Missionario in Africa, Canada e di nuovo in Togo
CON I MISSIONARI
Per caso abbiamo trovato in rete (www.comboni.org) una bella biografia di p. Pierino. Nel venticinquesimo della sua morte ve la proponiamo, divisa in due parti. In essa molti potranno ritrovare il volto e il ricordo di un amico.
Padre PIERINO ATANASIO RE
nato a Borno il 29-9-1944
morto in Togo il 7-11-1994
Papà Battista faceva lo stradino comunale e possedeva una piccola proprietà in montagna. Mamma, Poma Bernardina, era casalinga ed esperta nell'arte del ricamo dal quale ricavava quel tanto per arrotondare lo stipendio del marito. Aveva imparato quest'arte presso l'Istituto Girelli di Marone, diretto dalle figlie di Sant'Angela Merici, dove era stata messa all'età di cinque anni perché orfana. Tre delle sue sorelle più grandi erano diventate "angeline" e un fratello, Atanasio, divenne cappuccino. Questi morì a 47 anni causa una malattia contratta in un campo di concentramento durante la guerra 1915-18. Il nostro padre Pierino, terzo di 9 fratelli nacque pochi giorni dopo la morte dello zio per cui fu chiamato Pietro Atanasio.
È superfluo parlare della religiosità della famiglia Re dove la fede era vissuta all'antica, senza tentennamenti e senza compromessi.
Il papà aveva insegnato ai suoi figli che senza fatica non si ottiene nulla dalla vita per cui, dopo la scuola, anche Pierino doveva andare nel bosco con i fratellini a raccogliere legna che il papà legava in fascine e vendeva, o si prestava per la raccolta delle patate, delle noci, del fieno, del frumento...
Papà Battista non conosceva la strada che porta all'osteria. Per lui la giornata trascorreva letteralmente tra chiesa, casa e lavoro. E, alla sera, radunava tutti i suoi figli attorno alla tavola per il rosario e le preghiere.
A quattro anni Pierino era già chierichetto. E guai se il papà non lo svegliava col fratello più grande per la prima messa e per cantare l'ufficio dei defunti! Come vivacità e inventiva nel combinare marachelle, batteva tutti.
Al tempo delle elementari era curato don Ernesto, che poi divenne parroco, molto dinamico, animatore instancabile , pieno di iniziative per i ragazzi e per i giovani.
Vicino a casa c'era un fabbro che ferrava i cavalli e aveva il brutto vezzo di bestemmiare, specie quando i cavalli gli mollavano qualche calcio negli stinchi o un po' più in su. Pierino, che si stava preparando alla prima comunione, prese la scatola delle scarpe nuove e, sul coperchio scrisse: "Non si bestemmia" e mise la scritta sulla finestra del fabbro. La zia assicura che un po' di effetto c'è stato, se non altro perché il fabbro ha lasciato quella scritta al suo posto per lungo tempo.
La vocazione
Un giorno padre Berto Zeziola andò a Borno per una conferenza missionaria. Tra i tanti ragazzi che lo ascoltavano, c'era anche Pierino che lo seguiva con particolare attenzione. Dopo la conferenza e le proiezioni il ragazzino espresse al missionario il desiderio di seguirlo in Africa.
Dopo aver parlato col parroco, e aver avuto buone informazioni, p. Berto andò dai genitori per combinare la partenza per il "mese di prova". Il papà era abbastanza favorevole, la mamma, invece, si mostrò contraria sia perché giudicava il figlio troppo birichino per diventare missionario, sia perché era gracile di salute.
Dopo la quinta elementare, p. Zeziola tornò all'attacco e questa volta con esito positivo. Portò Pierino ad Angolo Terme per il "mese" dove fu trovato idoneo perché "docile, sensibile, di pietà, anche se alquanto vivace". Una buona madrina del paese si prestò a contribuire alla retta del seminario.
