Pasqua 2024
una lontana sera di Pasqua di duemila anni fa, due amici lasciavano Gerusalemme per tornare ad Emmaus, il loro villaggio. In quegli undici chilometri di cammino parlavano tra loro, il volto era triste e il cuore appesantito. Avevano riposto in Gesù di Nazaret grandi speranze, erano rimasti affascinati dal suo modo di parlare in parabole con una sapienza non semplicemente umana, e stupiti dai segni straordinari che egli compiva. Gli eventi avevano preso, però, nel giro di pochi giorni, un’altra piega. I capi avevano deciso di toglierlo di mezzo, con atroci sofferenze, condannandolo alla morte di croce. Poi, una grossa pietra era stata posta all’ingresso del sepolcro che custodiva il corpo morto di colui che avevano creduto essere il Messia. Avevano sentito raccontare dalle donne, andate alla tomba al mattino presto, che la pietra era stata rotolata via e avevano visto degli angeli. E anche questa sembrava l’ennesima beffa, fonte di preoccupazione e di delusione.
Di questo parlavano i due amici sulla strada per Emmaus, mentre si unisce a loro lo stesso Gesù. I loro occhi però non sono capaci di riconoscerlo, in lui vedono un semplice viandante lontano dalla realtà: tocca loro aggiornarlo su ciò che era successo a Gerusalemme e che li aveva resi tristi nel volto e appesantito il cuore. Mentre Egli parlava con loro, seppure con tono di rimprovero e mostrando di conoscere le scritture, nel loro cuore qualcosa si muove; dubbi dapprima, poi forse, qualcosa simile alla speranza. A sera, giunti a casa, lo invitavano a fermarsi con loro e finalmente i loro occhi diventavano capaci di riconoscerlo. Dal loro cuore si dissolvono i dubbi e la speranza prorompe e diventa certezza da condividere e da comunicare.
Provo a trasporre quel cammino di undici chilometri a quello di tanti uomini e donne che affrontano tratti di vita oggi, in una qualsiasi mattina di Pasqua, con il volto triste e il cuore appesantito da tante preoccupazioni e notizie tristi. Non serve raccontarle, ne abbiamo ogni giorno un’abbondante narrazione. Dove è Dio in queste circostanze e situazioni difficili? Anche noi lo pensiamo lontano e lo vorremmo vedere esprimersi in grandi segni che risolvono i problemi. Gli occhi non lo riconoscono: i dubbi soverchiano la speranza. Lui però è lì, vicino, ci parla ma i nostri occhi sono incapaci di vederlo, il nostro cuore fa fatica, perché si affanna a voler trovare risposte. E Lui non se ne va, continua ad accompagnarci, anche se noi non capiamo. Poi, ad un tratto, qualcosa ci si smuove dentro ed è allora che, come i due amici di Emmaus, sentiamo che la prossimità di quel viandante ci piace, ci scalda il cuore e ci fa dire: “resta con noi perché si fa sera. Vieni a casa nostra, facci compagnia perché stiamo bene con te”. E così i nostri dubbi piano piano ci lasciano, le spiegazioni ai mali del mondo non ci interessano più. Cristianamente comprendiamo che ciò che serve alla nostra vita non sono le spiegazioni piene di concetti profondi, ma che se cerchiamo la sua vicinanza, sentiremo la sua presenza e affrontare il cammino della vita sarà meno duro. È in quel preciso istante che la speranza avrà dissipato i dubbi e l'orizzonte non sarà più così buio.
La Pasqua, ora come allora, non è altro che permettere a Gesù risorto di accompagnarci nel nostro cammino su questa terra. Lasciamo che ci sia accanto nel cammino della vita, disponiamo il nostro cuore ad ascoltarlo, a non darlo per scontato, a non relegarlo solo nelle liturgie e nelle celebrazioni. Impariamo a scoprirlo non tanto aspettando che grandi eventi possano stravolgere la storia e risolvere i problemi, ma ascoltando la sua parola che ci fa dire “resta con noi”, qui, in questo mondo martoriato dalle guerre, dalle ingiustizie perché il nostro cammino abbia un orizzonte che è speranza e senso di vita.
Buona Pasqua ora come allora!
Cristo è Risorto,
Cristo Risorge!
vostro don Paolo
Domenica 10 dicembre Consegna del libro della Bibbia ai bambini del 4° anno “Gerusalemme”.
Domenica 17 dicembre Presentazione dei Cresimandi e dei Comunicandi. Benedizione al Bambin Gesù del presepio e Natale dello sportivo.
Giovedì 21 dicembre PARALITURGIA DEL NATALE a Borno.
Sabato 23 dicembre S. Messa sul Monte Arano con il C.A.I.
Domenica 24 dicembre PRESEPIO VIVENTE itinerante a Ossimo Inferiore.
Sabato 6 gennaio PRESEPIO VIVENTE nell’abitato di Laveno di Lozio. Organizzato dall’Associazione culturale “I Musicanti”, patrocinato dal Comune di Lozio in collaborazione con tutte le associazioni del Paese.
Sabato 6 gennaio “Epifania del Signore” Preghiera e bacio a Gesù Bambino, premiazione del concorso presepi.
Domenica 21 gennaio FESTA DI SANT’ANTONIO a Ossimo Superiore: S. Messa, benedizione degli animali e del sale sul sagrato.
Domenica 28 gennaio “San Giovanni Bosco” S. Messa solenne e giornata del Seminario a Borno.
Sabato 3 febbraio Benedizione della gola per la festa di San Biagio.
Domenica 4 febbraio Giornata nazionale per la vita: Santa Messa solenne per le famiglie dei bambini nati nel 2023 di Borno, Ossimo Inf. e Ossimo Sup.
Domenica 11 febbraio “Beata Vergine Maria di Lourdes”: Giornata mondiale del malato.
11 – 12 – 13 febbraio TRIDUO DEI DEFUNTI a Borno: ha celebrato e dettato le meditazioni don Angelo Corti, parroco di Molinetto.
16 – 17 – 18 febbraio TRIDUO DEI DEFUNTI a Ossimo Superiore: ha celebrato e dettato le meditazioni Padre Piergiacomo, frate capp. dell’Annunciata.
23 – 24 – 25 febbraio TRIDUO DEI DEFUNTI a Ossimo Inferiore: ha celebrato e dettato le meditazioni Padre Piergiacomo, frate capp. dell’Annunciata.
In Quaresima
PER GLI ADULTI: Centri di ascolto a Borno, Ossimo Inferiore e Lozio.
PER I RAGAZZI. Buongiorno Gesù, preghiera al mattino davanti alla scuola elementare di Borno e di Ossimo Inferiore.
Venerdì 22 marzo ore 20.30 Liturgia della VIA CRUCIS per le strade di Borno, animata dai ragazzi del catechismo.
Lunedì 25 marzo ore 20.30 VIA CRUCIS interparrocchiale a Ossimo Superiore.
Luca
Dalla Palma
L’autore del Vangelo di Luca, è probabilmente un cristiano non ebreo vissuto intorno all’80 d.C. Si dice di lui che fosse un medico originario di Antiochia di Siria e che fosse probabilmente discepolo e amico di Paolo di Tarso.
La scansione narrativa del terzo Vangelo ricalca quella già proposta nei vangeli di Marco e di Matteo.
Il Vangelo secondo Luca è suddiviso in ventiquattro capitoli. Inizia con la nascita di Giovanni Battista e con quella di Gesù, entrambe descritte come prodigiose, poi si concentra sulla vita del Cristo, sulla sua predicazione, fino alla morte e resurrezione.
Possiamo intravedere uno schema nella struttura del testo che divide l’intero vangelo in cinque grandi blocchi:
L’autore si pone nei confronti della vita di Gesù come uno storico e come un narratore. Lo stile del testo è quello tipico della storiografia dell’epoca, sobrio, scorrevole e, nello stesso tempo, più elaborato rispetto a Marco e Matteo, probabilmente frutto dei suoi studi in medicina.
Il Vangelo secondo Luca si rivolge ad ascoltatori non ebrei. Anzi, prende in un certo senso le distanze all’ebraismo, limitando le citazioni e i riferimenti all’Antico Testamento al minimo. Questo allontanamento emerge anche dal fatto che l’autore scrive che la condanna di Gesù fu voluta dagli ebrei, e non da Ponzio Pilato.
La prima cosa che salta all’occhio nel Vangelo è l’attenzione riservata ai poveri, ai diseredati e, in generale, a tutte le minoranze, agli oppressi e ai perseguitati e ai sentimenti che Gesù riserva loro. Le parabole contenute nel testo, che non appaiono negli altri vangeli, come quella del Padre misericordioso, della pecorella smarrita e della moneta perduta si riferiscono proprio alla pietà, al perdono e alla misericordia.
Luca riconosce il valore della missione di Gesù come predicatore, dando spazio a miracoli e atti straordinari, ma pone l’attenzione in particolare sulle sue doti più umane, sulla sua dolcezza, la sua bontà e la sua compassione. Queste virtù, contrapposte alla ricchezza e al potere terreno, sono indicate come cammino di fede ed elevazione spirituale, nonché un richiamo alla Grazia e allo Spirito Santo come fonte di Salvezza e Vita Eterna.
Il Vangelo di Luca riserva inoltre ampio spazio alle donne. È il racconto di donne molto diverse tra loro, per età, per condizione “morale” e per coraggio.
Donne che, sull’esempio degli apostoli, seguono Gesù nel suo cammino come (8, 1-3; 23,49) Maria Maddalena, o Giovanna, sposa di un cittadino importante. Donne deboli e sofferenti a cui Gesù riserva un’attenzione speciale come la suocera di Pietro (4, 38-39); la vedova di Nain (7, 11-17) e la donna che soffriva di emorragia (8, 43-48).
Donne che con coraggio proclamano pubblicamente la loro ammirazione per Gesù, andando contro alle norme e alle consuetudini dell’epoca (11, 27-28). Ci sono infine le donne presenti durante la dura passione di Gesù e le donne prime testimoni della sua resurrezione.
Tutte queste donne, per quanto differenti tra loro, ci portano lo stesso messaggio: ci insegnano che l’incontro con Gesù cambia la vita, se nella relazione con Lui non si rimane in superficie, se non ci si ferma a qualche aspetto visibile, ma marginale.
Gesù trasforma, libera e salva la vita di coloro che, con umiltà e docilità, accettano di lasciarsi guardare per quello che sono.
Don Stefano
L’anno 2024 è stato inaugurato non solo da feste e momenti spensierati di felicità, ma anche da tristi episodi di femminicidio e di delinquenza che connotano uno stile contemporaneo deleterio e a volte, per qualcuno, incomprensibile. La lista dei femminicidi nei primi mesi dell’anno riscontra sette episodi di violenza, segnati da una frustrazione sociale sollecitata dalle continue informazioni ricevute dai mass media e che portano la mentalità popolare a chiedersi il significato di tante atrocità e soprattutto quale tipo giustizia il giudice emana ai colpevoli assassini di questi fatti.
Il tema della giustizia oggi giorno è sulla bocca di tutti, ma in realtà è veicolato un messaggio diverso da quello che fa riferimento alla giustizia divina. Nella consapevolezza popolare rimane un piccolo riferimento a quella giustizia che si cerca di insegnare ai più piccoli, in età infantile e scolare: se rubi la gomma dall’astuccio del compagno e sei scoperto, la giustizia ti impone di riconsegnare quella gomma a chi appartiene; se qualcuno racconta frottole e a sua volta scoperto, è richiamato davanti al fatto a spiegare la verità!
Nel dizionario di teologia biblica l’autore Leon-Dufour evidenzia una distinzione da porre per il termine GIUSTIZIA; egli parla di giustizia umana e giustizia divina. La giustizia umana fa riferimento già dall’antichità alla legislazione israelitica che esige dai giudici una certa integrità nell’esercizio della loro funzione come viene scritto in Dt 1,16 e in Lev 19,15.36. In altri testi il “giusto” è la persona integra rettamente, che può giustificare l’innocente e reintegrarlo nel suo diritto (cfr. Pr 17,15). I profeti cercano di richiamare la dimensione religiosa e morale della ingiustizia, la loro esortazione è «praticate il diritto e la giustizia» (Os 10,12). Essi attendono il Messia come futuro principe integro che esercita la giustizia, senza debolezza.
L’essere conformi alla legge è fonte di giustizia e di santità vera, perché il termine giustizia designa questa condotta buona e retta; la giustizia non è altro che la benedizione di Dio che ricompensa la pietà del pellegrino.
La vera giustizia, in conformità alla religiosità ebraica, è la capacità di essere fedeli all’antica legge, seguendo quei “giusti” precetti consegnati nella Torah. Questo tipo di giustizia deve regolare anche i rapporti con gli uomini, non solo quelli con Dio. In Sap 1,1-15 si legge che la giustizia è la «sapienza messa in pratica», del resto la giustizia insegna la forza per mettere in azione ogni virtù cardinale.
Nel Nuovo Testamento l’esortazione alla giustizia come riferimento al senso giuridico della parola, non è al centro del messaggio di Gesù. Del resto al tempo di Gesù, l’esercizio della giustizia spetta in parte ai Romani. Gesù si preoccupa dell’ipocrisia, del fanatismo, del fariseismo ed esorta i suoi contemporanei a praticare una giustizia che non deve essere legalistica come quella degli scribi e dei Farisei. Gesù non ha paura di definire la giustizia come obbedienza spirituale ai comandamenti di Dio. Matteo nel suo Vangelo presenta Gesù come colui che vuole portare a termine, a compimento la giustizia antica; giustizia intesa comunque come una regola di vita, una legge che bisogna praticare e verso la quale rimanere fedeli.
Il mondo della Chiesa nascente non vede il centro del suo messaggio e della sua predicazione sul concetto di giustizia, perché i problemi ritenuti più urgenti e preoccupanti da affrontare sono l’incredulità dei giudei e l’idolatria pagana, non le questioni di giustizia sociale.
