
Chiara ed Enrico iniziano a frequentarsi e si fidanzano; dopo sei anni, il 21 settembre 2008 si sposano ad Assisi nella chiesa di San Pietro. Al ritorno dal viaggio di nozze Chiara scopre di essere incinta, ma l'ecografia della bambina rivela un'anencefalia. I coniugi decidono che la gravidanza debba proseguire: il 10 giugno 2009 nasce Maria Grazia Letizia, che sopravvive al parto solo mezz'ora.
Dopo pochi mesi, Chiara ha una nuova gravidanza ma il bambino, cui viene dato il nome di Davide Giovanni, presenta gravi malformazioni ed è privo degli arti inferiori. La gravidanza viene comunque portata a termine; il piccolo muore il 24 giugno 2010, poco dopo la nascita.
Dopo essersi sottoposta insieme al marito a esami genetici, che escludono un collegamento fra le patologie di Maria Grazia Letizia e Davide Giovanni, Chiara ha una nuova gravidanza, ma al quinto mese le viene diagnosticato un carcinoma alla lingua, e viene sottoposta a un primo intervento il 16 marzo 2011. Per la seconda parte dell'intervento è necessario attendere la nascita del bambino, ma nel frattempo Chiara non si sottopone ad alcuna terapia per non danneggiare il feto.
Il 30 maggio 2011 nasce Francesco, completamente sano, e il 3 giugno successivo la madre affronta la seconda parte dell'intervento e inizia chemioterapia e radioterapia, ma ormai il tumore si è diffuso nell'organismo: Chiara muore il 13 giugno 2012 a Pian della Carlotta, località tra Cerveteri e Manziana, dove la coppia si era trasferita.
La giovane lascia una preziosa testimonianza di fede, come il cardinale Agostino Vallini sottolinea al funerale, celebrato a Roma il 16 giugno 2012 nella parrocchia di Santa Francesca Romana. Chiara è sepolta nel cimitero del Verano a Roma, nella stessa tomba dove riposano i suoi altri due bambini.
Secondo noi Chiara ha fatto una grande scelta e del tutto rispettabile perché dare la tua vita per salvare quella di tuo figlio è una decisione difficile e faticosa da accettare qualsiasi sia la tua scelta.
Sono convinto ogni madre darebbe la propria vita per suo figlio ma se tuo figlio non è ancora nato la decisione è difficile.
Pensieri elaborato da
Riccardo Conca e Nicola Zerla
Dalle comunità - OSSIMO
Sara
Saviori
Era il mese di aprile del 1957 e in quell’anno il Comune di Ossimo era composto da tre frazioni: Ossimo Superiore, Ossimo Inferiore e Cogno. L’Amministrazione Comunale inviava a tutte le famiglie residenti nel comune una cartolina speciale: sul davanti riporta l’immagine della Madonna dedicata e sul retro reca un invito rivolto a tutta la popolazione.
L’Amministrazione invitava tutti i cittadini a riunirsi per compiere la Consacrazione Solenne al Cuore Immacolato di Maria, in ricordo del Voto espresso alla Madona anni prima, durante gli eventi bellici del secondo conflitto mondiale. L’appuntamento era per il giorno 22 aprile 1957 nella piazza della frazione di Ossimo Superiore dove era sita la casa comunale.
Nello specifico l’invito riportava il seguente testo “Cittadini di Ossimo, durante l’ultima guerra, nei tragici giorni in cui anche il nostro Comune era in pericolo nelle sue famiglie e nei suoi beni, Autorità Civili e Religiose, insieme con tutta la popolazione, invocarono la Madonna SS. e fecero voto, in caso di suo visibile intervento, di festeggiarla annualmente con una solennità esterna. Constatata la sua materna protezione, questa Comunità ha deliberato di perpetuare il ricordo di quel Voto con una solenne Consacrazione. Pertanto il giorno 22 Aprile 1957 le tre Famiglie Parrocchiali del Comune si uniranno fraternamente per compiere questa Consacrazione. La nostra Mamma Celeste ci aspetta tutti ai suoi piedi.”
