Padre Defendente Rivadossi
Missionario Cappuccino in Amazzonia per 50 anni
- La mia vocazione
- La nostra patria: il mondo!
- Un missionario e la Principessa
- Sangue rosso a servizio del Re
- Imparando
- Mia mamma
- Anil
- Colonia do Prata
- Tuntum – Ma
- Nova Timboteua
- L’armadio assassino
- Nova Timboteua
- La Banda
- Nostalgia e addio
- Santana
- Il convento
- Ricordi
- Addio, Brasile!
- Per Concludere
Miei cari amici e amiche, una giovane maestra che si chiama LEIDIANE, mi ha chiesto che contassi la mia storia, dalla mia infanzia fino ai nostri giorni. E io un po’ alla volta ho iniziato a scrivere le mie memorie, perché lei ha trovato molto interessante e vuole pubblicare. Io potevo avere al massimo quattro anni e la mia santa mamma mi faceva ballare sulle ginocchia e così pregava: MADONNA SANTISSIMA, PRENDETE QUESTO MIO FIGLIO, E FATE DI LUI UN FIGLIO DI SAN FRANCESCO... Ricordo che io mi arrabbiavo e non avevo tanta voglia di pregare e di queste cose, perché a me piaceva giocare, e, come tutti i monelli della mia età, ne combinavo di tutti i colori. La mia famiglia era molto povera, eravamo otto fratelli, quattro maschi e quattro femmine.
Mio papà era un contadino all’antica, aveva fatto la prima guerra mondiale, come alpino, combattendo sull’Ortigara, il calvario degli alpini. Avevamo due o al massimo tre mucche, per avere un po’ di latte. Io sono cresciuto come tutti i monelli della mia età, ho frequentato il catechismo, ho fatto la Prima Comunione, Cresima, sono stato perfino un chierichetto della chiesa parrocchiale di BORNO, un piccolo e bellissimo paesello, situato nelle Alpi dell’Italia.
In quei giorni un frate andava da quelle parti, il suo nome, lo ricordo molto bene era BONASA, e trascinava al convento molti bambini con belle promesse.
Alcuni dei miei amici e compagni accettarono e entrarono nel seminario di Loano, in Liguria. E allora io pure ho sentito lo stesso desiderio e l’ho comunicato alla mia mamma. E lei è rimasta molto contenta e ha ringraziato la Madonna per la grazia ricevuta. Mio padre all’inizio assolutamente non voleva, ma un po’ alla volta tutte le difficoltà furono superate. I miei genitori prepararono per me le poche cose indispensabili e il giorno 11 ottobre del 1949 mi portarono al convento della SS. Annunciata. Avevo 11 anni, essendo nato il 2 marzo del 1938; era il giorno delle CENERI e la mia mamma mi diceva che ero nato per fare penitenza.
La prima tappa della mia vita in seminario è stata nel paese di ALBINO(BG), e subito sono stato rivestito con la tonaca di fratino, e il mio nome di battesimo, FERMO, è stato cambiato con quello di DEFENDENTE, che ancora oggi conservo. La vita in seminario non era facile ai quei tempi. Ricordo che un giorno sono andato a parlare col direttore, Padre Bentivoglio, che non ce la facevo più e volevo tornare a casa. Invece di consolarmi, me ne ha dette tante e così ha salvato la mia vocazione. Il Signore sia lodato!..
Sono entrato nel santo noviziato a Lovere, con l’età di 17 anni e il 15 agosto del 1956 ho emesso i primi voti, di obbedienza, povertà e castità. Avevo solamente 18 anni. L’Ordinazione sacerdotale avvenne il giorno 8 di giugno del 1963; il prossimo anno celebrerò le mie nozze d’oro sacerdotali qui nella parrocchia di San Pio da Pietrelcina, nella città di SANTANA. Sarà una festa molto bella e voi tutti siete invitati. Ritorniamo in Italia. Avevo già manifestato il mio desiderio di essere un missionario qui in Brasile. Ho ricevuto l’arma del GUERRIERO DEL SIGNORE il giorno 20 ottobre di quello stesso anno dalle mani del parroco del mio paese, Don Ernesto, di santa memoria. Qualcuno mi ha già chiesto che tipo di arma è questa... una mitragliatrice... un bazooka?... no, semplicemente il CROCIFISSO, che ancora oggi ho qui con me! Ho dato l’addio al mio paesello, ai miei genitori, famigliari, parenti e amici e il giorno 29 di ottobre sono partito con la nave PROVENCE, di origine francese, della stessa compagnia di navigazione della nave COSTA CONCORDIA, che è naufragata il mese scorso.
L’addio a mio padre è stato molto doloroso. Era molto ammalato e quando mi ha abbracciato, mi ha detto queste testuali parole, che non ho mai dimenticato: FIGLIO MIO, PARTI PURE, MA RICORDATI CHE NON CI VEDREMO MAI PIÙ SU QUESTA TERRA! Infatti dopo tre anni è morto, il giorno 11 maggio del 1966. Mia mamma mi ha consegnato una lettera, che io dovevo aprire solamente quando la nave avesse raggiunto l’oceano Atlantico. E qui termina il primo capitolo.
Primi anni in Brasile con altri missionari
Carissima amica Leidiane, sono ritornato dall’ospedale e ho consegnato il materiale della Campagna della Fraternità al Direttore; questa campagna che si fa tutti gli anni durante la Quaresima, quest’anno ha come tema: SALUTE PER TUTTI.
Adesso voglio continuare la mia storia. Ieri mi sono fermato all’episodio della lettera della mia mamma, che ho aperto il giorno 2 novembre. La nave aveva lasciato la città di Lisbona, capitale del Portogallo e navigava sulle acque dell’oceano Atlantico. Ho aperto la lettera della mia mamma e ho pianto molto, nascosto. Mi sono ricordato di tante cose, della visita alle scuole del mio paese. Dei bambini che mi chiedevano perché lasciavo il mio paese, mio padre ammalato, tante cose belle per mettermi in un mondo sconosciuto.
Molto emozionato ho detto ai bambini che guardassero il crocifisso affisso nella parete della scuola. E i bambini hanno guardato, e io ho chiesto: ma, cosa sta facendo in quella posizione? E subito i bambini mi hanno risposto: LUI É MORTO PER NOI!...Allora io ho insistito, per chi quel NOI? Per i bambini qui presenti o per i bambini del Brasile e di tutto il mondo? Questo stesso messaggio io l’ho lasciato nel mese di gennaio del 2009, quando ho dato l’addio alla comunità di Vila Timboteua. Il missionario è una persona universale, senza patria, la sua patria è il regno di Dio! Ritornando all’assunto del viaggio, sono state giornate lunghe, monotone, cielo e acqua.
Non avevo mai viaggiato in nave. C’era la cappella e si celebrava la Messa tutti i giorni. C’erano molti missionari che andavano in Brasile e in Argentina.
Noi eravamo quattro frati cappuccini: due sono già morti, padre Ermenegildo e Padre Felice Zanotti. Vive ancora Padre Elia, che ha compiuto i 92 anni il giorno 14 dicembre dell’anno scorso. Si incontra adesso nel nostro convento di Belem, ricco di anni, di santità e di molta esperienza. Arrivammo a Recife il giorno 9 novembre. Ci hanno portati in macchina fino a Fortaleza e dopo fino a Parnaiba nel Piauì. Ricordo che guardavo tutto, pensando di incontrare dappertutto grossi serpenti, tigri e indiani selvaggi... Niente di tutto questo.
Ho visitato i conventi dei frati brasiliani e ho sentito molta nostalgia dell’Italia e dei miei colleghi e amici. Da Parnaiba a San Luis siamo andati con l’aereo: è stata la prima volta. In San Luis ho iniziato la mia vita missionaria senza sapere una parola della lingua portoghese. Ma un po’ alla volta ho cominciato a parlare qualche parola e mi sono subito abituato all’ambiente. Andavo molto nelle città dell’interno per il ministero religioso.
1964: i muli come mezzo di trasporto
Siamo arrivati ieri alla fine del secondo capitolo, e oggi iniziamo il terzo. Stavo parlando del mio ministero religioso nelle città dell’interno maragnense. Ero pure vicario parrocchiale della parrocchia periferica della capitale del Maranhão, nel rione di ANIL. La parrocchia è dedicata alla Madonna Immacolata. Ho vissuto la settimana santa nella città di VITORIA DO MEARIM, e quando sono ritornato il giorno primo di aprile, ho saputo che in Brasile c’era stata la rivoluzione del 31 marzo del 1964. E per me pure c’è stata la rivoluzione, perché il superiore della missione, Frei Cosme Rinetti da Borno, ha detto che io dovevo andare nell’interno, come desobrigante della parrocchia di Carolina, nel sud del Maranhão. Carolina è una bella cittadina, situata in riva al grande fiume TOCANTINS ( 2.000 Km), è chiamata PRINCIPESSA DEL SERTÃO! Ricordo ancora il giorno del viaggio, 8 aprile del 1964. Il mio lavoro era quello di desobrigante, cioè missionario ambulante nell’interno della parrocchia. Il mezzo di trasporto era il mulo. Non ero mai andato a cavallo, ho dovuto imparare, ho fatto io pure molte cadute. Durante l’anno c’erano tre desobrighe da fare, de 40 a 50 giorni ognuna. La prima iniziava nel mese di maggio, la seconda nel mese di luglio-agosto, e la terza nel mese di novembre. Erano bei tempi quelli! Io ero giovane, avevo 26 anni, pieno di vita, di salute, e di coraggio.