Non in secondo piano si posiziona quella che possiamo definire la giustizia divina, ovvero quella giustizia che proviene direttamente da Dio, che direziona i suoi “castighi” non tanto contro i nemici, quanto contro i peccatori, anche israeliti.
Questa giustizia comprende anche il giudizio favorevole di Dio e la liberazione dell’uomo dal suo peccato. Lo stesso Dio che si presenta e viene ritenuto, come è naturale, giudice, è invocato e celebrato soprattutto come il Dio giusto e il Dio clemente (Sal 116,5), sottolineando questo aspetto positivo della giustizia. Sappiamo che per la giustizia divina Dio libera gli oppressi, libera i prigionieri, libera da ogni male chi chiede di essere liberato e amato.
Il messaggio biblico sulla giustizia presenta, quindi, un duplice aspetto. L’uomo deve “compiere la giustizia” e questo dovere è inteso in modo sempre più interiore, e termina in “un’adorazione di spirito ed in verità". L’uomo comprende di non poter acquistare, adempiere questa giustizia con le proprie opere, ma che può riceverla e accoglierla davvero solo mediante il dono della grazia. In definitiva la giustizia di Dio non può ridursi all’esercizio di un giudizio, ma è anzitutto misericordiosa fedeltà ad una volontà di salvezza che crea, fa sorgere nell’uomo il desiderio di aderire e conformarsi alla giustizia che Dio esige da lui.
La giustizia, in fin dei conti, si presenta come quella virtù sulla quale possiamo conformare il nostro essere, il nostro modo di vivere in forma contraria all’ingiustizia.
Questa si manifesta in azioni contro le persone – omicidio, mutilazione, flagellazione, incarcerazione – contro le cose – furto e rapina – e in parole contrarie alla verità: false accuse, falsa testimonianza, contumelia, diffamazione, mormorazione, irrisione, maledizione. Tutte queste azioni e parole sono vizi che si oppongono alla giustizia umana e divina.
La vera giustizia rimane la fede in Cristo, colui che ha inaugurato una giustizia diversa da quella del popolo d’Israele, superiore a quella dei dottori della legge; una giustizia che giunge a giustificare, rendere giusti i peccatori con il perdono a loro promesso (Lc 18,14).
A noi che camminiamo nella storia, non rimane altro che “ricapitolare in Cristo tutte le cose”. È l’augurio che ci rivolgiamo vicendevolmente nel comprendere che la giustizia degli uomini non arriverà mai a toccare quella di Dio, in particolare quella che i cristiani assaporano e vivono all’interno del Sacramento della Riconciliazione, lo strumento per eccellenza in cui si manifesta la misericordia e l’amore di Dio per gli uomini, la sua giustizia nella quale possiamo sempre sperare.
È significativo prendere come riferimento il padre putativo di Gesù, Giuseppe, il giusto per eccellenza. La sua vita è stata un dono di giustizia. Lui si è fidato ciecamente nel Dio della sua vita, ha avuto quella fiducia che è anch’essa una virtù per una vita santa e significativa.
Il santo Padre papa Francesco parla di giustizia come atteggiamento del “dare a ciascuno il suo”: ciò significa che ogni persona ha diritto di ricevere quello che gli spetta, ciò di cui ha bisogno. Ma se è difficile per noi uomini definire a priori cosa e quanto spetti a ciascuno, sempre il santo Padre ci ricorda che quella di Dio «è una giustizia che viene dall’amore, da quelle viscere di compassione e di misericordia che sono il cuore stesso di Dio, Padre che si commuove quando siamo oppressi dal male e cadiamo sotto il peso dei peccati e delle fragilità. La giustizia di Dio, dunque, non vuole distribuire pene e castighi ma, come afferma l’Apostolo Paolo, consiste nel rendere giusti noi suoi figli (cfr Rm 3,22-31), liberandoci dai lacci del male, risanandoci, rialzandoci».
Fin dall’antichità la giustizia viene rappresentata con una donna, che sorregge in una mano la spada della verità, mentre dall’altra sostiene la bilancia, simbolo dell’equità e della pari uguaglianza. L’Arcangelo Michele sorregge anch’esso la bilancia, per tarare le colpe di ciascuno essere umano. L’arte della pittura e della scultura ha rappresentato tutta questa grande verità: la giustizia è uguale per tutti, ricchi e poveri, giovani e vecchi, vicini e lontani. Analoga a questo aspetto è la morte, che nessuno risparmia e dalla quelle nessuno è tolto, come racconta Alessandro Manzoni nel celebre romanzo “i Promessi Sposi”.
Per concludere chiediamo di avere una grande fede, come quella che Gesù elogia al centurione venuto a chiedere aiuto per la situazione di suo figlio che sta per morire.
È una fede genuina, che vogliamo chiedere noi come comunità cristiana in cammino verso la vera giustizia.
“A ciascuno il suo” nella misura in cui riusciremo a dare il “giusto” a Dio e al nostro prossimo nella quotidianità, cioè colui che ogni giorno ci circonda, ci guida, ci sprona a vivere la vita con uno sguardo più alto, più bello e genuino, quello di come Dio ci vuole, così come siamo.
Nella Messa della prima domenica di Quaresima abbiamo ascoltato una parte di questo salmo che confida e sollecita la bontà, la misericordia e l’amore del Signore. Ve lo riproponiamo con il commento di mons Guido Marini (www.donguido.it) e una breve nota della biblista protestante Lidia Maggi.
SALMO 25 (24)
Alef 1 A te, Signore, innalzo l'anima mia,
Bet 2 mio Dio, in te confido:
che io non resti deluso!
Non trionfino su di me i miei nemici!
Ghimel 3 Chiunque in te spera non resti deluso;
sia deluso chi tradisce senza motivo.
Dalet 4 Fammi conoscere, Signore, le tue vie,
insegnami i tuoi sentieri.
He 5 Guidami nella tua fedeltà e istruiscimi,
perché sei tu il Dio della mia salvezza;
Vau io spero in te tutto il giorno.
Zain 6 Ricordati, Signore,
della tua misericordia
e del tuo amore, che è da sempre.
Het 7 I peccati della mia giovinezza
e le mie ribellioni, non li ricordare:
ricordati di me nella tua misericordia,
per la tua bontà, Signore.
Tet 8 Buono e retto è il Signore,
indica ai peccatori la via giusta;
Iod 9 guida i poveri secondo giustizia,
insegna ai poveri la sua via.
Caf 10 Tutti i sentieri del Signore
sono amore e fedeltà
per chi custodisce la sua alleanza
e i suoi precetti.
Lamed 11 Per il tuo nome, Signore,
perdona la mia colpa, anche se è grande.
Mem 12 C'è un uomo che teme il Signore?
Gli indicherà la via da scegliere.
Nun 13 Egli riposerà nel benessere,
la sua discendenza possederà la terra.
Samec 14 Il Signore si confida con chi lo teme:
gli fa conoscere la sua alleanza.
Ain 15 I miei occhi sono sempre
rivolti al Signore,
è lui che fa uscire dalla rete il mio piede.
Pe 16 Volgiti a me e abbi pietà,
perché sono povero e solo.
Sade 17 Allarga il mio cuore angosciato,
liberami dagli affanni.
18 Vedi la mia povertà e la mia fatica
e perdona tutti i miei peccati.
Res 19 Guarda i miei nemici: sono molti,
e mi detestano con odio violento.
Sin 20 Proteggimi, portami in salvo;
che io non resti deluso,
perché in te mi sono rifugiato.
Tau 21 Mi proteggano integrità e rettitudine,
perché in te ho sperato.
22 O Dio, libera Israele
da tutte le sue angosce.
Introduzione
Il salmo ha un struttura ispirata all’alfabeto ebraico. Funzione mnemonica
Rimando alla totalità dell’esperienza personale. Si presenta come una supplica individuale: l’orante è soggetto ai nemici e si rivolge a Dio perché lo liberi da questa situazione.
Il cuore del salmo è il tema della via.
Nella sua agenda del 23 gennaio 1948 Bernanos scriveva: “Quale dolcezza pensare che, pur offendendolo, noi non cessiamo mai di desiderare nel più profondo santuario dell’anima ciò che egli desidera”.
Analisi del testo
v. 1: È l’antifona iniziale che riporta l’atteggiamento richiesto a chi prega. E come se si desse l’indicazione: “elevare l’anima”. La stessa cosa avviene nel prefazio della Messa. L’anima è una parola il cui significato nasce dal suono con cui la si pronuncia: il primo significato è gola, da cui ciò che passa per la gola (l’aria, il respiro) e , in ultimo l’anelito dell’uomo, il suo essere desiderio. La visione unitaria dell’uomo biblico: tutta la vita dell’uomo che si innalza a Dio.
v. 2-3: Il salmista professa la propria fiducia in Dio e spera di non restare deluso. La ragione di questa speranza non è specificata; lo sarà nel corso del salmo. Parla di nemici e traditori. Il tradire senza motivo richiama il linguaggio tipico dell’alleanza con la specificazione del peccato di idolatria. Il concetto di inutilità e futilità è spesso accostato agli dei, che non hanno consistenza, non esistono. Il salmista desidera che i nemici facciano esperienza del nulla. L’orante vive in un tempo di pericolo. Nel complesso è una situazione di crisi per la fede. Siamo forse al tempo del ritorno dall’esilio, quando i più fedeli, ritornati in patria, si trovarono delusi, contestati, soli. Vale la pena essere fedeli alla legge del Signore? È la preghiera dell’uomo che vuole credere nonostante tutto.
v. 4-5: Abbondano i termini relativi alla via, al cammino, al sentiero. Siamo davanti a una metafora del cammino morale spirituale. Il tema delle due vie si ritrova spesso nella Bibbia. I salmi 1 e 2 (detti portale del libro dei salmi) parlano proprio di queste due vie: Una porta alla vita felice, l’altra alla rovina.
v. 6-7: Con l’imperativo “ricordati” il salmista fa appello alla misericordia e alla bontà di Dio. È un verbo tipico della Bibbia. È rivolto da Dio all’uomo, ma anche dall’uomo a Dio. I termini amore e fedeltà rimandano all’amore viscerale, tipico dell’amore materno verso il figlio. Ora è quasi il salmista che istruisce Dio: “non ricordare i peccati…”. Questa istruzione rende più consapevole il salmista dei propri peccati. L’orante anziano conosce il proprio stato di trasgressione. Il primo termine che usa indica il fallimento, sbagliare bersaglio. Il secondo termine indica sia i peccati sociali che l’infedeltà verso Dio.
v.8-11: Ritorna per due volte il termine “poveri”. Si tratta di coloro che vivono anche nella povertà materiale, ma soprattutto nella dimensione spirituale dell’umiltà , per cui confidano in Dio. Il salmista che ha iniziato il salmo appartiene a questa categoria di “poveri del Signore”.
v.12-15: Dio si fa confidente di colui che vive nell’alleanza. È la storia dei suoi grandi amici: Abramo, Mosè… È bellissimo il gioco degli sguardi (“I miei occhi sono sempre fissi”, “Vedi”). Il richiamo alla terra. Certamente si rimanda alla terra di Canaan, ma progressivamente il termine è spiritualizzato indicando una terra al di là dei confini di Israele, e poi una vita piena che il Signore dona in questo mondo e nell’al di là. La comunione con Dio. La terra che è Gesù.
v. 16-19: Emerge che il motivo dominante lo stato di angoscia dell’orante è il proprio peccato. Il nemico è anche all’esterno, ma ciò che turba di più è la condizione di lontananza da Dio.
v. 21-22: Un inno alla speranza e un ampliare la prospettiva sull’intero Israele.
mons Guido Marini
* * *
… L’immagine sicura del Dio che guida i passi si fa sfocata, sfugge. E la preghiera diventa corpo aggrappato ad una fune scivolosa: «Io confido in te o Dio, tu sei colui che mi guida nei sentieri della vita, eppure smarrisco la strada e sperimento l’opposizione di forze nemiche. In questo spaesamento, ti prego, almeno Tu rimani: non deludermi anche Tu, o Dio!». Nella crisi può accadere che la fede si rafforzi: quando tutto è instabile e precario potrebbe essere più facile affidarsi a Dio. Ma qualche volta, proprio come nel nostro tempo, anche il cielo diventa precario, anche il rapporto con Dio va in crisi, si rivela instabile, incapace di sorreggere. E allora diventa preziosa la preghiera di questo salmo, che potremmo accostare ad una vecchia canzone d’amore di Mia Martini:
«Tu, tu che sei diverso
Almeno tu nell’universo
Non cambierai
Dimmi che per sempre sarai sincero
E che mi amerai davvero
Di più, di più, di più...»
Mentre le certezze vengono meno, almeno Tu, o Dio, non cambiare!.
Lidia Maggi
Mons. Domenico
Segalini
Ci sono tanti modi di affrontare la vita, i suoi problemi, soprattutto i significati di ciò che accade, le persone che incontriamo. Ci sono dei fatti che si ripetono spesso, che forse non sono solo ripetizione o mancanza di fantasia, ma segnali che ci vogliono parlare, se siamo capaci di farci provocare. Dentro ogni vita umana c’è una presenza, una attesa, una necessità di compimento, di espressione che occorre saper leggere e da essa farsi stimolare. Soprattutto noi uomini e donne ci facciamo domande che non riguardano solo cose concrete e materiali come cibo, vestito, denaro, salute fisica e mentale.. E c’è una esperienza a una certa età che ci destabilizza, ci fa sbattere le porte, essere scontrosi con tutti, avere la felicità negli occhi e subito dopo magari un pianto sconsolato, il desiderio di un incontro, di un contatto fisico ineludibile e gioia, delusione scontentezza che si susseguono… è l’amore che ti è scoppiato dentro per lei o per lui. È una realtà che non si taglia a fette, non si pesa a chili, ma ti cambia la vita… Ci sono poi due dati fondamentali di ogni persona che sono la sua nascita e la sua morte. E ci domandiamo: perché sono nato a questo mondo? Perché a un certo punto devo morire? C’è qualcosa oltre il nostro mondo, la nostra vita che continua?