Fu durante questa solennità che venne redatta la prima pergamena dell’Atto Pubblico di Consacrazione al Cuore Immacolato di Maria Santissima.
Durante la celebrazione venne anche affissa al Municipio di Ossimo una targa facente riferimento al Voto e un’immagine della Madonna, tutt’oggi presenti sulla parete che si affaccia su Piazza Roma.
Una seconda pergamena risale invece al 2003, emessa in occasione del rinnovo del Voto. Tale pergamena fu donata dall’Amministrazione Comunale a tutti i combattenti e reduci residenti nel comune a completamento delle celebrazioni del 25 Aprile del medesimo anno.
Questi i fatti storici che durante gli anni hanno segnato la tradizione della Festa del Voto, appuntamento ormai fisso per la comunità di Ossimo nel giorno di Pasquetta. Per l’occasione, nella frazione di Ossimo Superiore, viene celebrata la S. Messa nella Chiesa Parrocchiale e in seguito la popolazione porta in processione per le vie del paese la statua della Madonna, accompagnata da preghiere, canti e dal suono della Banda. Il corteo fa sosta in Piazza Roma davanti al Municipio dove sono affisse la targa e l’immagine della Madonna e qui viene rinnovata la Consacrazione al Cuore Immacolato di Maria con la presenza del Sindaco e delle Autorità Civili e Religiose.
Questa festa è molto sentita dalla comunità di Ossimo e per l’occasione la frazione di Ossimo Superiore si abbellisce con fiori, drappi, effigi della Madonna e piccoli altari costruiti sugli ingressi delle abitazioni a ricordarci che “La nostra Mamma Celeste ci aspetta tutti ai suoi piedi.”
Dalle comunità - LOZIO
L’Associazione culturale “I Musicanti di Lozio” durante il periodo invernale ha cercato di tener vivo il paese con alcune iniziative. Il 10 dicembre si è organizzata la quinta Rassegna corale “Stella Appar” nella Parrocchiale di Villa. La nostra magnifica Chiesa è stata accuratamente addobbata per ospitare, oltre al nostro, tre cori: il coro “Lé orége dè hoi” di Bienno, il coro “Valgrigna” di Esine ed il coro “Amici del Canto” di Borno. La serata è stata molto apprezzata e tutti i cori hanno allietato il pubblico con brani in spirito natalizio. La rassegna ha fatto così da porta d’ingresso per avvicinarci al Santo Natale.
Quest’anno la nostra associazione ha deciso di modificare la data, rispetto al passato, scegliendo così il pomeriggio del 6 gennaio per rappresentare il presepe vivente e col finire delle feste natalizie ha coinvolto tutte le associazioni del territorio nella sua organizzazione. Un presepe diverso dal tradizionale, visto con gli occhi dei Re Magi. Qui la partecipazione è stata ben oltre ogni più rosea aspettativa tanto da mettere in grossa difficoltà gli organizzatori nella gestione del pubblico accorso dal fondo valle per l’occasione. La piccola ma incantevole frazione di Sucinva si è letteralmente riempita di visitatori. L’intera comunità si è attivata e resa protagonista nei preparativi, ognuno ha voluto aggiungere un qualcosa, ognuno ha voluto metter a disposizione del “suo”: case, tempo, idee. Un Presepe vivente fatto da persone vere, che hanno saputo rappresentare la nascita di Gesù nel piccolo e suggestivo borgo, mostrando arti e mestieri antichi, luoghi incontaminati dal tempo che hanno creato una piacevolissima atmosfera natalizia. Sono stati davvero in tanti a complimentarsi per l’ottima riuscita e ad esser orgogliosi di aver contribuito in qualsiasi modo. Il Presepe ha riunito un intero paesino diviso in piccole frazioni per aiutarsi, collaborare e far comunità.