La comitiva della desobriga era composta da tre animali, uno per me, l’altro per il sacrista, e il terzo per il carico. Si partiva dopo il pranzo, si camminava per tre ore o più per arrivare al posto dove si sarebbe celebrata la messa il giorno successivo. Alla sera c’era la recita del rosario, discorso, confessioni fino a tarda notte. Il luogo per dormire era in mezzo alla gente, con l’amaca, non c’era un comodo speciale, né bagno, né niente: l’acqua per prendere il bagno era nel torrente. Non c’era la cappella per celebrare la Messa, che era celebrata nella veranda, oppure sotto un tetto di paglia o sotto le piante. La povera gente era molto buona e cordiale. Ho fatto subito molte amicizie. Il giorno 18 maggio del 1964 ho celebrato il primo matrimonio della mia vita in un luogo chiamato BURITIZINHO, il nome della coppia di sposi, PEDRO e ALVINA.
Fra tutti i luoghi di desobriga quello che ha di più conquistato il mio cuore è Buritizinho. La mamma di Pedro aveva una nidiata di figli, una quindicina. Io la consideravo come una seconda mamma. Nella mia vita ogni tanto ritorno a Buritizininho per vincere la SAUDADE (nostalgia). L’ultima volta è stata il giorno 7 di settembre del 2011, quando sono stato a Carolina per celebrare il 50° di matrimonio di un’altra coppia amica, Arnolfo e Jovelina. Ma, state pur certi che il giorno 18 maggio del 2014 di nuovo mi troverò a Carolina per celebrare le nozze d’oro della coppia di Buritizinho.
Nel sertão di Carolina ho vissuto gli anni più belli della mia vita, la mia gioventù missionaria, 13 anni, dal 1964 al 1977. In questo primo anno di desobriga ho ricevuto il battesimo di tutti i missionari: la MALARIA. Quel 9 di novembre del 1964, un anno esatto dal mio arrivo in Brasile, dalla VEREDA BONITA fino al luogo chiamato ALTOS, non lo dimenticherò mai più. Cinque ore di viaggio, sotto il sole cocente, con i sintomi della terribile malattia... La malaria è appara ancora una volta nel 1968 e la terza volta nel 1970, nel mio primo viaggio in Italia, nel mese di ottobre di quell’anno a Borno.
Ho molti bellissimi ricordi di Carolina: Padre Paolino, il vescovo Mons. Cesario Minali, Mons. Marcellino, e tanti amici e amiche. Io ho una memoria fantastica, ricordo nomi e luoghi come se fosse oggi.
E qui voglio finire questo terzo capitolo, perché voglio dare molto spazio al IV, che inizierò domani, parlando delle comunità di Base: le CEBs.
Stavo parlando nel capitolo precedente, della mia vita come desobrigante nel sertão di Carolina. Ma c’erano anche altre cose nella città: le feste patronali, quella di Santa Teresina, il primo di ottobre e la grande festa del patrono della città, San Pietro di Alcantara, il giorno 19 di ottobre. Era un’animazione incredibile, con due opposte barracche: la barracca rossa e quella azzurra. Io sono sempre stato tifoso di quella rossa, perché il mio sangue è rosso e sono figlio di poveri, figlio di San Francesco, il padre dei poveri.
Interessante, a Nova Timboteua, dove ho esercitato il mio ministero per nove anni, dal 1999 al 2009, la gente di là mi ha coniato come PADRE DEI POVERI e qui nella città di Santana è la stessa cosa. Io non ho sangue azzurro, ma ero amico di tutta la gioventù della barracca azzurra. E allora ne nasceva una gelosia incredibile e qualcuno arrivò al punto di dire che il BECCO, bode, nella lingua portoghese (questo becco ero io perché avevo la barba rossiccia) era un traditore, era della barracca azzurra. Bei tempi quelli, quanta nostalgia!...
Ma ritorniamo a quello che è molto più serio: le comunità di base, le CEBs. L’evangelizzazione e la catechesi erano molto inconsistenti, molto precarie. Questo tipo di evangelizzazione era denominato di sacramentalizzazione.
Io stesso non ero soddisfatto. E allora entrò tutta la teologia del Concilio Vaticano Secondo. Nell’anno 1973 iniziammo la formazione dei laici e delle prime comunità di base. Con molta nostalgia e affetto ricordo alcune Suore cappuccine che mi aiutarono: Suor Margherita Paes, Suor Arlete, Suor Rachele, e altre. Il punto di forza di tutto questo era la parola meravigliosa di Mons. Marcellino, di santa memoria. Il sertão si trasformò spiritualmente.
La gente semplice arrivò al punto di scambiare le pistole per la Bibbia... Ci furono conversioni e molti frutti spirituali. Fra tutti il caso di Arnolfo, un ubriacone e violento, che in un corso di formazione arrivò al punto di dire che lui era un bandito, un ladro, peggio di Zaccheo, ma che da quell’ora in poi avrebbe cambiato vita e sarebbe diventato un’altra persona. E il risultato di tutto questo fu l’ottima educazione che diede ai suoi figli, due dei quali oggi sono sacerdoti. Ho già detto che nel mese di settembre dell’anno scorso sono andato a Carolina per celebrare le nozze d’oro della coppia Arnolfo e Jovelina, e i due figli sacerdoti hanno concelebrato con me, sotto le piante, perché in quel luogo non c’è la cappella, il giorno 6 di settembre.
Avrei molta cosa da contare, ma il tempo è poco... Questa avventura meravigliosa terminò nel mese di gennaio del 1977, quando sono stato trasferito alla città di Imperatriz, una città, anche lei, nel sud del Maranhão.
1970 via Gorizia: Padre Defendente con i suoi familiari
Nel mese di gennaio del 1977 ho lasciato la città di Carolina, che tanto amavo, perché è stato il primo amore della mia vita sacerdotale e missionaria. E il primo amore non si dimentica mai più... Dopo tanti anni, 35, ricordo ancora il nome delle persone e dei luoghi di desobriga. É mancata solo una cosa, di ricevere il titolo di cittadino onorario, come è avvenuto a Nova Timboteua, ma di questo parleremo più avanti. Nella città di Imperatriz, per circa due anni sono stato parroco della parrocchia di Santa Teresa d’Avila, patrona della città. Sono stato nominato parroco, la prima volta nella mia vita. Sono rimasto solo due anni, e nel mese di gennaio del 1979 sono stato trasferito nella città di Amarante do Maranhão. Non ho molte cose da raccontare di questo peroodo che ho vissuto nella città di Imperatriz. La parrocchia era molto piccola e a me piaceva fare scorribande nell’interno e, per questo motivo, quando ero a Carolina mi sono guadagnato il nomignolo di PADRE DELLA FORESTA. Nella città di Amarante sono vissuto per sette anni e ho avuto la collaborazione preziosa di una volontaria italiana, Anna Maria Pastorelli. La formazione dei laici e delle comunità di base fu portata avanti con molto successo. É stato il tempo della mia maturità umana e sacerdotale.
Anche in questa città mi sono fatto molte amicizie. La riforma della chiesa e di altre cose fu solo l’inizio di quello che negli anni successivi avrei fatto. Un piccolo asilo per i bambini fu la prima opera fatta. Stava per entrare nella mia testa la necessità di migliorare le strutture esistenti. Un po’ alla volta stavo diventando l’ARCHITETTO DEL SIGNORE... Amarante era una città di difficile accesso con strade pessime: durante il periodo delle piogge le poste rimasero chiuse per tre mesi, non ricordo l’anno. Durante questo periodo del 1986 avvenne la morte del Vescovo Mons. Marcellino (22–01–1980).
Al ritorno dal funerale ho pianto, mi sono sentito orfano, abbandonato. Ma la vita continuò. Fu eletto un altro vescovo, Mons. Alcimar, che ci diede il suo appoggio pieno. Gli anni di Amarante pure furono molto belli, ho dei bellissimi ricordi di questo tempo. Nel mese di gennaio del 1986 sono stato trasferito di nuovo, questa volta, alla capitale del Maranhão, San Luis.
Ma questa è già un’altra storia, un altro capitolo.
Fin adesso io ero considerato come il PADRE DELLA FORESTA.... Nel mese di gennaio del 1986 sono stato trasferito nella capitale del Maranhão, San Luis, come parroco della parrocchia della Immacolata Concezione, nel rione di Anil, nella periferia della città. L’inizio non è stato così facile. Io avevo il mio modo di fare un po’ contadinesco e le signore della società della capitale cominciarono a prendermi in giro: “Che male abbiamo noi fatto, per meritare un parroco abituato a trattare con tigri, contadini e selvaggi?” Nella parrocchia eravamo in tre. Io mi prendevo cura degli adulti, Padre Pierantonio della gioventù e Padre Franco Cuter della catechesi e dei bambini, un lavoro ben condiviso e fraterno. Io non avevo esperienza di coppie di adulti, (ECC Incontri di coppie con Cristo), ma un po’ alla volta ho imparato ed è stata una vera meraviglia... Quanti incontri nei sei anni che ho vissuto in quella parrocchia come parroco! Nacquero molte amicizie e ancora oggi c’è gente amica che viene a visitarmi, in qualunque luogo io mi trovi. L’ultima visita è stata alla fine del mese di ottobre dell’anno scorso.