Insomma tutto ciò che ci costruisce la vita non è solo materiale.
C’è un mondo interiore che non riesci a nutrire se non con qualcosa che ti sfugge, ma che senti vero, necessario, oltre che utile. E quando trovi un equilibrio in queste realtà stai bene, sei felice, diventi più trattabile. Ci sono poi domande più profonde. Esiste Dio? Che cosa vuole da noi? Come si fa a parlargli, a incontrarlo? Che cosa c’è dopo la morte? Perché spesso sono infelice e sto benissimo di salute? Diamo a questa serie di esperienze, domande, risposte prove, gioie e dolori interiori profondi il nome di spiritualità.
C’è un regista fuori di me cui interessa la mia storia… Diciamo la parola finalmente: esiste Dio? Esiste una realtà grande che mi costruisce, mi conserva il chi sono anche quando invecchio, quando cambio fisionomia? Posso dire che sono ancora io? Chiamiamo anima tutto questo. Un’altra realtà che non si taglia fette e non si pesa a chili.
Ecco spiritualità fa riferimento a tutte queste domande e realtà. Per chi crede è il regno di Dio, di Gesù Cristo, dello Spirito Santo.
Noi cristiani poi ci siamo addentrati non poco, aiutati da Gesù, in questo nuovo magnifico, misterioso mondo. Abbiamo conosciuto un piano che parte dalla creazione fatta da Dio Padre, al ricupero della bontà delle nostre vite da parte di suo Figlio Gesù, morto, risorto e rientrato nello spazio eterno della divinità, non prima di averci regalato un’altra presenza a continuare nel mondo ciò che aveva iniziato Gesù, lo Spirito Santo.
Le cose che ci capitano sono spazi, azioni, doni dove Dio opera e si lascia trovare. E lì si costruisce la nostra storia, sotto la sua regia che diventa chiamata, vocazione per ogni persona per la sua felicità piena e la vita del mondo. Noi spesso siamo molto tardi a capire, pensiamo sempre che un brano di vangelo sia come un articolo di cronaca di quotidiano, che non ha niente da svelare, ma ha solo da informare. La nostra vita non è frutto solo di informazioni, pure molto utili, ma anche di capacità di lettura profonda che vuol dire lasciarsi attrarre da Gesù che sotto quei fatti ha collocato la sua azione, il suo sogno, il suo Spirito.
Queste continue emigrazioni, per esempio non sono assolutamente casuali, ma nascono da un progetto più grande di Dio, che tocca a noi scoprire tra un naufragio e l’altro, una serrata di porti ufficiale e tanti approdi senza chiedere permesso a nessuno, se non alla propria voglia di vivere, di lottare, di cambiare, di dare amore e non solo difendersi da cattiverie e sfruttamenti inauditi.
Di fatto tutti ci stiamo misurando con queste persone, con i morti in mare, con i torturati dei campi di schiavisti, con mani di sfruttatori travestite da compagni di viaggio. In questa grande migrazione di uomini, donne, bambini, giovani e nonni, Dio è presente e ci provoca a cercarvelo, ad ascoltarlo attraverso le loro voci. Noi magari ci stiamo continuamente solo a lamentarci o a incuriosirci, o a provare compassione.
La migrazione è un segno dei tempi, papa Francesco ce la presenta sempre così, perché lì ci sta Gesù e lì lo dobbiamo incontrare. Sono eventi, fatti, aggregazioni di persone che si portano dentro i disegni di Dio sulla nostra storia; godono di una diretta presenza di Dio, ci dicono che lì Dio ci sta, è a casa sua, vi sta lavorando perché ne nasca un progetto sempre più accessibile di regno di Dio; sono sempre un messaggio per la vita di tutti.
In ogni fatto c’è la presenza dello Spirito che va decifrata e riconosciuta. Non ci deve mai essere niente e soprattutto nessuno che può essere dato per scontato. Spesso celebro le cresime per ragazzi e ragazze e assieme ricevono per la prima volta Gesù nell’Eucaristia, fanno la prima comunione. Per la Cresima quando invoco lo Spirito su ciascuno di loro stendo le mani e lo Spirito entra nelle loro persone per sempre, lo stesso gesto lo faccio dopo alla messa quando stendo le mani sul pane e sul vino invocando lo Spirito che entra nel pane e nel vino e lo cambia in Corpo e Sangue di Cristo. Allora faccio notare a tutti questo: se stendendo le mani sul pane e il vino lo Spirito Santo li cambia in corpo e sangue di Cristo, chissà che cosa di grande accade quando stendo le mani sui cresimandi e invoco lo Spirito che abiterà sempre in loro. Abbiamo una vita spirituale da sogno. Questa dà sostanza e verità alla nostra spiritualità.
Fra Giorgio
Stancheris
Parlare di spiritualità francescana, o meglio di francescanesimo, è lasciarsi prendere, interrogare dalla vicenda di San Francesco d’Assisi e dal movimento che da lui ha preso avvio più di 800 anni fa, movimento che chiamiamo “famiglia francescana”.
Francesco nacque ad Assisi in Umbria nel 1181 da un ricco mercante di stoffe, Pietro di Bernardone e dalla nobile madonna Pica. Anche se le varie agiografie del santo non parlano molto della sua infanzia e giovinezza, è comunque ragionevole ritenere che egli fosse indirizzato dal padre a proseguire nella sua attività.
Il sogno del giovane Francesco era però quello di diventare cavaliere, partecipare alle crociate e farsi onore.
Nel 1202 scoppiò una guerra tra Assisi e Perugia, a cui partecipò anche Francesco.
Durante la battaglia, che vide la sconfitta di Assisi, Francesco fu fatto prigioniero e da quella apparente disgrazia gli si aprì la via della conversione e della grazia divina. Le vittime della guerra e la miseria da essa causata, come pure i tanti malati, aprirono il cuore di Francesco alla compassione e si accese in lui una “febbre d’amore” verso Dio e il prossimo.
Successivamente, l’incontro con i lebbrosi e il dialogo col crocefisso della chiesetta di San Damiano che gli disse: “Francesco va e ripara la mia casa”, il giovane che voleva diventare cavaliere, davanti al vescovo di Assisi si spogliò di tutto, rinunciò ai beni paterni e diede inizio alla sua nuova vita.
Francesco, per speciale chiamata, scelse di vivere in minorità e povertà, seguendo il Vangelo di Cristo. Fu subito circondato da fratelli, da lui ritenuti “dono di Dio”, che condividevano la sua stessa vita, vivendo in fraternità, al servizio degli ultimi della società, dei malati e annunciando più con la vita che non con le parole l’amore di Dio per l’umanità intera e per tutta la sua creazione.
Nacque così l’Ordine Francescano che ha irradiato il mondo con la sua evangelica luce e con la testimonianza di tanti suoi santi.
Tra questi testimoni di virtù cristiane eroiche, è d’obbligo ricordare il profumato fiore di santità serafica sbocciato nella nostra Valcamonica, appunto il caro e venerato B. Innocenzo da Berzo: fulgido esempio di minorità e umiltà, come di prossimità ai poveri e ai malati.
Il poverello di Assisi, morì nel 1226 e venne canonizzato nel 1228.
Il movimento che ha avuto origine dalla sua spiritualità, oggi è diffuso in tutto il mondo ed è composto dal Primo Ordine che racchiude le tre famiglie dei Frati Minori, dei Minori Conventuali e dei Minori Cappuccini.
Il Secondo Ordine formato dalle varie espressioni di Sorelle Clarisse e il Terz’Ordine costituito dai laici che aderiscono al carisma francescano, vivendolo in famiglia e nella società.
La forza di questo carismatico movimento ecclesiale continua da otto secoli a vivere e a diffondere nel mondo il messaggio di pace e bene facendo sempre riferimento vitale alla magna carta del Santo Vangelo di Gesù Cristo.
Egle
Re
Quotidianamente la vita ci riserva tante sorprese, alcune piacevoli e altre al contrario sgradite: malattie serie ma anche guarigioni, giorni dubbiosi e giorni illuminanti. Fin da bambina grazie ai miei genitori ho ricevuto il “seme” della fede con il Battesimo e grazie al loro insegnamento ho potuto vivere un tempo speciale della mia adolescenza e giovinezza fino a diventare adulta conservando questo dono. La fede è diventata la vitamina della mia esistenza, la fiamma della speranza quando mi sono accorta che la mia vita cambiava e si trasformava grazie a Lui. Non mi accontentavo più, di un rapporto superficiale con Dio, ma sentivo la necessità di dare risposte concrete alla mia esistenza.
Il seme ricevuto aveva bisogno di essere conservato, curato e coltivato. Mi accorgevo che il dono accolto nella mia vita mi spingeva a sperimentare qualcosa di speciale che mi aiutava a vivere l’esperienza dell’incontro con Qualcuno. Non si trattava più di un approccio teorico, un sentito dire, un modo di gestire il tempo ma di trovare il senso vero e necessario alla mia esistenza. Un po’ come l’amore della vita: tutto cambia, tutto è più gioioso quando accogli qualcuno che senti veramente di amare.
Tutto questo non succede schiacciando un telecomando, non è frutto di un tecnica più o meno collaudata e non sappiamo neppure quando è il momento esatto in cui la nostra fede, quella che abbiamo ricevuto come tradizione dalla nostra famiglia, dalla nostra comunità, diventerà un raggiante incontro con Qualcuno.
Guardando un po’ alla storia della Chiesa ci accorgiamo che ci sono stati santi adulti e santi molto giovani; chi come S. Agostino ha fatto esperienza del Signore in età tardiva o chi come Francesco e Giacinta nella loro fanciullezza. In entrambi i casi, le loro vite, anche se in età diverse, sono state trasformate, anche loro hanno sperimentato la fede come incontro con Qualcuno: accogliere l’amore di Dio li ha cambiati profondamente.
Ognuno di noi ha i suoi tempi e non dobbiamo avere paura o farci scoraggiare dalla delusione di non avere ancora fatto questa esperienza. Ogni creatura del Signore porta nel cuore il desiderio di una autentica e profonda amicizia con Dio che trasformi la propria esistenza, ed anche io posso affermare che ho sperimentato un po’ questo (lungi da me la presunzione di credere o pensare di paragonarmi ai santi sopra citati). Ho avvertito che il desiderio forte di Dio, che da tempo portavo nel cuore, aveva bisogno di prendere forma, di essere ascoltato e soddisfatto. Sentivo il bisogno di vivere una esperienza importante che potesse segnare la mia vita con un prima e con un dopo. Tutto quello che avevo vissuto fino a quel momento non mi bastava più. Il Signore è meraviglioso e trova sempre la strada per raggiungerci: infatti in un momento di fatica e di buio il desiderio di cercare il Signore si è fatto più concreto fino a spingermi ad intraprendere un cammino spirituale.
“Grandi cose ha fatto il Signore, ha dato ascolto al mio grido e ha diretto i miei passi”. Ebbene può sembrare una bella favola, ma in realtà è Lui che mi ha guidato, che mi ha spinto a fare un’esperienza di preghiera con un gruppo di spiritualità legato al “Rinnovamento nello Spirito Santo”. Ero a conoscenza della presenza a Capo di Ponte di questo piccolo gruppo, mi piaceva molto il modo di pregare nella lode, nella gioia.
Quando le prime volte ho partecipato alle loro riunioni ho avvertito la Sua amorosa presenza: mi sono sentita accolta, amata, perdonata, sostenuta. Ho sperimentato che Dio è Amore: mi ama, ci ama personalmente, perfettamente, senza se e senza ma. Questa gioia poi si è trasformata nella decisione di approfondire la Sua conoscenza e coltivare la Sua amicizia.
Come e cosa faccio in concreto? Cerco di dedicare un po’ del mio tempo alla preghiera e alla lettura e meditazione della Sua Parola. All’inizio sembra un po’ difficile, ma poi, piano, piano con l’aiuto dello Spirito Santo ho incominciato ad avvicinarmi al Vangelo lasciandomi raggiungere in profondità da ogni parola. Cerco di vivere la sua Parola nella mia quotidianità. Non è sempre facile, ma mi affido alla sua misericordia. Solo la grazia di Dio può aprire gli occhi del cuore ed è stato essenziale per me imparare a coltivare la spiritualità per raggiungere la pace e la serenità del cuore. Ecco cosa è per me la spiritualità: la gioia di sentirmi amata da Dio per come sono e vivere in semplicità questa relazione d’amore.
Don
Cesare
I notevoli progressi compiuti nel campo dell'intelligenza artificiale hanno un impatto sempre più profondo sull’attività umana, sulla vita personale e sociale, sulla politica e l’economia. Papa Francesco, nel messaggio per la giornata della pace 2024, invita a un dialogo aperto sul significato di queste nuove tecnologie dotate di un potenziale dirompente e di effetti ambivalenti.
Egli richiama la necessità di vigilare e di operare affinché non attecchisca una logica di violenza e di discriminazione nel produrre e nell’usare tali dispositivi, a spese dei più fragili e degli esclusi: ingiustizia e disuguaglianze alimentano conflitti e antagonismi.
Il Santo Padre sottolinea l’urgenza di orientare la concezione e l’utilizzo delle intelligenze artificiali in modo responsabile affinché siano al servizio dell’umanità e della protezione della nostra casa comune, richiedendo di estendere la riflessione etica al campo dell'educazione e del diritto. La tutela della dignità della persona e la garanzia di una fraternità effettivamente aperta all’intera famiglia umana sono condizioni indispensabili perché lo sviluppo tecnologico possa contribuire alla promozione della giustizia e della pace nel mondo.
Riportiamo ampi stralci del messaggio che ci possono aiutare a comprendere la complessità del problema.