Lozio ha dimostrato che, seppur con poche risorse umane ed economiche, può organizzare eventi che raccolgono grande successo di pubblico. È stato il trionfo di un’intera comunità che si è sentita partecipe di un evento del proprio paese: il presepe non ha colori, ha il potere di riunire tutte le persone che vivono in una piccola valle e mostrare con orgoglio le bellezze del proprio territorio e le proprie capacità rimanendo però sempre umili, come Gesù che nacque in una semplice capanna.
Questo presepe per Lozio non è stato un semplice evento, non è stata una semplice cosa da organizzare, è stato anche difficile mettere insieme le varie idee e opinioni ma tutto questo ha contribuito a farci sentire una comunità, ad allontanare il periodo buio del Covid e a farci guardare con speranza e serenità al futuro riscoprendo valori che contraddistinguono il nostro paese da sempre. Speriamo di poter replicare queste emozioni e voglia di fare magari con altri eventi, chissà!
Il Presidente dell’Associazione
"I Musicanti"
Dalle comunità - LOZIO
È ormai in fase di ultimazione L'ombrello della Vita che è stato collocato prima dell'abitato di Sucinva.
Un progetto voluto e studiato in Sabatando (attività del Sabato sera, presso il Centro a Laveno). Bimbi e adulti hanno riportato su pannelli, alcuni luoghi che caratterizzano le quattro frazioni di Lozio.
I pannelli sono stati colorati, disegnati e abbelliti negli ultimi mesi.
Tanti hanno collaborato nelle varie fasi di allestimento per far sì che questo lavoro si concretizzasse.
Un grazie quindi alle diverse associazioni e al Comune per i contributi economici, ma soprattutto un grazie di cuore agli artigiani di Lozio che con tanto impegno hanno realizzato il progetto e che, per renderlo ancora più bello, lo hanno illuminato.
Lo step successivo è di abbinare ad ogni luogo menzionato sui pannelli, una fotografia con una breve descrizione e relativo QR CODE, così che turisti, villeggianti e visitatori possano conoscere al meglio il nostro paese e i suoi splendidi luoghi.
Dalle comunità - LOZIO
Momenti di allegria e spensieratezza in un pomeriggio d'inverno... Il carnevale mette sempre d'accordo tutti. Tra giochi e scherzi e una piacevole merenda, anche quest'anno il carnevale ha fatto centro e la lotteria abbinata ha regalato tante sorprese!
Con i Missionari
Carissimi amici dell’Altopiano del sole, eccomi a voi con qualche notizia dal Burkina.
Noi e i nostri bambini stiamo bene. Nell’asilo di CASA SARA quest’anno ospitiamo 18 bambini gratis; vengono da famiglie sfollate da una località relativamente vicina a causa degli attacchi terroristici.
Quest’anno abbiamo avuto la gioia di ricevere la visita di un buon gruppo di amici di una associazione italiana che ci hanno fatto il regalo di una trivella perforatrice che ci era molto necessario per soddisfare i bisogni d’acqua. Accanto a queste gioie che diventano sempre più rare, viviamo invece un quotidiano fatto di insicurezza e paure. Avendo davanti agli occhi le immagini raccapriccianti che ci sono pervenute in questi tempi da Crotone, posso dire che anche noi abbiamo conosciuto la disperazione.
Sì, leggiamo la disperazione sui volti delle mamme che arrivano con i figli denutriti o malnutriti che rischiano la vita; conosciamo la disperazione di nonne o di parenti che portano dei neonati rimasti senza mamma al parto o qualche giorno dopo, anche un mese dopo, mamme morte a causa di complicazioni dopo il parto.
Le mamme se ne vanno e i bambini rimangono senza un seno da succhiare … e qui il latte in polvere costa tantissimo. La disperazione la si conosce, la si avverte: è un paese messo in ginocchio il nostro, a causa dello jihadismo, degli attentati, e si muore in continuazione per colpi sparati all’impazzata appunto da jihadisti in vari villaggi, in varie zone, che arrivano con le moto e sparano a tutto spiano, o di mine che mettono lungo i sentieri e la gente ci salta sopra. È questa la dura realtà di chi decide di partire.