Nella lettera di accompagnamento il parroco scrisse: "Reverendo padre superiore, le mando il mio piccolo caro amico Pierino Re, il quale è un po' brigante ma, in fondo, promette bene. Quando io ero bambino, ero più brigante di lui. Veda lei. Con tanta stima"(26 novembre 1955).
"Appena partito per il seminario missionario - dice la sorella Margherita - la famiglia si è fatta un impegno di pregare tutti i giorni per Pierino. La preghiera aveva questo duplice scopo: che tornasse indietro se non fosse la sua strada; che diventasse un santo missionario se il Signore lo chiamava da quella parte". Con la famiglia, anche altre persone del paese pregavano per quel futuro missionario. Insomma, gli abitanti di Borno, ben guidati dal loro parroco, avevano capito che la vocazione di un loro compaesano coinvolgeva tutta la comunità.
Seminarista
Il primo ottobre 1955 Pierino entrò nella scuola apostolica di Rebbio per la prima media. Scrisse padre Figin nel settembre del 1956: "Buon soggetto anche se sembra che sia stato un po' viziato in famiglia forse per le eccessive cure della mamma che lo giudicava gracile di salute. Guidato con polso fermo, diventerà un bravo missionario".
Pierino in seminario si trovava bene e anche la salute reggeva. Tutte le volte che andava al paese in vacanza, non vedeva l'ora di tornare tra i suoi compagni. Ciò contribuì a rasserenare la mamma. Papà Battista gli diceva: "Ricorda, Pierino, o santo prete o niente, perché è meglio un bravo uomo che un cattivo prete".
Nel 1956 Pierino passò alla scuola apostolica di Brescia e qui completò le medie e il ginnasio. Purtroppo agli esami di stato presso l'Istituto Arici fu respinto. Ma fu un incidente giocatogli dall'emozione perché la pagella interna era buona.
Nel 1961 andò a Carraia per il liceo e vi rimase fino al 1964.
Novizio
Il 12 settembre 1964 il "brigantello", ossia colui che la mamma giudicava "troppo birichino" per diventare missionario, entrò nel noviziato di Gozzano.
Padre Antonio Zagotto, maestro dei novizi, si armò di pazienza e di buona volontà per lavorarlo in modo da cavarne un bravo missionario.
Le prime note non sono lusinghiere, segno che il giovanotto aveva un buon cammino da percorrere. Ma dopo due anni di intenso lavoro, pur essendo ancora: "un po' superficiale, rozzo, disordinato, facilone e impulsivo" era: "leale e generoso, uomo di pietà, zelo e laboriosità, portato al ministero specie tra i ragazzi e alla propaganda missionaria. Probabilità di riuscita al 90 per cento" per cui il 9 settembre 1966 emise la prima professione nelle mani di mons. Placido Maria Cambiaghi, delegato del padre Generale.
Vittima del '68
Dopo i Voti Pierino passò a Venegono per la teologia (1966-1970). Lo studio era serio e impegnativo, ma il nostro giovanotto aveva sempre tante cose da fare per cui alle volte arrivava a scuola senza aver aperto il libro... Tanto, erano i tempi del 6 politico, quindi... Se questa regola valeva per le università statali italiane, non altrettanto si poteva dire dello scolasticato di Venegono. Nelle sue vulcaniche iniziative qualche volta agiva indipendentemente dai superiori, e questo faceva mandar giù amaro ai medesimi.
Quando veniva corretto, chiedeva scusa e prometteva di emendarsi. E per un po' si emendava davvero. Insomma l'aria del 1968 con la contestazione globale aleggiava anche sopra lo scolasticato di Venegono e qualcuno ne fece le spese.
Il colmo per Pierino si verificò il giorno in cui, senza dire niente a nessuno, andò al suo paese a visitare i parenti. Il suo stesso parroco sbarrò tanto d'occhi e gli fece una buona ramanzina.