Chi è venuto? Una grande amica, la signora Marina Faria. Quando io arrivavo in San Luis, o con l’aereo o di ônibus, lei, sapendo del mio arrivo, sempre veniva a prendermi per portarmi al convento del Carmine. Un’altra signora amica che non posso dimenticare è Marly Martins, della comunità di ANGELIM... e tante altre persone, fra tutte una ragazza, già un po’ attempata, molto viva e gelosa, Anailde. E non facciamo altri nomi...
Durante questo periodo avvenne anche la morte della mia cara e santa mamma, nel giorno 31 dicembre del 1986. Fine d’anno, trovare un posto sull’aereo e volare fino a San Paolo e poi fino in Italia è stato un vero miracolo. Sono arrivato al mio paese nel pomeriggio del primo giorno di gennaio del 1987 per celebrare la Messa di corpo presente nella casa paterna. Prima ancora che la cassa fosse chiusa per sempre, ho preso una forbice e ho tagliato un ciuffo di capelli della mia mamma, che ancora oggi conservo come una reliquia, un ricordo bellissimo. La mia mamma era molto ben voluta dalla gente di Carolina. Ricordo che nel viaggio che ho fatto nel 1975, ho portato con me un po’ di fotografie e dopo le ho distribuite agli amici delle comunità cristiane, perché loro volevano conoscere la mia mamma, almeno dalle foto.
Il funerale della mia mamma fu fatto il giorno seguente, 2 gennaio. Sono ritornato subito in Brasile, faceva molto freddo in Italia, stava nevicando.
Nella parrocchia di Anil il lavoro continuò e in una predica indimenticabile io ho detto che, essendo la mia mamma morta, assumevo la parrocchia come se fosse una seconda mamma... Potete immaginare lo shock che ha suscitato questa espressione!
Nell’anno 1988 ho celebrato le mie nozze d’argento: è stata una festa molto bella! Ricordo che nel momento di tagliare la torta, io dovevo tagliare il primo pezzo e darlo alla persona più amata che si incontrasse nel salone parrocchiale... Le signore della società erano ansiose e curiose di sapere cosa sarebbe successo... Mi ricordo che ho guardato in giro con lo sguardo birichino e poi, adagio, adagio, mi sono avvicinato a una vecchietta, che si chiamava Mundica Barbosa e ho dato a lei il primo pezzo della torta. Fu una salva di mani che non voleva finire... Tutti hanno capito che quello era un omaggio postumo alla mia santa mamma. Avrei molte cose da raccontare di questo periodo bellissimo della mia vita che ho vissuto nella parrocchia di Anil, ma vogliamo lasciarle al prossimo capitolo.
Stavo parlando del tempo della mia permanenza nella parrocchia di Anil. Sono stati anni molto belli. Ho realizzato molte costruzioni: la chiesa di San Pietro nel Planalto, il Centro Catechetico nel rione Santo Antonio e altri.
Parlando della chiesa del Planalto, ricordo che dall’Italia ho portato con me un sacchetto di terra del cimitero di Borno e l’ho interrato sotto l’altare che è come una piccola canoa. Il mio lavoro era più che altro con le coppie di sposi (ECC), quanti incontri... Io ero il Direttore spirituale di tutta la città di San Luis. C’era pure l’aiuto alla formazione spirituale dei postulanti cappuccini alla vita religiosa. Avevo la cura della Legione di Maria, dei Vicentini e di altri gruppi religiosi. Ho già parlato dei miei 25 anni di vita sacerdotale.
Ma in quell’anno di 1988, nel mese di maggio, avvenne un caso molto bello, forse il più bello di tutta la mia vita sacerdotale, la conversione di un massone sul letto di morte. L’uomo non voleva riconciliarsi né con Dio, né con la famiglia e stava per morire, per causa di un ictus alla bocca: sembrava una maschera. La sua sposa con le quattro figlie era rimasta fuori e mi pregava che io facessi qualcosa. Sono entrato nella sua stanza e mi sono avvicinato al suo letto. Mi riconobbe subito. Ho incominciato a parlare con lui di tante cose e poi gli ho detto che era giunto il momento di riconciliarsi col Signore... niente da fare! Con un ghigno mi rispose: “NON POSSO!” Sono uscito e ho detto, sconsolato, che non c’era nulla da fare. La signora, sua sposa, era molto religiosa e mi ha pregato di tentare ancora una volta. Sono entrato di nuovo tentando di fare qualcosa. “NON POSSO”. Ho avuto l’impressione che era il demonio che stava parlando... A un certo punto mi sono armato di coraggio, ho preso in mano il crocifisso del mio rosario e gli ho detto: “GESÙ É MORTO PER TUTTI!” Improvvisamente mi prese il piccolo crocifisso e gli diede un bacio e cominciò a piangere. Ho chiamato la sposa e le figlie di lui e qui avvenne il miracolo della riconciliazione: tutti piangevano di gioia, lacrime di perdono e di amore. Ho poi saputo che gli evangelici, quando vennero a conoscenza che la sua condizione era fatale, si sono avvicinati al suo letto, come tanti avvoltoi, per succhiare la sua anima. Lui li cacciò dicendo che se voleva pregare, c’era un amico con cui pregare... Ero io.
Tutte le domeniche, ritornando dalla Messa nella cappella di Santo Antonio, mi fermavo alla sua casa, prendevo una bibita, si parlava di sport, di caccia, di politica e mai di religione. Ancora oggi ringrazio il Signore per essere stato uno strumento di pace e di riconciliazione. L’addio nella parrocchia di Anil é stato molto emozionante. Mi ricordo di aver scritto una lettera che conservo ancora e che non ho avuto il coraggio di leggere. Ho chiesto che qualcuno la leggesse. L’addio ufficiale fu realizzato nel salone parrocchiale. Alcuni giorni prima, era un giorno di sabato, una turma di giovani stava facendo le pulizie nella chiesa parrocchiale. Un grande amico, il suo nome è Alvaro, mi diede un cesto di frutta, manga rosa, che io ho dato subito a quei ragazzi per la merenda. Ho raccomandato che non buttassero le bucce per terra, sulla porta della chiesa, come sempre facevano. “Sì, sì” risposero. Sono tornato dopo pochi minuti per vedere... Le bucce erano tutte per terra! .Mi ricordo che ho gridato ben forte: “PORCHETTE!” Molto bene, quando ci fu la festina di addio nel salone parrocchiale, tutte quelle ragazze erano presenti e con le lacrime agli occhi dissero queste parole: “FREI, GUARDA QUI, LE TUE PORCHETTE!” Potete immaginare l’emozione! Ancora al giorno d’oggi, dopo vent’anni, quando penso a quell’addio, mi emoziono... Qualcosa di simile è avvenuto pure il giorno 25 di gennaio del 2009, quando sono partito da Nova Timboteua per andare alla città di Santana. Il giorno 7 di febbraio del 1992 ho lasciato Anil per andare alla Colonia do Prata.
Come ho già detto, sono partito da Anil per andare alla Colonia do Prata il giorno 7 di febbraio del 1992. Il frate che mi portò alla nuova destinazione è stato Frei Antonio Pinto con la Toyota, sulla quale ha caricato le mie poche cose personali. Nella mia vita non ho mai posseduto grandi cose, ho sempre vissuto e vivo la povertà di San Francesco. La casa parrocchiale della Colonia do Prata era nel piccolo villaggio di San Giorgio, a due Km di distanza dal lebbrosario.
Nella Colonia do Prata c’erano ancora circa 500 malati (doentes), del terribile morbo de Hansen (lebbra). Ho incontrato una situazione di grande sconforto e ho incominciato a mettere in pratica quello che il crocifisso di San Damiano ha detto a San Francesco: “Francesco, vai, restaura la mia chiesa che sta cadendo in rovina”. E subito mi sono messo a restaurare gli edifici materiali, che stavano cadendo un po’ alla volta, principalmente la chiesa, una costruzione molto bella, ma in pessime condizioni. Fu eseguita la riforma completa del tetto coi soldi che nel mio viaggio in Italia, sono riuscito a raggranellare. Una cosa molto triste, il giorno 8 di luglio di quell’anno, quando ero pronto per andare a Belém per prendere l’aereo, alcuni ladri, durante la notte, rubarono la macchina della parrocchia, che non fu più incontrata. Ho vissuto sei anni nella Colonia do Prata, mio collega di lavoro era Padre Apollonio Troesi.
Oltre a dare l’assistenza ai lebbrosi, mi prendevo cura delle comunità rurali della parrocchia, fra tutte il CURY. La gente di San Giorgio aveva una grande rivalità con quella della Colonia do Prata e non ha mai capito che il motivo della nostra presenza in quella parrocchia non era il villaggio di San Giorgio, ma la Colonia do Prata, santificata dalla presenza di Padre Daniele da Samarate, che contrasse la terribile malattia nel 1909, quando aveva 33 anni. Gli anni che ho vissuto alla Colonia do Prata sono stati anni di molti sacrifici e di incomprensioni.