Naturalmente nessuno caldeggia questo, però è la disperazione che ti porta a scelte estreme.
Noi qui siamo in resistenza già da alcuni anni. Resistiamo a tutte le varie difficoltà di ogni giorno, cominciando dal clima sempre più duro, sempre più caldo, sempre più pesante.
Questo è il periodo dell’harmattan, il vento che viene dal deserto e soffia caldo caldo caldo, ti penetra fino al midollo e porta con sé polvere, sabbia che trovi ovunque insieme a malattie. La conseguenza è la mancanza di acqua: qui piove solo nei mesi di luglio, agosto e settembre.
Ecco siamo in resistenza perché i mercati sono impazziti, i prezzi sono triplicati ed è difficile arrivare a fine mese.
Anche per noi come Associazione è molto difficile arrivare a fine mese, perché le emergenze sono tantissime. Ogni tanto lanciamo dei messaggi nella chat della nostra associazione; lanciamo SOS per l’una o per l’altra cosa perché davvero sono tante tante le difficoltà… ma non molliamo, non molliamo. Cosa vi chiedo?
Vi chiedo l’amicizia, l’affetto, vi chiedo la preghiera. Vi chiedo il cambio culturale: cercate di aiutarci a diffondere un pensiero che è quello positivo, che è quello di essere tutti fratelli, che è quello di essere tutti uniti in un’unica cordata. E poi, certo, sosteneteci nei nostri progetti perché possiamo continuare a seminare speranza tra queste strade, tra questa gente, tra questa mia gente. E grazie di tutto!
Un abbraccio forte forte da parte di tutti noi e arrivederci presto.
Vostra Patrizia
Chi desiderasse sostenere l'opera missionaria di Patrizia Zerla può farlo mediante:
c/c postale 61399754
oppure IBAN: IT 29 K 07601 03400 000061399754
intestato a: Tante Mani per… uno sviluppo solidale-Onlus
Causale: Progetto CASA SARA Burkina Faso
Con i Missionari
Questa è una delle testimonianze e notizie che i Padri Saveriani hanno raccolto in una pubblicazione in memoria di P. Giacomo.
Negli ultimi anni ‘80 sono stato coinvolto nella parrocchia, nell’oratorio e nel gruppo missionario. Spesso durante l’estate, fra Grest e altre proposte estive per ragazzi e adolescenti, capitava che un missionario originario del nostro paese tornasse per un breve periodo di riposo. È stato così che ho avuto la fortuna di conoscerti e poter godere della tua amicizia, carissimo Padre Giacomo.
Nelle tue riflessioni durante le Messe, negli incontri con lo stesso gruppo missionario in cui con passione ci raccontavi del tuo Bangladesh e poi di Manila e delle tue Filippine, ma anche intorno ad un tavolo per condividere in gioiosa fraternità un pranzo o una pizza insieme ad altri amici, ci facevi respirare davvero una visione aperta al mondo. Non omettevi certo problemi, miserie e difficoltà, ma nutrivi e trasmettevi una grande speranza negli uomini e in quel regno di Dio che, nonostante tutto dicevi, continua a crescere, a diffondersi, ad incarnarsi.
Così scrivevi in una breve presentazione della tua povera persona, come ti definivi, per la Quaresima Missionaria 2006: “Dovunque ho girato nel mondo ho visto che il bene e la speranza sono fioriti là dove qualcuno ha lavorato e sudato insieme a Dio e Dio con lui… Dio si fa uomo e si fa vicino a chi è nel bisogno ogni giorno per mezzo nostro. Se noi, per paura di perderci, ci tiriamo indietro... Dio non può che aspettare pazientemente fino a che qualcun altro si farà avanti e gli dirà: «Eccomi, ci sto a rischiare con Te»”.