"Ai miei tempi, se avessimo fatto una cosa simile, al ritorno in seminario avremmo trovato la porta chiusa per sempre. Torna a Venegono e chiedi scusa. Forse ti perdoneranno.
Dopo due giorni Pierino era nuovamente in scolasticato. La marachella era stata grossa e si parlò addirittura di non ammissione ai Voti perpetui."Ma perché l'hai fatto, benedetto figliolo!" lo rimproverò il p. Provinciale. "Non so neanch'io perché; so solo che ho sbagliato e chiedo perdono".
"Vedi, forse tu ti trovi meglio a fare il sacerdote diocesano che il religioso obbligato a vivere in comunità con determinate regole"."Non mi parli di abbandonare la vocazione missionaria. Ne morirei dal dispiacere... E' quella maledetta superficialità, che mi hanno sempre rimproverata, che mi gioca questi brutti scherzi". La storia si protrasse a lungo tra alterne vicende e in una lotta serrata tra falchi e colombe. Finalmente queste ultime ebbero la meglio e Pierino fu ammesso ai Voti che pronunciò il 7 dicembre 1969, vigilia dell'Immacolata.
Se nella sua vita c'erano queste ombre, esistevano pure brillanti fasci di luce. Alla domenica andava a fare catechismo in una parrocchia e coi ragazzi ci sapeva proprio fare. Li elettrizzava, li entusiasmava, e quando parlava delle missioni e della vocazione missionaria si trasformava.
Si prestò anche a fare l'assistente durante il mese di orientamento per giovani a Vigo Rendena dimostrando ottime capacità organizzative, equilibrio e spirito di sacrificio.
In casa, quando c'era da sgobbare, non si tirava mai indietro e con i compagni era di una cordialità contagiosa. Insomma, proprio un bel tipo col quale ci si trovava bene.
Il 30 marzo 1970 fu ordinato sacerdote a Borno da mons. Almici, vescovo ausiliare di Brescia.
P. Lorenzo Gaiga
CON I MISSIONARI
Eccovi l'ultima parte della bella biografia di p. Pierino trovata in rete sul sito dei Padri Comboniani.
Padre PIERINO ATANASIO RE
nato a Borno il 29-9-1944
morto in Togo il 7-11-1994
Assistente ad Asti e Pesaro - Abbiamo già detto che Pierino si trovava a suo agio nel mondo dei ragazzi perché aveva il cuore giovane. Per questo i superiori, appena sacerdote, lo inviarono nel seminario missionario di Asti (1970-1971) e poi di Pesaro (1971-1974) come assistente e animatore. Lavorò bene. Citiamo solo un paio di testimonianze: "Il suo comportamento con i ragazzi è sempre stato sereno ed equilibrato. Sapeva correggerli senza umiliarli, incoraggiarli senza frustrarli. Le motivazioni che dava perché si impegnassero nello studio e perché non avessero paura del sacrificio le trovava nella vocazione missionaria alla quale erano chiamanti" (p. Battista Zanardi, Asti).
E p. Corrado Masini, allora a Pesaro, aggiunge: "Pierino era un carissimo amico dal cuore grande e comprensivo. Di fronte alle marachelle dei ragazzi diceva, parlando con noi padri: ''Io ne ho fatte di peggio e sono contento di essere missionario... Per essere missionari bisogna essere un po' vivaci'' e con questi principi scusava tutto e tutti anche se non mancava di correggere, però lo faceva al momento e al tempo opportuno. Insomma mi pareva che avesse la vera stoffa dell'educatore. Quanto a vita comunitaria, era un piacere stare con lui".
Nella lettera che lo assegnava al Togo, il padre Generale diceva: "Il Signore ha benedetto i tuoi sforzi. Il tuo buon lavoro è auspicio anche per la tua opera in missione".
Africa - D'accordo con p. Pietro Ravasio, segretario delle missioni, p. Re andò a Parigi a studiare il francese. Finalmente, il primo luglio 1975 partì per la missione di Lomé, in Togo, con l'incarico di coadiutore a Kodjoviakopé.