Nel 1995, il giorno 9 di luglio, un venerdì, ci fu il trasferimento dal villaggio di San Giorgio alla Colonia do Prata. La gente di San Giorgio si rivoltò, ci chiamò ladri e tante altre cose. L’ho già detto che il motivo della nostra presenza nella Colonia do Prata erano i lebbrosi e il fatto di trasferirci era per servire meglio i lebbrosi.... Ma la gente di San Giorgio non ha mai capito questo, o almeno, ha fatto intendere che non ha mai capito! Sono stati anni di molto lavoro, di molte riforme, i ricoveri, il refettorio e sopratutto il grande stabile della scuola, che ha queste misure: 18 metri di larghezza per 66 di lunghezza. Mai nella mia vita ho lavorato tanto come nei sei anni che ho vissuto alla Colonia do Prata. E a un certo punto mi sono stancato, frustrato, perché la gente non guardava al sacerdote come a un padre spirituale, guardava a lui come a una persona piena di soldi che doveva dare sempre. Mi ricordo che ho cercato di convincerli, realizzando opere a beneficio di tutta la comunità. Una delle cose più più belle è stata quella dei pozzi artesiani di Santo Isidoro. La gente beveva acqua sporca e io ho voluto migliorare la situazione dando acqua pulita. Adesso voglio parlare un po’ di questi pozzi. Era l’anno 1994 e la gente beveva acqua sporca.
Allora, oltre a tante altre cose, come le sedie a rotelle per tutti i lebbrosi, mi sono interessato dei pozzi. Ho chiamato una compagnia specializzata in queste cose e i pozzi sono stati fatti.
Mancava, però, la cosa più importante, l’energia elettrica potente per fare funzionare quei pozzi.
Allora ho fatto ricorso al governo dello stato del Parà, perché mettesse l’energia. Pensavo che non avrebbero fatto una cosa del genere e, invece, dopo alcuni mesi di pratiche burocratiche, l’energia potente è arrivata: un chilometro di pali e di fili. Così l’acqua ha cominciato a sgorgare dalle viscere della terra, 35.000 litri all’ora. Non ho molta nostalgia di quei tempi, furono anni di grande sofferenza, perché avevo anche calcoli renali e altre malattie. L’unica cosa che rallegrava il cuore del missionario erano le comunità rurali. Ho già parlato del Cury, ma c’erano anche altre belle comunità, come il Triangolo, Aparecida e altre.
La gente di queste comunità era molto buona e cordiale. Dopo sei anni ho chiesto ai superiori che mi mandassero in un altro posto e, nel mese di gennaio del 1998, sono stato trasferito a Tuntum nel Maranhão.
Sul finire del mese di gennaio del 1998 Frei Arimateia mi ha portato a Tuntum, una città all’interno del Maranhão, nella parrocchia di San Raimondo Nonnato, Diocesi di Grajaù. In questa parrocchia ho svolto il mio ministero come desobrigante, prendendo cura delle comunità di periferia e dell’interno.
Nella mia età di 60 anni sono ritornato a fare quello che facevo nella mia giovinezza, ma adesso non era più in lombo di mulo, ma con la Toyota, comprata con l’aiuto di un grande benefattore, lo stesso che mi aveva aiutato a restaurare la scuola della Colonia do Prata. Il suo nome è Dr.Luigi Camozzi.
Nella parrocchia di Tuntum sono rimasto fino alla fine del mese di agosto del 1999, quando fu eretta la nuova Provincia NOSSA SENHORA DO CARMO.
Allora sono stato trasferito di nuovo alla parrocchia di San Francesco nella città di NOVA TIMBOTEUA nello stato del Parà. Ma, parliamo adesso un po’ del mio lavoro a Tuntum, una parrocchia molto grande, un sertão (savana) come quello di Carolina. Ho organizzato le comunità, la liturgia con molto entusiasmo. La gente diceva che era stata necessaria la presenza di un missionario anziano per porre sangue nuovo nelle vene della chiesa.
Ho fatto molte amicizie nel breve periodo che ho vissuto a Tuntum, nella città, ma specialmente nella periferia e nell’interno. A me piaceva andare in giro con la Toyota piena di bambini che mi chiamavano NONNO. Una volta, mi ricordo molto bene, ne ho caricato 17! Potete immaginare che pazzie...
Ancora oggi, alla distanza di tanti anni, si ricordano di tutto questo.
Nella città visitavo i malati nelle case e nel piccolo ospedale locale. La gente di Tuntum è molto buona, ospitale. In quella parrocchia non ho fatto delle grandi costruzioni, solamente la cappella della Madonna Aparecida nel rione San Benedetto. Una costruzione ottagonale. Ricordo che gli evangelici dicevano che era una costruzione di ignoranti, perché il tetto era molto differente dai tetti comuni; non avevano mai visto una cosa del genere, perché era una costruzione quasi rotonda. Una costruzione come questa l’avevo già fatta a San Luis, la chiesa di San Pietro nel Planalto, e un’altra quasi identica più tardi nel villaggio di Vila Timboteua, nel Parà.
Una cosa molto interessante in Tuntum fu il mutirão (lavoro in comunità) per fabbricare mattoni nella periferia, in un rione poverissimo, il più povero di tutti. Dieci famiglie si riunirono per realizzare questo evento meraviglioso e dopo, un po’ alla volta, sempre insieme hanno incominciato a fare la riforma delle loro case che erano di fango e di paglia. Con molta nostalgia ricordo la signora Carmozina, lider di quella comunità.
L’obbedienza dei superiori per mezzo del primo provinciale della nuova Provincia NOSSA SENHORA DO CARMO, Frei Dourival Miranda, mi ha mandato a Nova Timboteua, nel Parà. Il viaggio fu nel giorno della patria, 7 di settembre. Chi mi ha portato a Nova Timboteua è stato Frai Luis Leitão.
Il giorno 7 del mese di settembre del 1999, dopo un addio molto emozionante nella chiesa di Tuntum, Frei Luis Leitão mi portò fino a Capanema nel Parà.
Sono rimasto in quella fraternità per alcuni giorni e dopo sono andato a Belém per aiutare nei lavori della festività di San Francesco. Nella città di Nova Timboteua stava svolgendo il ministero pastorale Frei Edoardo Stucchi, parroco della vicina parrocchia di Peixe Boi, e allo stesso tempo incaricato dell’amministrazione della parrocchia di San Francesco a Nova Timboteua.
L’ingresso nella nuova parrocchia avvenne in un giorno di sabato, 16 del mese di ottobre, con la presenza del Vescovo Mons. Carlo Verzelletti.
Era pure presente il compianto Antonio Della Fiore, grande amico del Vescovo, un grande lavoratore. Ha aiutato a costruire il Cenobio, la cattedrale e altre opere. Morì il giorno 2 di marzo del 2009. Ho incontrato la parrocchia semi abbandonata, tutto precario, senza casa parrocchiale, che fu venduta dal prete Don Cesare. L’abitazione del parroco era una spelonca dietro la chiesa.
Subito ho fatto mettere i servizi igienici, annessi alla spelonca, perché non c’erano ancora. E ho incominciato a lavorare, a organizzare la parrocchia e le comunità dell’interno, una quindicina. Ho incontrato nella parrocchia una persona meravigliosa, Sandra. Più avanti parleremo anche di lei.
In un giorno di domenica, era il 5 del mese di dicembre, fu collocata la prima pietra del Centro catechetico parrocchiale, e la madrina è stata la prima dama della città, la sig.ra Diana Bezerra, sposa del sindaco Manoel Nogueira.
Ella ci ha dato pure le 100 tuniche della Prima Comunione che avvenne il giorno dell’Immacolata Concezione, 8 dicembre. Bisogna capire bene il significato di queste tuniche. Nel primo mondo, nella parrocchia del mio paese, Borno, le tuniche della Prima Comunione sono date dalla parrocchia, tutte uguali, per evitare spese inutili e stravaganti.
Perché qui in Brasile con tanta povertà doveva avvenire il contrario? Quante famiglie povere erano obbligate a fare spese per non essere da meno delle altre famiglie meglio situate economicamente! Mi ricordo che qualche mamma che aveva più di un figlio per fare la Prima Comunione, è venuta poi a ringraziarmi. Io non avevo soldi e il Signore mi ha aiutato, perché dall’Italia vennero aiuti consistenti dal gruppo missionario di Borno, dal Card. Re e da altri. E fu con questi soldi che i lavori del centro catechetico furono portati avanti. L’inaugurazione avvenne nel mese di giugno del 2000. Ma, prima di arrivare al mese di giugno, vediamo di parlare un po’ di quello che è avvenuto in quel mese di dicembre del 1999.
Nel capitolo precedente stavo parlando delle tuniche della Prima Comunione. Dopo che furono usate e lavate, furono consegnate di nuovo alla parrocchia.
Ma, il problema era dove custodire quelle 100 tuniche. Ammucchiarle in quegli armadi giganti che si trovavano nella sacristia, neppure pensarlo... Io ho pensato che era meglio stendere delle corde e appendere quelle tuniche.
Ricordo ancora che sono andato a Castanhal per comprare gli attaccapanni. E allora è avvenuto l’incidente più grave della mia vita. Dopo aver comperato delle corde, ho legato una punta a una finestra e ho fissato l’altra punta con chiodi e martello a uno di quegli armadi giganti.
Io non sono mai stato una persona che dorme molto. Oggi è la stessa cosa.
A coloro che mi danno un consiglio di dormire un po’ di più, rispondo che per dormire c’è molto tempo: TUTTA L’ETERNITÀ! Molto bene, erano esattamente le 4,30 del mattino del giorno 21 dicembre del 1999 e a quell’ora io ero nella sacristia per appendere quelle tuniche della Prima Comunione, pensando ai bambini che le avrebbero usate il giorno 2 gennaio per partecipare al giubileo nella cattedrale di Belem. Mi ricordo ancora, come se fosse oggi, che ho cominciato ad appendere una, due, tre, quattro, cinque, sei, sette... e improvvisamente, senza che io potessi scappare, quell’armadio assassino è volato su di me e mi ha schiacciato per terra. Ho sentito dei dolori acutissimi, non so ancora come ho potuto uscire da quell’inferno...