Conservo sempre nella mente e nel cuore gli esempi semplici, concreti e spesso sorprendenti con i quali sapevi farci cogliere aspetti profondi, mutamenti sociali, bisogni e aspirazioni delle persone.
Paragonavi, ad esempio, le baraccopoli di Manila ad un organismo vivo in cui le cellule, anche in situazioni di estrema povertà, continuano a rinascere, a rigenerarsi. Raccontavi, infatti, che quando per costruire una strada le autorità decidevano con le ruspe di distruggere centinaia di baracche, dopo poco tempo queste, a qualche decina di metri di distanza, venivano di nuovo ricostruita e la vita delle famiglie che le abitavano, nonostante tutto, andava avanti.
Ma una delle immagini che più è rimasta dentro di me è stata quella del carretto con il motore della Ferrari. Dicevi che in certi paesi la vita delle persone poteva essere paragonata a quella dei nostri nonni che caricavano il fieno su carretti di legno sgangherati ma che andavano più che bene per il ritmo lento e la vita di quei tempi. Mentre però i nostri nonni potevano vedere e sperimentare solo il loro mondo, affermavi che in quei paesi – dove la televisione e poi il telefonino sono presenti ormai anche nelle abitazioni più disumane e disperate, o dove a qualche centinaia di metri delle baraccopoli si trovano quartieri super moderni e super ricchi – alla gente viene sbattuta in faccia un altra realtà di vita comoda, lussuosa, attraente. Proprio come un carretto spinto dalla potenza mostruosa di un motore della Ferrari sarebbe destinato a saltare e dilaniarsi in mille pezzi, così questo enorme contrasto tra povertà e ricchezza, tra miseria e reali o apparenti promesse di vita facile e felice stava provocando (e provocherà) sempre più esplosioni e conflitti nelle famiglie e nella società.
Sono passati molti anni da quando ci facevi ragionare su questa immagine. Pensando a ciò che abbiamo visto e vissuto nella storia recente – migrazioni, atti di terrorismo, realtà sempre più vorticose e frastornanti – sembra che tu sia stato purtroppo profetico. A volte seguendo gli avvenimenti, ma anche i cambiamenti sociali delle nostre famiglie e comunità, abbiamo l’impressione di non riuscire più nemmeno a raccogliere i pezzi più grossi di quel carretto che è la nostra vita.
Eppure, nonostante queste tue analisi profonde e disincantate della realtà, per quel poco che ho potuto conoscerti ed apprezzarti, riuscivi sempre a mantenere una grande fiducia nell’uomo e una grande speranza nella pazienza di Dio. Dicevi che Lui non si stanca di aspettarci. Non smettevi mai di credere che i tuoi studenti internazionali – ai quali ricordavi che la vera strada da percorrere è quella verso il basso, verso la scelta degli ultimi – avrebbero potuto davvero lavorare affinché il regno di Dio penetrasse nell’immensa Asia.
Con l’iniziativa delle Messe e delle confessioni nei grandi centri commerciali di Manila, come scrivevi nelle tue email di questi ultimi anni, ribadivi un’esigenza di cui mi parlavi al termine di un pranzo con due nostri cari amici (che ci ospitavano e ci facevano incontrare nella loro bella famiglia) e che condivido con tutto il cuore: in mezzo al frastuono e alla confusione in cui siamo immersi costantemente, abbiamo più che mai bisogno di momenti di silenzio, di ascolto interiore per riprendere fiato.
Nell’intervista, sempre via email, che ti ho scroccato un paio d’anni fa, dicevi infatti che “Il cristianesimo per sopravvivere dovrà essere vissuto ad un’altra dimensione, più profonda, personale e qualcuno dice più “mistica”… Tanti stanno già rendendosi conto e cominciano a pensare di più. Dio ci sta già prendendo da dentro e ce la farà a renderci più profondi, più in comunione, più mistici. La spiritualità non è solo per monaci nel convento, ma ancor di più per i vagabondi nel mondo connessi al Dio del loro cuore”.