Parlare al plurale di “forme di intelligenza” può aiutare a sottolineare soprattutto il divario incolmabile che esiste tra questi sistemi, per quanto sorprendenti e potenti, e la persona umana: essi sono, in ultima analisi, “frammentari”, nel senso che possono solo imitare o riprodurre alcune funzioni dell’intelligenza umana. L’uso del plurale evidenzia inoltre che questi dispositivi, molto diversi tra loro, vanno sempre considerati come “sistemi socio-tecnici”. Infatti il loro impatto, al di là della tecnologia di base, dipende non solo dalla progettazione, ma anche dagli obiettivi e dagli interessi di chi li possiede e di chi li sviluppa, nonché dalle situazioni in cui vengono impiegati.
L’intelligenza artificiale, quindi, deve essere intesa come una galassia di realtà diverse e non possiamo presumere a priori che il suo sviluppo apporti un contributo benefico al futuro dell’umanità e alla pace tra i popoli. Tale risultato positivo sarà possibile solo se ci dimostreremo capaci di agire in modo responsabile e di rispettare valori umani fondamentali come «l’inclusione, la trasparenza, la sicurezza, l’equità, la riservatezza e l’affidabilità».
Occorre rafforzare o, se necessario, istituire organismi incaricati di esaminare le questioni etiche emergenti e di tutelare i diritti di quanti utilizzano forme di intelligenza artificiale o ne sono influenzati.
Occorre essere consapevoli delle rapide trasformazioni in atto e gestirle in modo da salvaguardare i diritti umani fondamentali, rispettando le istituzioni e le leggi che promuovono lo sviluppo umano integrale. L’intelligenza artificiale dovrebbe essere al servizio del migliore potenziale umano e delle nostre più alte aspirazioni, non in competizione con essi.
L’abilità di alcuni dispositivi nel produrre testi sintatticamente e semanticamente coerenti, ad esempio, non è garanzia di affidabilità. Si dice che possano “allucinare”, cioè generare affermazioni che a prima vista sembrano plausibili, ma che in realtà sono infondate o tradiscono pregiudizi.
Questo pone un serio problema quando l’intelligenza artificiale viene impiegata in campagne di disinformazione che diffondono notizie false e portano a una crescente sfiducia nei confronti dei mezzi di comunicazione. La riservatezza, il possesso dei dati e la proprietà intellettuale sono altri ambiti in cui le tecnologie in questione comportano gravi rischi, a cui si aggiungono ulteriori conseguenze negative legate a un loro uso improprio, come la discriminazione, l’interferenza nei processi elettorali, il prendere piede di una società che sorveglia e controlla le persone, l’esclusione digitale e l’inasprimento di un individualismo sempre più scollegato dalla collettività. Tutti questi fattori rischiano di alimentare i conflitti e di ostacolare la pace.
Non possiamo nemmeno ignorare la possibilità che armi sofisticate finiscano nelle mani sbagliate, facilitando, ad esempio, attacchi terroristici o interventi volti a destabilizzare istituzioni di governo legittime. Il mondo, insomma, non ha proprio bisogno che le nuove tecnologie contribuiscano all’iniquo sviluppo del mercato e del commercio delle armi, promuovendo la follia della guerra. scollegato dalla collettività. Tutti questi fattori rischiano di alimentare i conflitti e di ostacolare la pace.
Le macchine “intelligenti” possono svolgere i compiti loro assegnati con sempre maggiore efficienza, ma lo scopo e il significato delle loro operazioni continueranno a essere determinati o abilitati da esseri umani in possesso di un proprio universo di valori. Il rischio è che i criteri alla base di certe scelte diventino meno chiari, che la responsabilità decisionale venga nascosta e che i produttori possano sottrarsi all’obbligo di agire per il bene della comunità. In un certo senso, ciò è favorito dal sistema tecnocratico, che allea l’economia con la tecnologia e privilegia il criterio dell’efficienza, tendendo a ignorare tutto ciò che non è legato ai suoi interessi immediati.
Riconoscere e accettare il proprio limite di creatura è per l’uomo condizione indispensabile per conseguire, o meglio, accogliere in dono la pienezza. Invece, nel contesto ideologico di un paradigma tecnocratico, animato da una prometeica presunzione di autosufficienza, le disuguaglianze potrebbero crescere a dismisura, e la conoscenza e la ricchezza accumularsi nelle mani di pochi, con gravi rischi per le società democratiche e la coesistenza pacifica.
Non si deve permettere agli algoritmi di determinare il modo in cui intendiamo i diritti umani, di mettere da parte i valori essenziali della compassione, della misericordia e del perdono o di eliminare la possibilità che un individuo cambi e si lasci alle spalle il passato.
In un’ottica più positiva, se l’intelligenza artificiale fosse utilizzata per promuovere lo sviluppo umano integrale, potrebbe introdurre importanti innovazioni nell’agricoltura, nell’istruzione e nella cultura, un miglioramento del livello di vita di intere nazioni e popoli, la crescita della fraternità umana e dell’amicizia sociale. In definitiva, il modo in cui la utilizziamo per includere gli ultimi, cioè i fratelli e le sorelle più deboli e bisognosi, è la misura rivelatrice della nostra umanità.
In definitiva, nella ricerca di modelli normativi che possano fornire una guida etica agli sviluppatori di tecnologie digitali, è indispensabile identificare i valori umani che dovrebbero essere alla base dell’impegno delle società per formulare, adottare e applicare necessari quadri legislativi.
Questo processo di discernimento etico e giuridico può rivelarsi un’occasione preziosa per una riflessione condivisa sul ruolo che la tecnologia dovrebbe avere nella nostra vita individuale e comunitaria e su come il suo utilizzo possa contribuire alla creazione di un mondo più equo e umano. Per questo motivo, nei dibattiti sulla regolamentazione dell’intelligenza artificiale, si dovrebbe tenere conto della voce di tutte le parti interessate, compresi i poveri, gli emarginati e altri che spesso rimangono inascoltati nei processi decisionali globali.
Piergiorgio
Antoniadis
In questi ultimi mesi, la stampa, i mass media e i social si sono appropriati di un nuovo soggetto di dibattito, “l’Intelligenza Artificiale” o IA, qualsivoglia dire, comprendendo limitatamente le potenzialità ed il vero valore intrinseco. Il termine “Intelligenza” o IA si riferisce ad un’ampia categoria di sistemi che consentono alle macchine di imitare e, se mi si consente l’espressione, di “scimmiottare” le capacità avanzate degli esseri umani. Sfatiamo subito un mito, l’Intelligenza Artificiale, che personalmente preferirei nominare logica digitale, non sostituirà mai l’intelligenza umana. Prima di vederne alcune applicazioni cerchiamo di comprenderne, in linee generali, i meccanismi e le peculiarità.
Innanzi tutto, che cosa è l’Intelligenza Artificiale? Replicare comportamenti legati all’uomo, come il ragionamento, la pianificazione e la creatività. Qualsiasi sistema che implementi meccanismi vicini a quello del ragionamento umano potrebbe quindi essere qualificato come Intelligenza Artificiale. Perché l’uomo ha inventato la tecnologia? Lo scopo principale della tecnologia è semplificare la vita umana e diminuirne la fatica. A priori, è al suo servizio, tuttavia, fin dalla notte dei tempi, l’uomo ha avuto con esso un rapporto ambiguo. Da un lato, affascinato dal progresso e dalla modernità che simboleggia e, dall’altra, spaventato dai suoi possibili eccessi.
Fin qui nulla di veramente inedito, e l’Intelligenza Artificiale non è esente da queste stesse tematiche. L’uomo, in quanto essere sapiente, è l’unica entità vivente che si preoccupa di assicurarsi un futuro migliore e non privarsi dei traguardi evolutivi raggiunti nel tempo.
Quando l’umanità ha cominciato a creare delle macchine, che potevano replicare infinite volte le stesse operazioni, in modo del tutto uguale e preciso e con una rapidità ineguagliabile, si è raggiunto un importante ed irreversibile obbiettivo.
Le macchine per l’imbottigliamento dell’acqua, per esempio, sono necessarie e non potrebbero essere sostituite dal lavoro umano manuale.
L’Intelligenza Artificiale è una disciplina abbastanza giovane. Da circa una settantina di anni si è affacciata nel mondo moderno, quale motivo di interesse, di studio e di sviluppo. Senza entrare nel merito tecnico scientifico, possiamo semplificare il concetto stabilendo che mira ad imitare le capacità cognitive di un essere umano. Iniziata all’indomani della Seconda Guerra Mondiale, i suoi sviluppi sono strettamente legati a quelli dell’informatica che hanno portato i computers a svolgere compiti sempre più complessi, che in precedenza potevano essere delegati solo all’uomo. Sinteticamente potremmo evidenziare due aspetti primordiali che caratterizzano l’Intelligenza Artificiale:
Combinati con sistemi di computers sempre più veloci, ci permettono di simulare alcuni ragionamenti della nostra mente.
Questa sinergia è fondamentale. Infatti, alle opportunità prima elencate si aggiungono due altre capacità dei computers:
Basti pensare all’applicazione del termostato. Se dovessimo controllare, nell’arco della giornata, la temperatura ambientale e aumentarla o diminuirla a seconda delle necessità, non potremmo eseguire altre operazioni e ancor meno mantenere una costante giusta attenzione.
A questo punto però una domanda sorge spontanea? “Can machines think?” (possono le macchine pensare?) si chiedeva Alan Turing, uno degli studiosi antesignani dell’Intelligenza Artificiale, nel 1950. La risposta è indubbiamente no! Possono simulare il pensiero umano come un pappagallo e rispondere a stimoli prestabiliti. Innumerevoli esperimenti dimostrano come l’Intelligenza Artificiale possa essere manovrata per dare predizioni sbagliate e, malgrado gli algoritmi sempre più complessi ed efficaci, non sa discernere il bene dal male o il vero dal falso.
In sintesi, la potenza di calcolo dei computers attuali, ci permette di simulare, imitare superficialmente il pensiero umano ma è sempre l’uomo a definire i canoni e i principi di base. Ovviamente, se diamo delle false indicazioni il sistema ci darà inesatte previsioni. Se dovessimo spiegare l’importanza dell’Intelligenza Artificiale potremmo definirla come un attrezzo molto utile ma ovviamente deve essere usata propriamente. È importante comprendere che l’Intelligenza Artificiale può essere usata da uomini per controllare altri uomini ma non potrà mai controllare in modo autonomo tutti gli uomini. Per evitare che l’Intelligenza Artificiale sia appannaggio di pochi e non di tutti è indispensabile che ciascuno comprenda cosa sia e come si possano combattere eventuali derive. Le potenzialità e i vantaggi sono pertanto superiori ai rischi di un uso errato.
Ma perché solo ora ha un impatto così importante nella vita quotidiana? Possiamo, per sommi capi, evocare alcuni dei fattori che hanno accelerato non solo lo sviluppo ma anche la diffusione:
Questi fattori sinergici ci hanno permesso di riempire i nostri computers di innumerevoli informazioni e stabilire i criteri per distinguere sommariamente il vero dal falso e viceversa.
Se volessimo fare un esempio banale potremmo dire che da un lato abbiamo inserito una calcolatrice con le quattro funzioni principali, la somma, la sottrazione, la moltiplicazione e la divisione, ed in seguito, abbiamo ordinato al computer di cercare tutti i numeri sulla rete internet ed eseguire tutti calcoli possibili ed immaginabili. Ora però sta a noi stabilire quali risultati siano interessanti e quali siano da scartare. Visto la facilità di programmazione potremmo anche definire dei criteri affinché il computer scarti, a prescindere, alcuni calcoli insignificanti.
Ma è fondamentale comprendere che i criteri e le informazioni sono sempre una prerogativa umana. Esistono poi altri due concetti che sono privilegio esclusivo degli uomini e degli esseri viventi, l’irrazionalità e il sentimento.
A mio modesto avviso, potranno essere forse simulati falsamente con una intelligenza dell’irrazionalità e del sentimento. Senza entrare nella comprensione filosofica, se l’irrazionalità non è frutto della ragione o della logica non è spiegabile, e di conseguenza non potrà mai essere inserita come nozione logica nelle macchine, e ciò vale anche per il sentimento.
Dopo aver evidenziato alcune delle peculiarità di questa nuova disciplina vediamone l’applicazione. Uno dei molteplici settori in cui l’Intelligenza Artificiale potrà essere di grande giovamento sarà sicuramente la medicina e la salute.
Per esempio, l’accessibilità per le persone disabili è una delle maggiori sfide della società moderna.
Secondo indagini condotte dall’OMS e da alcune organizzazioni internazionali, più di un miliardo di persone nel mondo sono colpite da queste inefficienze. Bambini, giovani, adulti o anziani, la loro disabilità li rende più vulnerabili che mai. Lungi dall’essere un semplice gadget, l’Intelligenza Artificiale può cambiare la vita delle persone disabili, che grazie ai progressi nel riconoscimento delle immagini sono più autonome o addirittura capaci di recuperare parzialmente un’abilità perduta, come parlare o camminare.
Un esempio, nel corso dell’anno scorso, una persona paraplegica, colpita alle vertebre cervicali, è riuscita per la prima volta a riprendere il controllo naturale della deambulazione attraverso il pensiero, grazie all’accoppiamento di due tecnologie che ripristinano la comunicazione tra cervello e midollo spinale. La pandemia del COVID ne è una ulteriore dimostrazione. I vaccini sono stati realizzati in poco tempo grazie anche all’uso dell’IA, accelerando i tempi evolutivi.
Negli ultimi anni l’Intelligenza Artificiale si è interessata sempre più a queste persone in difficoltà che hanno bisogno di aiuto per prosperare fisicamente, mentalmente e professionalmente. Accessibilità per disabili: l’IA supera tutti gli ostacoli, disabilità visiva, motoria, uditiva, mentale o cognitiva, la disabilità può assumere diverse forme. Ma qualunque sia la sua natura, limita le capacità di un individuo di praticare diverse attività, di condividere le proprie idee, le proprie emozioni, di comunicare con gli altri o anche di prendersi cura del proprio corpo. Oggi l’Intelligenza Artificiale aiuta sempre più le persone con disabilità ad andare avanti attraverso algoritmi e macchine intelligenti progettati per fornire diverse soluzioni ai loro problemi.