Con molta difficoltà mi sono trascinato fino alla spelonca e ho chiamato Lauro, che dormiva anche lui in quella spelonca. I miei parrocchiani non volevano che io dormissi da solo in quell’antro nascosto, per paura di ladri e assalitori. Alla svelta Lauro corse a chiamare un infermiere che ha esaminato la mia colonna: i dolori erano acutissimi e io gridavo, gridavo.
Verso le 7,00 una signorina attempata, amica della parrocchia, IVETE, mi portò a Capanema, ma il caso era molto grave e il giorno 23 del mese di dicembre, antivigilia di Natale, l’ambulanza del municipio di Nova Timboteua mi portò a Belem. Fu fatta subito la risonanza magnetica e fu costatata la frattura della colonna vertebrale. Sono rimasto nel convento dei frati cappuccini, attendendo il giorno di essere ricoverato in un ospedale...
il che non era molto facile dato che era la fine dell’anno, il periodo delle feste natalizie. Ricordo che il giorno 2 gennaio la turma di Nova Timboteua, venuta per il Giubileo, è venuta a salutarmi e io piangevo... piangevo.... Il giorno 3 gennaio, un lunedì, mi hanno portato all’ospedale portoghese e il giorno 5 sono stato operato; l’operazione durò 5 ore.
Le infermiere cantavano una canzone del Rinnovamento dello Spirito: “Perché l’armadio è caduto sul padre, è per lodare il Signore, alleluia...” Furono giorni molto tristi, io dovevo avere pazienza e lasciare che facessero tutto su di me, come a un bambino appena nato. Gli studenti cappuccini a turno venivano a visitarmi. Mi ricordo di uno di loro, Fra Francesco Donesana, che dormiva, sdraiato per terra e roncava e le infermiere dovevano passare sopra il suo corpo, non piccolo, per poter avvicinarsi al mio letto. Padre Elia Baldelli veniva tutti i giorni a visitarmi e mi portava un po’ di conforto. Un santo, Fra Elia! Adesso si incontra nell’infermeria del nostro convento di Belem, con la bella età di 92 anni, ancora lucido e contento di una lunga vita, piena di opere buone. Sono rimasto nell’ospedale fino al giorno 18 di quel mese di gennaio, dopo sono stato trasportato al convento dei frati cappuccini e verso la fine del mese, esattamente il giorno 26, ho potuto ritornare a Nova Timboteua... Ho dovuto stare fermo ancora per un po’ di tempo, stare a letto.
Mi ricordo che, perché io non mi alzassi, mi nascondevano i sandali. Con molta difficoltà riuscivo a camminare e a celebrare la Messa. Ma, un po’ alla volta le cose sono andate per il meglio, ho incominciato a organizzare le Decime, le comunità dell’interno, ho dato impulso alla costruzione del Centro Catechetico. Il giorno 22, un martedì, sono andato al villaggio di Vila Timboteua per la posa della prima pietra della costruzione del piccolo santuario della Madonna del BUON VIAGGIO, forse la costruzione più bella di tutta la mia vita, anche se poi ne ho costruita un’altra a Santana, il bellissimo santuario di Santa Rita da Cascia.
Tonino uno dei bambini “speciali”, ora cresciuto, aiutato da Elena di Borno (foto del 2013)
Stavo parlando dell’inizio del mio lavoro a Nova Timboteua, di questa bellissima avventura della mia vita missionaria. Sono state molte le cose realizzate durante i nove anni vissuti, ben vissuti, in questa amata città che mi ha onorato col titolo di CITTADINO ONORARIO, per i miei servizi a favore dei poveri e bisognosi, ma, specialmente, a favore dei bambini disabili, “SPECIALI”, come si dice in Brasile, che prima erano chiamati deficienti. Il giorno esatto di questa onorificenza è stato il 16 del mese di dicembre. Qualcuno in questi ultimi giorni mi ha mandato un messaggio e mi ha chiamato CONTERRANEO!!!
Ma andiamo per tappe. Ho già parlato delle Decime. La camminata di questa pastorale è stata molto interessante e merita che racconti come è stata. Nel primo anno della mia permanenza, il 2000, le decime in tutto l’anno e in tutta la parrocchia diedero l’importo di R$ 7.500,00 e nel 2008, ultimo anno del mio ministero pastorale in quella amata parrocchia, la cifra salì a R$ 95.000,00!
L’impulso a un rinnovamento totale della parrocchia lo diede una Enciclica del Papa, il SINM, cioè ESSERE CHIESA NEL NUOVO MILLENNIO. Lo studio degli Atti degli Apostoli ha creato una nuova mentalità nella nostra gente. Le comunità si riunivano nel pomeriggio del sabato, sotto le piante, per studiare la Parola di Dio. Tutta la parrocchia ha sentito questo cambiamento.
Durante quell’anno del 2000 ho anche fatto il viaggio in Italia per le mie ferie, dopo quattro anni di assenza, per riposare e anche per raggranellare qualche soldo in più. Tutte le comunità hanno ricevuto il mio aiuto, chi più e chi meno, ma tutte hanno ricevuto qualcosa, e il numero salì a 16, senza contare le celebrazioni particolari.
Nel 2001 fu collocato il pavimento di granito nella chiesa parrocchiale e in seguito anche nel santuario della Madonna del Buon Viaggio nel villaggio di Vila Timboteua. Finalmente incominciò la parte più bella del mio lavoro missionario, l’aiuto ai bambini disabili, CRIANÇAS ESPECIAIS, fino al numero di 25. Persone buone e generose dall’Italia aiutavano mandando i soldi. Io abitavo sempre in quella spelonca dietro la chiesa; tutto programmato: prima il popolo con le sue necessità e dopo anche la casa parrocchiale nuova.
E fu così che nacque l’idea di costruire la nuova canonica, sul terreno che ho comperato nella piazza davanti alla chiesa (R$ 2000,00). Il fatto che più influenzò la costruzione della nuova casa parrocchiale è stato l’assalto avvenuto il giorno 13 del mese di aprile, nel pomeriggio, verso le ore 15,00, quando stavo contando i soldi della Campagna della Fraternità, dopo la Processione delle Palme, avvenuta al mattino. Io sono stato sempre un po’ imprudente nella mia vita, stavo contando i soldi nella veranda della casa, perché nella spelonca c’era molto caldo e molta oscurità. Stavo parlando dell’assalto: due uomini a piedi nudi, incappucciati, mi hanno rinchiuso nel bagno e poi hanno portato via tutti i soldi raccolti al mattino nella processione delle Palme.
Nel mese di maggio iniziammo la costruzione della nuova casa; la bellissima pianta è opera di un grande architetto, il Vescovo Mons. Carlo Verzeletti.
Parlando della Campagna della Fraternità, mi ricordo che uscivamo al mattino presto per fare la VIA CRUCIS, dopo aver suonato la grossa campana della chiesa, alle 4,30 per svegliare la gente dormigliona.... C’era sempre molta gente, da 100 a 200 persone! E questo fu fatto in tutti gli anni della mia permanenza a Nova Timboteua, con ottimi risultati sia spirituali che materiali. La colletta della Campagna era sempre alta, la maggiore di tutte le parrocchie dell’interno, inclusa Capanema. E non era solamente la colletta della campagna della Fraternità, era quella missionaria del mese di ottobre e quella dell’Evangelizzazione nel mese di dicembre. La gente di Nova Timboteua fu sempre molto generosa. Fin da quel tempo fu lanciato questo slogan (ritornello): NINGUÉM É TÃO POBRE QUE NãO TENHA ALGO PARA DAR... che in lingua italiana suona così: NESSUNO È COSÌ POVERO CHE NON ABBIA QUALCOSA DA DARE...
Nel mese di gennaio del 2003, esattamente il giorno 13, nacque la Banda di musica SAN FRANCESCO D’ASSISI, con gli strumenti che il municipio ci prestò. Con l’aiuto degli amici italiani ho comperato altri strumenti e con 30 persone abbiamo iniziato questa parte così bella della nostra storia.
Un maestro di Capanema veniva due volte alla settimana per insegnare, e nella processione della Madonna del mese di giugno la banda suonò per la prima volta i canti mariani: uno spettacolo molto emozionante! Ho visto diverse persone con gli occhi rossi di lacrime di gioia, non avrei mai pensato che una cosa come questa potesse avvenire... Le nostre feste patronali erano molto belle, senza bibite alcoliche, come è costume in Brasile.
Furono realizzate moltissime opere, basta ricordare il pavimento di granito nella chiesa parrocchiale, nel santuario della Madonna del Buon Viaggio e molte altre ancora, delle quali parleremo più avanti. Il progresso spirituale nelle comunità era visibile a occhio nudo. Tutto era ben organizzato quanto alla visita alle comunità e agli incontri che si realizzavano una volta al mese.
Il consiglio parrocchiale si riuniva ogni due mesi e quello delle comunità tutti i mesi: terminavano sempre con un pranzo molto frugale, ma sostanzioso, ben preparato dalla nostra segretaria Sandra che faceva tutto nella parrocchia: cucinava, lavava, puliva la casa... La pulizia della chiesa era fatta a turno dalle diverse equipe ed era sempre pulita, anche se la gente quando entrava in chiesa, veniva con le scarpe e i sandali sporchi di fango...