Caro Padre Giacomo ci dicevi che Dio chiama tutti, cristiani, musulmani, buddisti, a questa profondità, alla danza della vita, quella vita in cui tu hai creduto profondamente, quella vita che hai amato e servito in diversi luoghi del mondo. Ora che tu vivi questa danza senza fine, aiutaci sempre a rimanere aperti… al mondo.
Franco
***
Era il lontano 2014 quando la dottoressa Elena Salvetti ci ha contattato per conto del Consultorio Familiare G. Tovini di Breno, per proporci questa attività, un percorso di Stimolazione Cognitiva.
Fin da subito ad alcuni di noi è sembrato interessante, sicuramente un’opportunità da non sprecare.
Abbiamo iniziato con incontri individuali per poi passare a incontri di gruppo, e da qui ci si è aperto un mondo.
L’esperienza di gruppo ci arricchisce a 360°, non solo centra l’obiettivo della Stimolazione Cognitiva, ma diventa confronto, relazione, coinvolgimento e soprattutto divertimento.
Scontrarsi con i propri limiti, confrontarli con quelli degli altri, lavorare per superarli, sono tutti passaggi affrontati con serenità ed allegria, e quando si arriva al risultato il divertimento assume anche l’aspetto dell’orgoglio di avercela fatta e ancor di più di averlo fatto insieme.
Per noi è diventato un appuntamento imperdibile!.
Sira Appolonia e le partecipanti
Associazione familiare G. Tovini Onlus
Via SS.M.Guadalupe 10 - Breno
Tel. 0364/ 327990
Email: info@consultovini.it
Nomi e Volti
Beatrice Maria Bigoni di Roberto e Nadia Magnolini - Borno 14 gennaio 2023
Emma Gheza di Francesco e Cristina Pedersoli - Borno 5 febbraio 2023
Anna Gheza di Gregorio e Francesca Rivadossi - Borno 5 marzo 2023
Nomi e Volti
Nadia Piana e Massimo Sciola
Rodengo 4 agosto 2022
Nadia Magnolini e Roberto Bigoni
Borno 14 gennaio 2023
50°
Felicitazioni a
Vittoria Sarna e Angelo Venturelli
30 dicembre 2022 - Borno
Nomi e Volti
Margherita Malazzi
10 feb 1927 - 31 dic 2022
Maddalena Franzoni
7 giu 1929 - 1 gen 2023
Natalina Ferrari
20 gen 1938 - 5 gen 2023
Marco Odelli
16 giu 1936 - 27 gen 2023
Bortolo Arici
26 giu 1944 - 1 feb 2023
Giacomina Rivadossi
11 lug 1945 - 2 feb 2023
Giovanni Re
9 apr 1933 - 5 feb 2023
Giacomo Fiora
27 nov 1947 - 9 feb 2023
... perché non abbandonerai la mia vita nel sepolcro, né lascerai che il tuo santo veda la corruzione.
Mi indicherai il sentiero della vita,
gioia piena nella tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra.
Dal salmo 16
Bortolo Fiora
5 giu 1935 - 23 mar 2023
Maria Bertoni
18 nov 1939 - 30 dic 2022
Fermo Antonio Zendra
31 ago 1966 - 27 gen 2023
Bruno Celeste Isonni
21 mar 1962 -23 feb 2023
Renato Odelli
16 giu 1926 - 21 dic 2022
Bortolina Calzoni
8 mar 1966 - 8 gen 2023
Giacinto Silvio Zerla
14 lug 1933 - 20 gen 2023
Pietro Isonni
27 feb 1947 - 29 gen 2023
Giovanni Tedeschi
31 ott 1932 - 2 feb 2023
Luigi Vanoli
11 feb 1933 - 11 dic 2022
Maria Elena Canossi
17 set 1936 - 12 dic 2022
Cristina Molinari
7 ago 1939 - 25 dic 2022
Cipriano Montrasi
27 lug 1953 - 30 dic 2022 (a Pero MI)
Pietro Piccinelli
3 gen 1931 -17 gen 2023
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