Scrive p. Boscaini "Ha avuto il dono di identificarsi con i piccoli e si è immerso nel lavoro con l'entusiasmo di un neofita e nello stesso tempo con l'esperienza e la maturità di un uomo. Infaticabile, non si tirava mai indietro quando c'era da aiutare qualcuno. Questa sua generosità ha indubbiamente accelerato la sua morte. Era divenuto l'anima delle piccole comunità sparse per i villaggi che visitava regolarmente, istruiva nella catechesi e nutriva con i sacramenti. P. Pierino è stato un evangelizzatore nel vero senso della parola".
Questa sua prima esperienza missionaria durò cinque anni. Furono anni belli per p. Pierino. Nel suo lavoro missionario seppe coinvolgere il paese natale, Borno, e i vari gruppi missionari che aveva formato nei quattro anni di permanenza in Italia. E tutti lo aiutavano perché aveva anche la dote di... saper ringraziare e di dimostrare dove andavano a finire i soldi che gli mandavano.
In Canada - Nel 1980 il Padre fu destinato al Canada dove c'era urgente bisogno di un valido animatore missionario. Non solo doveva trovare aiuti per la missione, ma soprattutto buone vocazioni per l'Africa. Percorse migliaia e migliaia di chilometri tra le nevi del Québec con il freddo che alle volte arrivava a 20 gradi sotto lo zero. A tutti portava la sua testimonianza e il suo zelo missionario. Per animare la Chiesa del Canada p. Pierino si servì del periodico "Echo Missionnaire", del quale era anche il responsabile, dove non mancavano mai le belle fotografie e le notizie del Togo che, inutile dirlo, si portava nel cuore. Cinque anni di quella vita lo logorarono un po' anche se, spinto dall'entusiasmo con cui agiva, pareva che non accusasse la fatica.
Di nuovo in Togo - Quando, nel 1985, gli giunse la notizia che poteva ripartire per il Togo, p. Pierino scoppiò di gioia. "Reverendissimo p. Generale, ho ricevuto da pochi minuti la sua lettera e non perdo tempo per dirle il mio grazie. La gioia delle feste pasquali appena trascorse, continua in pienezza grazie proprio a questa notizia. Quanto a missione, non ho preferenze: andrò dove mi diranno di andare...". La piena disponibilità al volere dei superiori, che poi coincideva con il bene della missione, fu un'altra delle doti di questo nostro confratello.
Dal 1985 al 1988 fu a Vogan dove era parroco p. Massimo Cremaschi. Ecco cosa scrive del suo coadiutore: "Di lui avevo sentito parlar bene, anche se non lo avevo conosciuto, ma posso assicurare che la realtà si dimostrò superiore e migliore della fama. Grazie al suo carattere gioviale, schietto e, nel contempo semplice e sincero, ho potuto instaurare con lui un rapporto veramente fraterno. Essendo di qualche anno più anziano di me e "veterano" del Togo, mi dava qualche consiglio che accettavo di buon grado perché derivava da prudenza e saggezza.
È insieme con lui e con p. Montresor che abbiamo fatto una programmazione pastorale seria ed efficace che, in questo periodo, ha favorito la crescita della nostra comunità cristiana. Animazione dei gruppi parrocchiali, restaurazione di scuole, completamento di altre, scavo di pozzi, finanziamento di progetti agricoli... furono alcuni degli impegni che portammo avanti. Era proprio p. Pierino che si occupava affinché ogni comunità avesse un luogo d'incontro atto a favorire la catechesi e la liturgia, nonché le riunioni concernenti la promozione umana dei vari villaggi. Tocco a p. Pierino la formazione dei catechisti perché vedeva in essi il futuro del cristianesimo in Africa. Inoltre aprì anche una piccola farmacia per distribuire gratuitamente le medicine ai poveri. Per i poveri aveva un debole: li accoglieva, li seguiva, li aiutava. Davvero in essi vedeva Cristo. E con che fede lavorava!