Fin dall’inizio incominciammo a organizzare la Messa della Solidarietà, una volta al mese, sempre nella prima domenica. La gente veniva in chiesa e portava generi alimentari per i poveri: riso, fagioli, pasta, zucchero, caffè...
Li depositavano ai piedi dell’altare, durante l’offertorio e dopo la Messa le signore dell’Apostolato della preghiera li distribuivano alle persone più povere della comunità, come facevano i primi cristiani degli Atti degli Apostoli. Fu costruito in quel tempo anche il Centro catechetico del rione Paraiso, che inizialmente è servito per alfabetizzare le persone più povere e bisognose.
La costruzione della casa parrocchiale terminò verso la fine dell’anno 2003, nella struttura principale e l’inaugurazione avvenne il giorno 2 di marzo, quando compivo i 66 anni. Fu una festa molto bella, molta gente partecipò, cibo per tutti. La comunità di 4 Bocas, con la sua comandante Carmen, arrivò un po’ in ritardo, con 16 persone, ma nessuno rimase a becco asciutto. In questo la gente di Nova Timboteua è sempre stata molto generosa.
Nel mese di maggio di quell’anno (2004) fu inaugurato il monumento a San Francesco di Assisi e la piazza davanti alla chiesa, che si chiamava Olavo Bilac, ricevette un nuovo nome: LARGO SÃO FRANCISCO. È in questo periodo che nella casa parrocchiale ebbe inizio il servizio di Alda, sorella di Sandra. Alda è rimasta per quattro anni, fino al mese di novembre del 2008, quando, avendo incontrato il suo principe azzurro, Salvatore Palumbo, si sposò con lui in Italia.
Io ho sentito molto la sua partenza, perché il rapporto con Alda è stato qualcosa di molto bello. Non ho mai considerato Alda come una funzionaria, ma come una figlia carissima.
Non c’erano segreti, lei sapeva tutto, discreta e molto efficiente. Mai un attrito o qualche parola in più. Compagna di molti viaggi: ricordo quello fino ad Açailandia nel 2007, una città del Maranhão, distante 450 Km. Trattava molto bene tutte le persone che da Belem andavano alle spiagge di Salinas, perché Nova Timboteua era a metà strada tra Belem e il mare. Per il fatto di trattare così bene gli ospiti si meritò il viaggio gratuito nella Terra Santa tra aprile e maggio del 2007. Ma, ritorniamo all’anno 2004. Banchi nuovi nella chiesa parrocchiale, di un legno molto pregiato, Ipê. C’erano già le porte, tutto dello stesso materiale, pesantissimo.
Nell’anno 2004 fu costruito pure l’arco in onore della Madonna del Buon Viaggio, 16 m. di larghezza per 10 m. di altezza e fu inaugurato il giorno 23 luglio, in piena estate, con un traffico molto intenso. Meno male che la polizia stradale è venuta in nostro aiuto, altrimenti sarebbe successo un caos.
Una vera pazzia!... Lavori nelle comunità, formazione di laici, vita spirituale, quante cose... È di questo periodo pure l’introduzione dell’adorazione silenziosa del SS. Sacramento al venerdì durante la mattinata e la preghiera delle Lodi col popolo alle 6,00 del mattino. Tutti i giorni la grossa campana della chiesa suonava alle 5,30 per svegliare i più sonnolenti alla preghiera.
Alla gente piaceva cantare e pregare con la chiesa i salmi del Signore. Una bellezza!
A Nova Timboteua ho vissuto gli anni più belli della mia vita missionaria, dopo i 13 anni passati a Carolina, come già detto. Il giorno 27 del mese di febbraio del 2005 fu eretta la Diocesi di Castanhal, smembrata dall’Arcidiocesi di Belem. Fu un momento molto forte nella storia di tutte le parrocchie e comunità rurali. La Diocesi incominciò a organizzare corsi di formazione teologica per i laici; l’anima di questa iniziativa era sempre il Vescovo Mons. Carlo Verzeletti e un prete milanese, che divenne poi un mio grande amico, Don Mario Antonelli di Monza.
La nostra parrocchia era quella che più primeggiava per la presenza nel CENOBIO, il meraviglioso centro spirituale, costruito dal Vescovo per accogliere i partecipanti ai corsi di formazione. Questo centro meraviglioso poteva accogliere fino a 300 persone per volta. Al venerdì pomeriggio il piccolo autobus di Hernandes e della compianta Soraia partiva da Nova Timboteua e ritornava domenica pomeriggio, dopo il pranzo. La parrocchia pagava il trasporto e ciascuno dei partecipanti pagava quello che mangiava.
A volte, ai più poveri pagavo anche quello che mangiavano. Mi ricordo che una volta il piccolo autobus si riempì fino all’inverosimile: 34 persone!
I frutti spirituali erano visibili a occhio nudo.
Nel 2007 ci fu pure la visita pastorale del vescovo Mons. Carlo Verzeletti e tutto ebbe un impulso ancora più bello. Dire di tutte le cose che sono avvenute in questi anni benedetti dal Signore è un compito un po’ impossibile. Mi ricordo della camminata penitenziale dei giovani, 30 Km, di notte, fino a Salinas, in riva al mare e l’adorazione al SS. Sacramento, all’aperto. E poi la confessione fatta da una ventina di sacerdoti sotto le piante di cocco.
I bambini “SPECIALI” ricevevano tutti i mesi i soldini che i padrini e le madrine mandavano dall’Italia, senza nessuna esclusione di credo, sia cattolici, sia evangelici. Ma, per causa di questo, una signora di Vila Timboteua che aveva una figlia molto SPECIALE, Laìs, è ritornata alla chiesa cattolica. La madrina di questa bambina, che poi io ho battezzato, è mia sorella Antonietta.
La vita era tranquilla, la gente molto religiosa. Nell’ultimo anno della mia permanenza a Nova Timboteua ci fu anche il Congresso dell’Apostolato della preghiera: questo evento fu realizzato nel Ginnasio coperto del municipio, con la presenza delle delegazioni delle 31 parrocchie della Diocesi di Castanhal.
La nostra banda era sempre presente in tutti questi eventi. Molti bambini dell’interno, specialmente della comunità della Sapucaia, venivano al sabato per partecipare alle lezioni di musica, con volontà di migliorare il tenore di vita del loro ambiente di contadini. Il coro dei bambini e degli adulti, tutti con la camicetta marrone di San Francesco, era qualcosa di molto bello. Le liturgie nella chiesa parrocchiale e nelle cappelle erano ben realizzate. Ai bambini e ai giovani piaceva cantare. Il piccolo coro di QUATRO BOCAS era il più bello di tutti, con circa 40 tra bambini e adolescenti.
Ma, tutto quello che è bello sempre ha la sua fine... L’inizio di tutto è stato il matrimonio di Alda col suo principe azzurro. Sandra, sua sorella, che è stata mia segretaria per molti anni, è ritornata a lavorare nella parrocchia, all’inizio del mese di novembre del 2008.
Nel mese di dicembre fu realizzato il Capitolo provinciale e già c’erano arie di cambiamento. Difatti fu ciò che avvenne. Nel mese di gennaio ci fu la visita del Ministro provinciale, Frei Rodrigo, il quale mi disse che, dopo nove anni, non potevo più rimanere a Nova Timboteua come parroco. E venne la nuova destinazione: Santana, nello stato di Amapà. Il giorno 25 del mese di gennaio del 2009 rimane per me come un giorno molto speciale nella mia vita. Samara organizzò con le altre ragazze un memorandum di tutto quello che io avevo fatto in questi nove anni a Nova Timboteua. Ci furono molte lacrime, molta emozione. Era volontà di Dio che io dovevo lasciare Nova Timboteua per venire in questa città sconosciuta, sulla sponda sinistra del grande fiume Amazonas, SANTANA! Ricordo che in quei giorni, all’inizio dell’anno, il canto responsoriale diceva così: “Ecco che vengo, o Signore, con piacere io faccio la vostra volontà”. La gente piangeva, piangeva, cantando questo salmo!
Offertorio di una Messa della solidarietà
Ho celebrato l’ultima Messa a Nova Timboteua il giorno 15 di febbraio del 2009, con la presenza del vescovo Mons. Carlo Verzeletti, venuto per darmi il saluto finale. Era pure la domenica delle Decime, molta gente in chiesa.
C’erano già state molte lacrime versate e non ci furono più pianti. Il giorno seguente è arrivato il nuovo parroco Frei Raimundo Pestana. Fu preparato un buon pranzo di ben venuto, carne allo spiedo col resto. Io avevo già preparato le mie valigie e tutto era pronto per la mia partenza definitiva, lasciare tutto quello che era stato mio per nove anni. Mi sono sentito escluso, abbandonato, con una voglia pazza di piangere, di fuggire...
Il giorno seguente al mattino presto, come sempre, l’ultima preghiera delle Lodi col popolo, gli ultimi abbracci, le ultime lacrime e dopo l’addio definitivo. Frei Raimundo Pestana e Frei Carlos mi accompagnarono fino a Belem e durante questo viaggio siamo andati a salutare il Vescovo Mons.
Carlo Verzeletti. A Belem ho preso l’aereo il giorno seguente, 18 di febbraio, alle 14,00 e così sono arrivato in questa terra sconosciuta.