In pratica, l’Intelligenza Artificiale rimuove gli ostacoli legati all’accessibilità per le persone vulnerabili grazie al riconoscimento delle immagini, al riconoscimento facciale, alla lettura delle labbra, al riassunto del testo o anche ai sottotitoli e alle traduzioni. Il riconoscimento di immagini e volti è utile per le persone ipovedenti che hanno difficoltà a riconoscere volti, testo e diverse forme di contenuto.
La lettura labiale e i sottotitoli sono utili per le persone con disabilità uditive, mentre i riepiloghi testuali rendono la scrittura e i contenuti interattivi più facili da comprendere per le persone con disabilità intellettive. La programmazione dell’Intelligenza Artificiale migliora l’accessibilità delle persone con disabilità agli stessi servizi e attività di una persona normale. A seconda della natura della disabilità, comunicare con altre persone può essere una vera sfida per una persona vulnerabile. Alcune soluzioni dotate di Intelligenza Artificiale lo aiutano a superare questa difficile prova.
Le persone con problemi di udito o non udenti possono anche utilizzare un assistente virtuale, un’applicazione di trascrizione istantanea delle conversazioni. Grazie al “machine learning” le persone con disabilità motoria beneficiano di una migliore assistenza a casa in tutta sicurezza. Una persona su sedia a rotelle o una persona che soffre di problemi visivi o uditivi avrà sempre difficoltà a muoversi correttamente. I progressi nell’Intelligenza Artificiale stanno finalmente superando la sfida della mobilità grazie al successo di numerosi progetti ambiziosi. Da oggi una persona disabile può preparare in anticipo i propri spostamenti, ottenere informazioni sul traffico in tempo reale e una mappa dei diversi esercizi pubblici/privati presenti sul territorio. Altri software descrivono l’ambiente in cui si trova una persona cieca per poter orientarsi più facilmente.
L’indipendenza è un sogno a cui molte persone con disabilità non osano pensare. L’Intelligenza Artificiale sta cambiando le loro vite e li sta aiutando a raggiungere quell’autonomia che probabilmente cercavano da tempo utilizzando una moltitudine di soluzioni di assistenza dotate di algoritmi potenti e intelligenti. […]
Non è più un segreto per nessuno, l’Intelligenza Artificiale sta già rivoluzionando il settore sanitario se non tutti i settori dall’agricoltura, all’industria, al turismo ecc.... L’ultima notizia è che gli analisti dei dati stanno andando ancora oltre, cercando costantemente nuove soluzioni intelligenti che possano aiutare le persone vulnerabili. Pensiamo solo alla possibilità dei medici di confrontare in pochi secondi una quantità di casi di tumore e valutarne le sintesi. Repetita iuvant, il medico decide ma grazie all’ausilio dell’IA riesce a verificare maggiori quantità di dati e quindi ad accrescere la sua propria ed altrui esperienza. I progressi nel campo della robotica, ad esempio, offrono un’opportunità moderna e innovativa per sostituire un arto mancante. [...]
Se riuscissimo, grazie a queste nuove tecnologie, a rendere più supportabile la vita di persone colpite da Alzheimer o Parkinson o ancora guarire malattie che portano alla demenza, o permettere a persone di riacquistare la vista o l’uso degli arti, sarebbe un beneficio per tutta l’umanità. Gli esoscheletri, robot indossabili, permettono con la combinazione di motori, sensori e Intelligenza Artificiale, di essere usati quali tutori per la movimentazione del corpo umano. Sono sempre più utilizzati in campo sanitario, aiutando i pazienti a ritrovare la mobilità e a reimparare i movimenti delle braccia e delle gambe per svolgere attività quotidiane.
Le applicazioni sono infinite, dai sottotitoli automatici sempre più efficienti, facili da integrare e disponibili in più lingue alla trascrizione automatica nel linguaggio dei segni. Alcune aziende hanno sviluppato piattaforme che consentono di tradurre il suono nel linguaggio dei segni utilizzando avatar 3D. Sedie autonome: l’Intelligenza Artificiale potrebbe “aiutare a manovrare le sedie a rotelle ed a rilevare gli ostacoli”, come un’auto autonoma. Gli scienziati coreani sono riusciti nell’impresa di rilevamento dell’autismo utilizzando fotografie della retina analizzate dall’Intelligenza Artificiale. Se il metodo venisse confermato, potrebbe facilitare notevolmente la diagnosi precoce e risparmiare tempo nel trattamento del disturbo. Nel variegato mondo dell’autismo, un robot educativo basato sull’Intelligenza Artificiale aiuta genitori e terapisti a raggiungere risultati decisivi nelle relazioni sociali. [...]
In tutti i settori, i robot e l’Intelligenza Artificiale (IA) stanno creando soluzioni innovative alle sfide che dobbiamo affrontare. L’idea di dotare i robot di Intelligenza Artificiale affascina e ispira la nostra immaginazione da decenni. [...]
L’IA è sicuramente la nuova sfida del nostro secolo e renderà l’uomo più libero a patto che lo spirito umano prevalga sulla tecnologia.
Rostyslav
Dudar
Io sono Rostik, ho 14 anni e frequento l’Istituto tecnico di Informatica e telecomunicazioni Olivelli Putelli a Darfo.
Ho scelto questa scuola perché mi appassiona l’informatica e tutto quello che gira attorno a questo argomento, e poi perché ritengo che l’informatica sia il nostro futuro.
Io frequento anche dei corsi di programmazione a Ossimo tenuti dal prof. P. Antoniadis che ci insegna per adesso le basi della programmazione. Un giorno ci ha parlato anche dell’intelligenza artificiale.
L'intelligenza artificiale è un campo scientifico che si occupa di creare sistemi e programmi in grado di eseguire compiti che richiedono intelligenza umana.
Questi compiti includono il riconoscimento di pattern, l'apprendimento, il ragionamento e l'interpretazione del linguaggio naturale come dell’uomo.
L'IA mira a emulare le capacità cognitive umane attraverso algoritmi basati su reti neurali artificiali, logica o statistica.
Le applicazioni dell'IA sono diffuse in settori come medicina, finanza, produzione, trasporti e marketing, includendo sistemi di raccomandazione, riconoscimento vocale, veicoli autonomi e assistenti virtuali.
Secondo me l’applicazione dell’IA sarebbe un passo enorme e benevolo per l’umanità su tutti i campi elencati qui sopra, perché ci aiuterebbe moltissimo e non ci sarebbero errori soprattutto in medicina dove ci sarebbe margine di errore del 0%.
Però purtroppo in questo momento è limitata, non perché ne sappiamo poco o non sappiamo come farlo – ormai in tutto il mondo si stanno sviluppando delle IA – ma per il fatto che ci sono persone come i miei genitori, per esempio, che pensano che sia un disastro per tutto il mondo e temono che l’IA ci sostituirà tutti e l’uomo non avrà nulla a cui pensare o fare.
Però tutto questo è sbagliato, perché l’IA occuperebbe campi nei lavori più pesanti o nei quali la precisione è fondamentale, ma non sostituirebbe mai i lavori dove occorrono sentimenti, creatività e altre cose che solo noi esseri umani possiamo provare e che l’IA non riuscirà mai ad avere.
Fra Giorgio
Stancheris
Tutta la Valcamonica si è stretta attorno al B. Innocenzo, il fiore di santità più bello e profumato di questa alpestre valle.
L’annuale festa del 3 marzo, che celebra il “dies natalis” giorno della nascita al cielo dell’umile fratino di Berzo, è stata un tributo plebiscitario di fede, amore e devozione a questo fulgido figlio di S. Francesco.
Egli ha conquistato il cuore della sua gente con la sua umiltà e con il suo amore verso Dio e verso tutti i fratelli che incontrava, andando di paese in paese per ministero.
Figlio di povera gente è entrato e rimane nel cuore dei suoi convalligiani, perché ha saputo accostarsi a loro, non con superbia o come colui che domina o insegna dall’alto della cattedra, ma come fratello ripieno d’amore e carità, perché era tutto invaso dell’amore di Dio: tanto da essere totalmente conformato a Cristo Gesù “mite e umile di cuore”.
Nei giorni precedenti alla festa sono saliti a visitare il convento della Ss. Annunciata, dove ha vissuto il B. Innocenzo, le classi della scuola elementare di Berzo, accompagnati da don Luca Biondi, dai genitori e catechisti.
Fra Giorgio, collaboratore della vicepostulazione del beato, durante la visita al santuario li ha intrattenuti con domande e risposte sulla vita del “fratasì de Berz”.
Grande è stato l’entusiasmo dei bambini, che hanno dimostrato interesse e affetto per il beato, già da tutti conosciuto e venerato. Hanno poi realizzato dei disegni che illustrano la vita del beato fratino e che sono stati esposti all’ingresso della sua casa a Berzo.
Le celebrazioni liturgiche sono state aperte da un triduo di preparazione, che ha svolto le seguenti tematiche:
Sabato 2 marzo si è svolta la suggestiva fiaccolata, con partenze da sette diverse località della estesa Valle Camuna.
Nonostante la pioggia è stata numerosa la partecipazione dei devoti che hanno trasformato la grigia serata in un coro di canti e preghiere, in una cornice di fiammelle che sostituivano le stelle del cielo e riscaldavano i cuori.
Domenica 3 marzo, nella parrocchia santuario di Berzo, numerose sante Messe, con un concorso straordinario di popolo.
Commovente l’interminabile processione di persone che si avvicinavano all’urna, esposta ai piedi dell’altare, per venerare le reliquie del beato.
Contento pure il B. Innocenzo di stare lì ai piedi della Mensa Eucaristica, ancora in adorazione del SS. Sacramento, che è stato in vita il suo amore.
A Gesù Eucaristico, con voce flebile e non udibile, il fratino raccomandava e chiedeva grazie al Signore per tutta la sua gente che gli sfilava innanzi.
Padre Innocenzo, continua a pregare per noi dal cielo, perché un giorno possiamo venire anche noi dove beato sei tu, con il tuo e nostro Gesù!
Don Stefano
Il titolo potrebbe sembrare provocatorio, e forse un po’ lo è, ma alcuni pensieri e esperienze che si susseguono in questo periodo, mi permettono di condividere alcune considerazioni che spero possano servire a tutti.
Fa molto piacere quando, incontrando alcune persone, mi consegnano osservazioni sui ragazzi e sugli oratori. In particolare molti, anche genitori, mi hanno fatto notare come la riflessione di alcuni curati della diocesi avvenuta qui a Borno un anno fa, sia stata apprezzata e in parte interiorizzata, traendo consigli e direttive per poter essere più presenti e partecipi nella vita concreta dell’oratorio.
È bello sapere che alcune persone, ragazzi, adulti e famiglie il sabato sera offrono il loro tempo per permettere, a chi lo desidera, di passare del tempo insieme negli ambienti dell’oratorio a Borno, a Ossimo Inferiore, a Lozio con il sabatando al Centro Anziani: gli educatori che offrono le loro energie per preparare incontri e proporre durante l’estate tante iniziative per piccoli e grandi, i cuochi che animano la “cucina” dell’oratorio per momenti ricreativi e fraterni, le volontarie che, divise in sei gruppi, si prendono cura degli ambienti con la pulizia settimanale (fantastiche!) Non mancano le associazioni – il gruppo Alpini sempre presente per qualsiasi necessità, la Proloco e naturalmente l’Amministrazione Comunale – per diverse collaborazioni.
A contorno di tutto questo, come comunità educativa lo sappiamo bene quanto sia difficile far crescere i ragazzi e i bambini in un mondo molto lontano da alcuni valori morali e cristiani, ma noi ci proviamo con chi ci sta!
Fin dal giorno del mio arrivo sull’Altopiano, ho avuto modo di far vedere i miei molti difetti e pochi pregi, ma ho sempre detto che chi vuole “fare oratorio” è ben accetto, perché tutti siamo parte di una comunità attiva e di una comunità presente per tutti, soprattutto per chi è più fragile, come i più piccoli e gli anziani.
Ma per fare questo ci vuole coraggio, tanta voglia di mettersi in gioco, umiltà nell’essere a servizio degli altri e amore per Dio e per i fratelli: senza questi presupposti è e sarà difficile costruire qualcosa che duri nel tempo.
Una delle pecche più comuni negli oratori è che solo alcune persone si sentono i protagonisti della vita oratoriale, creando una sorta di gruppo chiuso che può ostacolare il contributo di altri alle diverse iniziative. Sono un po’ retaggi dei decenni passati da cui è assolutamente necessario sganciarsi. L’oratorio è davvero il luogo dove TUTTI devono sentirsi a casa e dove TUTTI hanno l’opportunità di esprimersi e di dare il proprio contributo.
Abbiamo a disposizione strutture accoglienti, frutto dei sacrifici e del lavoro di chi prima di noi ha creduto che un luogo importante come l’oratorio non potesse mancare in una comunità attiva e collaborativa.
E dunque continuiamo su questo cammino, provando insieme a cercare e a trovare nuove modalità per stare insieme in oratorio, facendo del bene ai nostri ragazzi, mettendoci in gioco con rinnovato entusiasmo, cercando di costruire nuove amicizie, nuove relazioni e quindi nuovi progetti.
Il mio augurio è che ci possano essere sempre più persone disponibili per VIVERE l’oratorio in tutte le sue dimensioni. È questo un obiettivo che ci possiamo consegnare come comunità sorelle che camminano insieme sotto lo sguardo di Dio.