Perfino i miei genitori che vennero a trovarmi restarono colpiti dal buono spirito di padre Pierino. La sua morte fu anche per loro un duro colpo. Per me è stata un fulmine a ciel sereno perché con lui avevo ormai un'amicizia più che fraterna ed eravamo legati da profondi sentimenti".
Una Chiesa di pietre vive - Continuando il discorso di p. Cremaschi, p. Boscaini sottolinea la preoccupazione di p. Pierino di costruire la Chiesa di pietre viventi, di persone capaci di vivere il cristianesimo in pienezza. Per questo ha stretto amicizia con molti sacerdoti togolesi dei quali aveva una grande stima; per loro cercava intenzioni di sante messe, si serviva del loro ministero sacerdotale senza complessi e li aiutava in tutti i modi.
Nel 1988 divenne parroco della chiesa di Vogan che volle bella come una sposa preparata per lo sposo. Nel suo ministero come responsabile di quella comunità mise in pratica a puntino ciò che è detto del giusto in Mt 25,34-36 "Venite benedetti nella casa di mio Padre perché avevo fame e mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, ero nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, prigioniero e siete venuti a trovarmi".
Evangelizzatore formidabile, non ha risparmiato forze e salute per annunciare Cristo e il suo amore per tutti gli uomini e per dare a tutti un po' di speranza. La sua carità è stata ardente, specie nei confronti dei poveri e dei malati, e i suoi sforzi per dare a tutte le piccole comunità un luogo di preghiera è stato continuo.
Identità comboniana - Non c'è da meravigliarsi se la sua salute risentisse di tutto questo lavoro. I superiori glielo dicevano. Il suo padre Provinciale, mandandolo in Italia nel 1989 scrisse chiaramente: "Padre Pierino ha urgente bisogno di riposo e di cure mediche serie". Gli riscontrarono un forte diabete e qualche difficoltà a livello cardiaco, senza parlare della malaria che ogni missionario si porta nel sangue. All'ospedale di Negrar (Verona) gli trovarono la medicina giusta per cui poteva andare avanti abbastanza bene.
Scrive la sorella Margherita: "Non ha mai saputo che cosa fosse il riposo. In vacanza, se non celebrava era in confessionale o circondato da tantissimi ragazzi che volevano sentire le sue avventure africane. Lavorava molto anche nelle parrocchie vicine e i sacerdoti della valle lo cercavano per le confessioni. Aveva sempre un vulcano di idee per la sua missione. L'ultima volta ci ha fatto comperare i pannelli solari per un ospedalino che non aveva la luce. Un'altra volta ha fatto costruire da un artigiano 30 Madonne di cemento: 10 in grandezza naturale, 10 medie e 10 piccole. I ragazzi del gruppo missionario pensarono a imballarle e a portarle a Verona. Non vi dico le tribolazioni con tutto quel peso! I soldi che raccoglieva nei suoi giri di animazione erano equamente divisi tra i quattro missionari e le due suore missionarie della parrocchia".
L'inizio dei guai - Nel 1991, durante gli esercizi spirituali in un convento di Benedettini in Africa, è stato punto alla gamba sinistra da un insetto. L'arto cominciò a gonfiarsi, ma Pierino non ci fece caso. Col passare dei giorni la gamba divenne così grossa che non passava più neanche dai calzoni e la pelle si screpolava. Allora andò all'ospedale Fatebenefratelli. Il primario, prof. Priuli, bresciano come lui, lo sgridò perché aveva lasciato passare troppo tempo e, intanto, era sopravvenuta la flebite. "Che cosa può fare un missionario con una gamba sola?", scrisse alla sorella. E tornò in Italia per curarsi. Nel 1992-1993 fece anche il corso di aggiornamento a Roma, che concluse con il pellegrinaggio in Terrasanta, e poi riprese la via del Togo sembrandogli di essersi rimesso abbastanza bene. Infatti proseguì il suo lavoro con il solito entusiasmo non curante degli inviti dei confratelli a scalare qualche marcia. "Come si fa a non fare quando c'è tanto da fare?", rispondeva col suo solito sorriso.