All’aeroporto c’era il carnevale, un gruppo di persone con una fascia con la scritta: CARNAVALE NEL MEZZO DEL MONDO... perché a Macapà passa la linea immaginaria dell’equatore. Io nella mia ingenuità ho pensato che era per fare festa al mio arrivo... Meno male che sono stato ricevuto con festa...
Con la famiglia di Wilma
Frei Jamilson e le Piccole Apostole della Carità, una congregazione di persone consacrate, fondata dal beato Don Luigi Monza, sono venuti a prendermi per portarmi a destinazione, a SANTANA, a circa 20 Km di distanza. Ho trovato tutto differente da quello che pensavo, un mondo sconosciuto.
Ho subito fatto conoscenza con l’impiegata Wilma che aveva con se una delle quattro figlie, Karol o Caroline, alla quale diedi subito il fazzoletto del carnevale che ancora oggi conserva con molta gelosia delle altre tre sorelle.
Wilma, che è rimasta fino alla fine della mia permanenza in quella parrocchia dedicata a San Pio da Pietrelcina, nei prossimi quattro anni sarebbe diventata un’amica sincera come Alda, oltre che essere solamente una impiegata comune. Per alcuni mesi siamo stati ospiti della casa di appoggio delle Piccole Apostole della Carità, perché non c’era ancora la casa parrocchiale e così ho iniziato la mia avventura in questa terra.
All’inizio tutto bello, ma poi un po’ alla volta la dura realtà... Un po’ alla volta mi sono abituato e ho subito fatto amicizia con le tre comunità della periferia, San Benedetto, Santa Rita da Cascia e San Francesco, la più povera di tutte, che aveva tutta la preferenza del mio cuore, come se fosse l’ultimo figlio del mio lavoro missionario, la CAÇULA, come si dice in lingua portoghese.
Le cose buone che facevo a Nova Timboteua le ho subito introdotte anche qui: le Decime più organizzate e la Messa della Solidarietà. Ho subito fatto amicizia coi giovani che erano curiosi di conoscermi. È chiaro, non potevano pretendere di incontrare un sacerdote giovane. Avevo 71 anni e scherzando dicevo che ne avevo solamente 17 (basta mettere i numeri al contrario!). Ma, anche così mi sono letteralmente buttato con tutto il mio entusiasmo nella nuova realtà e la gente ha saputo subito capire e apprezzare il mio sacrificio e buona volontà.
Io penso che i superiori, sapendo della mia intraprendenza, giustamente mi hanno mandato in questa parrocchia, perché costruissi una casa per i missionari che non c’era ancora. Il giorno 19 del mese di agosto, quando le Piccole Apostole della Carità ricevettero la visita di un sacerdote milanese, noi abbiamo dovuto alloggiare nelle sale del catechismo della parrocchia, con una cucina dal calore infernale. Io ero senza soldi, e per cominciare a costruire una casa per i missionari, ci volevano molti soldi e questo si capisce subito. E un po’ alla volta la Provvidenza ci aiutò...
Ricordo che i primi soldi sono arrivati tramite un grande benefattore e amico, il Dr. Luigi Camozzi, che subito ci mandò la bellezza di 20.000,00 EURO.
Così il giorno 22 giugno di quell’anno 2009, un lunedì, abbiamo dato inizio alla costruzione della casa, che poi, è diventata un convento sullo stile del convento di San Damiano in Assisi. Furono sei mesi di lavori intensi, con una turma di 20 operai e dopo sei mesi esatti, il 22 del mese di dicembre, il piccolo convento era pronto: otto stanze, cappella, cucina, refettorio e un piccolo giardino con chiostro, colonne, come nei conventi dell’Italia. E così finalmente abbiamo potuto entrare nella nostra casa così bella e accogliente.
Ho ricevuto diverse visite dagli amici di Nova Timboteua, fra tutte quella dell’amica carissima, Leidiane, coi suoi genitori e tutta la famiglia. Suo papà era un bravissimo muratore e ha ammirato la costruzione del piccolo convento. Morì l’anno scorso per un incidente stradale.
Per il mio settantaduesimo compleanno, il 2 marzo del 2010, è venuta a trovarmi un’amica carissima, Samara. Quanta nostalgia! All’ora del pranzo con il flauto suonò l’orazione di San Francesco: “Signore, fammi strumento della tua pace...” Ogni tanto viene qualcuno per vedermi: Cristiane Vagalume, Marina e Anailde di San Luis nel Maranhão e altri.....
Un altro mio compito era quello di celebrare la Messa una volta alla settimana, al venerdì, al monastero delle Clarisse cappuccine e allo stesso tempo ogni tanto andare a Macapà, al Noviziato, per dare ai nostri novizi brasiliani un po’ di francescanesimo e raccontare le mie avventure e esperienze missionarie.
Nel 2010 sono ritornato in Italia per riposare, curare la mia salute (operazione della prostata) e raggranellare qualche soldino, come sempre. Da notare che già avevo un inizio di insufficienza renale e i medici stavano già minacciandomi con la dialisi e con la dieta! Anche se Ivana (un’infermiera di Borno) mi ha raccomandato di non ripartire per la missione, io, crapone come sempre, ho voluto ritornare perché avevo promesso di costruire il santuario di Santa Rita da Cascia.
Nel mese di dicembre di quell’anno 2010 fu costituita la nuova fraternità di Santana, Frei Jamilson parroco, Frei Denilson, superiore, e il sottoscritto come coadiutore. Coi soldini che sono riuscito a raggranellare in Italia, il giorno 11 di gennaio del 2011 abbiamo dato inizio alla costruzione del santuario di Santa Rita da Cascia, il CANTO DEL CIGNO della mia vita missionaria. I lavori non sono arrivati a termine per mancanza di fondi sufficienti e anche perché ho aiutato molti poveri e bambini disabili, SPECIALI, fra tutti Manoel Leão, un bambino completamente infermo e dipendente in tutto. Per lui ho comperato un computer speciale che ha imparato a usare col movimento degli occhi e della bocca, un vero miracolo della scienza, ma soprattutto frutto di tanto amore!
Un accenno alla chiesa santuario di Santa Rita, il CANTO DEL CIGNO delle mie opere missionarie... Qualcuno, giustamente, mi ha fatto osservare che una costruzione come questa doveva essere fatta con tutte le regole di sicurezza... La gente del Brasile sa fare queste cose? Vorrei invitare gli scettici per vedere...
Le ho contate io, ci sono quattro colonne orizzontali (vigas), e ventisei verticali, tutte di cemento armato! La forma del tetto è uno spettacolo da vedersi, interessante...
Ho mandato le foto di questa bellissima chiesa dedicata alla Santa delle cause impossibili in Italia, e il sindaco del mio paese, Antonella Rivadossi, mi ha fatto i complimenti e mi ha detto che questo santuario di Santa Rita sembra un po’ MEDJUGORJE!
Qui in Brasile anche le persone più qualificate l’hanno trovata una cosa eccezionale, tanto è vero che ne hanno perfino fatto un francobollo commemorativo! Qualcuno mi ha anche criticato: “Perché fare una cosa così bella in un ambiente così povero?” Io, subito, ho rimbeccato dicendo che anche Gesù è nato in mezzo ai poveri...
Tra i poveri che ho aiutato e sto aiutando
merita un accenno speciale la nostra cuoca Wilma, mamma di quattro
bellissime bambine, Tamile, Cristiane, Caroline e Thaìs, la più bella di tutte.
Non contenta di queste quattro figlie, ha adottato un’altra piccola creatura, di nome NICOLE, abbandonata da una mamma snaturata! È proprio vero che i poveri sanno aiutare i più poveri! Quanto ai bambini SPECIALI, ho ricevuto un bellissimo omaggio lo scorso anno, a Natale, un piccolo calendario murale con la mia foto e quella dei bambini disabili che sto aiutando. Sono andato diverse volte a trovare i bambini disabili nella scuola GENTILA, la cui direttrice, THEILA, è stata l’anima di questo omaggio.
Il giorno 15 di gennaio del 2012 è uscita la lista dei cambiamenti e trasferimenti, dopo il Capitolo provinciale del mese di dicembre del 2011.
Io, però, rimango ancora per tre anni qui a Santana.
Un grazie a te, carissima amica Leidiane, che ti considero come una figlia, dopo la morte del tuo papà. Senza il tuo incentivo non avrei mai pensato di scrivere tutto quello che ho collocato in questa storia della mia vita.
MUITO OBRIGADO!!!! Grazie mille!
Santana (Amazzonia), 02 di marzo del 2012
Questo capitolo lo sto scrivendo oggi, 12 luglio del 2013, qui all’infermeria del convento dei Frati Cappuccini di Bergamo, dove mi trovo da circa un mese.
Brevemente voglio riassumere quello che è successo dal mese di marzo del 2012 a questa parte. I lavori a Santa Rita continuarono: 36 banchi nuovi bellissimi, di materiale pregiato, pesantissimi, pavimento e pittura. La comunità di Santa Rita da Cascia, pur nella sua povertà, ha preso coraggio e ha assunto con molta responsabilità l’andamento delle cose del suo santuario.
È di quei giorni l’offerta di una casa attigua alla piccola cappella di San Francesco, una vera PORZIUNCULA. Mancavano, però, i soldi necessari per acquistarla e io, che ho maneggiato moltissimi soldi in questi 50 anni di vita missionaria, ho dovuto umiliarmi e chiedere alla comunità di San Benedetto i soldi necessari per l’acquisto. Subito mi sono stati prestati R$ 10.000,00, pari a quattro mila Euro, con l’impegno di restituirli il più presto possibile.