Siediti ai bordi dell’aurora
Per te si leverà il sole
Siediti ai bordi della notte
Per te scintilleranno le stelle
Siediti ai bordi del torrente
Per te canterà l’usignolo
Siediti ai bordi del silenzio
Per te parlerà Dio
(Vahira - poeta indiano)
Don Giuseppe Maffi
Parroco a Borno
dal 1990 al 2009
Sono delle espressioni molto significative che ci fanno comprendere l'importanza di fare un po' di silenzio nella nostra vita per pensare, valutare, rientrare in noi stessi, recuperare certi valori magari dimenticati, e dare un significato vero alla nostra esistenza.
È molto difficile liberarsi dal frastuono e dal rumore per creare dentro di noi un po' di deserto. Sicuramente il nostro cardinale, giunto alla meta dei novant'anni, preferisce il silenzio per poter parlare e soprattutto ascoltare Dio.
Nel silenzio ecco la nostra preghiera per lui, lo aiutiamo a dire GRAZIE a Dio per i tanti doni ricevuti.
Oggi è sempre più difficile sentire ed ascoltare la parola grazie: la dicono molto poco i figli nei confronti dei genitori, i ragazzi nei confronti dei loro insegnanti, le persone nei confronti di Dio. Tutto è dovuto, ricevere un diritto: che bisogno c'è di esprimere gratitudine?
Se la parola grazie venisse meno nel vocabolario usato quotidianamente dalle persone come espressione dei loro sentimenti interiori, ci sarebbe da preoccuparsi; avremmo davanti un mondo che cammina verso una sempre più grande aridità e verso la diminuzione di quel calore umano che è necessario per vivere insieme.
Il tempo scorre ogni giorno, ogni anno e segna la nostra esistenza. Qualcuno lo riempie di niente, lo lascia vuoto: sono le persone che non vivono, che tirano a campare, che sono simili ad un pezzo di legno in balia della corrente in un fiume.
L’abbè Pierre (Taizè ndr), interrogato sulla vita, rispondeva: “Io continuo ad amare, qualunque sia la mia età anagrafica”.
Nel linguaggio dei nostri giovani, gli aggettivi che usano per definire le persone che stimano sono questi: tosto, mitico, massiccio, “forte”…
Nessun dubbio! Penso che siano le più adatte anche per definire il nostro cardinale.
A lui va il nostro sincero e dovuto GRAZIE...
Un GRAZIE grande e particolare al nostro cardinale lo dobbiamo dire tutti insieme per aver portato a Borno un “SANTO”
Ho letto da qualche parte questa frase: “Quando si diventa vecchi, la vera tragedia non è la vecchiaia mai sentirsi inutili”
“Ad Multos Annos”, augurio che vogliamo accompagnare con la preghiera.
Grazie e auguri
Card.
Giovanni Battista Re
Tra i ricordi della mia infanzia rimane viva in fondo all'anima la memoria e, direi, l'emozione che suscitava in me la meravigliosa immagine che assumeva la chiesa parrocchiale di Borno quando veniva montata e illuminata la monumentale machina architettonica del Triduo per i defunti.
Era una ricorrenza molto attesa perché era vissuta come un gesto di affetto e di gratitudine verso i cari defunti, ma anche per la spettacolarità che la caratterizzava.
Per lunga tradizione, a Borno cadeva nei tre giorni precedenti l'inizio della Quaresima. Per i contadini e gli agricoltori, che allora costituivano la maggioranza degli abitanti del paese, era un periodo di lavoro meno intenso, per cui l'intera popolazione poteva partecipare a tutte le celebrazioni.
Anche per chi lavorava lontano da casa, il Triduo era un'occasione per chiedere una settimana di ferie da passare nel proprio paese, perché si trattava di un appuntamento annuale a cui non si poteva mancare.
L’installazione della machina incominciava una settimana prima perché richiedeva un certo tempo sia per rifinire bene tutti i particolari - le luci della raggiera, le oltre 300 candele (allora di cera, ora elettriche) - sia per garantirne la solidità e stabilità, poiché il parroco doveva salire, mediante le scale collocate dietro l'apparato, per esporre il Santissimo nel centro della grande raggiera, che impressionava per la vivacità cromatica, quando i suoi vetri a colori diversi venivano illuminati, e che concentrava l'attenzione dei fedeli sull'Eucaristia.
Nella mattinata dei tre giorni venivano celebrate le Messe cantate per i defunti. Alla sera vi era grandiosa celebrazione, spettacolare e in pari tempo devota: sempre vi era un predicatore che il parroco impegnava con molti mesi di anticipo.
Al termine del suo discorso, quattro uomini accendevano le 300 candele: due partivano dall'alto e due dal basso. La Schola Cantorum intonava suoi canti e si procedeva all'esposizione del Santissimo Sacramento al centro della raggiera, all'adorazione eucaristica e alla benedizione.
In altre parrocchie, invece, […] il Triduo coincideva con la celebrazione delle Quarantore, mettendo in stretto legame l'adorazione eucaristica con la preghiera per i defunti.
La cosiddetta "machina del Triduo" quando era pienamente illuminata (luci elettriche variopinte e moltissime candele) aveva un fascino che impressionava.
Ma il Triduo per i defunti non era soltanto spettacolo suggestivo e solenne; aveva soprattutto un contenuto religioso: preghiere per i defunti, in particolare per le anime purganti, adorazione eucaristica e riflessione sulla fede in Dio e sulla vita eterna.
Il Triduo, anche col suo solenne apparato scenografico, resta espressione della professione di fede di un popolo nella vita oltre la tomba, che è una delle maggiori e più consolanti verità della nostra religione, e in pari tempo mira a rendere onore e gloria all'Eucaristia. Esso è anche richiamo al pensiero del giudizio di Dio che attende ogni persona e che sarà la risposta di Dio alle esigenze di verità e di giustizia tanto vive nel cuore umano, ma che su questa terra appaiono terribilmente calpestate e sconfitte.
Le tante ingiustizie della storia non sono l’ultima parola! Verrà un giorno... in cui la Giustizia e la Verità trionferanno. Le machine del Triduo significano tutto questo.
* * *
Emilia
Pennacchio
Sono oramai pochi i Bornesi che possono ancor oggi condividere i ricordi e le emozioni così ben descritte dal cardinale nel suo articolo.
Io, anche se sono lontana dalla ragguardevole età del nostro cardinale, qualche anno alle spalle ce l’ho. Rientro dunque a pieno titolo nel esiguo gruppetto e del Triduo dei defunti che vedeva la nostra chiesa strabordante di fedeli, ne conservo perfettamente il ricordo. Quando si avvicina carnevale e in chiesa fervono i preparativi per montare la machina del Triduo, la mente torna indietro nel tempo e tanti i ricordi riemergono.
Due in particolare ricorrono...
Il primo è, manco a dirlo, legato al coro. In quegli anni – ero ancora una bambina – con le altre compagne salivamo l’erta scaletta nascosta dentro l’enorme armadio a muro della sagrestia per entrare nella cantoria difronte all’organo. Sulla cantoria si andava a cantare solo per il Triduo; per le altre celebrazioni solenni venivamo sistemati dietro l'altare maggiore. Tre sere di canti solenni, intensi e che ci impegnavano per mesi.
Cantare al Triduo era per noi l'impegno più importante dell'anno al quale non si voleva assolutamente mancare. Ricordo il privilegio che provavo nell’essere lassù, così vicina alla machina del Triduo da poterla quasi toccare.
E l’emozione sempre viva che provavo quando tutte le luci si spegnevano e alcuni chierichetti (i più grandi) salivano ad accendere le candele che in quegli anni erano ancora per la maggior parte di cera. E quando infine noi coristi, con tutta la voce che avevamo in corpo intonavamo, non senza una certa emozione, le litanie mentre il parroco saliva a posare il Santissimo Sacramento all’interno della raggiera illuminata. Mamma mia, che emozione!!!!
Certo, era quella di una bambina che non capiva il significato di tutta quella sontuosa cerimonia.
Anche perché, grazie a Dio, a quel tempo non avevo cari defunti conosciuti in vita per cui pregare. Ma restavo ugualmente estasiata e colpita dalla spettacolarità e dal clima che veniva a crearsi fra le vibranti note dell’organo, le volute degli incensi e delle nostre voci che salivano ad avvolgere in un abbraccio solenne e spesso commosso, il grandioso apparato della machina tutta illuminata con Cristo al centro.
E se furtivamente guardavo giù nella navata buia, intravedevo le teste chine, i visi occultati dai palmi delle mani, le menti assorte in chissà quali pensieri e preghiere…
Mi rivedo poi ragazzina, qualche anno dopo, inginocchiata nel banco nel momento dell’esposizione. Il predicatore era stato particolarmente coinvolgente quella sera e in chiesa pareva che tutti fossimo accomunati dall’effetto delle sue parole: erano morti dei ragazzi giovani nel suo paese e il tema della morte era così difficile da trattare….
Ad un tratto sento la signora accanto a me fremere (si stava gomito a gomito nei banchi allora, tanti eravamo) e così, con discrezione alzo leggermente il volto e vedo l’appoggia-gomiti che allora copriva i banchi, bagnato di lacrime… Quanti pensieri, preghiere, suppliche salivano verso il Santissimo insieme alle note dell’organo e all’incenso durante quelle funzioni!!!
Pensandoci ora, che sono una donna adulta, vedo in tale commistione di riti ed emozioni, forse l’essenza di questa che non è riduttivo chiamare “pratica religiosa”. Poiché in essa in modo molto chiaro si vede come convivano sia la dimensione dottrinale dogmaticamente e teologicamente scandita e precisata dal rituale di una celebrazione solenne e inusuale sia la percezione popolare. “La vita religiosa si modella e si esprime non solo mediante profonde ed elucubrate elaborazioni teologiche e dottrinali; essa include sentimenti, immaginario, perfino a volte superstizioni ataviche, che si faticano a spegnere poiché appartengono alle dinamiche più profonde dello spirito umano e si alimentano di riti le cui radici si perdono nella notte dei tempi” (F. Canobbio). Nel Triduo questo si percepisce molto chiaramente.
Certo, decenni fa la sfera emozionale la faceva da padrone su quella dottrinale, anche perché la fede, per la maggioranza della gente, era questione semplice, fatta di pochi quanto essenziali e profondi valori che stavano alla base del vivere quotidiano, speso tra le mille difficoltà e i pochi svaghi.
E oggi? Tutto è certamente più complicato. Per attrarre attenzione e tentare di dare risposte ai misteri della vita e della morte, non bastano più elaborati manufatti e cerimoniali sontuosi. E dall'altra parte, chi si sofferma più sulle verità teologiche, sui dogmi, sulla dottrina nonostante l'accesso alle informazioni sia più semplice per chiunque? La modernità pare abbia relegato a un ricettacolo di banalità i sentimenti, i riti, le celebrazioni liturgiche. Mi pare che oggi, nel tempo del “tutto e subito”, le domande esistenziali restino sottotraccia. I tanti disagi sociali sono probabilmente l’effetto di questo appiattimento. Si cercano soluzioni altrove, lontano da quel Dio che sempre ha voluto e vuole il bene all’essere umano.
Cosa resta? Restano le emozioni per i tramonti mozzafiato, per i paesaggi innevati (sempre più rari) condivisi fino allo sfinimento, senza che nessuno più li percepisca come dono e quindi bisognosi di custodia e gratitudine. Papa Francesco docet.
E poi ai figli che chiedono attenzione diamo in mano lo stesso smartphone, mentre continuiamo a vivere le nostre vite attivamente affaccendate e drammaticamente insoddisfatte e, forse, vuote.
Questa è la prima delle tre meditazioni che don Angelo ci ha proposto durante le celebrazioni del Triduo (le altre le potrete leggere nei prossimi numeri). Vi sono spunti che possono esserci d'aiuto nel nostro cammino.
La risurrezione di Cristo
è la nostra grande speranza,
perché ci introduce in un nuovo futuro:
"... ma il Figlio dell’uomo,
quando verrà,
troverà la fede sulla terra?”
(Lc 18,8)
Don Angelo
Corti
Curato a Borno
dal 1994 al 2002
Cari amici, iniziamo questo nostro Triduo in suffragio dei nostri cari defunti facendo risuonare in questa splendida chiesa arricchita dalla magnifica “Machina del Triduo” la parola e la dimensione della speranza: oserei dire il coraggio della speranza.
Domenica scorsa il Vangelo ci ha presentato Gesù che era ricercato dalle folle: «Maestro dove sei andato? Tutti ti cercano!». Anche oggi, il Vangelo ci presenta un lebbroso che ha il coraggio di uscire dal suo ghetto perché contagioso per andare alla ricerca di Gesù: «Lo supplicava in ginocchio e gli diceva: “Se vuoi puoi purificarmi!”; ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: “Lo voglio, sii purificato”». In questo sguardo, in questo ascolto, in questo tocco e in queste parole si concretizza e si realizza la piccola speranza di quell’uomo costretto a vivere ai margini della società. Il lebbroso va verso Gesù nella speranza di essere risanato.
Il lebbroso porta nel suo cuore la speranza di essere risanato e viene risanato, ma questa speranza che ha dato vita al suo sogno, al suo desiderio, basta alla vita del lebbroso? Direi proprio di no! Perché il cuore dell’uomo è creato per l’infinito e nulla di contingente può dare pace e sicurezza al bisogno di pienezza che c’è dentro ogni uomo: perché la vita abbia senso pieno, ha bisogno sia della piccola speranza - che è il contingente che ci sorride - e della grande speranza che è il trascendente che entra nel contingente della vita. Ce lo sentiremo dire in questo Tempo di Quaresima: «Non di solo pane vivrà l’uomo ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio». Non ci basta avere tutto, abbiamo bisogno di senso e di significato.
Nella nostra riflessione ci può essere di aiuto la supplica e il comportamento del re Davide che si rivolge a Dio per la guarigione del proprio figlio. Davide, prega, digiuna, fa penitenza nella speranza di ottenere la guarigione del bambino. Il bambino muore, e Davide riprende a mangiare e a rivestire le vesti regali, i suoi servi si chiedono: «Perché fa questo ora che il bambino è morto?». Davide risponde: «Posso io riportare in vita mio figlio? Affinché era in vita ho pregato e ho sperato … ora che è morto io posso solo andare da lui». Ecco la grande speranza, cioè credere che la morte ci introduce in un nuovo futuro dove avremo la gioia di ritrovare i nostri cari. Davide ci insegna che non basta la piccola speranza, abbiamo bisogno anche della grande speranza.