Una festa come un addio - Il 29 settembre 1994 festeggiò il suo cinquantesimo compleanno circondato dai confratelli e dai fedeli ai quali parlò del grande dono della vita, dono che per lui era sublimato dalla vocazione missionaria.
Domenica 30 ottobre partecipò all'intronizzazione di mons. Houmake, suo nuovo vescovo. Il primo novembre fu colpito da una forte febbre causata da un attacco di malaria, come gli capitava di tanto in tanto. La gamba, sempre sofferente, cominciò a creare problemi: mancanza di circolazione e principio di infezione. Le cose precipitavano. Portato di urgenza all'ospedale Fatebenefratelli di Afanya si riscontrò una diffusa embolia e l'inizio di un collasso cardiocircolatorio. I medici si prodigarono come meglio poterono, ma ormai la sorte del Missionario era segnata. Lunedì 7 novembre, alle ore 13.30 spirò tra le braccia di un confratello che lo sosteneva perché potesse scrivere alcune cose riguardanti la parrocchia.
Come Daniele Comboni - "Bresciano come Daniele Comboni - scrive padre Boscaini - è spirato a 50 anni di età proprio come il nostro Fondatore. Il 17 dicembre ci sarebbe stata l'ordinazione sacerdotale del primo sacerdote della sua parrocchia. I funerali, solennissimi, sono stati preceduti da una veglia di preghiera che ha radunato tutto il popolo, e non solo i cristiani. Alla messa funebre, celebrata il 17 novembre, erano presenti il Nunzio apostolico del Togo, l'arcivescovo di Lomé e i vescovi di Kpalime e Aneho con numeroso clero e una folla immensa di fedeli. In quell'occasione si è visto chiaramente quanto era amato dai sacerdoti e dalla gente, anche dai non cristiani, perché nel cuore di p. Pietro, c'era posto per tutti.
Il suo vescovo, durante l'omelia, ha citato le parole di Comboni quando prese possesso del Vicariato dell'Africa centrale nel 1873 e le applicò pari pari a p. Pierino: "Sono venuto tra voi per non allontanarmi più, totalmente consacrato e per sempre al vostro vero bene. Il giorno e la notte, il sole e la pioggia mi troveranno sempre pronto a rispondere ai vostri bisogni spirituali. Il vostro bene sarà il mio bene; le vostre pene saranno le mie pene; io faccio causa comune con ciascuno di voi e il giorno più bello della mia vita sarà quello in cui potrò donare la mia vita per voi". I superiori hanno ringraziato i parenti per aver accolto il desiderio di p. Pierino di essere sepolto tra la sua gente, se per caso fosse morto in Africa. Aveva anche indicato il posto: accanto alla chiesa di Vogan. Così è stato fatto.
Il cugino mons. Giovanni Battista Re, scrivendo dal Vaticano, espresse riconoscenza ai Comboniani per le premure con cui p. Pierino è stato assistito e per le preghiere di suffragio anche se era certo che ormai il giovane missionario già godeva la gloria del cielo insieme ai genitori e a un fratello che lo aveva preceduto. La sorella conclude dicendo: "A noi non resta altro da fare che pensare alle cose belle che abbiamo avuto. Questa vocazione nella nostra famiglia ha aiutato tutte le nostre famiglie a restare unite, a volerci bene. Era per noi come un punto di riferimento. Siamo certi che dal cielo continua ad assisterci, ad esserci vicini, ad incoraggiarci per la via del bene".
Se la Congregazione comboniana piange la perdita di un valoroso missionario, deve rallegrarsi per avere un nuovo intercessore in cielo, che non mancherà di suscitare nuove vocazioni missionarie.
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