Da Milano è arrivata la provvidenza: il gruppo di amici della signora Laura Festa è riuscito a raggranellare i soldi necessari e altri ancora per abbattere quella casa e farne un salone ampio per la festa dei 150 bambini del rione che si è svolta il giorno 16 del mese di dicembre dell’anno 2012.
Questo salone adesso serve per la Messa domenicale, perché la piccola cappella non poteva più contenere la moltitudine di fedeli che con molta fedeltà frequentano quella chiesa.... Grazie, Laura e amici tutti di Milano!
Purtroppo la mia salute incominciò a preoccuparmi. La domenica ero io che preparavo il pranzo: mi alzavo alle 4,00 del mattino per preparare il sugo per la pasta e il resto del pranzo. Poi andavo a celebrare la Messa a Santa Rita e a San Benedetto, ritornavo e facevo la polenta. Ad un certo punto, a partire dal mese di luglio, ho cominciato a tralasciare queste cose, fra le quali anche un orticello, perché mi sentivo stanco, senza appetito e non riuscivo più a dormire né di giorno né di notte. Ogni tanto andavo dal medico a Macapà. Le sorelle del PAC (Piccole Apostole della Carità) erano molto preoccupate per la mia salute: le cose andavano peggiorando sempre più.
Venne il Natale, il viaggio a Castanhal per partecipare agli Esercizi Spirituali e il 2 marzo l’ultimo mio compleanno in Brasile: compivo 75 anni. Mi ricordo che non assaggiai quasi nessun cibo. Nonostante tutto, il giorno 6 di marzo andai a Macapà per fare il biglietto per l’Italia, andata e ritorno; sarei partito il giorno 13 luglio. Ho anche preso il biglietto per andare a Nova Timboteua il giorno 28 aprile, per celebrare il mio 50° e per San Luis, per celebrare anche là le mie nozze d’oro il giorno 8 giugno. Ma... l’uomo propone e Dio dispone, dice un antico proverbio. Il viaggio a Nova Timboteua lo feci, quello a San Luis, no.
A Nova Timboteua ci fu una festa meravigliosa, mai avrei pensato una cosa del genere. Sfilai per le strade della città, come se fossi il presidente della Repubblica! Mancavo da 4 anni da quella città tanto amata, della quale mi sento orgoglioso di essere un figlio onorario. Questa città ha sempre corrisposto al mio amore e, anche se mi sono allontanato per l’obbedienza ai superiori, non ho mai dimenticato i nove bellissimi anni vissuti a Nova Timboteua, i più belli della mia vita missionaria. CONTERRANEO!.. mi ha scritto un giorno Selma Amaral! A Nova Timboteua mi hanno fatto un sacco di regali, ma il più suggestivo di tutti fu una grossa gallina viva... Figuratevi, in quei giorni non assaggiai quasi nessun cibo e quel poco che mangiavo lo rigettavo.
Ricordo con molta nostalgia la partecipazione alla stupenda celebrazione di domenica sera, nonostante la pioggia incessante. Ritornando alla gallina, io non potevo certamente mangiarla e ho subito detto, tutto commosso, che accettavo ben volentieri quel bellissimo regalo, ma era meglio darlo a Gesù, cioè alla persona più povera e bisognosa della città di Nova Timboteua. Tutti i presenti rimasero senza parole!
Altri regali, come un bellissimo orologio, l’ho accettato e l’ho donato al marito della nostra cuoca Wilma. Io ho sempre fatto così e ho visto che più si dà, più si riceve. In quei giorni, senza quasi poter ingerire alimento, ho visitato quattro comunità dell’interno e ho anche celebrato dei battesimi a Vila Timboteua, la comunità che ha un bellissimo santuario e un arco in onore della Madonna del Buon Viaggio.
Sono ritornato a Belém per prendere l’aereo accompagnato da una meravigliosa coppia di sposi, Cleverson e Marielza. A Santana sono rimasto pochi giorni, il tempo necessario per mettere le cose un po’ a posto. Domenica 4 maggio ho fatto uno sforzo enorme per celebrare le tre Messe, nella comunità di Santa Rita, San Benedetto e San Francesco. In tutte e tre le comunità ho ricevuto manifestazioni di affetto, molte lacrime. Alla sera nella comunità di San Francesco ci fu il saluto finale con una bellissima cena comunitaria, organizzata dalla instancabile Neide, leader di quella poverissima comunità.
Il giorno dopo, lunedì, all’aeroporto la sorpresa finale: una moltitudine di gente, bambini, giovani e adulti che cantavano, ridevano e piangevano... Non ne potevo più! In quel momento mi sono ricordato di una poesia di Alessandro Manzoni: “Ei fu!”...
A Belem mi sono fermato per un mese, fino al giorno 5 giugno, nella nostra infermeria. E poi, accompagnato dal bravissimo infermiere Fra Aquilino, sono partito per l’aeroporto per prendere l’aereo per venire in Italia.
Quel giorno rimarrà per sempre nella mia memoria: “Ei fu!”... Un’altra volta!
Lasciavo per sempre il Brasile! Inaspettatamente ci fu la sorpresa finalissima: tre signore amiche da Nova Timboteua, distante 150 Km, vennero con il taxi per salutarmi. Non posso non ricordare i loro nomi, Marielza, Sandra e Cristiane Vagalume.
Nei 50 anni in Brasile ho fatto tantissime cose, ma la cosa più bella è essere riuscito a mettere nella testa di quella gente che NESSUNO É COSÌ POVERO DA NON AVERE QUALCOSA DA DARE! E così una volta al mese i nostri fedeli portano in chiesa i loro doni - riso, fagioli, ecc. - e al momento dell’offertorio depositano ai piedi dell’altare un po’ di quello che hanno ricevuto dal Signore, come facevano i primi cristiani degli Atti degli Apostoli...
Dopo la Messa, tutto è distribuito dalle signore dell’Apostolato della preghiera ai più poveri e bisognosi della comunità.
Avrei ancora tante cose da dire, ma penso che tutto quello che ho scritto sia sufficiente. Per poter capire l’anima di un missionario, che è l’anima di tutti i missionari, non c’è espressione migliore di una parola brasiliana intraducibile in italiano: S A U D A D E !!!!
Voglio ringraziare il Signore per il dono della vita e della vocazione missionaria. Voglio ringraziare la mia santa mamma Maria che mi ha consacrato quando ero ancora in tenera età alla Madonna Santissima.
Voglio ringraziare i miei superiori dell’Italia che mi hanno accolto con tanto amore. Voglio pure ringraziare i superiori del Brasile, specialmente il Padre Provinciale della Provincia Nossa Senhora do Carmo, Frei Deusivan. Chiedo perdono se nella mia irruenza ho offeso qualcuno. E alla gente del Brasile, questo popolo meraviglioso, dico un MUITO OBRIGADO, GRAZIE per avermi insegnato tante cose. Conservo nel mio cuore il ricordo bellissimo di tante persone che ho amato e che mi hanno amato.
CAROLINA è stata il PRIMO AMORE della mia vita missionaria, mentre SANTANA è stato l’ ULTIMO AMORE!
Questo ultimo amore per me è stato come la Sunnamita ABISAG nel suo rapporto con il re Davide, anziano e ammalato. In questo caso chi potrebbe essere la Sunnamita ABISAG? Certamente una donna di Santana.
Senza voler escludere nessuno, chi mai, meglio della nostra cuoca WILMA, che con tanto amore e fedeltà, pur sapendo delle mie condizioni di salute, non ha mai detto una parola per lamentarsi quando lavava le mie cose personali? Onore a questa santa donna: il Signore le dia sempre la sua benedizione e la sua pace!
Sono venuto via dal Brasile povero e mendicante, come ci insegna il nostro Serafico Padre San Francesco. Ho portato con me pochissime cose, ho lasciato tutto ai poveri, ma ho ricevuto qualcosa di più grande e meraviglioso: TANTO AMORE!!!
Adesso mi trovo nell’infermeria del nostro convento di Bergamo, ma mi sento ancora un missionario. Nella nostra infermeria abbiamo 21 malati e anziani, io sono il più giovane (75 anni). Otto dei frati qui degenti sono ex missionari che hanno dato una vita per il Regno di Dio e continuano a donarsi nel silenzio, nella preghiera e nel sacrificio. Sono ben curati da un gruppo di infermiere specializzate e da alcuni frati meravigliosi: Fra Andrea che è il direttore, Fra Paolo, Fra Stefano e Fra Maurizio.
C’è bisogno di tutto nell’infermeria. Tra le altre cose, qui a Bergamo, abbiamo anche la MENSA DEI POVERI dedicata a un grande ed eroico missionario, PADRE ALBERTO BERETTA, medico-missionario per molti anni in Brasile, fratello di Santa Gianna Beretta Molla e morto in concetto di santità alcuni anni fa.
Padre Defendente Rivadossi
missionario cappuccino in Amazzonia per 50 anni
Padre Defendente è morto il 25-9-2017 a Bergamo.
Pozzo (2009)
Epifania (2010)
Con Jasmin (2011)
Le Palme (2011)
Offertorio con Manoel (2011)
Catechisti (2011)
Compleanno (2011)
Presepio vivente (2011)
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