Il coraggio della speranza non è sinonimo di illusione o di fuga dalla realtà perché la speranza non è una bacchetta magica che può cambiare gli eventi della vita, ma ci aiuta a vive in modo diverso gli eventi lieti e tristi della vita. Essa, per noi cristiani, si fonda nella fede nel Dio vivo e vero, al quale rivolgere il nostro pensiero, il nostro sguardo, il nostro tempo. Certamente la piccola speranza si concretizza in una vita dignitosa, nella quale non viene a mancare il pane, il lavoro, la salute, la stabilità delle relazioni. Ma tutto questo da solo non basta.
Tutto questo, per avere senso pieno e compiuto, ha bisogno di un contenitore più grande che custodisca e avvolga la piccola speranza e questo contenitore si chiama grande speranza che è la vita eterna nella quale entreremo, con tutte le nostre gioie e sofferenze, grazie alla fede in Colui che è morto e risorto: Gesù Cristo. Possiamo dire che la grande speranza prende per mano la piccola speranza e le permette di mantenere se stessa la luce accesa fino alla chiusura dei nostri occhi su questa terra.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano… liberaci da ogni male… è la richiesta che ogni giorno da figli e credenti noi eleviamo al Signore nel quale crediamo e speriamo. In questo pane quotidiano è contenuto e racchiuso tutto ciò che serve per una vita dignitosa, perché senza pane non c’è presente, non c’è speranza: l’oggi sarebbe privo di fondamento, di certezza, pur effimera e transitoria, per vivere il momento presente.
La piccola speranza si struttura nella concretezza di poter dare da mangiare alla propria famiglia, di poter avere il necessario per vivere con serenità e tranquillità con la propria famiglia. Quando essa viene ad attenuarsi, si prospetta il dramma di chi vive l’incertezza del posto di lavoro, l’incertezza di chi ammalato non sa se potrà prendersi cura dei propri affetti e amori, l’incertezza di non poter dare e garantire il presente e non il futuro che non è nelle nostre mani ma nei nostri pensieri e desideri.
Essa ci permette di vivere l’oggi che è nelle mani dell’uomo, il quale è chiamato ad essere garante e dispensatore di speranza che si identifica nella carità, nelle opere di misericordia corporali e spirituali.
La piccola speranza, perché la vita sia piena e realizzata, ha bisogno della grande speranza cioè della vita eterna dove tutto trova compimento e che solo la fede in Dio ci può dare. Senza questa fede, la speranza umana è monca, è limitata e circoscritta al tempo presente. Papa Benedetto XVI si poneva questa domanda: «Ma, l’uomo del terzo millennio, ha ancora bisogno della vita eterna? Oppure è appagato della vita terrena?».
Il vecchio Simeone ci offre una sintesi meravigliosa di tutto ciò. Gli era stato promesso che non avrebbe visto la morte senza aver visto e abbracciato il Messia. La speranza si concretizza e a quella vista, il vecchio Simeone si è proiettato nella grande speranza: «Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace, perché i miei occhi hanno visto la salvezza preparata per tutti i popoli».
In santa Monica, mamma di Sant’Agostino, c’era un solo desiderio: vedere convertito alla fede cristiana il figlio Agostino. Dopo la conversione del figlio, mamma Monica desiderava solo entrare nella vita eterna dove si trova la pienezza della piccola speranza nella quale aveva confidato per poi abbracciare la grande speranza dove ogni cosa trova compimento.
Cari amici bornesi, chiediamo ai nostri cari morti di non accontentarci del ricordo, che si chiama piccola speranza, ma di guardare e vivere con la certezza di ritrovarli al termine del nostro cammino. Ci aiutino a mantenere accesa nella nostra vita la fiammella della piccola speranza, che con la sua luce fioca ci condurrà alla luce della grande speranza per poter dire ogni giorno al nostro cuore: vivo per la vita eterna, vivo non per morire, ma per vivere l’incontro più importante e decisivo, quello con Gesù misericordioso nel quale ritroviamo tutti i nostri cari nella gioia piena e nella felicità eterna.
“È utile e opportuno sforzarsi di onorare gli uomini buoni con lodi ed encomi, tessere ghirlande in loro onore, cantare ed esaltare le loro opere, per quanto la nostra debolezza ci permette di narrarne”
CALLISTO I, Santo tra i santi
Vita di Gregorio il Sinaita
Cellio, Monasterium, 2022, p. 27
Oliviero
Franzoni
Figlio di Giacomo Franzoni (Ossimo Inferiore 1769-1817) fu Pietro del ramo detto Tadea e di Caterina Bona (Ossimo Inferiore 1772-1823) fu Antonio del ramo detto del Forno, sposati il 12 marzo 1792, nacque a Ossimo Inferiore il 25 settembre 1812, battezzato con i nomi di Angelo Vigilio. Rimasto presto orfano e abbracciata la vocazione ecclesiastica con l’entrata in seminario nel 1834, chierico “d’ottima moralità” (come risulta dai verbali della visita pastorale effettuata a Ossimo nel 1837 dal vescovo di Brescia monsignor Carlo Domenico Ferrari), diacono nel 1839, venne ordinato sacerdote il 28 settembre 1839. Dopo aver disimpegnato per una manciata di anni gli uffici di cappellano e di confessore nelle parrocchie di san Nazaro di Lozio e di Berzo Inferiore, il 7 maggio 1845 venne nominato parroco di Ceratello, una delle terricciole abbarbicate ai poggi e ai terrazzamenti della solatia costa di Lovere, per passare il 13 settembre 1849 a reggere la parrocchia di Ono San Pietro. Agli inizi del 1853 fu promosso a ricoprire l’importante dignità di canonico primo in cura d’anime della pieve di santa Maria Assunta di Cividate, chiamato a operare in veste di stretto coadiutore di quell’arciprete e assumendo in seguito anche la carica di componente della locale Congregazione di Carità sotto la presidenza del ben noto avvocato Giuseppe Tovini. Il 2 gennaio 1883, alla morte del parroco don Giuseppe Peradotti (Cividate 1806-1883), fu nominato economo spirituale della pieve, detenendo le funzioni per alcuni mesi, fino all’arrivo del nuovo arciprete don Michele Isonni (Pisogne 1837-Brescia 1923).
All’epoca ricadeva sotto la diretta cura spirituale plebana l’ospedale degli esposti di Valle Camonica, situato nel vicino censuario di Malegno, in prossimità del ponte sul fiume Oglio collegante la strada valleriana con il paese di Cividate.
L’antichissima istituzione di diritto pubblico, segnalata attiva già nel XIII secolo e mantenutasi eretta in ente autonomo sotto il controllo delle autorità superiori, era deputata a raccogliere e accudire i poveri infanti abbandonati nell’ambito del territorio camuno, attenuando l’impatto sociale di un tragico fenomeno allora di vaste e dilaganti proporzioni. Dimessosi, per ragioni di salute, Giambattista Curti (Cividate 1793 c.-1861) dal compito di amministratore-economo dell’ospizio ricevuto nel 1854, nel mese di gennaio 1858 l’autorità tutoria governativa scelse a prenderne il posto proprio don Angelo Franzoni, preferito agli altri candidati don Gaetano Federici (n. Gorzone 1807), don Angelo Parigi di Cividate e dottor Bortolo Roberto Canossi (Cividate 1804-1874), medico chirurgo. Profondendo “tanto amore e sollecitudine” a strenua difesa della vita e a servizio incessante dei fanciulli ospiti e delle molteplici necessità della struttura, don Angelo ricoprì per un trentennio le gravose e delicate incombenze che gli vennero confermate a vita, mutato il titolo nel 1872 da amministratore in quello di presidente. Durante il suo lungo mandato ebbero la direzione sanitaria i medici Luigi Cuzzetti (Breno 1814-Provaglio 1867), Pietro Giacomo Cattaneo (Breno 1799-1879) e Vitale Bonettini (Malegno 1819-1899); nelle attribuzioni di registranti-segretari, delegati a tenere in ordine i libri mastri dell’ente, si succedettero i ragionieri Giovan Battista Tovini (Cividate 1809-1876), Giovan Battista Zendrini (Breno 1807-1877) ed Eugenio Tovini (Cividate 1846-1916), fratello dell’avvocato Giuseppe. Fu questo un periodo di intenso lavoro e di significativi cambiamenti per il benemerito istituto camuno. Infatti, in applicazione di norme legislative varate nel 1862, all’ospizio venne riconosciuta la configurazione di opera pia, con proprio statuto organico entrato in vigore il 20 settembre 1872: il nuovo status giuridico determinò una profonda trasformazione nell’assetto direzionale, con la designazione di un consiglio di amministrazione formato da presidente e direttore (indicati dal consiglio provinciale), oltre a tre commissari in rappresentanza dei mandamenti di Edolo, Breno e Pisogne, nei quali era divisa la Valle Camonica, proposti dai consigli comunali e proclamati dalla Provincia di Brescia. Inoltre, l’1 luglio 1874 cessò l’esercizio della ruota (consistente in una bussola ruotante sistemata in modo da garantire l’anonimato a coloro che si presentavano per depositare un neonato), sostituita dall’apertura di un ufficio di consegna, e negli anni 1873-1875 si procedette a una radicale ristrutturazione dei vecchi edifici.
Al pari di altri sacerdoti della sua generazione, apertamente avversi all’aggressiva e virulenta politica laicista e anticlericale sistematicamente portata avanti dagli occhiuti organi di governo e dalla pervasiva burocrazia del giovane regno italiano, dovette sopportare angustie e malevolenze. In particolare, rimase vittima del politicamente corretto per essersi mostrato piuttosto tiepido verso il potere costituito, manifestandosi intransigente nella salvaguardia della religione cattolica e dell’integrità della Chiesa. Il 5 agosto 1874 il sindaco di Cividate avvocato Giuseppe Tovini (Cividate 1841-Brescia 1897), insigne protagonista del movimento cattolico (beatificato a Brescia il 20 settembre 1998 da Giovanni Paolo II), segnalò a chi di dovere il nominativo del canonico Franzoni quale “meritevole di encomio e di onorifica distinzione” da parte del “governo del Re” per le acclarate benemerenze acquisite nell’energica e integerrima conduzione dell’ospedale e nelle sollecite “prestazioni personali” impiegate per fronteggiare nel 1867 la pericolosa “invasione” di una mortale epidemia di colera.
La pratica non ebbe esito felice a seguito delle riserve espresse dal responsabile della Sottoprefettura di Breno Gaetano Crippa, in sedia dall’aprile 1874 al dicembre 1877, pedissequo interprete dell’ordinario ruolo di impiegato ligio alla rigorosa ortodossia verso il governo che gli pagava lo stipendio e gli garantiva buoni margini di carriera. In un peloso rapporto, inviato il 12 agosto 1874 alla prefettura di Brescia, costruito a seguito di “minuziose indagini” svolte con discrezione presso l’ufficio del tenente comandante dell’arma dei regi carabinieri in Breno, il pubblico funzionario sottolineava come don Franzoni “non goda la pubblica approvazione da modo da poter essere annoverato fra cittadini distinti per meriti speciali, volendosi senza fra altre cose che il medesimo non sia abbastanza affezionato alle attuali istituzioni”, ostentando anzi una condotta “in linea morale censurabile massime non solo, ma più che mai in un prete, e ciò per fatti notoriamente divulgati, in linea sociale quella d’uomo eminentemente ambizioso e cupido d’impero da non guardare forse troppo sottilmente ai mezzi che gli ottengono il fine, in linea politica assai meno che tenera delle patrie istituzioni, ma pronta ad investirsi d’una carica se gliene viene il destro per accrescere di prestigio nel mezzo ai tanti pregiudizi religiosi che dominano in questa valle”. Nella tranciante informativa, calunniosa e irta di basse insinuazioni, il sottoprefetto non mancava di muovere, con circospezione, una velata critica anche all’indirizzo del sindaco Tovini, pur astenendosi prudentemente dal prendere una chiara posizione negativa (essendo il Tovini, per le sue legittime condizioni di sindaco, pur sempre un pubblico ufficiale giocoforza ratificato dal governo, anche se politicamente schierato sul fronte cattolico, ostile alla maggioranza di orientamento liberale) e rimandando al proprio superiore in linea gerarchica ogni decisione definitiva.
Erano questi gli anni segnati, all’indomani della violenta presa di Porta Pia e della traumatica fine del potere temporale dei papi, da un generalizzato clima irrespirabile e di accerchiamento verso le realtà ecclesiastiche nel quadro dei burrascosi rapporti tra lo Stato italiano e la Chiesa, sbrigativamente spogliata delle sue secolari prerogative e di buona parte degli ingenti patrimoni costruiti durante lo scorrere del tempo grazie al continuato flusso di donazioni disposte da una miriade di fedeli e di benefattori. In tale malagevole cornice, don Angelo, per nulla incline a lasciarsi intimidire, l’8 gennaio 1878 partecipò con altri 211 soci (una trentina camuni, soprattutto sacerdoti), alla costituzione, nei rogiti del notaio Ottavio Fornasini, della “società anonima per azioni nominative” plasmata per la pubblicazione del giornale “Il Cittadino di Brescia”, pensato per cooperare “allo sviluppo morale, intellettuale e materiale del cittadino nelle varie questioni sociali, secondo i principi cattolici, senza ire partigiane e con modi temperati e cortesi”: il combattivo e incisivo foglio vivrà a lungo, diventando il qualificato organo di riferimento dell’intero movimento cattolico provinciale. Conservando onorevolmente tutti gli incarichi, don Angelo Franzoni morì a Cividate il 5 gennaio 1888: il necrologio ne fissa sobriamente il ricordo quale esemplare sacerdote munito di “spirito religioso e zelante nella salvezza delle anime, a cui sempre intese con sollecitudine sino all’ultimo della sua vita”.
Fonti:
- Archivio Centrale dello Stato in Roma, Ministero dell’Agricoltura, Industria e Commercio, Direzione Generale Credito e Previdenza, Industrie-Banche-Società, b. 278, fasc. 1511;
- Archivio Parrocchiale di Cividate Camuno, Defunti, sec. XIX;
- Archivio Parrocchiale di Ossimo Inferiore, Registro, ovvero Stato delle Famiglie tutte di Ossimo di sotto 1815;
- Archivio della Pia Fondazione di Valle Camonica in Malegno, faldone 37, fascicolo 7;
- Archivio di Stato di Brescia, Sottoprefettura di Breno, b. 16;
- Archivio Vescovile di Brescia, Visite, Visita pastorale del vescovo Ferrari 1837 e Cancelleria, Ono San Pietro;
- Regolamento della Congregazione di Carità di Cividate-Alpino. Brescia 1870, p. 14;
- Brescia e sua provincia. Diario Guida per l’anno 1887. Brescia 1887, p. 246;
- O. FRANZONI, L’antico ospedale degli esposti di Valle Camonica, in La Pia Fondazione di Valle Camonica attraverso i secoli. Esine 1997, pp. 81-84.
Eleonora
Bonizzoni
Cittadini attivi e responsabili si impara ad esserlo fin da piccoli. Ecosostenibilità, transizione ecologica, educazione all’ambiente e all’alimentazione: questi i grandi temi che i nostri cuccioli stanno attraversando, scoprendo e imparando a padroneggiare.
In ogni super avventura che si rispetti non può mancare un super eroe! A coinvolgere, appassionare, avvincere e sviluppare la sensibilità dei bimbi su questi temi cari e fondamentali per il nostro Pianeta, è arrivata SUPER GREEN, un’amica speciale dai poteri preziosi!!
Il primo: osservare attorno a noi che il verde sia rispettato. Purtroppo con questa lente attenta e desiderosa di proteggere il verde vicino a noi abbiamo osservato che il parco giochi, che i bambini usano ogni qual volta il meteo permette una bella scorrazzata all’aria aperta, non è affatto rispettato come si vorrebbe. Purtroppo alcune persone che lo utilizzano al di fuori dell’orario d’asilo, non usano l’attenzione che la natura merita: carte, fazzoletti, mozziconi di sigaretta, tappi di bottiglie, residui delle feste di compleanno spesso non si trovano negli appositi bidoni di raccolta, bensì negli spazi che i bambini usano abitualmente per giocare.
E così, da veri superseguaci di SuperGreen, giovedì 15 febbraio, armati di guantini, i superpiccoli supereroi hanno impiegato il loro tempo destinato al gioco per ripulire il parco.
Un plauso a questa operazione da cui tutti sarebbe bello prendessimo esempio, imparando ad avere cura della natura, degli spazi condivisi e del desiderio dei nostri bimbi di crescere in uno spazio pulito e rispettato. Come scriveva il Piccolo Principe: “Bisogna sempre spiegarle le cose, ai grandi”.
Lasciamoci contagiare e travolgere dalla loro pura capacità di avere cura dell’Essenziale. E la Natura lo è! Per tutti.
Le sacrestie delle chiese di Lozio e delle sue frazioni, hanno conservato per secoli manufatti, paramenti sacri, dipinti che hanno testimoniato e – in alcuni casi – testimoniano ancora la fede e la devozione dei nostri avi.
Molti di questi manufatti oggi sono celati dentro grandi armadi o conservati presso il museo diocesano (a testimonianza anche del pregio di alcune opere). Altri, come l'organo della chiesa dei Santi Nazaro e Celso fa ancora mostra di sé anche se da tempo non suona più o come quello della chiesa di Villa che purtroppo giace celato da un tendaggio perché bisognoso di cure importanti.
Altri ancora sono stati restaurati e nuovamente hanno ritrovato il loro posto nelle navate delle piccole ma curate chiesette.
Sono beni che non vanno dimenticati, perché rappresentano le radici della fede antica di chi ha solcato questa valle nei secoli passati. Uomini e donne che, pur nella ristrettezza dei mezzi che allora connaturava le valli alpine, sapevano trovare il tempo e l'estro per ringraziare Dio mettendo a disposizione risorse e manualità di cui oggi potremmo ancora godere.
La redazione
Franco
Peci
Da molti anni per me il mercoledì delle Ceneri è un giorno particolare. Sono sempre stato abitudinario e in questo giorno, proprio la scusa di non mangiare a mezzogiorno, mi aiuta a rompere i miei schemi. Invece di pranzare, andare in bagno (abitudinario anche in questo) e poi piazzarmi fino alle due davanti alla televisione per seguire la prima parte del tg2 e “Passato e presente” su Rai Tre (con qualche cambio di canale se l’argomento storico trattato non mi interessa molto), in questo giorno proseguo nelle letture del mattino, dò un’occhiata al sito dell’Ansa per le notizie e, altra cosa che non faccio quasi mai negli altri giorni dell’anno, su Internet leggo – più che pregare – l’Ufficio delle letture (www.liturgiadelleore.it) e poi continuo a brigare con il computer come ogni pomeriggio fino a quando arriva l’amica Pierina a prendermi per la S. Messa. Concludo la giornata riprendendo i miei soliti schemi.
- S. Messa domenicale
- Preghiera personale
- Preghiera in famiglia
- Magro e digiuno: Mercoledì delle Ceneri e Venerdì Santo,
- Magro tutti i Venerdì
- S. Messa feriale
- Offrire al Signore la giornata
- Offrire il perdono per ricevere la pace
- Non spettegolare
- Spegnere la TV per parlare fra di noi o leggere insieme un brano della Bibbia
- Rinunciare all’alcool e al fumo
- Contemplare la natura e i fratelli che incontriamo ogni giorno
- Fare bene e con amore tutto ciò che dobbiamo
- Volersi tutti più bene…
Queste erano le indicazioni che con don Giuseppe mettevamo sulla locandina della Quaresima parecchi anni fa: ricalcano bene una certa idea di questi quaranta giorni di preparazione alla Pasqua. Che poi, se li contiamo bene, non sono mai esattamente quaranta. Leggevo che nel corso dei secoli per mantenere questo numero dal forte significato biblico (dai quarant’anni di cammino nel deserto di Israele ai quaranta giorni di digiuno dello stesso Gesù) sono stati impiegati diversi metodi di conteggio: iniziare appunto dal mercoledì delle ceneri, non contare le domeniche, non contare i giorni della settimana santa…
A parte questi aspetti folkloristici, l’idea che penso in molti abbiamo della Quaresima è come questa sia il tempo dei fioretti, dei piccoli sacrifici per far contento Gesù e diventare un po’ più bravi, come ci dicevano le nonne e le zie quando eravamo piccoli; le mamme e i papà per farci diventare meno capricciosi, a volte o spesso, ricorrevano a linguaggi del corpo più sbrigativi.
Alcuni di questi fioretti venivano seguiti anche da chi, magari, metteva poco i piedi in chiesa con l’idea che, in fondo, qualche rinuncia periodica faceva bene alla salute, aiutava a rafforzare la volontà, la capacità di imporsi dei limiti, salvo poi attendere lo scadere dei quaranta giorni – o quanti sono – per ritornare a godere di abitudini più o meno sane.
Forse anche questo aspetto, pure un po’ folkloristico ma molto vero per la realtà umana, sta venendo meno in una cultura che ci indica quasi sempre la porta larga del tutto è facile, tutto è bello e performante, fingendo di farci credere che non dobbiamo più passare per quella stretta della fatica, a volte del dolore, dove non tutto è risolvibile con una pastiglietta o con una bacchetta (magica) pseudo scientifica.
Proseguendo su questa scia è facile scivolare nel consueto rimpianto di un passato in cui veniva forse troppo esaltato lo spirito di sacrificio, dei fioretti appunto, dei volontari della sofferenza per espiare i nostri peccati e quelli del mondo intero. Per grazia e per nostra fortuna, se non sbaglio, questo lo ha già fatto Gesù Cristo per ognuno di noi e per puro amore gratuito.
Ma allora a cosa serve la Quaresima? La preghiera e l’elemosina – cioè accorgerci e avere a cuore i bisogni degli altri – sono azioni pienamente umane e cristiane. Ma il digiuno, i fioretti, i sacrifici tradizionalmente intesi che senso hanno?
Giocando ancora con il nostro numero sono ormai quarant’anni che traffico con il computer. Se non ricordo male era proprio il 1984 quando, per la prima volta, misi le mie manacce scoordinate sulla tastiera di un Commodore 64.
Ed ho imparato subito che a volte i software, le app come vengono chiamate oggi, gli schemi di istruzioni possono bloccare i computer, mandarli in tilt. A volte con una combinazione di tasti, a volte agendo brutalmente sull’interruttore dell’alimentazione elettrica, l’unico modo per farli ripartire è fare il reset.
I piccoli digiuni quaresimali possono aiutarci a compiere una simile operazione nella nostra vita, possono aiutarci a rompere gli schemi (anche religiosi) quotidiani, a liberarci da ciò che ci appesantisce, da ciò che può mandarci in tilt, per riprendere con più fiducia il nostro cammino.
Anche il brano di Vangelo del Mercoledì delle Ceneri ci invitava a verificare con quale spirito viviamo la preghiera, l’elemosina, il digiuno (Mt 6,1-6.16-18). Come il reset del computer consente alla macchina di ritornare come prima, a volte come quando è uscita dalla fabbrica, così la Quaresima ci invita a ritrovare la strada giusta – è questo uno dei significati della conversione – ma non per ritornare come prima o ad una presunta verginità di fabbrica.
Forse non è del tutto corretto, ma a me piace includere nella conversione la capacità, il desiderio di cambiare le nostre idee, il nostro modo abitudinario di pensare per accogliere qualcosa di nuovo, per sentire di nuovo la forza di rialzarci dopo le cadute. E alzarsi, rialzarsi, ci dicono gli esegeti, sono verbi che richiamano la risurrezione.
Don Mario
Bonomi
Consulente ecclesiastico del Consultorio Familiare "G.Tovini"
Una pubblicità di una grande catena alimentare parla di famiglia, ma subito specifica che non ce n’è solo un tipo, ma tanti… Oggi purtroppo ci stiamo abituando, anche noi cattolici, a considerare ogni coppia di fatto come famiglia. È come se si stesse perdendo il valore della durata e della socialità, del per sempre e del pubblico.
Tutto è portato ad un piano privato, con la pretesa che lo Stato o la Chiesa lo riconosca. Il diritto non può e non deve, pena una sua “moralizzazione” o “teocrazia”, normare quei rapporti, che assumono una dimensione occasionale, venendo definiti come mero rapporto “naturalistico”. Proprio su questo disinteresse si fonda la nostra libertà naturale (altro è appunto il giudizio morale e l’aspetto penale, qualora uno non sia consenziente).
«Nel caso del matrimonio la situazione è sempre apparsa agli occhi dei giuristi assolutamente antitetica a quella ora descritta. Non è il diritto a imporre ad una coppia il matrimonio, è la coppia che lo richiede. Coloro che vogliono sposarsi entrano in relazione tra loro, vogliono cioè riconoscersi pubblicamente come coniugi, perché desiderano che il loro rapporto naturalistico venga qualificato dal diritto. Vogliono escludere pubblicamente e a priori la duplicazione della loro esperienza (divieto della bigamia); vogliono che si presuma, che i figli nati dalla moglie, siano giuridicamente attribuiti al marito; vogliono che la società riconosca loro, e a loro soltanto, la potestà giuridica sulla prole; vogliono che venga individuato un patrimonio familiare sottoposto a specifica regolazione; vogliono che il reciproco impegno di assistenza acquisti valenza pubblica, eccetera. Vogliono insomma che la loro vita privata sia riconosciuta pubblicamente e strutturata secondo le modalità del diritto.» (F. D’Agostino, “La Famiglia un bene insostituibile!”, Cantagalli; libro che consigliamo).
L’esperienza ci dice che il senso di bene comune e di durata sono altamente minacciati. La socializzazione è sempre più merce rara. La comunità la si interpella esclusivamente per raggiungere il proprio diritto. L’ufficiale pubblico e il ministro religioso hanno il dovere di assecondare ogni desiderio, senza porre troppe domande e senza chiedere troppe spiegazioni.
Tutto è privatizzato e la comunità è così svuotata di quelle relazioni determinanti per non sentirsi soli e emarginati. La durata poi è sostituita dalla novità e dall’autenticità, che ne è il primo derivato. Un tempo un oggetto era pregiato se durava di generazione in generazione, oggi ha valore solo se è nuovo. Tutto è costruito per durare poco ed essere sostituito dalla novità; nessuno aggiusta più nulla, meglio cambiarlo, anzi se non è alla moda, anche se ancora utilizzabile, meglio acquistare l’ultimo modello. Il rischio è che la stessa mentalità valga per le relazioni, meglio una nuova, piuttosto che fare la fatica di ricucire la precedente fallita, dove ciò che conta è essere autentici, nel senso peggiore: istintivi; creando relazioni sempre più fragili, uomini e donne in balia degli eventi; minando alla base la cellula della società, che è e rimane la famiglia tradizionale.
Come Consultorio, nel rispetto di tutti e con la massima delicatezza, portiamo avanti il desiderio e la vocazione della famiglia, perché sia sempre il caposaldo della società, e garante di quella stabilità, antidoto alla crescente ansia e necessaria per un tessuto connettivo rassicurante.
Associazione Consultorio Familiare “G. TOVINI” ONLUS ONLUS
Via Guadalupe, 10
25043 – Breno (Bs)
Tel. e fax: 0364 / 32.79.90
Email: info@consultovini.it
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